lunedì, dicembre 31, 2012

Recensione CD "vERsO" di Elsa Martin


Elsa Martin: “vERsO”
Diretta verso il futuro e oltre, senza mai dimenticare com’ero …

di Fabio Antonelli

Eppure, ci deve essere una spiegazione logica, se in terra di Friuli, ogni volta che si viene a contatto con un nuovo cantautore, non se ne esca mai delusi.

Sarà forse il forte legame con il terroir, come si dice in gergo enologico quando un vino ben realizzato rivela un fortissimo connubio con il proprio territorio, dimostrato dalla maggior parte dei cantautori friulani? Mi vengono in mente a tal proposito Luigi Maieron, Lino Straulino, Aldo Rossi, giusto per fare qualche nome, tutti musicisti dai quali le canzoni nascono direttamente in lingua furlana.

Sarà forse che la vita in quei luoghi di confine lavora, scava lentamente nel cuore delle persone più sensibili, proprio come fanno le acque del Timavo, fiume che nasce per solo un paio di km in Croazia e che con un percorso sommerso di circa quaranta chilometri attraversa la Slovenia ed emerge in territorio friulano per abbandonarsi finalmente al mare, un’acqua-vita che scava, lascia i segni e poi ritorna alla luce come fonte viva di poesia, vera poesia.

Elsa Martin, cantante e autrice, educatrice professionale e musicoterapista, non esce certo dai solchi della tradizione, ma ha in se i germi dell’innovazione, lo sguardo costantemente proiettato verso il futuro e il titolo del suo disco d’esordio “vERsO”, è già di per se una geniale intuizione. Scritto così, rivela da subito la duplice valenza di questo progetto, da una parte troviamo la componente tradizionale, quell’”ERO” che non rinnega mai il proprio passato e il legame fortissimo con il territorio, la lingua furlana e non solo, dall’altra quel “vERsO” che, pur mantenendo in se questo legame con il proprio passato, guarda però avanti, verso nuovi percorsi musicali da intraprendere con fiducia, perché forieri di ottimi risultati artistici.

Se vogliamo analizzare meglio il disco, si può dire che si presenta costituito da un cocktail di canzoni popolari riprese dalla tradizione e di canzoni in parte in friulano, in parte in italiano, i cui testi sono stati scritti da Stefano Montello, membro dei FLK, mentre la musica è stata composta da Elsa.

Affrontiamo prima la parte legata alla tradizione, si tratta di sei brani, di cui tre “Al vaive lu soreil”, “E jo cjanti” e “Griot” sono cantati solo voce dal Trio vocale di Virgiliana, mentre gli altri tre “Al vaive ancje il soreli”, “Gjoldin gjoldin” e “O staimi atenz” sono rielaborazioni che partono da basi tradizionali, cercando però di aggiungere qualcosa di nuovo e di personalissimo.

Ecco dunque che “Al vaive lu soreil” e “Al vaive ancje il soreli” si impiantano sulle medesime radici, rappresentate da questi brevissimi versi “Al vaive ancje li soreli a vedelu a partì e io li la … / E jo ch’i soi la so murose jo no àjo di vai? e io li la …”.  Se provate ad ascoltarle, sono però qualcosa di straordinariamente diverso, quasi agli antipodi, mesto canto di addio il primo, canto pieno di speranza e di un futuro comune il secondo, ma in fondo sono solo un diverso modo di guardare la medesima realtà, come se lo sguardo nel primo si fermasse al triste presente, mentre nel secondo guardasse con fiducia a un possibile futuro.

Guardando ancora per un attimo questi brani, trovo molto piacevole e spensierato “Gjoldin gjoldin“, il cui testo tradizionale è musicato da Lazaro Valvasensi, mentre gli arrangiamenti sono curati da Elsa e Marco Bianchi. Introdotto dalle percussioni, è poi colorito dalla presenza di dialoganti violino e clarinetto, dal punto di vista dei testi in fondo c’è anche qui il duplice aspetto sottolineato prima, dal ripetuto verso introduttivo “che stentà non mancje mai” fino al finale pieno di speranza “cualchedun mi maridarà”.

