Giovedì 1 marzo, al Cinema Astra di Como, seguito da un concerto in
pieno stile New Orleans dei Bayou Moonshiners, sarà proiettato “Al Capolinea -
Quando a Milano c'era il jazz” un docu-film della regista comasca Marianna
Cattaneo, realizzato attraverso spezzoni d'epoca ed interviste dei protagonisti
che raccontano la storia del Capolinea, il mitico locale Jazz sui Navigli a
Milano, originatosi dalla scommessa di Giorgio Vanni e alcuni musicisti di
fondare un luogo dove divertirsi a suonare per conto proprio. L’ho subito contattata
per saperne qualcosa di più …
All'anagrafe risulti Marianna Cattaneo e fino a qui ci siamo, mi dici
però qualcosa di te, come ti descriveresti?
Bella domanda! Sono una persona
estremamente curiosa, soprattutto quando si tratta di tutto ciò che mi piace e
mi fa stare bene, come la musica, il cinema, la fotografia, lo yoga ... mi
piace osservare le persone e ascoltare i loro racconti...
La musica, soprattutto il jazz, forse da questa tua passione è nata
l'idea di realizzare un documentario sul mitico locale milanese Capolinea?
Raccontami come è nato il tutto, i primi passi...
Certamente è stata la passione
per il Jazz che mi ha spinto a realizzare un film su quello che tutti
definiscono il Tempio del Jazz Italiano, il Capolinea. E’ stato il mio primo
lavoro come regista, avendo studiato alla Scuola Civica di Cinema a Milano.
L’idea di pensare a un documentario sui musicisti legati al Jazz mi è stata
suggerita dal mio caro amico Alfredo Ferrario, clarinettista di Appiano
Gentile, allievo di Paolo Tomelleri. Ho cominciato il lavoro di ricerca
incontrando il sassofonista Michele Bozza e in ogni discorso usciva il nome del
Capolinea. Così, anziché seguire un percorso attraverso alcuni protagonisti del
Jazz, ho rivolto l’attenzione al luogo che li vedeva tutti riuniti, il
Capolinea. Nel frattempo partecipo a un bando della Scuola di Cinema che
richiedeva la presentazione di un soggetto interessante. Il premio consisteva
nell’avere a disposizione l’attrezzatura per realizzare il film. Vinco il bando
e comincio il lavoro. Ho incontrato alcuni musicisti per farmi raccontare
quello che succedeva ogni giorno al Capolinea e, ascoltando le loro storie, ho compreso
che era diventato per me un dovere catturare questi racconti, per fare in modo che
non andassero perduti. Per tutti i contatti sono stata aiutata da Alfredo
Ferrario che conosceva bene i colleghi che hanno partecipato a questa epoca
d’oro.
Per realizzare il documentario, oltre alle testimonianze dei
protagonisti di questa grande storia, hai per caso raccolto materiale o filmati
del passato?
Si, il documentario contiene
alcuni spezzoni d’epoca, riprese di concerti e soprattutto foto; il Capolinea è
stato attivo dal 1968 al 1999, anni non troppo lontani dai nostri ma
estremamente diversi nella tendenza a riprendere e / o fotografare tutto quel
che succedeva ... il materiale a disposizione era davvero poco, ho cercato di
recuperare il possibile.
Giorgio Vanni e Dizzi Gillespie
Se volessimo sintetizzare in poche parole questo tuo progetto lo
definiresti più un'operazione nostalgica alla ricerca di un mondo perduto o un
invito ad approcciarsi, a ricreare questo humus musicale magari sotto nuove
forme?
Forse più la prima, anche se tra
gli obiettivi di questo mio progetto, oltre raccogliere la storia di questo
fantastico posto non nascondo ci sia anche quello di portare a riflettere
gestori di locali, musicisti e pubblico appassionato che tutto è ancora possibile,
tanto però dipende dalla capacità di questi tre elementi di sapere interagire
tra loro.
Il documentario, oltre che essere presentato al Cinema Astra di Como
giovedì 1 marzo, sarà poi presentato anche in qualche festival e distribuito su
supporto fisico? Chiedo di un eventuale DVD soprattutto per i
"feticisti" musicofili ...
