di Fabio Antonelli
Sabato 24 ottobre, all’Ariston di
Sanremo, s’è conclusa la 39sima edizione del Premio Tenco, che ha segnato il ritorno
alla tradizione nel senso che, dopo alcune edizioni in cui, per problemi
sostanzialmente economici la rassegna s’era svolta in forma ridotta nel vicino
Casinò, si è tornati alla classica formula delle tre serate all’Ariston. Tre
serate in cui sono stati consegnati sia i Premi Tenco, quelli assegnati
“insindacabilmente” dal Club, come ci ha tenuto ancora una volta a sottolineare
lo storico presentatore Antonio Silva,
sia le Targhe Tenco, quelle votate da una giuria di circa 230 giornalisti, la
più vasta e rappresentativa in Italia in campo musicale.
L’edizione 2015, intitolata “Fra
la via Aurelia e il West” è stata dedicata Francesco
Guccini, uno dei maestri indiscussi della canzone d’autore italiana che,
instancabile, malgrado i suoi settantacinque anni e la non trascurabile mole,
ha presenziato a tutte le serate, non trascurando né la mitica Infermeria del
Tenco, luogo di scambi culturali e bevute all’insegna dell’amicizia, né quei dopo
Tenco svoltisi nel privè del Casinò di Sanremo e in cui gli artisti sono stati chiamati
a improvvisare delle jam session.
Francesco Guccini - Foto di Manuel Garibaldi |
Quest’anno, ogni artista che è
stato invitato al Tenco dal Club, è stato “obbligato” a presentare un proprio
omaggio al Maestro e, in proposito, Francesco Guccini quando è salito sul palco
alla fine dell’ultima serata per salutare e ringraziare il numerosissimo
pubblico, ha ironicamente detto "Queste
tre giornate sono state faticosissime. Bravi tutti! Le canzoni mi sono
piaciute, sembrava quasi che le avessi scritte io” aggiungendo poi "Io ringrazio tutti, però vorrei dire:
sono ancora vivo!".
Veniamo però alle serate, non
voglio certo raccontare nel dettaglio tutto quanto accaduto serata per serata, altrimenti
non basterebbe certo un articolo, vorrei invece soffermarmi da una parte sugli
episodi più emozionanti e toccanti e dall’altra su quelli meno riusciti, le
note stonate, poche, di quella che è stata forse la più bella delle edizioni
dell’ultimo decennio.
Partiamo dalla prima serata, in
cui ci sono state parecchie consegne: la Targa Tenco per la miglior canzone a “Il
senso delle cose” a Cristina Donà e Saverio Lanza, la Targa Tenco Opera prima a
La Scapigliatura, il duo cremonese dei fratelli Nicolò e Jacopo Bodini, per il
disco omonimo; il Premio Tenco all'Operatore Culturale a Guido De Maria, vignettista e cartoonist fra i più apprezzati in
Italia e grande amico di Francesco dai tempi (1967-68) della collaborazione
nell'ambito del Carosello per gli slogan dell'Amarena Fabbri.
In questa prima serata, apertasi
eccezionalmente non con la classica “Lontano lontano” di Luigi Tenco bensì con “Auschwitz”
di Guccini, cantata da Vittorio De Scalzi accompagnato per l’occasione da Mauro
Pagani e Edmondo Romano, una piacevolissima sorpresa, almeno per il
sottoscritto che a dire il vero l’ha sempre un po’ trascurata, è stata l’esibizione
di Cristina Donà. E’ stata direi
perfetta, sia nell’esecuzione di “Stelle” di Guccini, sia dei propri pezzi,
anche quando li ha cantati nell’inusuale contesto, almeno per lei, di soli
pianoforte e voce. Tutti brani molto belli, compreso quello che le ha fatto
vincere la Targa (ex - equo con il duo Bersani-Pacifico con "Le storie che
non conosci”).
Cristina Donà - Foto di Manuel Garibaldi |
Devo ammettere che il Premio Tenco, anche
in passato, è sempre servito a farmi conoscere artisti pregevolissimi e anche
questa volta non s’è smentito.
Un altro artista che ha asciato
il segno è stato John De Leo, ex
voce dei Quintorigo, qui in veste solista che dotato di una voce
straordinariamente duttile e virtuosa, accompagnato da musicisti di grande spessore,
ha proposto una personalissima “Il pensionato” di Guccini e alcuni suoi pezzi frutto
di un’appassionata e lunga ricerca musicale. Da applausi a scena aperta.