“O staimi atenz” è, invece, giocato su tinte più solenni, lo s’intuisce già dalla stupenda introduzione di chitarra, dalla presenza di violino e clarinetto basso che s’intrecciano con la chitarra, si avviluppano, salgono su su fino al cielo ad annunciare a tutti che “il redentôr al’è nassût / al’è nassût pal nestri amôr”. Ottimi direi gli arrangiamenti di Marco Bianchi.

Questo, per chiudere la parentesi legata alla tradizione, vediamo ora cosa è stata capace di partorire di suo, questa giovane cantautrice.

In ordine d’ascolto il primo brano che troviamo è “Neule scure”, canzone d’aria, molto ispirata e poetica, in cui il legame con il mondo circostante si estende al cielo, a quelle nuvole scure che ci sovrastano e sembrano suggerire strani codici numerici, dove però non sempre è facile comprenderne la chiave di lettura, poiché è “libri scrit in blanc cun candide scriture di neif”, sono certo che Van de Sfroos apprezzerebbe.

Con “Come un aquilone”, di cui Elsa Martin è autrice della musica mentre il testo è di Stefano Montello, ci si trova immersi in sonorità jazz molto rassicuranti, con aperture melodiche che le permettono di mettere in mostra buone doti vocali, il momento della giornata rappresentato, è quello della sera, l’ora in cui Elsa canta “vorrei, io mai, no non vorrei / osare l’impossibile / sfidare ogni mio limite”, sfida direi più che riuscita.

Molto bella è “Calda sera”, in cui il testo del giovane cantautore abruzzese Paolo Fiorucci, è rivestito da una musica dolcissima, un po’ nordica, siamo immersi ancora nelle ore crepuscolari, quando il giorno sta finendo e il testo è tutta poesia “Tieni stretta la mia mano / come fossi una preghiera, / l’ago e filo del ricamo / da disfare quand’è sera / quand’è tempo che vorrei, ma se …”, uno dei momenti più alti dell’intero disco.

O forse no, provate ad ascoltare la sua voce in “Neve”, dove di freddo sembra davvero esserci solo la neve, che però è come lasciata fuori “Può il bianco sfumare in intimi gesti o in mani che / s’intrecciano piano piano in confidenze / e nevica …”, c’è ancora il mondo del jazz in questa canzone, un mood molto raffinato.

Un discorso a parte meriterebbe “Dentrifur”, testo di Stefano Montello e musica di Elsa, brano che ha permesso ad Elsa, dopo essere stata tra i finalisti in corsa per la Targa Tenco 2012 per la migliore opera prima, di aggiudicarsi a pieno merito il Premio Andrea Parodi. Accattivante sin dalle prime note, introdotte dagli archi, pervaso a tratti anche da influenze mediorientali, ricco di dolce melodia, brano che vede l’accompagnamento anche di un coro, è una vera e propria dichiarazione d’amore verso la musica “Musiche che e duarm cun me / che a vai cun me / che a rit di me, che no mi scolte / musiche che a ferme i dis / che a ponte i pits ch’a vegle i vifs / musiche che e sa il parcè / domanda a je / che a sa di me e no mi scolte / musiche simpri su or / che a sponte il cur / a sta dentrifur”.

Ci vorrebbe un brano intimo, pacato, ma che allo stesso tempo riporti al brano introduttivo, per chiudere degnamente questo prezioso lavoro, così deve aver pensato Elsa nel comporre “La lus”, in cui protagonista è ancora una volta il cielo, non più colto nelle prime luci della sera, ma in quelle notturne, un cielo terso “si pant biel blanc / Che lus d’arint / cun l’arie dal vint / puartarà / novità”, quasi un canto di speranza, quella speranza che ci viene dall’osservazione della bellezza del creato e che, troppo spesso, sembra esserci negata da tanto male. Bellissima la presenza, quasi celestiale, del Coro dei Bambini di Betania.