In realtà il documentario ha già
partecipato ad alcuni festival come Summer Night Jazz festival e Ah-Um jazz Festival
di Milano, Jazz Cat Club di Ascona, Bollate Jazz Meeting, Imola jazz Club, Faenza
Jazz e, prossimamente, parteciperà all’Otranto Jazz Festival, diciamo quindi che
non è rimasto fermo in un cassetto. In merito ad una sua distribuzione fisica
però, è operazione molto difficile ed onerosa, non so se andrà mai in porto,
chissà …
"Il
ranuncolo indossato dai cantanti di Sanremo è solo una foglia di fico che serve
a nascondere il maschilismo evidente nella scelta delle canzoni. Non solo c’è
una drammatica assenza di donne tra le interpreti in gara, ma neppure a livello
autoriale è stato rispettato il contributo delle donne, che si ritrovano a
cantare brani scritti da uomini, a farsi interpreti di sentimenti filtrati da
una sensibilità maschile. Non solo fiori, la prossima volta, ma opere di
bene".
Grazia Di Michele
Partirei
subito, se s ei d’accordo, dalla tua critica rivolta alla direzione artistica
del Festival di Sanremo, in cui sottolinei con forza l’assenza quasi assoluta
di interpreti femminili o, qualora presenti, in ogni caso con pezzi scritti da
colleghi uomini …
Beh, sai sono una cantautrice da una
vita e ho scritto tantissime canzoni, con alcune di queste sono stata anche al
Festival di Sanremo, però parliamo di canzoni, come ad esempio “Io e mio padre”
(1990) la primissima che ho scritto che, credo, solo una donna possa descrivere
così il rapporto tra una figlia e suo padre, un uomo ha ovviamente un altro
tipo di rapporto. Se io scrivessi una canzone su mia madre, su mio figlio o sul
mio modo di vivere la condizione femminile nel mondo, questa sarebbe
conseguenza del mio essere donna o di aver vissuto in prima persona negli anni ’70 il
movimento femminista. Ritengo che nel mondo della musica cantautorale italiana,
le donne ci sono,ma faticano ad uscire fuori.
Quando in questi giorni ho visto il Festival di Sanremo, dove tutti hanno messo
un fiore per sensibilizzare tutti sul tema della violenza che le donne
subiscono ogni giorno, poi mi sono detta “E’ giustissimo però perché in questo
Festival alla fine non sono presenti testi scritti da donne e così poche
interpreti? Non è certo una questione di quote perché le trovo in sé assurde".
Sì,
lo sono in ambito politico, figuriamoci in ambito musicale …
Infatti, è però questione di riconoscere
una realtà. Ad esempio trovo anche strano che in questo Festival sia totalmente
assente il rap, assenza che puoi giustificare con il gusto personale,
soggettivo, ma resta il fatto che noto delle stranezze … Sai poi perché ho
notato l’assenza di storie femminili? Perché io con le donne ci parlo, parlo
con loro quando vado a fare le master class, lì incontro cantautrici emergenti o
affermate, ma questa realtà assai diffusa emerge. Mi sarei quindi aspettata una
maggiore attenzione verso l’universo femminile, non so tu cosa ne pensi …
Sono
d’accordo, perché credo non sia possibile che l’unico spazio in cui si possa
sentire la canzone d’autore femminile sia quasi solo il Premio Bianca d’Aponte.
Sì certo, metti per assurdo che fossi stata io il
direttore artistico di questo Festival di Sanremo, credi che il Festival
sarebbe stato così? Tu hai citato il Premio Bianca d’Aponte, certo è ottimo ma
tante donne hanno provato ad entrare anchenella vetrina sanremese, sia
quelle affermate che quelle meno, c’è un bel gruppo di cantautrici valide, dove
sono?
Al
Festival eri appena stata nel 2015 …
Sì, con Platinette, però anche quella
operazione è nata per una mia
attenzionenei confronti della
discriminazione sessuale,Plati è un amico
e ho cercato di stabilire con lui undialogo sulla sua condizione e ne è nata una canzone.Altre donne raccontano il loro modo di
relazionarsi con la vita, con gli uomini, con l’amore, con i problemi, ed hanno
una loro cifra poetica.
