Micol Martinez: “La testa dentro”
L’amore … visto da dentro! Coinvolgente …
di Fabio Antonelli
Micol Martinez ha sempre la capacità di stupirmi nel bene e nel male.
Vorrei affrontare questo suo nuovo disco di Micol, intitolato “La testa dentro” facendo un raffronto tra le prime due tracce, perché secondo me sintetizzano bene quel che ho inteso dire appena sopra, quel bene e quel male.
I due brani “Haggis (la testa dentro)” e “60 secondi” presentano più di un’analogia. Sono entrambi caratterizzati da una scrittura solo apparentemente semplice e diretta, in realtà molto studiata, oserei dire cesellata con cura.
In “Haggis (la testa dentro)” c’è come un gioco di specchi, si passa da “Ho camminato per ore / lasciando passo dopo passo il peso del tuo peso / Ho ascoltato per ore / le mie ossa costruirsi ricomporsi una ad una” a “Ho camminato per giorni / ho aumentato il passo solo per non guardarti”, da “Hai camminato per anni / lasciando mano alla mano il peso del suo peso / Ho ascoltato per anni / le nostra ossa consumarsi poi spezzarsi una ad una” a “Hai camminato per anni / rallentando il passo solo per non guardarmi”, c’è una dilatazione e poi una contrazione del tempo, ci sono cambi di soggetto dall’io al tu, fino a diventare un noi nella conclusione “Guardaci / ripiegati / a divorare / guardati / guardaci / ripiegati / a divorare / a divorarci dentro”. Una bella lezione di stile, originale, d’indubbia qualità, ciò che mi convince meno è l’aspetto musicale, quel suono ipnotico, un po’ lisergico, trovo sia affascinate, anche se mi pare che nel finale si abusi con rumori e distorsioni, quasi si volesse dare l’impressione di strappare il brano all’ascoltatore.
In “60 secondi” questo gioco di specchi spazio-temporali sembra voler continuare, ecco allora che si passa da “60 giorni in una sola notte / 100 anni e un secolo in un solo giorno / la linea della mia bocca questa notte è la corda con cui mi legherò a te” a “60 secondi in un solo respiro / la linea della tua bocca in un solo giorno / mi piega a te”, passando dall’iniziale “taglierò il tuo nome / chiuderò le labbra / mi lascerò il privilegio di …” a “taglierò il mio nome / chiuderò le labbra / ci lasceremo il privilegio di … “, vi è un rapporto che evolve da due io a un noi “Non conoscerti ancora / non conoscerci ancora / non conoscerci / non conoscerci ancora”. Insomma, una grande maturità compositiva a livello di testi, anche qui però il teso rock/pop che Micol s’è costruito intorno sembra, almeno nella prima parte della canzone, soffocarla ed è un peccato perché ha una voce bellissima, che accosterei per certi versi a quella di Nada e, renderla quasi incomprensibile, è un vero delitto.
“Questa notte” è invece una canzone sognante, bucolica, cantata con quella voce calda e languida che soppesa ogni parola, che sembra voler far toccare con mano all’ascoltatore questo momento di stasi perfetta. Bello ancora una volta il passaggio dall’io al noi, da “Questa notte non finge / ed io sdraiata sull’erba / a masticare radici / senti l’odore di muschio e di terra questa notte” a “Questa notte non finge / e noi sdraiati sull’erba / a strappare radici / e mille astri ci piovono addosso questa notte”. Bellissimo il violino di Marco Sica.
Forse ancor più bella, sin dai primi versi “Sono la strega dentro l’alveare / sono la madre in fondo al tuo bicchiere / sono la terra prima di essere fango / sono l’incoscienza in una sola estate”, è “L’alveare” con quel ritmo sincopato, con quel basso che sembra pulsare come un cuore, con quella sua voce che affascina e strega più della “strega dentro l’alveare”. Una figura di donna dominante e, forse per questo, ancora più provocante.
In “Sarà d’inverno” è descritto, invece, un amore esclusivo “e avremo tamburi per abbattere il tempo / e avremo bastoni / per scuotere tutti gli alberi del mondo“, in cui vi si addensano molteplici immagini di gran fascino, piene di sensualità “e avremo il cielo / scolpito dentro alla carne / e avremo lingue lunghissime / e leccheremo via tutto il male del mondo / noi avremo il veleno per uccidere il veleno”. Lento, cadenzato dalle percussioni e da bei cori di fondo, è tra i brani migliori.