Non è tutto, c’è ancora spazio, in veste di ghost track, per una dolcissima ninna nanna cantata in italiano, un bellissimo regalo a chi ha la fortuna di avere bambini ancor piccoli per casa ma apprezzabilissima anche dagli adulti.

Direi che, come disco d’esordio, questo “vERsO” sia un ottimo biglietto da visita e, ora che siamo a fine anno, posso ben dire che sia anche tra le migliori sorprese di questo 2012.

Certo però, che dopo una partenza col botto così, mantenere quanto fatto intravedere sarà una bella impresa, vediamo come questa ragazza saprà muoversi in questo disastrato e bistrattato mondo della canzone d’autore italiana …


















Elsa Martin
vERsO

Autoprodotto - 2012

Nei migliori negozi di dischi

Tracklist
01. Neule scure
02. Al vajve lu soreli
03. Al vajve ancje il soreli
04. Come un aquilone
05. E jo cjanti
06. Gjoldin gjoldin
07. Calda sera
08. O staimi atenz
09. Neve
10. Griot
11. Dentifrur
12. La Lus

Crediti
Elsa Martin: voce
Marco Bianchi: chitarra, arrangiamenti, computer programming
Alessandro Turchet: contrabbasso
Emanuel Donadelli: batteria
Luca Clonfero: violino
Francesco Socal: clarinetto, clarinetto basso
Alberto Roveroni: batterie aggiuntive, programmazioni aggiuntive (1, 3, 4, 7, 9, 11, ghost track Ninna Nanna)
Mauro Costantini: piano (4, 7)
Trio di Givigliana: voce (2, 5, 10)
Bambini di Betania: coro (12)

Testi di Stefano Montello, musiche di Elsa Martin

Registrazioni: Effettonote (MI), Chelalè (UD), Q recording studio (MI)
Missaggi: Alberto Roveroni presso Q recording studio
Mastering: Nautilus (MI) e Q studio (MI)

Produzione esecutiva: Aberto Roveroni, Elsa Martin, Effettonote – Mattia Panzarini
Produzione artistica: Alberto Roveroni

Foto e grafica: Elisa Caldana

Sito ufficiale di Elsa Martin: www.elsamartin.it

Facebook di Elsa Martin: www.facebook.com/elsa.martin.351




giovedì, dicembre 13, 2012

Intervista a Charlotte Ferradini

di Fabio Antonelli



Partiamo dalla tua vittoria al Premio Bianca D’Aponte 2012, che esperienza è stata?

Beh, è stata senza dubbio l’esperienza più bella per quanto riguarda premi o concorsi per canzone d’autore cui ho partecipato, innanzitutto perché sono stati due giorni, quasi tre con le prove, durante i quali c’è stato modo di conoscersi non solo tra le concorrenti ma anche con la giuria e con il patron del Premio, Gaetano d’Aponte, che è stato carinissimo. Devo dire poi che, nonostante fossimo undici donne, il che avrebbe potuto far pensare che dietro le quinte fossimo lì pronte con i coltelli tra i denti, in verità io non ho sentito per niente la competizione. A parte il fatto che trovo proprio assurdo, parlare di competizione, perché quando in gioco c’è la canzone d’autore non c’è uno sfoggio di doti vocali semmai di mondi diversi di scrittura, di melodia, non solo di vocalità. Direi  che ognuna di noi proponeva un qualcosa di totalmente diverso dalle altre, così particolare e proprio, che sarebbe stato anche stupido mettersi a competere. Ecco perchè è stata una bella esperienza umana oltre che professionale, che secondo me, è anche la cosa più interessante in assoluto, poiché attualmente sono sempre meno le occasioni d’incontro e soprattutto confronto tra musicisti. Per quanto mi riguarda non mi aspettavo per nulla di vincere, non so se hai visto il video realizzato da Red Ronnie, lì, si vede che io ero proprio ignara di tutto e c’è stato anche un momento di commozione sul palco, giacché sebbene come dicevo non ci fosse quel clima da competizione, la tensione però all’ultima serata s’è sentita e quindi, dopo tre ore di concerto, siamo salite sul palco che eravamo tese come corde di violino e non so se sai com’è strutturato il Premio, non c’è solo il premio principale ma ci sono altri premi per l’interpretazione, la composizione, quello assegnato dalla critica, quindi quando ho visto sfilare tutti gli altri premi mi sono detta “va beh anche questa volta è andata male”... Poi però hanno fatto il mio nome e lì proprio non ho capito più nulla. E’ stata una bella soddisfazione personale, perché non era facile e penso che la qualità  in generale fosse piuttosto alta, inoltre ritengo che il cognome che porto soprattutto quando si partecipa a gare sia più uno svantaggio che un vantaggio …

