sabato, novembre 22, 2014

Intervista a Luca Bonaffini



di Fabio Antonelli

Luca Bonaffini, compositore di musiche e autore di testi per canzoni, s’è affermato intorno alla fine degli anni ‘80 come collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli, firmando per lui molti brani in album di successo, tra le quali "Chiama piano", all'interno dei quali compare anche come cantante, armonicista e chitarrista acustico. Dopo aver realizzato una decina di album a proprio nome, ha debuttato nel 2013 come scrittore con il libro "La notte in cui spuntò la luna dal monte" (edito da PresentArtSì), ispirato al suo incontro con Pierangelo Bertoli. Il 7 agosto scorso ha pubblicato il disco “Sette volte Bertoli”, in ricordo di Pierangelo e proprio di questa sua ultima fatica s’è parlato in questa intervista.



E' da poco uscito un tuo disco dal titolo "Sette volte Bertoli" che vuol essere il tuo omaggio al cantautore di Sassuolo. Credo che un buon motivo per ascoltarlo con attenzione sia che d’interi dischi di altri musicisti che interpretino Bertoli praticamente non esistano, però vorrei che fossi tu a darmene degli altri.

Esistono diverse tribute band ma, a differenza di De André, riscuotono consensi meno evidenti. Bertoli ha scritto canzoni popolarissime, ma con testi a volte molto fuori moda. Non solo come argomenti, ma anche come linguaggio. Gli italiani si lustrano la lingua dandosi dei toni "da letterati", perché sono convinti che tutto debba passare attraverso la cultura "alta", quella cattedratica. Angelo, così lo chiamavamo, era un vero cantore di storie civili. Un cantautore non di protesta, ma di "testa". Al di là dell'estetica letteraria, le sue restano poesie sociali straordinarie ...

Perché hai voluto intitolare così questa raccolta di suoi brani e soprattutto perché, dall'immenso patrimonio musicale lasciato da Pierangelo, hai scelto proprio queste sette canzoni?

Le canzoni che avrei voluto cantare erano almeno trenta ma io non sono in grado, con le mie possibilità vocali, di riproporle in maniera credibile. Volevo essere, anzi continuare a essere, il suo allievo; e allora, visto che considero Bertoli il cantautore delle cose quotidiane, volevo cantare una canzone al giorno.
I giorni sono sette ed ecco sette volte Bertoli, come una terapia ...

E' vero la tua voce e il tuo modo di cantare sono praticamente antitetici a quelli di Pierangelo che cantava con voce potente, forte, che scandiva in maniera secca le parole, però credo che, per alcune canzoni, tu abbia fatto un lavoro straordinario di ringiovanimento, soprattutto con "La luna è sotto casa" che, secondo me, nella versione originale aveva un arrangiamento un po’ datato, non credi?

Grazie del bell'apprezzamento. Ritengo “La luna sotto casa” un brano sottovalutato, perché considerato moralista. Non è così. Pierangelo aveva delle priorità ... ovvie, ma non per tutti. La superficialità è l'estensione massima del vuoto del protagonista della canzone che, in quanto a "masturbazioni cerebrali" - come direbbe Angelo - non ha uguali. Bertoli non lo giudica. Lo condanna, a misurarsi con se stesso!

Si, trovo sia una delle canzoni più belle, però ai tempi penalizzata da un arrangiamento un po' vecchiotto, come lo era ad esempio quello di "Due occhi blu" Credo che tu abbia saputo donargli una veste nuova, molto fresca, capace di mettere ancor più in risalto la bellezza dei testi, che dici?

Non saprei. Io sento le sue canzoni così. Alcuni arrangiamenti di brani scritti insieme come “Oracoli”, “Italia d’oro” e “Gli anni miei”, titoli anche degli album che contengono alcuni dei nostri successi, non corrispondono alla mia modalità immaginaria musicale, ovvero, quando li scrissi, me li fantasticavo più aerei. Ma la voce di Pierangelo li ha ingigantiti comunque ...

Un’altra canzone che dal restyling ha acquisito nuova linfa è "Il centro del fiume", canzone tra le più vecchie ma tra le più attuali, purtroppo aggiungerei. Perché hai deciso di inserirla nel disco?

