giovedì, marzo 29, 2012

Recensione CD "La testa dentro" di Micol Martinez

Micol Martinez: “La testa dentro”
L’amore … visto da dentro! Coinvolgente …

di Fabio Antonelli

Micol Martinez ha sempre la capacità di stupirmi nel bene e nel male.

Vorrei affrontare questo suo nuovo disco di Micol, intitolato “La testa dentro” facendo un raffronto tra le prime due tracce, perché secondo me sintetizzano bene quel che ho inteso dire appena sopra, quel bene e quel male.

I due brani “Haggis (la testa dentro)” e “60 secondi” presentano più di un’analogia. Sono entrambi caratterizzati da una scrittura solo apparentemente semplice e diretta, in realtà molto studiata, oserei dire cesellata con cura.

In “Haggis (la testa dentro)” c’è come un gioco di specchi, si passa da “Ho camminato per ore / lasciando passo dopo passo il peso del tuo peso / Ho ascoltato per ore / le mie ossa costruirsi ricomporsi una ad una” a “Ho camminato per giorni / ho aumentato il passo solo per non guardarti”, da “Hai camminato per anni / lasciando mano alla mano il peso del suo peso / Ho ascoltato per anni / le nostra ossa consumarsi poi spezzarsi una ad una” a “Hai camminato per anni / rallentando il passo solo per non guardarmi”, c’è una dilatazione e poi una contrazione del tempo, ci sono cambi di soggetto dall’io al tu, fino a diventare un noi nella conclusione “Guardaci / ripiegati / a divorare / guardati / guardaci / ripiegati / a divorare / a divorarci dentro”. Una bella lezione di stile, originale, d’indubbia qualità, ciò che mi convince meno è l’aspetto musicale, quel suono ipnotico, un po’ lisergico, trovo sia affascinate, anche se mi pare che nel finale si abusi con rumori e distorsioni, quasi si volesse dare l’impressione di strappare il brano all’ascoltatore.

In “60 secondi” questo gioco di specchi spazio-temporali sembra voler continuare, ecco allora che si passa da “60 giorni in una sola notte / 100 anni e un secolo in un solo giorno / la linea della mia bocca questa notte è la corda con cui mi legherò a te” a “60 secondi in un solo respiro / la linea della tua bocca in un solo giorno / mi piega a te”, passando dall’iniziale “taglierò il tuo nome / chiuderò le labbra / mi lascerò il privilegio di …” a “taglierò il mio nome / chiuderò le labbra / ci lasceremo il privilegio di … “, vi è un rapporto che evolve da due io a un noi “Non conoscerti ancora / non conoscerci ancora / non conoscerci / non conoscerci ancora”. Insomma, una grande maturità compositiva a livello di testi, anche qui però il teso rock/pop che Micol s’è costruito intorno sembra, almeno nella prima parte della canzone, soffocarla ed è un peccato perché ha una voce bellissima, che accosterei per certi versi a quella di Nada e, renderla quasi incomprensibile, è un vero delitto.

“Questa notte” è invece una canzone sognante, bucolica, cantata con quella voce calda e languida che soppesa ogni parola, che sembra voler far toccare con mano all’ascoltatore questo momento di stasi perfetta. Bello ancora una volta il passaggio dall’io al noi, da “Questa notte non finge / ed io sdraiata sull’erba / a masticare radici / senti l’odore di muschio e di terra questa notte” a “Questa notte non finge / e noi sdraiati sull’erba / a strappare radici / e mille astri ci piovono addosso questa notte”. Bellissimo il violino di Marco Sica.

Forse ancor più bella, sin dai primi versi “Sono la strega dentro l’alveare / sono la madre in fondo al tuo bicchiere / sono la terra prima di essere fango / sono l’incoscienza in una sola estate”, è “L’alveare” con quel ritmo sincopato, con quel basso che sembra pulsare come un cuore, con quella sua voce che affascina e strega più della “strega dentro l’alveare”. Una figura di donna dominante e, forse per questo, ancora più provocante.

In “Sarà d’inverno” è descritto, invece, un amore esclusivo “e avremo tamburi per abbattere il tempo / e avremo bastoni / per scuotere tutti gli alberi del mondo“, in cui vi si addensano molteplici immagini di gran fascino, piene di sensualità “e avremo il cielo / scolpito dentro alla carne / e avremo lingue lunghissime / e leccheremo via tutto il male del mondo / noi avremo il veleno per uccidere il veleno”. Lento, cadenzato dalle percussioni e da bei cori di fondo, è tra i brani migliori.

E’ un violino nordico, che suona irlandese, quello che apre “Nel movimento continuo”, ma ben presto il brano vira al rock e subentrano chitarre elettriche e distorsioni. Il testo si apre con una bella immagine “Mi porto addosso ogni parola che scrivo e ancora nuoto / porto l’alba sulla schiena e qualcosa di te sotto le palpebre”, dopo però il tutto si fa un po’ ripetitivo, secondo canoni cari al pop, a me poco congeniali.

Molto più coinvolgente, ancora un po’ psichedelico, è “A filo d’acqua”, un brano che si apre con una stupenda immagine “Dentro un mare di cielo / nel giorno arancio che si piega alla sera / la pioggia di sale misurava il nostro tempo”. C’è ancora, quasi fosse il leit-motiv dell’intero disco, quel passare dall’io al noi, dal “Disegnavo conchiglie, disegnando … / conchiglie sulle mie caviglie“ al “Disegnavi conchiglie, disegnando … / conchiglie sulle mie caviglie”.

Percussioni battenti e chitarre elettriche distorte, ci addentrano in “Coprimi gli occhi”, una sorta d’invocazione amorosa, un forte desiderio di un amore che isoli dal mondo, dalle luci che stanno fuori “Chiudi la porta / accosta le tende / spegni le stelle / ferma qui il tempo / fai buio mio amore”, così “quando buio sarà / ci incontreremo ogni notte / e quando buio sarà / ci incontreremo ogni notte / non ci vedremo andare via”. Un amore clandestino?

Il disco si chiude con “Un nome diverso”, un brano lievissimo, cantato solo voce e chitarra, un canto d’amore e pieno di speranza, come si evince dai versi “e noi andremo più veloci del nostro tempo / ci chiameremo ogni giorno con un nome diverso / e quando dimenticheremo di ricordare / sarà solo un attimo e torneremo a parlarci”.

