di Fabio Antonelli
A tre anni di distanza dal fortunatissimo “Maison Maravilha”, il napoletano Joe Barbieri pubblica un nuovo album intitolato semplicemente “Respiro”, una copertina dalle tinte pastello, undici tracce inedite, prestigiose collaborazioni, le premesse per un grande disco che ne consacri definitivamente il suo indiscusso valore non solo in Italia ci sono tutte. Ecco cosa mi ha raccontato di questo suo nuovo progetto.
Partirei, se sei d’accordo, dal titolo di questo nuovo disco, perché “Respiro”?
Respiro perché l’approccio creativo è stato puramente istintivo e senza alcun tipo di ricerca formale preventiva, dalla scrittura fino alla lavorazione vera e propria del disco per me è stato importante avere un approccio naturale così come lo è il respiro, un atto che non possiamo controllare o per lo meno più di tanto. C’è poi un altro aspetto, io amo scrivere musica e interpretarla alla maniera potrei dire dei cantanti confidenziali di un tempo, mai urlata.
E’ legato a questo anche l’uso di delicate tinte pastello nella copertina e nelle illustrazioni presenti nel libretto, fa parte di un certo porgere gentile?
Si, sono stato molto fortunato, perché già nell’album precedente “Maison Maravilha”, sia quello studio sia quello live, avevo incontrato l’artista triestina Nadia Zorzin, che aveva centrato perfettamente lo spirito di quel disco. C’era, però forse aveva qualche problema in più nel trasporre in immagini un titolo come “Respiro”, ho però conosciuto quest’artista visuale anglo-svizzera che si chiama Catel Ronca e sono convinto abbia saputo ben rappresentare lo spirito di questo lavoro.
Questo disco, come dicevi prima, è caratterizzato proprio dal porsi in maniera delicata, tra le prime tracce “Scusami” e “Diamoci del tu”, sembrano suggerire modi di approcciarsi piuttosto inusuali. Oggi come oggi darsi ad esempio del tu, appare scontato, tu invece parti da un po’ più lontano …
(ride) Si, insomma, chiedo il permesso in un qualche modo.
Lo stesso “scusami” sembra un termine quasi …
Desueto? Si, sarà perché vengo da una famiglia che mi ha insegnato a chiedere scusa e a chiedere permesso, ma considero queste parole come un bagaglio che mi è necessario e anche nella scrittura delle canzoni in qualche modo questo patrimonio lo trasferisco. Tanto “Scusami” che "Diamoci del tu”, ma anche la stessa “Zenzero e cannella”, ma in fondo tutto il disco, sono canzoni che mi rispecchiano, non sono proprio una persona che ama imporre la propria presenza, le proprie scelte, mi piace piuttosto condividerle e lasciare all’altro la libertà di una scelta, non cerco mai stratagemmi per entrare in qualche modo nella vita delle persone.
Hai citato “Zenzero e cannella” che è stato anche il singolo con cui hai lanciato il disco. In questa canzone è contenuta una frase che hai poi anche utilizzato per una dedica a Maria Irene: “un sempre in un attimo” e che, secondo me, condensa tutto il significato del disco.
Si, si, sai cos’è? E’ che, tutto sommato, io credo a questo, quindi al di là di questa piccola romanticheria da due soldi, credo nelle intuizioni, negli incontri che si rivelano improvvisamente, credo più nelle suggestioni che all’aspetto ragionato delle cose. Il colpo di fulmine, l’idea che va seguita al di là della ragione è per me affascinate e spesso mi trovo a fare delle scelte sull’onda dell’intuito. In un mio precedente lavoro intitolato “In parole povere”, c’è una canzone “Pura ambra” dove trovi un passaggio che fa così “e all’improvviso tutto si rivela, tutto parla”, è un po’ la stessa cosa, ci sono dei momenti, delle rivelazioni, che non hanno bisogno di razionalità, di ragionamenti eccessivi, ma che vanno semplicemente colti.