Non la considero semplicemente attuale, bensì "permanente". Esprime la modalità tipica di chi, politicamente e umanamente, sceglie di "non muovere" le cose. "Il sesso è scoperto, però hai coperto l'amore", è una frase che dovremmo stampare sul promemoria della quotidianità.


E' vero. In questi giorni sto riascoltando un po' di canzoni di Pierangelo ed è sorprendente come i suoi testi suonino sempre attuali. La stessa "Maddalena", che hai voluto inserire in quest’omaggio, penso sia esemplare in tal senso. Stupenda poi la scelta di interrompere la musica prima di chiudere con "quasi fosse colpa sua". Io amo tantissimo questa canzone, quali sono stati i motivi che ti hanno portato a cantarla?

La diversità non è un luogo comune che coinvolge alcune categorie o classi sociali. Spesso è discriminante. Pierangelo parla nella sua canzone di un fatto personale (quello che riguarda un travestito) come di un problema sociale, reso problema dalla gente. Insomma, pare che l'omosessualità, anche oggi, sia oggetto di sfogo di rabbie da parte di chi non l'accetta. Ma spesso gli omofobi, tramite una strisciante indifferenza, nascondono un lato di curiosità omoerotica ... ne sono certo!

Ascoltando e riascoltando il tuo disco, mi sembra di poter dire che, attraverso l’interpretazione, si possa spostare l’accento di una canzone. Cerco di spiegare meglio il concetto, ascoltando “Varsavia” nella versione originale di Pierangelo, sembra prevalere la rabbia, la voglia di lottare contro le ingiustizie subite dalla gente sottoposta al regime mentre, nella tua versione, sembra prevalere la sofferenza, il dramma interiore di quelle persone, che è poi il dramma di chiunque non possa vivere la propria libertà. E’ solo una mia impressione?

Ognuno esprime la rabbia come può e come riesce. Io non amo urlare e, quando lo faccio, la faccio male. Divento isterico e poco credibile. Ma il mio modo di manifestare il dissenso o il disdegno verso certe azioni o fatti non ha meno forza. Grido piano, ma con la stessa intensità emotiva.

La stessa tua “Chiama piano”, in questa versione, sembra essere cresciuta ulteriormente. Pur senza la presenza di Fabio Concato devo dire che, invece che perdere smalto, sembra aver acquisito la giusta maturazione, un po’ come un buon vino rosso cui gli anni trascorsi non hanno fatto altro che accrescerne la qualità.

Nasce scritta da me che sono un cantautore, non solo autore. Pierangelo capì bene questa cosa dal primo momento che misi piede in casa sua nel 1983. Io l’ho sempre cantata, fin da quando uscì per La Ricordi nel 1990, a modo mio. È naturale che, a differenza di allora, non ha più lo svantaggio di un confronto recente. Allora era in cima alle classifiche ed io pressoché sconosciuto. Il confronto era ovviamente pesante. Oggi io la canto ancora più libero di allora, ma posso ancora studiarla, rifarla e – magari – modificarla, migliorandomi. Pierangelo e Fabio l’hanno cantata insieme una volta sola e hanno vinto, nel giro di poche settimane, un disco d’oro. Insomma, ognuno di noi l’ha cantata meglio che poteva….

“Per dirti t’amo” e “Eppure soffia” sono senza dubbio le canzoni meno rimaneggiate. “Eppure soffia” è uno dei testi di Pierangelo più riusciti per la forza dei suoi contenuti e la sua estrema sintesi, in questa versione sono coinvolti anche il figlio Alberto Bertoli e Flavio Oreglio, com’è nata questa vostra collaborazione?

Alberto lo conosco dall’83 (quand’era bimbo); Flavio dall’85 quando stava iniziando. I due cognomi, Bertoli e Oreglio mi hanno portato fortuna. E, inoltre, rappresentano due estremi modi di contestare attraverso la musica: quella popolare d’autore di Pierangelo e quella del teatro canzone satirico di Flavio (introdotta da Gaber). Infine io sono mantovano, un lombardo in odor d’Emilia. Bertoli di Sassuolo e Oreglio di Peschiera Borromeo in provincia di Milano. E la canzone è una delle più belle ballate italiane mai scritte. Quindi, abbiamo “soffiato” insieme.

Forse questa domanda avrei dovuta fartela per prima, com’è nato il sodalizio artistico tra te e Pierangelo?