E’ forse solo questione di gusti personali, ma io continuo a preferire Micol così, come canta in quest’ultima traccia, con semplicità disarmante, capace però, di rendere evidente tutta la sua naturale classe, in ogni caso, tanto per intendersi, di questo disco io non scarterei proprio nulla.

In definitiva direi che “La testa dentro” esprime pienamente il talento di Micol Martinez, una ragazza che ha dalla sua una voce originale e molto affascinante, una bellezza un po’ anni ’70 che emerge con forza dagli scatti di Claudio Devizzi Grassi e che mi ricorda un po’ Françoise Dorléac, sorella di Catherine Deneuve, ma soprattutto una capacità, direi unica, di scrivere con intensità, passionalità e maturità sorprendenti dell’amore, il motore primo dell’umanità, qui colto però in una dimensione intima e perciò ancor più coinvolgente.





















Micol Martinez
La testa dentro

Discipline Records / Venus - 2012

Nei migliori negozi di dischi

Tracklist
01. Haggis (la testa dentro)
02. 60 secondi
03. Questa notte
04. L’alveare
05. Sarà d’inverno
06. Nel movimento continuo
07. A filo d’acqua
08. Coprimi gli occhi
09. Un nome diverso

Crediti
Micol Martinez: voce, cori
Luca Recchia: basso, organo, piano, shruti, sybth, kalimba, cori
Giovanni Calella: chitarra elettrica, chitarra acustica
Alessio Russo: batteria e percussioni
Marco Sica: violino
Raffaele Kohler: tromba, flicorno

Testi e musiche: Micol Martinez

Produzione artistica: Luca Recchia e Guido Andreani

Registrazioni: Luca Recchia e Guido Andreani con studio mobile presso Cascina Martinez e BeatRice Home Studio

Missaggi: Guido Andreani presso BeatRice Home Studio

Mastering: Alessandro Gengy Di Guglielmo presso Elettroformati

Progetto grafico: Micol Martinez e Claudio Devizzi Grassi

Foto e impaginazione: Claudio Devizzi Grassi

Produzione esecutiva: Micol Martinez

Micol Martinez su MySpace: www.myspace.com/micolmartinez






domenica, marzo 25, 2012

Intervista a Joe Barbieri intorno a “Respiro”

di Fabio Antonelli

A tre anni di distanza dal fortunatissimo “Maison Maravilha”, il napoletano Joe Barbieri pubblica un nuovo album intitolato semplicemente “Respiro”, una copertina dalle tinte pastello, undici tracce inedite, prestigiose collaborazioni, le premesse per un grande disco che ne consacri definitivamente il suo indiscusso valore non solo in Italia ci sono tutte. Ecco cosa mi ha raccontato di questo suo nuovo progetto. 



Partirei, se sei d’accordo, dal titolo di questo nuovo disco, perché “Respiro”?
Respiro perché l’approccio creativo è stato puramente istintivo e senza alcun tipo di ricerca formale preventiva, dalla scrittura fino alla lavorazione vera e propria del disco per me è stato importante avere un approccio naturale così come lo è il respiro, un atto che non possiamo controllare o per lo meno più di tanto.  C’è poi un altro aspetto, io amo scrivere musica e interpretarla alla maniera potrei dire dei cantanti confidenziali di un tempo, mai urlata.

E’ legato a questo anche l’uso di delicate tinte pastello nella copertina e nelle illustrazioni presenti nel libretto, fa parte di un certo porgere gentile?
Si, sono stato molto fortunato, perché già nell’album precedente “Maison Maravilha”, sia quello studio sia quello live, avevo incontrato l’artista triestina Nadia Zorzin, che aveva centrato perfettamente lo spirito di quel disco. C’era, però forse aveva qualche problema in più nel trasporre in immagini un titolo come “Respiro”, ho però conosciuto quest’artista visuale anglo-svizzera che si chiama Catel Ronca e sono convinto abbia saputo ben rappresentare lo spirito di questo lavoro.

Questo disco, come dicevi prima, è caratterizzato proprio dal porsi in maniera delicata, tra le prime tracce “Scusami” e “Diamoci del tu”, sembrano suggerire modi di approcciarsi piuttosto inusuali. Oggi come oggi darsi ad esempio del tu, appare scontato, tu invece parti da un po’ più lontano …
 (ride) Si, insomma, chiedo il permesso in un qualche modo.

Lo stesso “scusami” sembra un termine quasi …
Desueto? Si, sarà perché vengo da una famiglia che mi ha insegnato a chiedere scusa e a chiedere permesso, ma considero queste parole come un bagaglio che mi è necessario e anche nella scrittura delle canzoni in qualche modo questo patrimonio lo trasferisco. Tanto “Scusami” che "Diamoci del tu”, ma anche la stessa “Zenzero e cannella”, ma in fondo tutto il disco, sono canzoni che mi rispecchiano, non sono proprio una persona che ama imporre la propria presenza, le proprie scelte, mi piace piuttosto condividerle e lasciare all’altro la libertà di una scelta, non cerco mai stratagemmi per entrare in qualche modo nella vita delle persone.

Hai citato “Zenzero e cannella” che è stato anche il singolo con cui hai lanciato il disco. In questa canzone è contenuta una frase che hai poi anche utilizzato per una dedica a Maria Irene: “un sempre in un attimo” e che, secondo me, condensa tutto il significato del disco.
Si, si, sai cos’è? E’ che, tutto sommato, io credo a questo, quindi al di là di questa piccola romanticheria da due soldi, credo nelle intuizioni, negli incontri che si rivelano improvvisamente, credo più nelle suggestioni che all’aspetto ragionato delle cose. Il colpo di fulmine, l’idea che va seguita al di là della ragione è per me affascinate e spesso mi trovo a fare delle scelte sull’onda dell’intuito. In un mio precedente lavoro intitolato “In parole povere”, c’è una canzone “Pura ambra” dove trovi un passaggio che fa così “e all’improvviso tutto si rivela, tutto parla”, è un po’ la stessa cosa, ci sono dei momenti, delle rivelazioni, che non hanno bisogno di razionalità, di ragionamenti eccessivi, ma che vanno semplicemente colti.