Ritieni quindi che il fatto di essere la figlia di Marco Ferradini sia stato forse più un problema che non una facilitazione?

Quello sicuramente, m’è successo diverse volte.
Beh, in realtà a me piace il mio cognome, però soprattutto in Italia c’è questa tendenza a tracciare dei paragoni tra padre e figlio anche quando sono entità totalmente diverse, solo già per il fatto ad esempio che io sia una donna e Marco è un uomo, la voce è ovviamente diversa, tante cose sono diverse, però c’è sempre questa tendenza. Secondo me invece bisognerebbe valutare caso per caso, poi se uno è bravo è bravo, ma ritengo che anche se sei figlio di chissà chi, ma non vali nulla continuerai a non valere nulla ...

La canzone “Martarossa”, quella con cui hai vinto il Premio Bianca d’Aponte, com’è nata?

Sia “Martarossa”, sia la canzone in francese che ho cantato il giorno prima della finalissima e che s’intitola “Tremblante” sono nate a quattro mani con Bungaro. “Martarossa” in particolare richiama fin dal titolo il mio colore preferito, il rosso appunto,  perché forte e dirompente, ma in questa forza estrema trovo ci sia anche la fragilità delle emozioni. Martarossa quindi è un monito a dispiegare la propria emotività in modo costruttivo, a darsi il massimo delle possibilità nella vita, a mettere a frutto al massimo le proprie potenzialità. Lo stesso incipit “La fame agli occhi/ di aria selvatica/ su spiagge notturne/ di terra umida” riassume bene il senso del brano. Questa “Fame agli occhi” è, secondo me, quella spinta che di solito hanno solo le persone più interessanti e grazie alla quale poi riescono a raggiungere traguardi importanti.

 “Martarossa” vede quindi un tuo testo su musica di Bungaro, se ho ben capito.

Si, una fusione (ride).

Quella con Bungaro è stata una collaborazione casuale o c’è qualcosa in programma?
In realtà abbiamo scritto più di una canzone insieme, sono almeno cinque o sei brani, poi vedremo come andrà la vita, perché in realtà è stato un incontro casuale, non è accaduto una cosa del tipo ti chiamo ti scrivo e ti faccio realizzare un album, come magari succede in altri ambiti. La nostra collaborazione è nata dal fatto che lui apprezzava alcune cose che io facevo, gli avevo mandato alcuni miei pezzi da ascoltare, mentre a me è piaciuto da subito il suo modo di approcciarsi a un mondo cantautorale che non fosse il suo, cercando di trovare una chiave di lettura nuova, di creare un mondo condiviso.

Il fatto che tu abbia scritto cinque o sei brani con Bungaro fa presupporre che ci sia dietro il progetto di un tuo disco a venire?

Mah, questo non posso dirlo (ride), certo non posso dire che ci siamo messi a scrivere quei pezzi perché non sapevamo cosa fare, bisogna però vedere un attimo come gira il mondo in questo momento (ride), comunque sì, sicuramente.