Assolutamente,
penso ad esempioa Susanna Parigi,Patrizia Laquidara, due nomi che mi vengono
in mente in questo istante …
Certamente, ma anche di più giovani e
meno conosciute, è pieno di artiste valide. Cito Cristina Donà così come Erica
Mou, ma sono davvero tantissime, in questo Festival sarebbe bastato mettere un
Pooh in meno e chissà … (ride)
Cover CD "Folli voli"
Assolutamente si. Anche nel tuo nuovo disco “Folli voli”, d'altronde, in cui tra l’altro
abbandoni il tuo ruolo classico di cantautrice per assumere quello di
interprete, attingi a piene mani dal mondo musicale femminile e, direi,
trasversalmente, visto che ascoltarlo è un po’ come girare per il mondo alla
ricerca di vere e proprie perle musicali.
Beh, ho voluto fare questo esperimento,
anche se poi in realtà non è che abbia mai smesso di scrivere, solo che questa
volta ho avuto voglia di giocare un po’ con la possibilità di interpretare
brani scritti da altri che, però, parlassero di cose di cui avrei potuto
parlare anche io, del mio rapporto con la musica, del modo di vivere l’amore.
E’
un po’ come se fossero sempre state dentro di te?
Sì, sì, anche perché alcune canzoni le
conoscevo da tantissimo tempo come, ad esempio, “Uri” un brano di Noa che ho
ascoltato ed amato tantissimo. Quindi, quando poi si è trattato di scegliere i
brani, su alcuni sono andata a colpo sicuro, in maniera affettiva, come nel caso di “Uri”, così come anche per il
brano di Damien Rice (“The Blower’s Daughter” diventato “Non so guardare che te”)
che ho ascoltato fino all’esasperazione. Non sono “cover”,ma adattamenti in italiano di brani che in
qualche modo sono entrati nella mia vita, perché quando si parla di “cover” in
realtà si sbaglia perché la cover è riproporre
una canzone così com’è…
Ah,
lo so bene, sono stato cazziato su questo punto da Marco Ongaro (cantautore
veronese) quando ho definito “cover” una sua traduzione di “Hallelujah” di
Leonard Cohen e, ci ha tenuto molto a precisare che una cover è una cover,
mentre una traduzione comporta un lavoro molto più complesso.
Assolutamente sì, i brani sono stati
tradotti in italiano cercando di mantenere integro sia il significato sia il
suono, il che non è facilissimo. Ti faccio l’esempio di “Falling Slowly” che è
diventato “Folli voli”, che come vedi suona allo stesso modo pur avendo un
significato letterale diverso, però racconta quello che effettivamente dice la
canzone nella sua versione originale. Il disco, è nato per gioco, un pezzo
dietro l’altro e, quando mi sono accorta che ne avevo fatti dieci, mi sono
detta “Ecco, abbiamo pronto il cd”. Il disco è una parentesi molto leggera tra
quanto fatto fino ad oggi e quanto sto, invece, scrivendo ora. E’ stato anche molto
interessante da realizzare, perché entrare nel mondo degli altri a volte ti fa
conoscere delle cose di te stesso, che non sai. Questo disco, come dicevi bene,
è un viaggio e un viaggio arricchisce sempre…
Sai
però, devo dirti che, ascoltando il disco, quello che sto dicendo non è un
aspetto negativo ma è un pregio, è un po’ come se ci fosse un filo conduttore
che lega tutti i brani, sarà forse il tuo modo di porgere le canzoni che le
rende quasi tue, quasi fossero state scritte da te, certamente un modo di
essere assolutamente riconoscibile.
Beh, forse è dovuto anche alla mia voce
che è quella che è e, in qualche modo, lega tutto, anche se io non credo mai
che la voce sia solo un fatto timbrico. In effetti, il fatto che tu dica che
sembrano quasi essere state scritte da me è vero. Prendi, l’ultima canzone del
disco ad esempio, “Come la musica” che è stata scritta da Bungaro ed è l’unico
pezzo inedito presente nel disco, serviva un brano che fosse scritto italiano
perché questo viaggio immaginario ad un certo punto doveva come riportarmi a
casa e, ti giuro che quando l’ho sentito per la prima volta sono rimasta
fulminata, perché avrei potuto partorirlo io tranquillamente, come se Bungaro mi
avesse letto nel pensiero.