Prima da fan (io, ovviamente…). Poi allievo e frequentatore…. Poi come autore. Infine come chitarrista acustico dal vivo, collaboratore fisso e amico. Nel 1993 mi ha anche prodotto un album per la Sugar Music. Ha fatto il massimo.

Cosa amavi di più in Pierangelo e cosa invece magari non condividevi? Tu che l’hai conosciuto bene da vicino, in Pierangelo l’uomo e l’artista erano figure ben distinte o, invece, com’era sul palco davanti al suo pubblico lo era anche nella vita quotidiana?

Identico. Palco e vita erano la stessa cosa perché, prima di tutto, per lui c’erano le persone. E i suoi sentimenti. La musica e i dischi erano la parte della vita che gli permetteva di entrare in contatto con la gente. E di crescere e di aiutare gli altri a crescere.



Rivedendo nei giorni scorsi un’intervista televisiva storica di Enzo Biagi a Pierangelo, all’interno di una trasmissione in cui si parlava di Handicap, mi sembrava di vedere da una parte il giornalista spingere sull’acceleratore del pietismo, nel desiderio di sentirsi dire da Pierangelo che la sua vita fosse stata un inferno e dall’altra Pierangelo insistere sul fatto di aver vissuto un’infanzia in tutto “normale”, dove anche con gli amici aveva potuto fare tutto, forse solo a pallone non riusciva a giocare … Com’era in realtà il suo rapporto con il suo handicap e com’è stato invece il tuo con il suo handicap?

L’Italia è un Paese che fonda gran parte della propria cultura storica sul pietismo e sugli eroi perdenti. Pierangelo era un vincente in panchina per forza maggiore, parlando di calcio. Ma vinceva comunque perché era un capo squadra, uno stratega della comunicazione “vera” (non contraffatta) e un uomo di azione che non temeva di mettersi in gioco personalmente.  Lui non ha mai fatto trapelare alcuna difficoltà con me, se non quella evidente delle barriere architettoniche. Io, a un certo punto, mi dimenticavo – grazie alla sua intelligenza – di tirare giù la carrozzina dall’auto. Per me, lui non camminava. Correva proprio.

So che in questi giorni sei molto impegnato nel promuovere il disco, attraverso web, radio e tv. Seguirà un tour o il disco stesso può considerarsi il sigillo a quella serie di date che hai tenuto nei mesi scorsi, legate alla pubblicazione del tuo libro “La notte in cui spuntò la luna dal monte" (edito da PresentArtSì), ispirato al tuo incontro con Pierangelo? Anzi colgo l’occasione per chiederti com’è nata l’idea di questo libro e com’è stato accolto dai lettori.

Il percorso di elaborazione e di recupero del “me stesso” legato a Bertoli è concluso. È durato oltre due anni, dalla pubblicazione del libro di Mario Bonanno (marzo 2012) all’ultimo concerto di Cologne tenutosi in occasione del 25° anniversario della Caduta del Muro di Berlino, dove Alberto è stato ospite e protagonista. Adesso Pierangelo ritorna nei miei spettacoli, nei miei album con uno spazio più regolare, più giusto. Io non voglio e non devo essere la bandiera di Bertoli. Sono solo un suo fan divenuto allievo e fortunato testimone di una parte della sua carriera. Ci sono, ribadisco, tribute band eccezionali, c’è Marco Dieci (suo alter ego storico e autore prodigioso), c’è il figlio (che quando canta fa davvero venire i brividi, per bravura e talento). Io ho scritto e pubblicato 11 album. E ci sono tantissime canzoni inedite nella mia libreria, ci sono artisti da produrre che hanno bisogno del mio supporto, nuovi spettacoli da scegliere, scrivere e dirigere. E magari, qualche altro racconto…

L’ultima domanda vuol essere un po’ una provocazione. In un’intervista realizzata a Pierangelo, al termine del concerto tenutosi al Teatro Carani di Sassuolo nel 2000, per i suoi venticinque anni di carriera, Bertoli a una domanda dell’intervistatrice che gli chiedeva se amasse sentire le sue canzoni cantate da altri, rispose “quella che ha cantato meglio una mia canzone è stata Ornella Vanoni sicuramente” però aggiungendo, senza peli sulla lingua, “in generale no, mi piace più cantarle io”. Come pensi avrebbe accolto il tuo disco omaggio?