Uno dei brani più belli in assoluto, trovo sia “Un regno da disfare”, che vede la collaborazione di Stefano Bollani, come sono nate sia la canzone sia questa collaborazione?
La canzone, s’intuisce dal testo, ha una grossa quota di autobiografia. C’era questa persona che è stata ed è ancora molto importante, che era a casa mia e dopo aver bevuto da questo bicchiere, se n’è andata via. Io ho conservato questo bicchiere, bevendoci per un po’ di tempo dal bordo, in qualche modo per trattenere le sensazioni ultime che di lei potevo conservare. Poco dopo averla scritta, mi sono trovato a suonare con Stefano Bollani a Firenze per un concerto di beneficenza, in quei giorni la stavo giusto suonando tra me e me, per cercare di capire quale veste darle e sentivo che c’era tutto lo spazio perché Stefano potesse farla propria. L’ho proposta a Stefano e lui ha voluto condividerla con me, l’abbiamo così registrata.

Quella di Bollani, non è l’unica presenza in questo disco, c’è anche una bella collaborazione con Gianmaria Testa in “Le milonghe del sabato”.
E’ una cosa un po’affettiva, nel senso che devi sapere che sono un tanghero, un ballerino di tango, piuttosto scarso tra le altre cose, però ho cominciato a ballare nelle milonghe ascoltando generi musicali piuttosto diversi rispetto al tango tradizionale e molto spesso mi sono trovato a ballare su un paio di canzoni di Gianmaria. Ecco dunque che, in quest’album in cui ho scritto un tango vero e proprio, mi è sembrata carina l’idea di poter chiudere idealmente il cerchio e restituire al tango quello che il tango mi ha dato, così ho voluto trasformare questo incontro sulle tavole di una milonga in un incontro musicale. Con Gianmaria abbiamo deciso di condividere questo tango che tra l’altro parla del tango, d’incontri, di questo commercio d’inviti e di rifiuti, anche di delusioni. Il tango è anche questo filo molto sottile tra l’estasi e la sensazione di tristezza che è insita nel tango stesso.

C’è anche una collaborazione con Jorge Drexler nella canzone “Diario di una caduta”.
In realtà con Jorge è un po’ di tempo che volevamo fare una cosa insieme. Pochi mesi prima con Microcosmo, che è l’etichetta che con altri due soci dirigo, ho pubblicato il suo ultimo album in Italia che si chiama “Amar la trama”, c’è stato quindi un intensificarsi di telefonate, di scambi di comunicazioni, lui poi ha registrato un suo album che si chiama “Cara B”, con una versione molto particolare di “Lontano lontano” di Luigi Tenco. Gli ho fatto allora ascoltare “Diario di una caduta” sentendo, in qualche modo, che c’era in entrambe, le canzoni un linguaggio al quale era sensibile, un po’ esistenzialista un po’ nichilista. Ci siamo visti a Madrid in questa sua casa studio, cenando cubano, grazie a un amico che era lì in quel momento, abbiamo mangiato, abbiamo cantato insieme un po’ di canzoni di Roberto Murolo e di autori sudamericani e abbiamo poi registrato il mio pezzo.

Per restare in tema di collaborazioni, non ti sei fatto mancare proprio nulla, giacché hai collaborato anche con Fabrizio Bosso in un paio di brani.
(ride) Si, con Fabrizio è un po’ il coronamento di un discorso che avevamo già iniziato l’estate scorsa quando, dopo esserci incontrati in un festival a Lecce, all’inizio del 2011, avevamo deciso che avremmo dovuto suonare insieme un bel po’ di volte. Durante l’estate scorsa quindi, ci siamo trovati in diversi festival a suonare le mie canzoni, ma è rimasto come un desiderio non del tutto soddisfatto, ci siamo quindi promessi che quando avrei registrato un nuovo disco lui sarebbe stato la tromba e così è stato. Ha partecipato in due brani, uno in francese “Étape par étape par étape”, un inedito che ha, però un sapore anni ’30 e l’altro è una canzone cui tengo per motivi affettivi, essendo scritta in napoletano. Io sono napoletano però, mi sono sempre tenuto lontano dal voler cantare e scrivere in napoletano, perché c’è comunque un’eredità piuttosto pesante, non l’ho mai voluto fare per rispetto. Siccome però è un po’ di tempo che questa sensazione di sacralità spesso finiva per creparsi, dato che spesso mi ritrovavo privatamente a cantare canzoni in napoletano, ho …

Hai rotto il ghiaccio?
Si, insomma, sono state scritte delle cose tanto meravigliose che è inutile viversi questo senso di confronto e d’inarrivabilità, quindi mi sono detto: scrivo una canzone napoletana come fosse della tradizione, come se fosse stata scritta da Sergio Bruni o da Fausto Cigliano, ma allo stesso tempo musicalmente la lego a quella che è un po’ la mia terra d’adozione, il Brasile. Così è nata “‘e vase annure”.

Tramite la bossanova …
Esatto, come se questa canzone fosse idealmente cantata da Sergio Bruni e da Joäo Gilberto.

Il disco si chiude con due brani che potrebbero idealmente essere legati fra loro, in “Come una casa” c’è un rapporto d’amore in cui s’intravvede già la futura fine, mentre nel delicatissimo “Il balconcino del quinto piano”, questa storia è già terminata.
Volendo si, potrebbero essere due episodi di una stessa storia, un primo tempo e un secondo tempo, in realtà sono due canzoni nate in due momenti diversi, “Come una casa” effettivamente è un bolero che celebra l’attesa, la speranza di un ritorno, mentre “Il balconcino del quinto piano”, di là dal tema affettivo, quel che più mi piace di questo brano è soprattutto questo sguardo un po’ segreto in una notte di una qualsiasi città, in cui l’umanità si ritira nelle proprie case e lascia spazio a gatti e lampioni che flirtano con canne fumarie, semafori, con quest’osservatorio privilegiato che ha questo balconcino del quinto piano, un balconcino che esiste davvero e me l’ha ispirata.

Immagino che tu abbia già fissato delle date per portare in giro questo nuovo lavoro.
Di là delle iniziative promozionali, partiamo proprio con i concerti il 14 aprile dal Teatro Forma di Bari, due giorni dopo siamo nella mia città al Teatro Diana, il 19 aprile a Milano alla Salumeria della Musica, poi una piccola parentesi in Giappone, perché il 4 aprile uscirà l’album lì, quindi andiamo a fare sei concerti al Cotton Club di Tokyo, poi torneremo il 6 di maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

La prospettiva è quindi quella di lanciare il disco non solo in Italia ma anche all’estero?
 Si, perché a parte l’opportunità di pubblicare l’album in tutto il mondo, quando mi si chiede cosa mi aspetto da questo disco e cosa vorrei che mi portasse, la prima cosa che mi viene in mente subito è il viaggiare, mi piacerebbe che il disco mi portasse in posti diversi, lontani, a fare quegli incontri che, se rimanessi qui, per tante ragioni non potrei fare. Mi auguro quindi che questo disco mi renda questo indietro.