In
questo disco, inoltre, duetti con alcuni degli autori dei brani.
Sì, c’è il brano greco “Anemos”
(“Anime”) che è cantato con Kaiti Garbi, una cantante molto popolare in Grecia e, in questo caso,
l’abbiamo cantata in trio, insieme a Maurizio Lauzi, figlio di Bruno. Poi c’è
“Embarcacao”, un brano della polacca Kayah che ha secondo me una voce
strepitosa e che in italiano è diventato “Vele al vento” e, per finire, c’è “Folli
voli” il brano che dà il titolo al disco, cantato con Ivan Segreto, un
cantautore di origini siciliane che io adoro, bravissimo, originale, particolare.
In questo caso l’ho chiamato, non conoscendolo, dicendogli che avevo una
canzone che era la traduzione di “Falling Slowly”, canzone cantata da Glen
Hansard e Markéta Irglovà, ci siamo dati appuntamento e, senza mai esserci
visti prima, l’abbiamo cantata insieme alla velocità della luce. Ora stiamo
preparando una presentazione alla Feltrinelli di Roma, cui seguiranno altre
date presso varie sedi della Feltrinelli. Saremo, ad esempio, il 16 febbraio a
Verona, il 2 marzo a Milano.
Ivan Segreto con Grazia Di Michele
Queste
presentazioni come saranno, visto che il disco presenta sonorità particolari e
dato che, credo, sarà impossibile ripresentare dal vivo i duetti in esso
presenti.
Sarà presentato così, come spesso
nascono i brani, cioè al pianoforte o alla chitarra, comunque in forma acustica,
saranno eseguiti cinque o sei brani, quelli più adatti, perché difficilmente
sarà possibile eseguirli tutti. In ogni caso credo che una canzone, se bella,
anche la più energica, la più ricca di arrangiamenti, possa alla fine essere
ricondottain una forma più semplice,
senza perdere il proprio valore, penso ad esempio ad “Anemos”, anche se la fai
in versione voce e chitarra sta in piedi comunque.
Tornando
un attimo al discorso fatto sui testi, per le traduzioni hai fatto tu il lavoro
o ti sei affidata a qualcuno?
Mi sono affidata ad Alberto Zeppieri,
per un motivo molto semplice, le lingue da tradurre erano troppe. Alberto ha
dovuto tradurre dall’israeliano al capoverdiano al brasiliano, ecc. Lui è
proprio esperto in questo, non è solo un traduttore letterario ma è un
musicista, quindi riesce a fare benissimo questa operazione che è molto
complessa.
Lasciando
questo disco che, come detto, ti vede protagonista come interprete, hai in
cantiere qualcosa di nuovo a livello di scrittura?
Sì, non ti dico che è pronto ma quasi, un
cd scritto a quattro mani con mia sorella Joanna, che si chiama “Ritratti” ed è
un disco che parla di storie femminili
Tanto
per cambiare …
(ride) No, ma queste sono dei ritratti
molto particolari. Abbiamo cominciato a lavorarci quasi in contemporanea con
“Folli voli” e sono stata per un po’ di tempo come su due binari, poi “Folli
voli” ha preso la sua strada e a questo altro disco continuo a lavoraci finché
non sarà pronto.
Vorrei
farti una domanda che un po’ una provocazione, visto che s’è parlato così tanto
di mondo musicale femminile, se dovessi invece farti scrivere un brano da un
cantautore uomo da chi vorresti fartelo scrivere?
Che domandona che mi hai fatto … Accidenti,
beh, se fosse italiano, mi piacerebbe fosse Paolo Conte.
Ah,
punti in alto ….
(ride) Beh, mi hai fatto tu la domanda,
io l’adoro, perché trovo che sia uno che, sia che scriva in maniera ironica sia
che non scriva in maniera ironica, abbia comunque unapoesia sottile, delle immagini straordinarie,
mi piace moltissimo.