Mi avrebbe tolto il saluto. Scherzo. Non lo so, sinceramente. Ma so che ai suoi appassionati, alla sua famiglia, alla sua gente, la cosa non è dispiaciuta. E questo per me è sufficiente.



Sito ufficiale di Luca Bonaffini: http://www.lucabonaffini.it/
 



domenica, novembre 16, 2014

Intervista a Le Canzoni da Marciapiede



di Fabio Antonelli

Le Canzoni da Marciapiede sono Valentina Pira, una “cantattrice” tutta pizzi e piume e Andrea Belmonte, un pianista in canottiera e cilindro che, con la propria pittoresca roulotte teatro Edith, un caravan pieghevole francese Rapido datato fine anni '70 e personalizzato, portano nelle piazze o in tutti i luoghi che lo consentano, le loro canzoni che narrano spesso di vicende in bilico tra il poetico, l'ironico e il grottesco. Dopo il fortunato esordio con “Le Canzoni da Marciapiede al pranzo di nozze” (Red Waves Label, 2011), ben accolto dalla critica e dal pubblico, sono recentemente arrivati secondi al Premio per Cantastorie "Giovanna Daffini" grazie al brano "L'Angelo del pane", che entrerà a far parte del nuovo disco, la cui lavorazione è cominciata proprio in questi giorni. Ecco cosa mi hanno raccontato.



Il 13 novembre è partito ufficialmente, sulla piattaforma MusicRaiser, il crowdfunding per la realizzazione del vostro secondo album che s’intitolerà "Un circo di paese". Partiamo con una duplice domanda per rompere il ghiaccio, perché questa scelta e perché questo titolo al vostro nuovo progetto.

Partiamo dal titolo: a noi piace molto raccontare la quotidianità facendo uso dell'allegoria; nei tre anni passati dalla pubblicazione del primo album "Al pranzo di nozze" abbiamo scritto tante canzoni e abbiamo visto, nelle vicende degli animali e degli uomini-attrazione del circo un'ottima rappresentazione del mondo che sta fuori dal tendone. Ecco il perché del titolo ed ecco perché, all'interno del nostro "circo", non si parla solo di ciò che sta in scena, anzi, le storie di chi si esibisce al centro della pista, s’intersecano, fino quasi a confondersi, con quelle del pubblico. Raccolte le canzoni e deciso il tema, siamo stati presi da un grande entusiasmo perché abbiamo avuto da subito la sensazione di avere per le mani un'opera che ci rappresenta molto e merita di essere presentata al pubblico nella miglior veste possibile. Questo significa investire tanto tempo, energie e denaro per la sua realizzazione; insomma, uno sforzo è notevole per una piccola realtà come la nostra.
Considerato che in questi quasi quattro anni di spettacoli ininterrotti in giro abbiamo incontrato il supporto, la stima e l'amicizia di tante persone, e alla luce del successo che la "produzione dal basso" sta ottenendo nel nostro paese in questo periodo, abbiamo optato per condividere con il nostro pubblico la realizzazione del disco.
MusicRaiser è un ottimo canale per mantenere un rapporto diretto con gli ascoltatori, consentendogli di vivere passo passo con noi l'esperienza di creazione del disco e contemporaneamente dare un contributo fondamentale alla sua migliore riuscita.

Il nuovo progetto quindi un titolo già l’ha, è anche già prevista una scaletta ben precisa dei brani che andranno a comporre questo nuovo lavoro?

Abbiamo un grande numero di canzoni su cui lavorare, e già sappiamo che la scelta finale sarà difficile.

Abbiamo per ora un'idea di massima di scaletta, visto che alcuni pezzi si "sposano" bene ad altri, ma per ora non c'è nulla di definitivo.

Se non erro, un brano che ha già una sua veste definitiva esiste già e s’intitola "Un pagliaccio", di cui per altro esiste un video, rireso durante un vostro live, giusto?

"Un pagliaccio" è il pezzo che ha dato il "la" al lavoro e il video cui ti riferisci è stato girato la scorsa estate dal 
vivo a La Spezia. Vorremmo poterne fare un "vero" videoclip a disco ultimato.

Racconta la vita che sta dietro naso rosso e trucco, fatta di scelte talvolta difficili, sacrifici, rinunce ma anche di applausi e amore verso ciò che si fa; mostra quanto un uomo che insegue la propria stella possa essere disposto a votare la propria vita al fanciullino che porta dentro.