Per cogliere casomai l’occasione per qualche futura collaborazione?
Senza dubbio perché io adoro collaborare, poter condividere, assolutamente si.

La musica è anche un mezzo per comunicare con gli altri e scambiarsi idee?
Assolutamente, condivido in pieno.

Sito ufficiale di Joe Barbieri

venerdì, marzo 23, 2012

Recensione CD "Respiro" di Joe Barbieri

Joe Barbieri: “Respiro”
Come il respiro impalpabile ma necessario

di Fabio Antonelli

“a Maria Irene, un sempre in un attimo”

In questa brevissima quanto intensa dedica, mi sembra di poter cogliere l’essenza di “Respiro” il nuovo album di Joe Barbieri, caratterizzato da una poetica che parte dalle piccole cose, da gesti quotidiani, persino involontari e naturali, non governabili, come il respiro, per andare poi a cogliere temi universali, esistenziali.

“un sempre in un attimo” è però anche un verso del ritornello di “Zenzero e cannella”, la prima traccia di questa nuova fatica discografica di Joe, che esce a tre anni di distanza dal suo fortunatissimo “Maison Maravilha” ed è una dolce o forse speziata canzone d’amore “acini di pepe come grani di un rosario senza spine / paprika che asciughi le promesse di una vita senza fine / poi vaniglia per i tuoi perché? E chiodi di garofano per me / per fermare al muro questa foto strampalata di noi due”, c’è tutto il desiderio di fermare un’istantanea, di rendere eterno un magico momento.

Quale donna non vorrebbe sentirsi dedicare versi come questi.

“Finché una persona parla, non può respirare.
Perciò sacrifica il respiro alla parola. Inoltre,
finché una persona respira, non può parlare.
Perciò sacrifica la parola al respiro.”
(Kaushitaki Upanishad)

Questi invece sono i versi tratti dal testo sacro induista e riportati in contro copertina, una riflessione che sembra lontanissima dalla frenesia del nostro quotidiano vivere, in cui non abbiamo più tempo per nulla e non sappiamo più ascoltare le parole degli altri, figuriamoci se possiamo quindi soffermarci ad ascoltare il nostro respiro. Sembrano parole necessarie, taumaturgiche, uscite da chissà quale antico mondo scomparso e questa è anche la piacevolissima impressione che si riceve dall’ascolto di “Scusami”, un titolo che è già un’espressione desueta. E’ la canzone di un sofferto addio, meravigliosa, con quel suo lento svilupparsi di magici liriche “serbo in bocca questa eco profonda di te che mi parli / ed inventi paziente e radiosa storie per me / ad un filo io immolavo il respiro e lo consegnavo a te / che non sei mai andata via da me”. Morbide percussioni, suadenti archi. Sublime!

“Diamoci del tu” sembra ancora appartenere a quel mondo che non c’è più, quando un approccio partiva dando del lei alla desiderata figura femminile “diamoci del tu, forse suonerà / un ardire eccentrico un po’ anticonformista e forse non le piacerà / ma diamoci del tu se lo crederà / bando al perbenismo, alle formalità di rito care a questa società “. Magnifico il vibrafono di Pasquale Bardari, che apre il brano al passo di fox e nello stesso tempo mi porta in mente quel mito di Lionel Hampton, i versi sono curatissimi come sempre, da sottolineare poi la presenza della chitarra manouche di Oscar Montalbano.

Note tristi suonate dal pianoforte magico di Stefano Bollani, aprono “Un regno da disfare”, poi arrivano i primi sofferti versi quasi trattenuti dalla voce di Joe “bevo dal lato del bicchiere in cui hai bevuto tu / l’istante prima di essertene andata via / così mi illudo di poterti trattenere / e sulle mie labbra tu possa ancora abitare”, il dolore dell’addio sembra quasi rimbombare nel silenzio “sgrana il mattino per un uomo che muore / e ti sento ancora parlare / di un conto del mercato / di un libro da cambiare”. L’ingresso successivo degli archi compie il miracolo e ingigantisce questo spasimo all’infinito “e batte forte il sapore di un pegno che hai scordato / di un regno da disfare”. Ai vertici.

Lieve e ariosa, “Sostanza e forma” porta una ventata di ritmo sudamericano, una sferzata d’aria pura “e mentre l’aria mi mortifica ogni passo / disimparo com’è mettere radici / e mentre ascolto ogni cosa che mi dici / io mi accorgo solo adesso che mi piaci”, confermando ancora una volta la fine scrittura di Joe.

Un vero gioiello è la successiva “’E vase annure”, canzone scritta da Joe nel suo dialetto, il napoletano e che a ritmo di bossanova ci canta ancora dell’amore o meglio del desiderio di amore, quello vero “vide ca so’ sti lacreme a fà ‘a spia, / a me veni a cuntà ca me vuò bbene / si pure nun m’o ddice tu m’appartiene / scetame e viene a di che “si”? / vide ca so’ ‘sti lacreme a fa ‘a spia pe me”. Fabrizio Bosso con la sua tromba pone il suggello, è il caso di dirlo, su quest’altro splendido brano, dove si può dire che Napoli incontri Rio de Janeiro.

Una voce scura e calda, quasi agli antipodi di quella di Joe, è quella che apre “Le milonghe del sabato”, è quella di Gianmaria Testa, che duetta con Joe in questa deliziosa fotografia di un “triste” sabato sera tra tanghi e milonghe, ci racconta di un uomo, un ballerino che ha fatto della pista da ballo il proprio terreno di conquista, ma un rifiuto lo getta nello sconforto “cosa mi piglia, cosa mi stanca, / che cosa mi manca ai tuoi occhi blasé / serri le ciglia di questa distanza / e affondi grammatica il migliore traspié”, è quindi la solitudine a far capolino nel triste finale “cigola questa mia pena ridicola / puntata a un petto che palpita e / che tregua non mi dà”. Raffinatezza e ricercatezza a braccetto.

Quasi sussurrata, srotolata piano, nota dopo nota, come un pregiato tappeto di note, “Diario di una caduta” è una splendida riflessione, piena di saudade, sull’amarezza su quel peso che come un sasso grava sul quotidiano vivere “vedi come continua la giostra di sempre / ma io non sono capace di scendere qui / e continuo a dire che non esiste quel sasso grande che mi sfinisce”. A duettare qui con Joe e l’urugiaiano Jorge Drexler.