Se,
invece, dovessimo allargare il discorso oltre confine?
Beh, andando all’estero mi piacerebbe un
brasiliano, Chico Buarque de
Hollanda, tu sai che anche lì i cantautori sono poeti.
Ma lì trovi molto
poetici più per i testi o per le sonorità?
Per tutte due gli aspetti, mi piace molto la musica
brasiliana, poi Chico racconta la vita con una sensibilità unica.
Quindi, restando
all’Italia, potresti duettare con Joe Barbieri?
Yess (ride). Ma io ne ho fatti davvero tanti di duetti, con Eugenio
Finardi, Cristiano De Andrè, Massimo Ranieri, Tosca, Rossana Casale, Platinette,
Randy Crawford e tanti altri. A me piace molto condividere con gli altri
l’esperienza della musica, essendo anche musico terapeuta.
Visto che siamo
nella settimana del Festival di Sanremo, al di là del discorso fatto sulle
presenze o, peggio, non presenze femminili, come ti è sembrato il Festival
quest’anno?
Mi sembra che ci siano poche canzoni belle, però ci sono. Mi
piace molto la canzone di Ron o meglio di Dalla cantata da Ron, mi piace la
canzone di Barbarossa, quella di Bungaro e Pacifico cantata con la Vanoni. Mi
piace quella dei Decibel che non piace a nessuno e non so perché …secondo me è
scritta e cantata bene.
Forse il fatto di
averla dedicata ad un’artista così importante e famoso ha fatto si che la gente
pensasse che l’ha fatto per trarne vantaggio, un po’ come è avvenuto con
Mirkoeilcane, con la sua canzone sui migranti … non può essere?
Guarda, l’ho pensato, poi però c’è il pop di Metal-Moro in
cui cantano un brano sul terrorismo, quindi se fosse vero ciò che dici, che
viene punita la strumentalizzazione, credo allora sarebbe grave strumentalizzare
anche il terrorismo in una canzone, cosa su cui non concordo assolutamente. In
fondo il brano dei Decibel è molto spirituale, intelligente e originaleNon sopporto i brani inutili invece, e ce ne
sono…
Dei Volo, che mi
dici? Mi pare di aver letto da qualche parte una tua esternazione …
Guarda, hanno fatto questo omaggio a Sergio Endrigo, sembrava
una marcia funebre. Non si può fare una romanza di una canzone di Endrigo, non
puoi fare un tributo ad uno dei massimi esponenti della canzone d’autore e,
invece che entrare tu nel suo mondo, di rispettarne la semplicità la classicità,
lo trascini a tutti i costi nel tuo … Poi l’hanno rallentata tanto che quasi mi
sono addormentata, non ho parole.
Nel 2016, Patrizia Cirulli sorprese pubblico e critica con “Mille baci”
(Incipit Records), un disco in cui musicò e interpreto poesie di grandissimi
poeti dimostrando grandissima sensibilità. Ora dà alle stampe un nuovissimo
progetto “Sanremo d’Autore” (Egea Music – 2018) in cui reinterpreta dodici
canzoni di altrettanti artisti sanremesi, arrivati ultimi, penultimi o comunque
esclusi dalla giuria alle serate finali, in una sorta di rivincita morale.
Cover "Sanremo d'Autore" - Foto di Renzo Chiesa
Dopo un bell'album che ti ha vista musicare e cantare poeti, sei
tornata con un nuovo disco ancora nel ruolo d'interprete. La copertina ti
ritrae sorridente uscire su un palco teatrale, accanto, scritto elegantemente a
mano, il tuo nome e cognome e il titolo del progetto "Sanremo d'Autore".
Titolo e copertina come sono nati? Il progetto com'è nato?
Parlando con un amico
discografico era saltata fuori l'idea di pensare ad un disco di cover.