Di fatto parla anche di me e Valentina, piuttosto che di qualsiasi persona che fa del sogno la propria meta.


Un matrimonio era il protagonista nel primo disco, un circo di paese, invece, in questo secondo vostro lavoro. Entrambi possono essere considerati come due biotopi, due situazioni ben circoscritte da un punto di vista fisico, quasi come due acquari, dove il contenuto è anche una rappresentazione di tutto ciò che vi sta fuori o dico una fesseria?

La differenza, rispetto al pranzo di nozze, è che al circo paghi e scegli deliberatamente se andare, sederti in prima fila, possibile vittima di qualche clown o, più nascosto in platea ...
A parte la battuta, quello che dici è corretto: nel circo, per un paio d'ore, la vita "di fuori" si mescola a quella che sta sotto lo chapiteau anche se, in questo tipo di situazione, lo stacco tra un mondo e l'altro è, almeno in superficie, molto più netto. Sotto il tendone, l’idea di vita dell'impiegato s’incontra con quella del girovago, in una sorta d’incontro-scontro tra realtà e fantasia.

Interessante questo incontro scontro tra realtà e fantasia. A volte non vi sentite anche voi, con la vostra roulotte e i vostri costumi di scena, un po' attori di questo circo, un circo che poi è la vita stessa?
Ogni giorno!

Viviamo, a seconda che si sia in scena o nella vita "borghese", l'una e l'altra faccia del circo.
La duplicità, del resto, fa parte della vita stessa. Esemplifica questa cosa il nostro inserviente-domatore, protagonista del pezzo "Mai una cosa sola". Com’è d'abitudine nel circo, ogni membro della troupe si occupa della vita della compagnia ricoprendo più di un ruolo, da quello del montatore, all'autista, all'elettricista.
Non è inusuale che, come nel caso di questo pezzo, la maschera che a inizio serata ci ha staccato il biglietto, stia sotto i riflettori al centro della gabbia dei leoni poco più tardi.
Sotto il tendone questa è la normalità, ma per chi arriva da fuori appare come una cosa insolita.

Non siamo molto abituati a ricoprire contemporaneamente più ruoli, nel nostro mondo "esterno".
La conseguenza è un atteggiamento carico di pregiudizio nei confronti di ciò che non riusciamo a definire e categorizzare con chiarezza.


Per fortuna che si era partiti da un povero pagliaccio … qui direi che ci si stia incamminando verso un'analisi socio antropologica, bellissimo … non vorrei però che ci addentrassimo oltre tra le pieghe di questo progetto, anche per non scemare l’interesse nei suoi confronti.
Piuttosto, coloro che amano la vostra musica come possono sostenere concretamente questo progetto che, viste le premesse, si annuncia di grande spessore?

E' possibile contribuire e diventare co-produttori del disco, con tanto di citazione nel libretto (che sarà curato dall'illustratore Giuseppe "Pepe" Vitale), aderendo alla campagna di crowdfunding di MusicRaiser a questo indirizzo:



http://www.musicraiser.com/it/projects/3038-un-circo-di-paese-il-nuovo-album

Abbiamo messo a disposizione di chi vorrà contribuire una serie di pacchetti-ricompensa che vanno dalla copia autografata del cd, anticipata dai provini digitali in anteprima, alla giornata in studio con noi e altre cose pittoresche, come il pacchetto "feticista", con disponibilità limitata, che prevede l'invio del cd e della cartolina autografati avvolti nelle calze a rete usate in scena da Valentina.
In questo paio di giorni dall'apertura della campagna abbiamo visto che destano un discreto interesse!

E' anche possibile fare donazioni libere, dall'Euro in su.

Si possono prenotare i pacchetti utilizzando la carta di credito o Paypal; chi non avesse questi mezzi può mettersi in contatto con noi per concordare altre modalità.

Naturalmente anche durante gli spettacoli sarà possibile sottoscrivere la campagna o fare una donazione libera, nell'apposito cappello che portiamo sempre con noi!



A questo punto non mi resta che ringraziarvi per la disponibilità e augurarvi di poter realizzare al meglio questo vostro interessantissimo progetto.

Grazie a te per l'attenzione che ci dedichi sempre e grazie a quanti vorranno contribuire, anche solo diffondendo la nostra musica!