Di là di questa collaborazione con Bungaro, vedi la possibilità di qualche altra collaborazione con altri artisti italiani o preferiresti piuttosto percorrere una tua strada personale?

No, a me piace il confronto, penso che da esso possano nascere mondi sonori molto interessanti purchè i due artisti che si mettono in gioco abbiano un mondo e un’identità ben precisa, quindi non lo escludo, perché girando tanto, ho accumulato una serie di contatti con persone che stimo molto a livello artistico. Con alcuni ho già messo in piedi qualche idea. E poi sono convinta che dal confronto si possa solo crescere.

So che hai partecipato ad anche altri concorsi, sul tuo profilo di Facebook ho appena visto alcune foto che ti ritraggono al Pigro 2012 …

In realtà lì ero come ospite, è stata una bellissima esperienza anche quella, ho conosciuto il figlio di Ivan Graziani, Filippo, che ho trovato molto bravo tra l’altro. In passato, in realtà, ho partecipato a Musicultura, dove sono stata tra i quaranta finalisti, ma ero ancora agli inizi di questo progetto cantautorale. Più di recente, un anno fa, ho invece partecipato al Lunezia, dove sono arrivata in finale con un brano completamente mio che s’intitolava “A fior di pelle”. Non ho comunque partecipato a moltissimi concorsi, anche perché ritengo sia bene valutare dove andare, onde evitare di trovarsi in contesti non propri. Siccome faccio un genere ben definito, ritengo sia utile confrontarsi con chi sta percorrendo strade simili alle mie. Come cantautrice ho partecipato anche a un altro progetto tutto al femminile, voluto dal critico musicale e scrittore Michele Monina,  dal titolo “Anatomia femminile”. L'idea di fondo è molto interessante: Monina ha chiamato ventitré cantautrici emergenti a raccontare il corpo della donna ed io per quell’occasione ho scelto i polsi, con un brano dal sapore un po’ latino che s’intitola “Rosso Amarena”. Volente o nolete  il rosso  circola sempre nelle mie canzoni.... Prima di approdare al mondo cantautorale mi sono divertita per molti anni a fare la cantante, partecipando a diversi progetti solo come voce, solo più recentemente ho sentito l'esigenza di dare voce anche ai miei pensieri in musica.



Poiché in queste tue esperienze passate hai spesso avuto a che fare con il mondo della canzone d’autore al femminile, hai qualche cantautrice che stimi in particolar modo?

Bella domanda questa (ride)
Mah, in quest’album “Anatomia femminile”, c’era ad esempio la cantautrice Veronica Marchi, che mi è piaciuta particolarmente, alla finale di Musicultura ho invece trovato molto interessante Angelica Lubian. C’è poi un’amica mia romana, che fa un genere molto diverso dal mio, che però mi piace molto e si chiama Chiara Vidonis. Ho appena letto poi che, a Sanremo Giovani, è passata questa Irene Ghiotto, non la conosco, però da un suo video di una cover che ho visto su Youtube, anche se forse è un po’ poco per giudicare, devo dire che mi sembra proprio valida come artista …

Tornando a te, per chiudere questa intervista, quali parole rivolgeresti a chi ancora non ti conosce, affinché si accosti alla tua musica?

Mah sicuramente le persone si avvicinano e si affezionano a un artista per “affinità elettiva” - per citare l'amico Goethe! - un po' come succede in amore: bisogna innamorarsi di un artista, del suo modo di esprimere forza e fragilità insieme, nelle sfumature della sua voce o negli anfratti del suo testo. Quando si parla poi di mondo cantautorale credo che questo discorso sia ancora più valido, perché un cantautore è una voce pensante, che canta quello che realmente sente e osserva della realtà che lo circonda. Per questo credo che sia sempre il pubblico a “scegliere” l'artista, non il contrario. Per quanto mi riguarda, sento di essere “vera” quando scrivo, suono e salgo su un palco portando la mia musica, poi non so se questa verità arrivi sempre al pubblico che mi ascolta, ma sono convinta che risieda lì il vero fattore x di un artista perché l'arte è comunicazione e solo chi si emoziona ed è coerente con quello che propone, riesce ad arrivare alla gente.