Uno dei brani più belli in assoluto, trovo sia “Un regno da disfare”, che vede la collaborazione di Stefano Bollani, come sono nate sia la canzone sia questa collaborazione?
La canzone, s’intuisce dal testo, ha una grossa quota di autobiografia. C’era questa persona che è stata ed è ancora molto importante, che era a casa mia e dopo aver bevuto da questo bicchiere, se n’è andata via. Io ho conservato questo bicchiere, bevendoci per un po’ di tempo dal bordo, in qualche modo per trattenere le sensazioni ultime che di lei potevo conservare. Poco dopo averla scritta, mi sono trovato a suonare con Stefano Bollani a Firenze per un concerto di beneficenza, in quei giorni la stavo giusto suonando tra me e me, per cercare di capire quale veste darle e sentivo che c’era tutto lo spazio perché Stefano potesse farla propria. L’ho proposta a Stefano e lui ha voluto condividerla con me, l’abbiamo così registrata.
Quella di Bollani, non è l’unica presenza in questo disco, c’è anche una bella collaborazione con Gianmaria Testa in “Le milonghe del sabato”.
E’ una cosa un po’affettiva, nel senso che devi sapere che sono un tanghero, un ballerino di tango, piuttosto scarso tra le altre cose, però ho cominciato a ballare nelle milonghe ascoltando generi musicali piuttosto diversi rispetto al tango tradizionale e molto spesso mi sono trovato a ballare su un paio di canzoni di Gianmaria. Ecco dunque che, in quest’album in cui ho scritto un tango vero e proprio, mi è sembrata carina l’idea di poter chiudere idealmente il cerchio e restituire al tango quello che il tango mi ha dato, così ho voluto trasformare questo incontro sulle tavole di una milonga in un incontro musicale. Con Gianmaria abbiamo deciso di condividere questo tango che tra l’altro parla del tango, d’incontri, di questo commercio d’inviti e di rifiuti, anche di delusioni. Il tango è anche questo filo molto sottile tra l’estasi e la sensazione di tristezza che è insita nel tango stesso.
C’è anche una collaborazione con Jorge Drexler nella canzone “Diario di una caduta”.
In realtà con Jorge è un po’ di tempo che volevamo fare una cosa insieme. Pochi mesi prima con Microcosmo, che è l’etichetta che con altri due soci dirigo, ho pubblicato il suo ultimo album in Italia che si chiama “Amar la trama”, c’è stato quindi un intensificarsi di telefonate, di scambi di comunicazioni, lui poi ha registrato un suo album che si chiama “Cara B”, con una versione molto particolare di “Lontano lontano” di Luigi Tenco. Gli ho fatto allora ascoltare “Diario di una caduta” sentendo, in qualche modo, che c’era in entrambe, le canzoni un linguaggio al quale era sensibile, un po’ esistenzialista un po’ nichilista. Ci siamo visti a Madrid in questa sua casa studio, cenando cubano, grazie a un amico che era lì in quel momento, abbiamo mangiato, abbiamo cantato insieme un po’ di canzoni di Roberto Murolo e di autori sudamericani e abbiamo poi registrato il mio pezzo.
Per restare in tema di collaborazioni, non ti sei fatto mancare proprio nulla, giacché hai collaborato anche con Fabrizio Bosso in un paio di brani.
(ride) Si, con Fabrizio è un po’ il coronamento di un discorso che avevamo già iniziato l’estate scorsa quando, dopo esserci incontrati in un festival a Lecce, all’inizio del 2011, avevamo deciso che avremmo dovuto suonare insieme un bel po’ di volte. Durante l’estate scorsa quindi, ci siamo trovati in diversi festival a suonare le mie canzoni, ma è rimasto come un desiderio non del tutto soddisfatto, ci siamo quindi promessi che quando avrei registrato un nuovo disco lui sarebbe stato la tromba e così è stato. Ha partecipato in due brani, uno in francese “Étape par étape par étape”, un inedito che ha, però un sapore anni ’30 e l’altro è una canzone cui tengo per motivi affettivi, essendo scritta in napoletano. Io sono napoletano però, mi sono sempre tenuto lontano dal voler cantare e scrivere in napoletano, perché c’è comunque un’eredità piuttosto pesante, non l’ho mai voluto fare per rispetto. Siccome però è un po’ di tempo che questa sensazione di sacralità spesso finiva per creparsi, dato che spesso mi ritrovavo privatamente a cantare canzoni in napoletano, ho …
Hai rotto il ghiaccio?