John De Leo - Foto di Manuel Garibaldi |
Il momento topico della prima
serata è stato sicuramente la presenza di Roberto
Vecchioni. Il Professore ha omaggiato il Maestro con una splendida versione
di “Bisanzio”, brano in cui il cantautore modenese nel 1981 anticipava il non
senso di un mondo dove Oriente e Occidente non si capiscono più. Eseguita da
Vecchioni come fosse stata tratta da un libro di poesie, con la musica a fare
solo da sottofondo musicale alla lettura del testo ha fatto si che le singole parole,
una dietro l’altra, sembrassero uscire da quell’immaginario libro per dare vita
a magnifiche immagini. Spettacolare, così come l’esecuzione di alcuni propri
cavalli di battaglia, tra cui non poteva mancare in conclusione la sua “Luci a
San Siro”.
Roberto Vecchioni - Foto di Manuel Garibaldi |
Si parlava prima di note dolenti,
beh direi che il duo La Scapigliatura,
malgrado fossero freschi di Targa Tenco Opera prima non mi ha certo
entusiasmato, con la loro aria da intellettuali barbuti e scapigliati. E’ vero
che, come cantavano i Nomadi “chi vi credete che noi siam per i capelli che
portiam”, non bisognerebbe mai giudicare dall’aspetto però il loro modo di
porsi sia in conferenza stampa sia sul palco, il loro citazionismo, l’aria un
po’ snob delle canzoni e l’essersi, di fatto, limitati a cantare e suonare le
loro chitarre su delle basi preregistrate, non ha certo deposto a loro favore.
Peggio di loro però è stata
l’esibizione di Appino, che s’è
presentato sul palco con aria da rock star, ma non è mai riuscito a
conquistarsi il pubblico presente, complici ballate dai buoni contenuti ma
dall’andamento stanco. A sua parziale discolpa, bisogna ammettere che ha avuto
la sfortuna di scontrarsi con un macigno gucciniano come “Eskimo”, da cui ne è
uscita una versione tesa, veloce come un treno in corsa, ma assai piatta. Da
dimenticare. Anzi già dimenticata.
Direi di passare alla seconda
serata, visto che il resto è stato tutto molto apprezzabile, seconda serata che
ha visto l’apertura da parte dell’Orchestra
Sinfonica di Sanremo, diretta per lì occasione da Vince Tempera, uno dei musicisti che più ha suonato con Guccini.
L’Orchestra ha eseguito tre brani di Guccini tra cui una “Radici” che, grazie
alla bravura della cantante ospite Vanessa
Tagliabue Yorke, si può azzardare sia stata quasi meglio dell’originale
apparsa su disco nel lontano 1972. Il pubblico, più numeroso che nella prima
serata, se n’è accorto e ha riservato alla Yorke, a fine esibizione, una lunghissima
standing ovation.
Altro artista accolto benissimo e
direi meritatamente dal pubblico, è stato il livornese Bobo Rondelli, che ha reso omaggio il Maestro con “L’avvelenata” e
che con un equilibrio perfetto tra ironia, leggerezza, profondità di pensiero,
ha poi proposto alcuni pezzi dal suo nuovo disco “Carnevali” tra cui “Nara F.“,
eseguita pianoforte e voce, dedicata alla madre venuta a mancare non molto
tempo fa, con il pubblico in rigoroso silenzio e visibilmente commosso. Bravo,
spendendo pochissime parole ha saputo incantare il pubblico.
Bobo Rondelli - Foto di Manuel Garibaldi |
La seconda serata ha davvero
sfornato ottime prove, compresa la comparsata del comico Leonardo Pieraccioni, grandissimo fan di Guccini, venuto per
omaggiare il maestro. Ha eseguito alcuni suoi brevissimi ma affatto stupidi
pezzi, per poi tributargli una bella e sentita interpretazione di “Venezia”.
Certo c’è voluto un po’ prima che si mettesse a cantare quelle canzoni di poche
pretese, come più volte detto dello stesso consapevole autore, ma lo scandalo
delle “strisciate” sanremesi, gli ha offerto più di un fianco per parecchie
frecciate velenose.
Ci sono state anche le
interessanti esibizioni di due bei premi, il Premio Tenco per il migliore
artista, assegnato quest’anno alla cantante inglese Jacqui McShee, voce dei Pentangle, un gruppo folk rock inglese con
influenze jazz e il Premio “I suoni della canzone” assegnato ad Armando Corsi, uno dei più bravi
chitarristi d’autore di sempre, dal passato pieno di prestigiose
collaborazioni.
Armando Corsi - Foto di Manuel Garibaldi |
La serata s’è poi conclusa con il
set di Carmen Consoli che, chitarra
elettrica alla mano, ha subito omaggiato Guccini con “Il vecchio e il bambino”
con il proprio sempre personalissimo modo di cantare. Ha poi attaccato il
distorsore e ha iniziato a cantare tre suoi pezzi “Geisha”, “Lo zio” e “AAA
cercasi”, tutti all’insegna della difesa della donna costantemente abusata e
sottomessa dall’uomo, in questo coadiuvata da un duo basso e batteria tutto
femminile. E’ apparsa dura, violenta come un pugno nello stomaco, ma incredibilmente
affascinante.