Pagina ufficiale di Charlotte Ferradini su Facebook: www.facebook.com/marta.ferradini

mercoledì, dicembre 12, 2012

Pippo Pollina - Werner Schmidbauer - Martin Kälberer presentano “Süden”


11.10.2012 - Krone Circus – Monaco di Baviera

di Fabio Antonelli

L’11 ottobre scorso, ho avuto l’onore di essere invitato da Pippo Pollina al concerto di presentazione del nuovo disco “Süden”, tenutosi nel più grande circo stabile d’Europa, il Krone Circus di Monaco di Baviera.

So per certo di essere stato invitato come amico, ma penso che sotto sotto ci fosse anche l’intenzione di rendermi partecipe, di farmi toccare con mano, quell’enorme successo che sta riscontrando ormai non più solo nella sua terra d’adozione, la Svizzera, dove da anni risiede con la propria famiglia a Zurigo, ma anche in Germania, in Austria, in tutta quell’area che risponde al nome di Mitteleuropa.

Sinceramente avrei potuto anche scriverne a caldo, subito dopo aver vissuto quell’esperienza, direi indimenticabile, ma ho invece preferito lasciar sedimentare le emozioni, che quei magici momenti vissuti in terra straniera si stratificassero nel mio cuore.

Cercherò di essere obiettivo, anche se lungi da me il redigere una razionale cronaca della serata.

Semmai cercherò di riportare alla luce alcune suggestioni, partendo dall’attesa, l’arrivo composto dei ben 2500 spettatori paganti che da mesi avevano prenotato quella serata di presentazione di “Suden”, un disco a sei mani che porta la firma anche di Werner Schmidbauer e Martin Kälberer, l’attesa frenetica al bar per l’ultimo boccale di ottima birra bavarese, l’ultima sigaretta (quasi fosse quella concessa a un condannato a morte) per chi, poi la campanella, che avvisa che mancano solo quindici minuti all’inizio dello spettacolo previsto rigorosamente per le ore 20.00 (direi un orario impensabile da noi), mancano ormai dieci minuti ma già gli uscieri si apprestano a chiudere i battenti.

Entrato in quella magnifica struttura, in cui il legno è il materiale che domina, dalla forma circolare come tutti i tendoni da circo (sebbene questo non sia un tendone), mi rendo conto del motivo di tanto rigore nel far rispettare gli orari d’inizio concerto, c’è tanto di televisione tedesca che riprenderà il tutto per poi trasmettere in seguito l’intero concerto.

Tra il pubblico e il palco quindi ci sono un po’ di addetti alle riprese e il braccio della gru che poi farà sorvolare la telecamera telecomandata radente, le teste degli spettatori, ma è un disturbo del tutto sopportabile.

All’ingresso dei tre musici sul palco io provo subito a scattare qualche fotografia, faccio in tempo però solo a scattare una foto, un addetto alla sicurezza mi si avvicina, mi dice qualcosa in tedesco che ovviamente non comprendo, ma mi è comunque chiaro che non potrò più fotografare nulla da quel momento in poi, probabilmente per motivi legati ai diritti televisivi.


Meglio quindi rispettare le regole, qui non siamo certo in Italia …



E’ proprio Pippo, accolto da un calorosissimo applauso, ad aprire lo spettacolo con “Dove sei stato” uno dei brani contenuti nel nuovo disco dal quale i tre attingeranno per gran parte dell’intera serata, s’intuisce da subito che la struttura del Krone Circus è di quelle che garantisce un’acustica impeccabile per questo genere di musica. Si parte alla grande.