Pagina ufficiale di Le canzoni da Marciapiede: http://www.lecanzonidamarciapiede.it/
Le Canzoni da Marciapiede su Facebook:
Il Canale Youtube di Le Canzoni da marciapiede: http://www.youtube.com/user/canzonidamarciapiede

lunedì, ottobre 27, 2014

Intervista a gaLoni

di Fabio Antonelli

Il cantautore gaLoni, classe 1981, originario di Latina, è tornato sulla scena discografica dopo il buon esordio discografico del 2011 con “Greenwich”, per raccontarci ancora nuove situazioni di vita precaria. Il suo secondo lavoro discografico, intitolato “Troppo bassi per i podi”, uscito lo scorso marzo ha subito ottenuto un’ottima accoglienza dalla critica, mi sono messo in contatto con lui ed ecco cosa mi ha raccontato.


Prima di parlare subito del tuo nuovo disco, ho una curiosità da soddisfare perché credo che nulla sia mai dovuto al caso. Perché Emanuele Galoni è diventato semplicemente gaLoni e scritto così?

Non c'è un motivo particolare. Ho voluto usare solo il mio cognome. La L maiuscola è stata un’idea del mio grafico durante la progettazione grafica appunto del mio primo disco "Greenwich". Poi è rimasto così ...

Tuffiamoci allora subito in questo tuo secondo lavoro discografico che è stato accolto molto bene dalla critica, partirei dal titolo "Troppo bassi per i podi", perché questo titolo e com'è nata l'idea della copertina che ti vede inserito in un disegno camminare sopra il tetto di un palazzo?

Il disco segue il discorso cominciato con "Greenwich". Nella copertina del primo disco comparivo io, intento a spostare il meridiano 0, Greenwich, punto di riferimento geografico della civiltà occidentale. Il gioco stava in questo, spostare il punto di vista occidentale e provare a vedere il mondo da altre angolazioni. "Greenwich" lo definisco un disco prettamente geografico, fatto di longitudini e latitudini. In "troppo bassi per i podi" invece cammino sui tetti di una città di provincia, da dove vengo io alla fine. Ci sono dei percorsi sui tetti che andrebbero scoperti, valorizzati. Il concept sta nella ricerca delle altezze che contano. Siamo troppo bassi per i podi, quindi inadatti per le vittorie, per le sfide, ma abbastanza alti per i tetti. Nella copertina compaiono inoltre moltissimi elementi delle canzoni, occorre scoprirli, è un bel gioco.



Le canzoni, si sa, sono fatte di parole e musica, oltre che dalla voce di chi le canta. Non sempre però queste componenti si amalgamo alla perfezione. Trovo, invece, che il tuo disco sia esemplare da questo punto di vista. Da una parte ci sono musiche accattivanti, dall’altra testi che s’incastrano alla perfezione, con un’attenzione quasi maniacale per la parola. Nulla è lasciato al caso e per questo, se sei d’accordo, vorrei passare in rassegna le varie canzoni prendendo spunto da una frase delle stesse. La prima è “Spara sui treni” da cui ho estratto “Credi che gli animalisti non ammazzano zanzare / o gli scarafaggi in fuga sulle scale / credi che gli animalisti proteggono zanzare / o i tuoi occhi tristi dalla luce del sole”. Il tema le tante contraddizioni dei nostri giorni?

Sì, penso che alla fine non facciamo mai interamente parte di qualcosa, o quantomeno non riusciamo a fare delle scelte radicali per le quali ci sentiamo parte integrante e completa di qualcosa. Riusciamo a stare sempre con un piede dentro e uno fuori, pronti a uscirne quando ci fa comodo o per il mancato coraggio di arrivare fino in fondo alle cose.

“Per vederti partire” è, tra le canzoni del disco, forse la più pop, concedimi il termine, dal punto di vista musicale, però a livello di testi ci sono almeno due chicche “La matematica è opinione / da quando ti ho intravisto / oltrepassare queste nuvole cariche di piscio” e “ed io ho un plantare sotto il cuore / per appoggiarlo meglio sulla lunghezza delle ore”, è una riflessione sui meccanismi dell’amore o l’amore è solo la scusa per parlare di altro?

L'amore naturalmente fa da sfondo a queste storie. In questa canzone credo che il tema principale sia la rassegnazione alle partenze che non sono più un desiderio ma costrizione.