E’ un violino nordico, che suona irlandese, quello che apre “Nel movimento continuo”, ma ben presto il brano vira al rock e subentrano chitarre elettriche e distorsioni. Il testo si apre con una bella immagine “Mi porto addosso ogni parola che scrivo e ancora nuoto / porto l’alba sulla schiena e qualcosa di te sotto le palpebre”, dopo però il tutto si fa un po’ ripetitivo, secondo canoni cari al pop, a me poco congeniali.
Molto più coinvolgente, ancora un po’ psichedelico, è “A filo d’acqua”, un brano che si apre con una stupenda immagine “Dentro un mare di cielo / nel giorno arancio che si piega alla sera / la pioggia di sale misurava il nostro tempo”. C’è ancora, quasi fosse il leit-motiv dell’intero disco, quel passare dall’io al noi, dal “Disegnavo conchiglie, disegnando … / conchiglie sulle mie caviglie“ al “Disegnavi conchiglie, disegnando … / conchiglie sulle mie caviglie”.
Percussioni battenti e chitarre elettriche distorte, ci addentrano in “Coprimi gli occhi”, una sorta d’invocazione amorosa, un forte desiderio di un amore che isoli dal mondo, dalle luci che stanno fuori “Chiudi la porta / accosta le tende / spegni le stelle / ferma qui il tempo / fai buio mio amore”, così “quando buio sarà / ci incontreremo ogni notte / e quando buio sarà / ci incontreremo ogni notte / non ci vedremo andare via”. Un amore clandestino?
Il disco si chiude con “Un nome diverso”, un brano lievissimo, cantato solo voce e chitarra, un canto d’amore e pieno di speranza, come si evince dai versi “e noi andremo più veloci del nostro tempo / ci chiameremo ogni giorno con un nome diverso / e quando dimenticheremo di ricordare / sarà solo un attimo e torneremo a parlarci”.
E’ forse solo questione di gusti personali, ma io continuo a preferire Micol così, come canta in quest’ultima traccia, con semplicità disarmante, capace però, di rendere evidente tutta la sua naturale classe, in ogni caso, tanto per intendersi, di questo disco io non scarterei proprio nulla.
In definitiva direi che “La testa dentro” esprime pienamente il talento di Micol Martinez, una ragazza che ha dalla sua una voce originale e molto affascinante, una bellezza un po’ anni ’70 che emerge con forza dagli scatti di Claudio Devizzi Grassi e che mi ricorda un po’ Françoise Dorléac, sorella di Catherine Deneuve, ma soprattutto una capacità, direi unica, di scrivere con intensità, passionalità e maturità sorprendenti dell’amore, il motore primo dell’umanità, qui colto però in una dimensione intima e perciò ancor più coinvolgente.
Micol Martinez
La testa dentro
Discipline Records / Venus - 2012
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Tracklist
01. Haggis (la testa dentro)
02. 60 secondi
03. Questa notte
04. L’alveare
05. Sarà d’inverno
06. Nel movimento continuo
07. A filo d’acqua
08. Coprimi gli occhi
09. Un nome diverso
Crediti
Micol Martinez: voce, cori
Luca Recchia: basso, organo, piano, shruti, sybth, kalimba, cori
Giovanni Calella: chitarra elettrica, chitarra acustica
Alessio Russo: batteria e percussioni
Marco Sica: violino
Raffaele Kohler: tromba, flicorno
Testi e musiche: Micol Martinez
Produzione artistica: Luca Recchia e Guido Andreani
Registrazioni: Luca Recchia e Guido Andreani con studio mobile presso Cascina Martinez e BeatRice Home Studio
Missaggi: Guido Andreani presso BeatRice Home Studio
Mastering: Alessandro Gengy Di Guglielmo presso Elettroformati
Progetto grafico: Micol Martinez e Claudio Devizzi Grassi
Foto e impaginazione: Claudio Devizzi Grassi
Produzione esecutiva: Micol Martinez
Micol Martinez su MySpace: www.myspace.com/micolmartinez
Facebook di Micol Martinez: www.facebook.com/pages/Micol-Martinez/44884091947
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