Swing e lingua francese, un ritornello facilissimo, “Étape par étape par étape” sembra quasi il pretesto per confezionare un brano da fischiettare anche sotto la doccia o forse per far divertire ancora una volta quel mito della tromba che risponde al nome di Fabrizio Bosso. Direi che questo brano sta in “Respiro”, come “Balancer” in “C.Q.F.P.” di Giorgio Conte, insomma Joe e Giorgio sembrano due inguaribili amanti del fine divertissement francese.

In “Come una casa”, un lentissimo e suadente bolero, è ancora il rapporto di coppia al centro del mirino, un rapporto in cui il presente sembra già presagire ciò che accadrà, quell’inevitabile distacco “legami a un dito il ricordo di te / e fai di me ogni cosa che vuoi / piegami a un rito di vertigine / che possa restituirmi te”. Come una ferita aperta, che neppure la dolcezza degli archi riesce a mitigare.

Chiude il disco, un valzer dolcissimo dalla trama lieve e sottile fin dal titolo “Il balconcino del quinto piano”, sembra quasi essere il naturale evolversi della situazione supposta nel brano precedente, giacché si chiude con questi bei versi “questa sera non penso a te, a dove sei svanita / dal balconcino del quinto piano / lascio le stelle di stucco / tace il quartiere e si placa il crudele / mio patir”. Una ferita del cuore ormai cicatrizzata, dentro una notte metropolitana. Pura magia.

“Respiro” è un disco dalle tinte pastello, bellissime le illustrazioni curate da Catell Ronca, in cui Joe Barbieri ci racconta l’amore, ma soprattutto le pene legate all’amore, con la consueta sensibilità poetica, il suo canto non è mai imposizione bensì un porgere garbato, quasi sussurrato all’orecchio, è l’ascoltatore che deve abbandonare il quotidiano trafelato correre, per lasciarsi coinvolgere in queste confidenze, se però questo climax è raggiunto, allora sarà amore e amore per sempre.



















Joe Barbieri
Respiro

Microcosmo Dischi - 2012

Nei migliori negozi di dischi

Tracklist
01. Zenzero e cannella
02. Scusami
03. Diamoci del tu
04. Un regno da disfare
05. Sostanza e forma
06. ‘E vase annure
07. Le milonghe del sabato
08. Diario di una caduta
09. Étape par étape par étape
10. Come una casa
11. Il balconcino del quinto piano

Crediti
Joe Barbieri: voce, chitarre classiche
Sergio Di Natale: batteria
Giacomo Pedicini: contrabbasso
Antonio Fresa: pianoforte, rhodes, hammond, scrittura e direzione orchestra (9)
Stefano Jorio: violoncello
Oscar Montalbano: chitarra manouche
Gianni Iorio: bandoneon
Pasquale Bardari: vibrafono
Tony Canto: chitarre elettriche
Emidio Ausielo: percussioni
Luigi Scialdone: basso acustico (1)
Stefano Bollani: pianoforte (4)
Jorge Drexler: voce (8)
Gianmaria Testa: voce (7)
Fabrizio Bosso: tromba (6, 9)

Orchestra d’archi: (9)
composta da:
Armand Priftuli: primo violino
Piero Calzolari, Pasquale Murrino, Salvo Lombardo, Gianluca Falasca, Antonio Intartaglia, Domenico Mancini, Simona Cappabianca: violini
Giuseppe Navelli, Pietro Lo Popolo, Nicola Russo: viole
Mauro Fagiani, Vladimir Kocaqi: violoncelli

Testi e musiche di Giuseppe Barbieri

Arrangiamenti di Joe Barbieri e Antonio Fresa

Registrato al Mad Recording Studio (Napoli) da Antonio Fresa, assistente di studio Andrea “Jean-Michel” Cutillo

Voci registrate da Luigi Scialdone, assistito da Andrea “Jean- Michel” Cutillo

Orchestra registrata da massimo Aluzzi allo studio Splash (Napoli), assistente di studio Federico Federici
Jorge Drexler è stato registrato da Carles “Campi” Campon all’Estudio de Jorge (Madrid)

Tony Canto ha registrato nel suo studio di registrazione a Messina

Missato da Enzo Foniciello al Mad Recording Studio (Napoli)

Mastering di Rosario Castagnola all’RC Studio (Napoli)

Confidente artistico dei malanimi e dei giorni dritti Antonio Meola

Due piedi ben radicati in terra, con un paio d’ali per fronde Fabio Barbieri

Illustrazioni di Catell Ronca

Sito ufficiale di Joe Barbieri: http://www.joebarbieri.com/
Facebook di Joe Barbieri: www.facebook.com/joebarbieri.official

martedì, marzo 20, 2012

Recensione CD "Caminanti" di Giancarlo Guerrieri


Giancarlo Guerrieri: “Caminanti”
Un disco piccolo piccolo ma scritto con amore

di Fabio Antonelli

Giancarlo Guerrieri è un cantautore siciliano non più giovanissimo, è del ’72, che bazzica di musica dal lontano 1988 anno in cui, con il brano “Il treno dell’arcobaleno”, vince il concorso nazionale “Passaporto per Sanremo”.

Non voglio però dilungarmi nel descrivere ciò che ha fatto in campo musicale perché è del suo nuovo disco “Caminanti”, uscito nell’aprile del 2011, che vorrei scrivere.

E’ un disco piuttosto breve a dire il vero, otto tracce per un totale di trenta minuti tondi tondi, trenta minuti però di buone canzoni che hanno più di un pregio.

Prima di tutto contribuiscono, sebbene siano quasi tutte in stretto dialetto siracusano, a sdoganare un po’ la canzone popolare siciliana rendendola più facilmente accessibile a un pubblico più vasto o, per lo meno, a smentire lo stretto connubio tra canzone dialettale e musica folk, perché con questo disco Giancarlo dimostra che si può benissimo cantare in dialetto e con validi contenuti letterari, senza per questo doversi rifare al solo mondo del folk, bensì attingendo anche al pop d’autore e al rock melodico.

Procediamo però per gradi, in fondo le tracce sono solo otto e, scorrono via che è un piacere, tanto che a fine ascolto vien subito voglia di riascoltarlo senza venirne a noia e questo penso sia un altro pregio del suo modo di fare musica.