“Carta da parati” è stato il primo singolo estratto dal disco, finito per altro tra le canzoni candidate alla Targa Tenco 2014 Canzone singola, te lo aspettavi? Rimasto deluso dal non essere finito tra i finalisti? La frase scelta è “Ti staccherò la carta da parati dalla schiena / i costruttori edificano i vuoti di memoria”, com’è nata questa canzone? Si può definire surreale?

La candidatura al Tenco, devo dire, è arrivata all'improvviso, con mia sorpresa. Deluso assolutamente no. Sarei incoerente con il titolo del mio disco.  Con questa canzone volevo riscoprire certe bellezze nascoste laddove l'uomo ha edificato in modo sregolato. Il nostro contesto urbano incide sull'umore, sullo stato d'animo, sullo stress. Vivere in questi posti significa anche passare intere giornate in appartamenti e fondersi con gli stessi. Diventare mura, pareti, arredamento. L'immagine di staccarla vuole essere dire proprio questo. Tagliamo le radici e proseguiamo verso posti diversi, dove ancora si può celebrare bellezza.

L’amore invece è ancora una volta il protagonista di “Il migliore dei cecchini”. Prima di tutto complimenti per la scelta spiazzante dei titoli, solo apparentemente estranei all’argomento delle canzoni stesse, m’è particolarmente piaciuta la frase introduttiva “Ti ricordi mi aiutavi a fare i compiti / dell’amore conoscevo solo i miei testicoli”, ma non si parla di amori adolescenziali? Vero?

No assolutamente no. Si parla di ritorni. Quando ognuno di noi ha fatto il proprio percorso e ci si rincontra in proprio bagaglio di esperienze. Il migliore dei cecchini è un po' la resa dei conti col passato. Quelle cose che ci sono sfuggite perché non le abbiamo sapute mantenere perché troppo concentrati su noi stessi. È quando proteggiamo esclusivamente le nostre cose sotterrandoci dentro mine, per paura che qualcuno venga a togliercele. Poi le mine si disinnescano ma quel terreno rimane ormai incoltivabile.

“Ballata sulla gru” è canzone di strettissima attualità, legata la tema del lavoro o meglio dell’assenza del lavoro. Un tema doveroso ma affrontato con la consueta originalità “Quest'anno per Natale non farò auguri né regali / solo in bocca al lupo ai cani / agli orefici e ai dopati / sempre in culo agli operai troppo bassi per i podi / non ci saliranno mai eppure li hanno costruiti”. Perché in chiusura hai citato proprio Monicelli?

Monicelli credo sia stato l'ultimo baluardo dell'Italia che resiste. Ha ripercorso con i suoi film l'Italia vera, genuina, popolare. Vicino alla malattia e alla morte era uno dei pochi che parlava di rivoluzione. Mi ha colpito molto la sua morte. Un gesto lucido e insolito per una persona di quell’età. Un gesto espresso sempre in altezza, dal quinto piano, per cui non poteva non esserci in questo disco e sopratutto in questa canzone dove gli operai cercano il vuoto della gru per rivendicare i propri diritti. Salire sulla gru è un altro gesto che mi ha colpito. E' come se loro avessero bisogno di rappresentare un vuoto interiore con un vuoto fisico, visibile, afferrabile.



“I navigatori” è tra le mie preferite in assoluto, una canzone in cui si viaggia, magari anche solo con l’immaginazione, come mi sembra si deduca dai versi “E' tanto che non ci sentiamo dalla voce ti sento dimagrita / è tanto ormai che non ci vediamo / la distanza non è distanza ma è benzina”. Com’è nata questa canzone?

E' nata quando non avevo un navigatore satellitare. Oggi purtroppo sono uno di quelli che ne fa un uso eccessivo. Anche per andare in posti che conosco. E' come si mi facesse compagnia, mi piace osservare i chilometri che diminuiscono, il nome delle strade, cambiare via improvvisamente per trovare percorsi alternativi. E' quasi un gioco. In questa canzone ci sono le cose vicine che non riusciamo a raggiungere proprio perché le diamo per certe essendo esse non distanti da noi.

“Ho perso palla a centrocampo” è una canzone che mi ricorda un po’ lo stile ironico del miglior Rino Gaetano, che non parla per niente di calcio con belle considerazioni tipo “Quanti né ho visti di italiani / clandestini regolari” oppure “Roma non è più la capitale / Roma è solo capitale / se capita di incontrare un tale / che investe tutto a un videopoker”.  Quanto è il senso di spaesamento nel quotidiano vivere in questa nostra società?