Si, insomma, sono state scritte delle cose tanto meravigliose che è inutile viversi questo senso di confronto e d’inarrivabilità, quindi mi sono detto: scrivo una canzone napoletana come fosse della tradizione, come se fosse stata scritta da Sergio Bruni o da Fausto Cigliano, ma allo stesso tempo musicalmente la lego a quella che è un po’ la mia terra d’adozione, il Brasile. Così è nata “‘e vase annure”.
Si, insomma, sono state scritte delle cose tanto meravigliose che è inutile viversi questo senso di confronto e d’inarrivabilità, quindi mi sono detto: scrivo una canzone napoletana come fosse della tradizione, come se fosse stata scritta da Sergio Bruni o da Fausto Cigliano, ma allo stesso tempo musicalmente la lego a quella che è un po’ la mia terra d’adozione, il Brasile. Così è nata “‘e vase annure”.
Tramite la bossanova …
Esatto, come se questa canzone fosse idealmente cantata da Sergio Bruni e da Joäo Gilberto.
Il disco si chiude con due brani che potrebbero idealmente essere legati fra loro, in “Come una casa” c’è un rapporto d’amore in cui s’intravvede già la futura fine, mentre nel delicatissimo “Il balconcino del quinto piano”, questa storia è già terminata.
Volendo si, potrebbero essere due episodi di una stessa storia, un primo tempo e un secondo tempo, in realtà sono due canzoni nate in due momenti diversi, “Come una casa” effettivamente è un bolero che celebra l’attesa, la speranza di un ritorno, mentre “Il balconcino del quinto piano”, di là dal tema affettivo, quel che più mi piace di questo brano è soprattutto questo sguardo un po’ segreto in una notte di una qualsiasi città, in cui l’umanità si ritira nelle proprie case e lascia spazio a gatti e lampioni che flirtano con canne fumarie, semafori, con quest’osservatorio privilegiato che ha questo balconcino del quinto piano, un balconcino che esiste davvero e me l’ha ispirata.
Immagino che tu abbia già fissato delle date per portare in giro questo nuovo lavoro.
Di là delle iniziative promozionali, partiamo proprio con i concerti il 14 aprile dal Teatro Forma di Bari, due giorni dopo siamo nella mia città al Teatro Diana, il 19 aprile a Milano alla Salumeria della Musica, poi una piccola parentesi in Giappone, perché il 4 aprile uscirà l’album lì, quindi andiamo a fare sei concerti al Cotton Club di Tokyo, poi torneremo il 6 di maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
La prospettiva è quindi quella di lanciare il disco non solo in Italia ma anche all’estero?
Si, perché a parte l’opportunità di pubblicare l’album in tutto il mondo, quando mi si chiede cosa mi aspetto da questo disco e cosa vorrei che mi portasse, la prima cosa che mi viene in mente subito è il viaggiare, mi piacerebbe che il disco mi portasse in posti diversi, lontani, a fare quegli incontri che, se rimanessi qui, per tante ragioni non potrei fare. Mi auguro quindi che questo disco mi renda questo indietro.
Per cogliere casomai l’occasione per qualche futura collaborazione?
Senza dubbio perché io adoro collaborare, poter condividere, assolutamente si.
La musica è anche un mezzo per comunicare con gli altri e scambiarsi idee?
Assolutamente, condivido in pieno.
Sito ufficiale di Joe Barbieri
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