Tra una canzone e l’altra Pippo e Werner, cercano di spiegare com’è nata la loro amicizia, l’idea di realizzare questo disco insieme, io ovviamente non comprendo nullo visto che il tedesco mi è totalmente oscuro, intuisco solo di cosa stiano parlando grazie ad una precedente intervista realizzata con Pippo. Non capisco nulla ma percepisco che il pubblico è letteralmente rapito dai due, spesso il racconto è sottolineato da fragorose risate del pubblico, sembra quasi di essere a un cabaret dove i confini e i ruoli si confondono, non so bene se la parte della spalla la stia reggendo Werner o Pippo, so solo che la gente ride divertita.

Non tutto però quanto è rappresentato sul palco è da ridere, perché Pippo a un cero punto parla della propria terra natia, marchiata a fuoco dalla presenza invadente e opprimente della mafia, è il momento di una toccante “Centopassi”, è l’occasione per parlare del suo fuggire dalla sostanziale privazione di libertà di pensiero, del suo migrare all’estero di cui “Chiaramonte Gulfi” rappresenta solo l’aspetto più ironico.

Il legame con la tradizione e con la propria terra natia non è mai rinnegato, superba la sua esibizione con il tamburello, arte musicale trasmessale dal percussionista Alfio Antico, che qui s’intreccia con uno strumento nato invece proprio in territorio svizzero, il curiosissimo Hang, che nelle mani sapienti di Martin, capaci di passare continuamente dalla fisarmonica, alle percussioni, alle tastiere e a tanto altro, riesce a ipnotizzare tutti i presenti.

E’ il momento di una pausa, di un’altra sigaretta per chi proprio non ne può fare a meno, poi è ancora Pippo a far ripartire lo spettacolo con “Qualcosa di grande”, una delle canzoni più belle del nuovo disco insieme a “Bruno”, la canzone dedicata a Bruno Manser, lo speleologo misteriosamente scomparso in Borneo, dopo aver duramente contrastato i disboscamenti selvaggi voluti dalle multinazionali del legname, per l’occasione sul palco a cantare c’è anche Madlaina Pollina, figlia di Pippo, giovanissima autrice del brano. La sua esibizione è quasi da consumata frequentatrice di palchi musicali, alla fine il pubblico apprezza con grande entusiasmo.

Voglio però sottolineare una cosa che mi ha colpito, seppur caloroso il pubblico tedesco è incredibilmente rispettoso di chi sta sul palco, ascolta con la massima attenzione ogni singola canzone, solo alla fine applaude o no quanto appena ascoltato, un comportamento che in Italia purtroppo è riscontrabile solo nell’ambito della musica classica.

Durante la seconda parte del concerto c’è spazio ancora per un classico del repertorio di Pippo, “Sambadio” accolto con grande entusiasmo dai presenti, segno che la sua musica ha ormai fatto breccia nel DNA del pubblico tedesco, la conclusione dell’intera sera è affidata a “Passa il tempo”, un brano che permette ai tre di ringraziare tutti quelli che hanno garantito questo spettacolo di altissimo livello.

Qui termina ufficialmente la serata, la televisione chiude le riprese ma la musica continua, un pubblico ormai scatenato non vuole staccarsi dai suoi beniamini, si susseguono ben quattro pezzi tra cui un’incredibile “Bella Ciao”, con tutto il pubblico tedesco in piedi a battere il tempo con le mani, un qualcosa che in Italia forse sarebbe possibile vedere solo al Concerto del 1° maggio.

Già, a proposito di Concerto del 1° maggio, non sarebbe ora che anche in Italia qualcuno si accorgesse del talento di quest’artista, capace di smuovere e accalorare anche i freddi spiriti teutonici?


Sito ufficiale di Süden: www.suedenmusik.com
Sito ufficiale di Werner Schmidbauer: www.wernerschmidbauer.de
Sito ufficiale di Pippo Pollina: www.pippopollina.com
Sito ufficiale di Martin Kälberer: www.martinmusic.de