Il disco si apre con “Comu veni veni”, brano presentato all’11º Festival della nuova canzone siciliana in compagnia di Antonella Arancio. Anche in questa versione in studio il duetto funziona a meraviglia, bella la presenza ariosa e melodica degli archi e il chiaro riferimento al folk irlandese, evidenziato dalla zampogna a paro suonata da Pietro Cernuto. Il testo è un invito ad accogliere ciò che la vita ci riserva con il sorriso e con molta umiltà “e comu veni veni veni ni la pigghiamu / come veni veni veni poi ci pinsamu / comu veni veni veni dumani dimani viremu” malgrado quanto c’è di male “vanu dicennu ca sta arrivannu lu malu tempu / ca fussi megghiu lassari sta terra di nuddu / l’acqua sciurita ca c’era na vota ormai si finiu”.

Segue “A storia d’Orlandu” che, come s’intuisce dal titolo, si ispira all’Orlando Furioso, è un canto dolcissimo che si snoda in un crescendo di pathos fino ai laceranti versi finali in cui Giancarlo sogna che il destino della storia una volta tanto si ribalti a favore di chi lotta con onestà e onore “gira la rota di lu distinu / e lu bicchieri è menzu chinu / abballa Orlandu e canta chiù forti / dopu stu giru miscamu li carti / e cu nu colpu di durlindana / strazza la vesti alla morti buttana”. Non c’è una nota fuori posto, dalla delicatezza del pianoforte e degli archi all’intervento finale della Banda “Città di Enna”.

“Caminanti” è invece il brano con cui Giancarlo ha vinto la X° edizione del Festival della nuova canzone siciliana, ricevendo il prestigioso Premio dell'orchestra. E’ un canto che oscilla tra folk e rock, senza però mai perdere di vista la ricerca melodica, è una specie di inno, un forte invito a rimboccarsi le maniche contro le difficoltà “nziemmulu sordi contru li debbiti fimmini fimmini viniti cca / forza ammulativi tutti i cuteddha  / ca u pani duru tagghiari si fa” perché in fondo “Semu tutti caminanti, semu tutti caminanti / e abballati caminanti abballati caminanti”.

Tutta da gustare, per quel suo spirito sarcastico è “Musica di merda”, che tra reggae e melodia, ci racconta la storia di un cantautore che si presenta ad un impresario perché vorrebbe che il suo pezzo sfondasse, ma “L’impresario dici ca nun va / a strofa è troppu cutta allongala! / e da parola  è abbiata da ccussi / u ritornellu è troppu longu / Si e falla tu”, alla fine avrà”, incazzato il musicista prende la penna e scrive tutto quello che ha nel cuore, perché “la musica di merda è chista ca / e chidda ca ti senti o pianobar / ca a karaoke canti cu l’amici / na banda de stunati e di infelici … la senti pure al centro commerciale / mentri  tampigni l’oru pi Campari”. Si rivolge dunque all’impresario così “se nun mi chiami prestu perdu u trenu / e ti la pigghi n’culu tu e Sanremo” e non può che essere acida la conclusione “spirannu ca sta vota nou si perda / vi lassu la me musica di merda”. Caustica quanto efficace canzone.

“Amici” è una bella canzone sul tema dell’amicizia, che si apre dolcemente con lievi note di pianoforte e bellissimi versi “L’amici s’assumigghiunu su quadri addipingiuti nta lu munnu / su musica sunata a deci manu / e cantata all’acqua  e o ventu / di nichi su risati, vitra rutti co palluni ammenzu e strati / quantu n’ama fattu anziemi all’amici / poi crisciunu si perdunu e si sciancanu comu a n’cappeddu vecchiu / ma quannu s’arritrovunu s’abbrazzunu e parrunu di tuttu”, è solo il preludio ad altrettanti bei versi, che non riporto per intero per non dilungarmi troppo.

“C’è un buco” è l’unica canzone del disco a essere cantata in italiano e forse è meglio così, perché altrimenti se ne sarebbe persa l’immediatezza e la notevole carica ironica, essendo una lunga riflessione su come dietro a tanti aspetti della nostra vita e della nostra società ci sia un buco, tanto che “per concludere la storia basterebbe ricordare / che c’è sempre una morale / è da un buco che si nasce e in un buco torneremo”.

“Sempri ccà” profuma di tradizione grazie alla tammorra e alle percussioni di Totò Orlando, ma allo stesso tempo suona moderno e vitale grazie alle chitarre elettriche di Placido Salamone e il basso pulsante di Pino Ricosta. E’ un vero e proprio canto d’amore incondizionato per la propria terra, sebbene questa appaia immutabile nel tempo “ci su l’amuri, l’affanni, li stenti / intra un casciuni comu littra d’amanti / c’è lu to nasu ca è punta di stidda / c’è la to facci ca diu fici bedda / c’è tuttu ca un c’è a nuddi banni”.

Chiude il disco “Tenimi l’occhi aperti”, un bel brano scritto appositamente per questo disco da un altro siciliano Mario Incudine, con la presenza magica di Vincenzo Mancuso alle chitarre acustiche. E’ ancora una volta dialetto e questa volta è un canto d’amore pieno di delicatezza “tenimi l’occhi aperti ca vogghiu ristari ccà / dunami li tò manu ca nun sacciu chiù unni si và / tenimi e stringimi forti e fammi ristari ccà / ca ‘u ventu sbatti li porti ‘ncapu la nostra età  / strisciannu comu li gatti ‘a strata m’ha ‘nzignasti  tu / sunnannu li tò carzetti, lu jornu nun arriva cchiù”.

“Caminanti” è il nuovo disco di Giancarlo Guerrieri, otto semplici tracce, lineari, scritte con amore e che parlano al cuore di chi voglia ascoltarle, che si lasciano ascoltare d’un fiato ma non si esauriscono al primo ascolto, anzi fan venir voglia di essere riascoltate perché sembrano coinvolgere tutti. Allora parte un nuovo ascolto e poi ancora e ancora … è vero, siamo tutti “caminanti”.



















