“io mi sto preparando è questa la novità”
di Fabio Antonelli
No, non voglio fare come chi, pur non conoscendo per nulla il defunto si mette a scrivere e parlare di lui, tessendone magari elogi e svelandone particolari inediti e non ho neppure pronto il classico “coccodrillo”, perché Lucio Dalla con la sua morte improvvisa mi ha spiazzato, mi ha lasciato solo, senza parole.
Sarò sincero, io di Lucio Dalla, come musicista e ancor più come uomo di spettacolo, conosco poco o nulla e, aggravante, ammetto candidamente che saranno almeno tre anni che non ascolto più sue canzoni, non fosse altro che per il semplice fatto che di Lucio possedevo solo album su nastro e, il lettore di cassette, l’ho ormai archiviato da tempo per motivi di spazio.
Cercherò allora di fare affidamento ai miei ricordi e ai momenti di contatto con la sua figura.
Occorre però andare indietro nel tempo, al lontano 1986.
Avevo allora diciotto anni e proprio in quell’anno la Milkana (si proprio quella dei formaggini) pubblicizzava in tv la possibilità di avere in omaggio, tramite il consumo dei propri formaggini, di tre cassette dedicate a Lucio Dalla.
Non ho mai amato i formaggini, neppure quando ero bambino e, a dire il vero, mi piacevano solo i Tigre. Non è però per disquisire di formaggini che sto scrivendo, fatto sta che decisi di aderire comunque alla campagna punti e mi procurai così le tre ambite cassette, che avevano questi titoli “4 marzo e altre storie di Lucio Dalla”, “Quel fenomeno di Lucio Dalla” e “1983 e dintorni Lucio Dalla”, tutte edite dalla gloriosa RCA.
La prima di queste cassette, conteneva alcune tra le primissime canzoni di Lucio, “Sylvie”, “Piazza Grande”, “Itaca”, “La casa in riva al mare”, “Paff … Bum”, ovviamente “4/3/1943”, “Un uomo come me”, “Anna bellanna”, “Pezzo zero” e, infine, “Sulla rotta di Cristoforo Colombo”. Ne rimasi affascinato, mi accorsi subito che il suo era un modo di far musica fuori dagli schemi, colto e popolare al tempo stesso, profondo ma accessibile, che sapeva far riflettere senza per rinunciare di volta in volta alla melodia e al ritmo.
Anzi, a ripensarci ora, mi rendo conto che un primo contatto con la sua musica lo ebbi ben prima.
Mia zia, musicalmente onnivora, aveva un giradischi e una raccolta di 45 giri ben nutrita e mi ricordo che, durante le estati al lago, passate chiuso in casa per i violenti temporali estivi, io, mia sorella e mio cugino, amavamo passare il tempo ascoltando dischi e, tra i tanti, c’erano si titoli come “Speedy Gonzales” di Peppino di Capri o “Lettera a Pinocchio” di Johnny Dorelli, ma c’era anche proprio “Paff … Bum” di Lucio Dalla ed era tra i 45 giri più gettonati.
Torniamo però a quelle musicassette, che costituirono il mio primo approccio con la musica di Lucio, la seconda conteneva invece “Com’è profondo il mare”, “L’ingorgo”, “L’operaio Gerolamo”, “Il Coyote”, “Anidride solforosa”, “La borsa dei valori”, “Due ragazzi”, “Disperato erotico stomp”, un ulteriore stacco con quanto ero solito ascoltare abitualmente, certamente troppo profondo per essere compreso fino in fondo, rivoluzionario per certi versi. Solo il tempo e una maggiore maturità mi permisero poi di mettere bene a fuoco il tutto ed ecco allora, giusto per fare un esempio, che una canzone scandalosa per quegli anni come “Disperato erotico stomp” ai miei occhi si svuotò della carica provocatoria e si riappropriò del suo vero significato, quello di scanzonata quanta amara canzone sulla solitudine.
La terza cassetta con “1983”, “Pecorella”, “Telefonami tra vent’anni”, “Il gigante e la bambina”, “Il fiume e la città”, “Il cielo”, “Noi come voi”, “Solo”, “Nuvolari”, “Africa” attingendo soprattutto dall’album “1983”, chiudeva questo illuminante quadro d’insieme su questa prima fase creativa di Lucio. Molte di quelle canzoni erano ormai entrate nella mia vita, anche se forse allora si trattava solo di un amore superficiale, una cotta adolescenziale, una fiammata tanto intensa quanto rapida a estinguersi.
Il 1986 fu, però un anno proficuo in questo mio processo di avvicinamento al suo mondo musicale, l’ulteriore passo avanti fu generato dalla prima e unica bigiata della mia vita di studente, ero in quinta superiore e si era a primavera. La prof di matematica aveva organizzato un compito in classe riparatore per molti di noi, o così doveva essere nelle sue intenzioni, fu così che io e due miei compagni, i classici "secchioni" dicevano gli altri, ci “sacrificammo” per alzare la media dei voti della classe. Dove volete che bigiassero tre “secchioni”? Andammo alla fiera dell’Elettrotecnica a Milano, la nostra bravata ci costò quasi l’abbassamento del voto di ammissione alla maturità (dovemmo pregare la prof in cinese per farle cambiare idea), ma la gita in compenso ci fruttò tre biglietti per un concerto all’attuale Pala Sharp a Milano, in cartello c’era proprio un concerto di Lucio Dalla, preceduto e poi accompagnato dagli Stadio.
Fu il mio primo concerto importante e fu un’esperienza unica, entusiasmante, quell’”omino piccolo così … un cappello piccolo così, con dentro un sogno da realizzare” quella sera mi regalò palpitanti emozioni. Cantò in pratica le canzoni che proprio in quello stesso anno portò in tour in America e sfociarono nello straordinario doppio cd live “DallAmeriCaruso” e lo scrive uno che, notoriamente, ama poco i dischi live.
Lo so, l’amico Giorgio Maimone di Bielle, che mi aveva chiesto che scrivessi di Lucio Dalla e di “DallAmeriCaruso”, il disco di Lucio più amato dal sottoscritto, a questo punto forse rimarrà deluso, ma non lo farò.
Ieri sera ho visto per intero su RAI5 (perché la RAI non ha avuto il coraggio, almeno una volta, di sospendere la consueta programmazione per trasmetterlo su uno dei tre canali principali?) il concerto che Lucio Dalla tenne, proprio lo stesso anno a Piacenza, sempre con gli Stadio e mi sono commosso, ho pianto tra una canzone e l’altra e non voglio soffrire ancora ripercorrendo le splendide pagine musicali contenute in quel disco live, forse la più bella testimonianza in assoluto del suo concepire la musica e le canzoni per guardare con occhi diversi alla vita e oltre la vita, con grande profondità intellettuale ma senza mai perdere di vista “il bracciante lucano”, “il pastore abruzzese”, “la casalinga di Treviso” per dirla alla Nanni Moretti.
Il mio invito è quindi quello di procurarsi questo disco, non a scopo feticistico per dire beh, un disco di Lucio l’ho anch’io nella mia discografia di casa, ma perché nel suo insieme rappresenta forse più di ogni altra opera, le varie sfaccettature di questo geniale musicista, quasi avesse voluto lui stesso lasciarci un monumento che ne ricordasse le gesta.
No, “grande figlio di puttana”, questo brutto scherzo non lo dovevi proprio fare, mi hai lasciati solo, con le tue canzoni e “io mi sto preparando è questa la novità”.
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