E' un brano che parla di evasori fiscali. Sono loro i veri clandestini regolari. Pensai di scrivere il pezzo quando, rincasando con degli amici in tarda nottata, trovammo un tizio nel bar sotto casa che giocava ai videopoker in pigiama. Il giorno dopo verso le 11 scesi per la colazione e lo ritrovai allo stesso posto col pigiama. Tuttavia se ai miei occhi sembrava una cosa inverosimile per il barista e i frequentatori del posto era tutto normale. Il senso di spaesamento è proprio questo. Certe cose che ti sembrano surreali, per la maggior parte di noi sono la piena normalità.

“Tu dì loro che sto bene” ha le cadenze di un’accorata preghiera rivolta da un figlio alla propria madre nel momento in cui sa che perderà da lì a poco la libertà, preghiera fatta anche di parole come queste “Madre blocca l’ascensore / vogliono cose di valore / dagli i quaderni delle Medie / o la mia scheda elettorale”. Nasce per caso da qualche episodio reale in particolare?

Non precisamente. La storia narra di qualcuno che è ricercato, e qui possiamo metterci di tutto, Agenzie delle entrate, Equitalia ecc... ma l'idea era di partire da un verso rivisitato di “Knockin' on heaven's door” di Bob Dylan "Mama, put my guns in the ground" da cui "Madre dissotterra le pistole" che dobbiamo ancora difenderci, io sono via ma non ti preoccupare che sto bene, anzi dillo anche loro. E' sicuramente un atto d'amore tra una madre e un figlio. E' come dire, possono toglierci tutto ma non il fatto che possiamo ancora difenderci da qualsiasi cosa e in qualsiasi modo.

Con “Autostrada per i cani”, canzone dal titolo ancora una volta originale e spiazzante, torna prepotente il tema dell’amore, anche se qui sembra mescolarsi con temi ambientalisti “Lascia stare il mio anulare / che mi son tagliato con un foglio A4 di Fabriano / sarà il saldo che ci chiede l'Amazzonia / o per i nostri nomi incisi come graffi sugli alberi dei parchi” o sbaglio?

Hai perfettamente ragione. La passiamo così questa? (sorride)

Si si, te la passo (sorrido). Altra canzone stupenda, carica di sofferenza, con quel mesto coro, quasi un lamento in sottofondo è assolutamente “Primavere arabe”, con quei suoi versi estranianti tipo “così un uomo in giacca con gli occhiali a goccia / carica i suoi occhi con proiettili di gomma / con i resti di una donna ti fabbrica una bomba / la tiene avvolta nel suo elettrocardiogramma”. Penso che renda bene l’orrore portato dalla guerra o repressione della libertà, qualsiasi sia l'origine, no?

Spero di sì. “Primavere Arabe” è l'atto rivoluzionario portato sulla piazza. Un atto che si può avere solo per mano di quelle persone che hanno abbracciato la follia e non hanno più nulla da perdere. Il parto nella piazza è il gesto ultimo, quello più rivoluzionario e femminista allo stesso tempo, poiché la rivoluzione è Donna.

Il disco si chiude con “Nobel”, un brano pieno d’ironia e di sarcasmo, credo nate nel guardare le contraddizioni celate dietro alcuni premi Nobel, a dir poco forieri di dubbi, questi i versi che ho scelto “Per le pallottole di gomma della tua reflex digitale / le tue missioni nel mio cuore, i tuoi occhi verdi militare / io ci vedo rotatorie e troppi mi dispiace / c’è che ti danno favorita per il Nobel per la pace". Credi ancora, invece, che la musica possa essere strumento per la pace? Strumento di resistenza contro ogni privazione della libertà, come il Premio Tenco ha voluto sottolineare, intitolando la Rassegna appena conclusasi alle Resistenze?

E' un veicolo che può accomunarci tutti. E' un linguaggio unico, che non ha bisogno d’interpreti, traduzioni. Non possono nascere dunque incomprensioni ed equivoci. Direi quindi di sì.




Sito ufficiale di gaLoni: http://www.galoni.it/

Il canale Youtube di gaLoni: http://www.youtube.com/user/emanuelegaloni