Giancarlo Guerrieri
Caminanti

ART Show produzioni / AltaQuota produzioni - 2011

Acquistabile nei negozi di dischi in Sicilia o scrivendo all’autore info@giancarloguerrieri.com

Tracklist
1. Comu veni veni
2. A storia d’Orlandu
3. Caminanti
4. Musica di merda
5. L’amici
6. C’è un buco
7. Sempri ccà
8. Tenimi l’occhi aperti

Crediti
Giancarlo Guerrieri: voce
Antonella Arancio: voce (1)
Emanuele Rinella: batteria (1, 3, 4, 5, 6, 7)
Pino Ricosta: basso (1, 3, 4, 5, 6, 7)
Mario Incudine: chitarra acustica (1, 7), mandola (3)
Rosellina Guzzo: arpa celtica (1)
Lucilla Benanti: flauto dritto (1)
Antonio Vasta: fisarmonica (1, 3, 5, 6), pianoforte (1, 5), scrittura e direzione archi (2)
Francesca Incudine: tamburello (1)
Totò Orlando: percussioni etniche (1, 5, 6), percussioni (4, 7, 8), tammorra (7), udu drum (8)
Pietro Cernuto: zampogna a paro (1), sax tenore (3)
Giovanni Cocuccio: violino (1, 3)
Salvo Mammoliti: violoncello (1, 3)
Antonella Anastasi: cori (1, 3, 4, 5, 6)
Roberta Zitelli: cori (1, 3, 4, 5, 6)
Giuseppe Cusumano: violino (2)
Adelaide Filippone: viola (2)
Paolo Pellegrino: violoncello (2)
Antonio Putzu: orchestrazione per banda (2)
Banda “Città di Enna”: (7)
Luigi Botte: direzione banda “Città di Enna” (7)
Placido Salamone: chitarre elettriche (3, 4, 5, 6, 7), chitarre acustiche (4, 5, 6)
Franco Barbarino: corde strane (4)
Max Busa: voce (7)
Vincenzo Mancuso: chitarre acustiche (8)

Testi e musiche di Giancarlo Guerrieri tranne: “Comu veni veni” (G.Guerrieri – M.Incudine) e “Tenimi l’occhi aperti” (M.Incudine)

Arrangiamenti: Mario Incudine tranne: “Caminanti” (G.Guerrieri-M.Incudine), “A storia d’Orlando” (A.Putzu.-M.Incudine), “Tenimi l’occhi aperti” (V.Mancuso-M.Incudine)

Produzione artistica: Mario Incudine e Giancarlo Guerrieri

Produzione esecutiva: Arturo Morano & Leonardo Bruno per Artshow e Altaquota produzioni

Ingegnere del suono: Leonardo Bruno

Registrato e Mixato da Leonardo Bruno e Mario Incudine, presso “Altaquota Studio” Petralia Soprana (PA)

“A storia d’Orlando” è stata registrata da Andrea Ensabella presso AS studio project Enna

Masterizzato all’Omnia Beat studio Milano da Paolo Mauri

Foto e grafica: Charley Fazio

Grafica: Roberto Molteni – Studio Compass

Giancarlo Guerrieri su MySpace: www.myspace.com/giancarloguerrieri


mercoledì, marzo 14, 2012

Intervista a Giua e Armando Corsi intorno a “TrE”

di Fabio Antonelli

Se a un matematico dovessi dire che 1+1 è uguale a 3, mi darebbe sicuramente del matto, ma la musica non è la matematica e se allora una brava e giovane cantautrice (nonché pittrice) come Maria Pierantoni Giua (più conosciuta come Giua) e un grandissimo chitarrista come Armando Corsi incrociano i propri percorsi artistici, ecco che dal loro incontro ne esce un valore aggiunto, la musica allora diviene il vero motore di un disco chiamato “TrE”, dal quale emerge tutto il piacere di suonare e giocare insieme di questi due straordinari artisti.
“TrE” è addirittura un doppio album, un primo disco di  quindici brani inediti e un disco con sei splendide cover che costituiscono una babele di lingue e di mondi musicali di grande fascino.
Ecco allora i due protagonisti impegnati in un’intervista in parallelo.