Carmen Consoli - Foto di Manuel Garibaldi |
A deludere, invece, credo sia
stata proprio l’esibizione di Mauro
Ermanno Giovanardi, premiato con la Targa Tenco più prestigiosa, quella
assegnata per il miglior album in assoluto dell’anno. Nulla si può dire in
merito alla sua voce, una delle più belle e accattivanti dell’intero panorama
italiano, capace come quella di Tognazzi di trasformare anche la ricetta di un
risotto in un componimento poetico, però personalmente nutro un po’ di dubbi, per
altro non fugati dalla sua esibizione al Tenco, sullo spessore artistico
dell’ultima sua fatica discografica “Il mio stile”. Un’opera discutibile
proprio per lo stile con cui è stata creata, troppo patinata, perfetta, quasi
asettica; è certamente il suo stile ma probabilmente non il mio. Discutibile direi
anche il suo omaggio a Guccini con “Dio è morto”, non contesto tanto
l’originale mix con “Je t’aime … moi non plus”, anche se non ne capisco il
nesso logico, ma lo stile degli arrangiamenti che hanno quasi trasformato la
canzone di Guccini in una canzone da night. Mah …
Eccoci giunti all’ultima serata,
quella che ha visto l’Ariston gremito come ai vecchi tempi.
Se dovessi parlare delle note stonate,
avrei già finito qui, poiché è stata una serata pressoché perfetta, con alcuni
punti davvero alti, come ad esempio l’apertura affidata ai Têtes de Bois, vincitori della Targa Tenco interpreti di canzoni
non proprie con l'album “Extra” in omaggio a Léo Ferré. Esibizione suggestiva
la loro, sia quando hanno tributato a Guccini la “Canzone delle domande
consuete”, sia quando hanno affrontato il repertorio di Ferrè, canzoni di forte
impatto, pieni di simboli, ondivaghe, a tratti debordanti che però il leader
del gruppo, Andrea Satta, ha saputo far sue e tenere sotto controllo.
Andrea Satta - Foto di Manuel Garibaldi |
Canzoni forti, sanguigne, legate
alla propria terra, eppure altrettanto universali perché hanno come temi lo
sfruttamento, le sofferenze, lo strapotere dei ricchi, la corruzione, sono
quelle cantate da Cesare Basile,
cantautore catanese e vincitore della Targa Tenco per il dialetto, con “Tu
prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più”, da cui sono state tratte le
canzoni eseguite in compagnia dei propri musicisti di sempre. Una garanzia la
sua presenza.
Cesare Basile - Foto di Manuel Garibaldi |
Come non parlare poi della
travolgente esibizione del canadese Bocephus
King, che ha prima incantato il pubblico con una magnifica versione in
lingua inglese di “Autogrill” di Guccini, così bella da far sembrare la canzone
essere nata in quella lingua e che l’autogrill descritto in essa non fosse più
quello della nostra pianura padana bensì quello dell'immensa pianura americana.
Segno che una canzone, quando è scritta in maniera superba, può funzionare
anche oltre confine senza problemi. Poi, dopo l’omaggio a Guccini, Bocephus è
tornato ai propri pezzi e con la propria band ha surriscaldato l’Ariston, tanto
che a fine esibizione è stato acclamato dal pubblico a tal punto, che il
conduttore Silva ha dovuto concedere, cosa rara nella storia del Tenco, un bis.
Un vero animale da palcoscenico, così come ha poi scherzosamente sottolineato
anche il “tappabuchi “ Paolo Migone (esilarante
in tutte e tre le serate) che entrato canticchiando la melodia del brano appena
cantato da Bocephus ha detto di lui, scherzando, “quello è una bestia,
mettetelo in una gabbia e rispeditelo in Canada”.
Bocephus King - Foto di Manuel Garibaldi |
Salire sul palco, dopo
un’esibizione così, chitarra e voce sola e portarsi il pubblico dalla propria
parte credo sia un’impresa non da tutti, eppure Giovanni Truppi (Premio IMAIE 2015), uscito sul palco quasi nudo
(in canottiera a dire il vero) accompagnato dalla propria chitarra elettrica è
riuscito nell’intento. Dopo una bella versione di “Gli amici”, il suo bell’omaggio
a Guccini, i suoi brani a tratti intimisti, a tratti surreali, a tratti
sfrenati, uniti a una tecnica impressionante sia a livello strumentale sia
vocale hanno fatto il resto. Da annotarsi.
Questi gli apici di una serata
che si è conclusa con una rappresentativa dei musicisti storici di Guccini che
hanno tributato al maestro alcuni suoi classici, poi lo stesso Guccini è salito
sul palco per ringraziare e salutare.
Francesco Guccini - Foto di Manuel Garibaldi |
Non vi poteva essere conclusione
più degna.