Nome?
Giua - Maria.
Corsi - Armando.
Luogo di nascita?
Giua - Rapallo.
Corsi - Genova.
Professione?
Giua - Cantautrice e pittrice.
Corsi - Musicista.
Come vi siete incontrati?
Giua - Cercavo un maestro di chitarra e sono arrivata alla porta di Armando.
Corsi - Ho incontrato Maria nella mia scuola di musica.
Che ricordi hai della prima volta?
Giua - E' stato emozionante, non sapevo cosa aspettarmi e Armando faceva fuori qualunque cliché.
Corsi - Ho un bel ricordo, mi aveva colpito che Maria scrivesse già canzoni.
Com’è nata l’idea di realizzare questo progetto?
Giua - E' nata dal piacere di suonare con Armando e dalla nostra amicizia: volevo raccogliere in un disco tutti questi anni passati insieme suonando e viaggiando.
Corsi - E' nata dal suonare tanto assieme e suonare vuol dire conoscersi. Vita è musica.
Chi ha scelto il titolo "TrE"? Perché proprio "TrE"?
Giua - L'ho pensato io, una sera mentre andavo a dormire. L'idea è 1+1= 3, l'unione di due persone se è buona dà sempre un frutto. La musica e l'altro sono il 3°.
Corsi - L'ha pensata Maria e mi è piaciuto molto, anch'io penso che 1+1 faccia 3.
Il disco è stato preceduto da un videoclip realizzato per uno dei brani più belli e immediati dell’intero lavoro “Totem e tabù”, il brano è interamente firmato da Giua, sua anche la scelta di partire da lì? Perché? Io trovo rappresenti magnificamente lo spirito del disco? Siete d’accordo?
Giua - Abbiamo scelto insieme di iniziare con questa canzone, anche a partire dall'idea di Giada Messetti di girare il video. Rappresenta bene lo spirito del disco, ironico e sfaccettato, ricco di sfumature e dal sapore latino.
Corsi - Penso che in gran parte presenti lo spirito del disco, anche perché è stato realizzato in un modo particolarissimo, fuori norma: è più difficile togliere che aggiungere per il buon andamento del brano. Questo è un disco ironico e inusuale, come questa canzone, costruita con suoni originali e idee che seguono il nostro modo di sentire la musica.
Che cosa aggiunge di nuovo "TrE" al panorama musicale italiano e non solo? Non solo perché penso che abbia le potenzialità di oltrepassare i nostri angusti confini? E’ questa la motivazione della presenza dei testi tradotti in inglese?
Giua - "TrE" parte dal piacere di far musica e di condividerla, porta questa voglia di incontrare e di proporre. Abbiamo scelto di tradurre i testi in inglese perché vogliamo rivolgerci a più persone. La musica ha la forza di non fermarsi a nessun confine.
Corsi - Fare le traduzioni in inglese vuol dire pensare a un mercato internazionale. Quando si è consapevoli di aver fatto alcune scelte, si va a osare e a toccare sia argomenti letterari sia argomenti musicali non usuali. "TrE" aggiunge ulteriore musica colta.
C’è un brano tra i quindici del primo disco (il secondo raccoglie sei belle cover d’autore) che ritieni irrinunciabile? Se si, perché?
Giua - Irrinunciabile è “come fa una mela”, una canzone di cui ho scritto il testo, la musica è di Armando. Ha una grazia che mi sorprende ed emoziona tutte le volte che la canto.
Corsi - Il brano che ritengo irrinunciabile è “come fa una mela”, di cui ho scritto la musica e Maria il testo; non avrei mai pensato che diventasse una canzone. E' irrinunciabile perché fa parte delle mie corde. Se potessi rifarlo, lo registrerei con la London Simphony Orchestra per una sua ulteriore completezza.
Io credo che un altro brano di facile accesso, adatto a un’eventuale programmazione radiofonica sia “Pop Corn”, com’è nato?
Giua - Ho scritto questa canzone in seguito a un incontro con un discografico: per l'ennesima volta ho capito che la visione consumistica del “cotto e mangiato” che regola il mercato discografico proprio non mi piace! Con Armando ci siamo divertiti a fare una canzone “pop” ironica e sensuale: a buon intenditor poche parole.
Corsi - Io sono ancora innamorato degli anni '80 e Maria a volte, non sempre, mi sembra una donna degli anni '80 come gusto e cultura musicale. Ci siamo divertiti a creare questo brano usando suoni e armonie vintage. Avevo in mente la discoteca di quegli anni; abbiamo unito sensualità e musicalità.
“Pop Corn” è proprio uno di quei brani che musicalmente vede la firma di entrambi, com’è stato scritto, vi siete seduti intorno ad un tavolo?
Giua - A partire da una mia idea, in studio mentre stavamo registrando con Armando, la musica ha preso tutta un'altra piega: il bello di fare le cose insieme è questo, si sa da dove si parte e non si sa mai dove si arriva!
Corsi - Un pezzo così realizzato non nasce mai sedendosi intorno a un tavolo: nasce vivendo certi momenti e delle magie particolari. Capito?
Belli sono anche i brani strumentali presenti nel disco, belli perché non costituiscono per nulla un intermezzo, ma sono pezzi con la stessa valenza di quelli con parole forse persino più evocativi come ad esempio “La culla di giunco”, c’è qualche altra vostra composizione strumentale che avreste voluto inserire e per qualche motivo è rimasta fuori?
Giua - No.
Corsi - No.
Uno dei brani più intensi è senza dubbio “Penelope”, che vede la partecipazione di Jaques Morelembaum al violoncello e Marco Fadda alle molle, mentre Armando ha una volta tanto ceduto le chitarre a Giua, suonando invece il rhodes. Soddisfatti dell’esito?
Giua - Moltissimo!
Corsi - Soddisfattissimo!
Bellissimo anche il vostro duello all’ultimo arpeggio di chitarra nella romantica “La via dell’amore”, brano interamente strumentale firmato da Corsi e che vede ancora la stupenda presenza del violoncello di Jaques Morelenbaum. Chi vince alla fine?
Giua - Non vince nessuno, questo è il bello.
Corsi - Alla fine vince Maria, perché si rivela una brava chitarrista.
Un altro brano che acchiappa sin dal primo ascolto è “Wonderwoman”? C’è qualcosa di autobiografico? Io credo che in fondo Giua sia un po’ wonderwoman, musicista, cantautrice, pittrice? E che dire allora di Armando Corsi, personaggio schivo di carattere, non è forse un superman della chitarra? Che dite a proposito di questi due “supereroi”?
Giua - Wonderwoman? Nasce da “le donne che non devono chiedere mai perché tutto gli è dovuto!”.   Ogni tanto capita di inciampare in questi errori e si finisce per scambiare una pretesa col desiderio. Ecco da dove nasce questa canzone!
Corsi - Con tante primavere come il sottoscritto si potrebbe pensare di essere già arrivati a dei traguardi: qualcuno ha mai pensato che vivere ogni giorno come fosse il primo e l'ultimo possa veramente essere un privilegio?
Abbiamo detto molto del primo disco, il secondo affronta invece sei brani di altri autori, partendo da “Volver” di Carlo Gardel e finendo a “ Beuga bugagna”, una filastrocca genovese musicata da Corsi, passando attraverso un classico della canzone napoletana come “I’te vurria vasà”, tra l’altro con un ospite d’eccezione come Fausto Mesolella. Chi ha scelto questi titoli? C’è stata qualche esclusione che invece avreste voluto inserire?
Giua - Abbiamo scelto tra le canzoni che da anni suoniamo insieme dal vivo, canzoni che fanno parte della nostra storia, della nostra cultura e che ci emozionano ogni volta che le suoniamo: diventano sempre nuove.
Corsi - E' stata una scelta dettata dal sentimento e dal modo di essere.
Io ho ascoltato più volte il vostro doppio disco e a ogni ascolto emergono nuove fragranze musicali, c’è un amore intrinseco per la musica che trasuda a ogni passaggio musicale, c’è amore per quel che si suona e molta complicità, insomma piacevolissimo e mai banale, doveste consigliarlo ad altri che parole utilizzereste?
Giua - Direi che è un disco curioso, che lascia spazio a chi lo ascolta coinvolgendolo.
Corsi - Senza presunzione lo definirei una scoperta interessante in tutti i sensi, che ti fa capire cosa vuol dire umiltà e semplicità.
Lavorando a questo progetto e dovendolo ora promuovere dal vivo, è ovvio che vi siate frequentati molto, qual è il pregio più bello del vostro compagno musicale?
Giua - La sua libertà.
Corsi - La fortuna di essere se stessa.
Il difetto, invece, se ne ha?
Giua - Ha un lato scuro in cui ogni tanto è difficile entrare.
Corsi - Non so cosa dire.
Appartenete entrambi allo stesso humus musicale, siete entrambi liguri, ci sono colleghi che stimate particolarmente e con i quali amereste collaborare magari in un futuro progetto, sempre che già non l’abbiate fatto?
Giua - Mi piacerebbe prima o poi scrivere e cantare con Caetano Veloso.
Corsi - Mi piacerebbe collaborare con Leni Andrade.
Due parole invece per salutare chi ci legge e soprattutto fornire loro un motivo per avvicinarsi a "TrE"?
Giua - Non c'è "TrE" senza Te! A presto!
Corsi - Un saluto a tutti, felice. Comprate il disco!

 
Link
Sito ufficiale di TrE: www.giuaecorsi.it