Successivamente, parlando di questo con Francesco Paracchini, è nata l'idea di
concentrarsi su brani sanremesi non premiati dalle giurie, anzi arrivati
ultimi, penultimi o non ammessi alla serata finale. Belle canzoni che sono
comunque arrivate al cuore degli ascoltatori e che hanno avuto il loro
riconoscimento nel tempo. Il titolo mi è venuto in mente partendo appunto dalla
parola "Sanremo" che è il filo conduttore. "D'Autore", in
quanto tutti i brani sono firmati da grandi autori (ad esempio, nel brano dei
Tazenda "Pitzinnos in sa gherra" compare anche Fabrizio De André). Un
modo per dare valore anche agli autori che spesso non vengono nemmeno citati. Per
quanto riguarda la copertina, ne avevo parlato con un amico e collaboratore,
Ottavio Tonti, che mi ha suggerito l'idea del teatro e delle scritte a mano
sulla copertina. Ne ho quindi parlato con Renzo Chiesa a cui è venuta l'idea di
scattare la foto con il sipario del Teatro Carcano a Milano. Un'immagine
allegra e gioiosa, una sorta di sintesi fra il palco di un teatro (che rimanda
a Sanremo) e la "rivincita" delle canzoni in questione.
Curiosamente e, direi anche coraggiosamente, il disco si apre con una
versione molto particolare di "Vita spericolata" di Vasco Rossi in
cui tu non compari ma lasci la scena al maestro Vince Tempera che la esegue al
pianoforte. Un inizio suggestivo e direi spiazzante, quasi a mettere in guardia
l'ascoltatore che non si tratta del solito disco di semplici rifacimenti ... O
sbaglio?
In effetti è così, non è un
semplice disco di cover. C'è un filo conduttore e un significato preciso che
lega le canzoni. "Vita spericolata" è una delle canzoni simbolo dei
non valorizzati a Sanremo, non poteva mancare. Ho pensato anche di cantarla,
l'ho provata. Poi la notte mi ha portato consiglio e ho avuto l'idea di non
cantarla e di iniziare il disco così. Il tema portante del brano è bellissimo.
Quando mi è arrivato il disco a casa e ho iniziato l'ascolto mi sono venuti i
brividi. Una canzone storica.
Patrizia Cirulli - Foto di Valeria Bissacco
Vince Tempera, però, non è l'unico musicista con cui hai collaborato
nella realizzazione del disco. La terza traccia, ad esempio, che è "Il tuo
amore", canzone di Bruno Lauzi che nel lontanissimo 1965 a Sanremo fu
totalmente ignorata ed esclusa persino dalla finale, vede un magnifico Sergio
Cammariere duettare con te, mettendo a disposizione voce, pianoforte e
curandone anche gli arrangiamenti. Com'è nata l'idea di coinvolgerlo nel
progetto? Volevi forse un'atmosfera jazz? Come è avvenuta la collaborazione?
Sergio Cammariere è un artista
che amo molto e, in effetti, l'idea della sua presenza con le sue atmosfere
jazz era quello cui avevo pensato. Gli arrangiamenti sono stati curati da
Sergio e suonano nel brano i suoi storici musicisti, Amedeo Ariano e Luca
Bulgarelli. Sergio ha fatto un lavoro meraviglioso e le nostre voci si
alternano e si sfiorano come a creare un'onda.
Visto che abbiamo affrontato da subito il discorso collaborazioni
parlerei di Mario Venuti e la sua "Un altro posto al mondo", scritta
con Kaballà e da lui presentata a Sanremo nel 2016, insieme al suo gruppo
Arancia Sonora. Com'è stata cantarla con l'autore stesso? E' stato come ridare
il giusto valore a una canzone, per certi versi, così poco sanremese?
Si tratta di una canzone
bellissima a mio avviso, molto evocativa, capace di portarti altrove. Un brano
che ho sempre amato. Ingiusto non averlo ammesso alla serata finale. Ho sempre
avuto grande stima per Venuti e per Kaballà che, come hai ricordato tu, è
l'autore del brano insieme a Mario. È stato un dono poter interpretare il brano
insieme al suo autore, Mario è stato generoso.
Patrizia Cirulli - Foto di Ottavio Tonti
Uno dei pregi maggiori di questo tuo progetto, credo sia stato quello
di far riscoprire all'ascoltatore alcune canzoni che davvero erano state
ignorate o scartate dalla giuria sanremese, magari ricevendo solo il premio
della critica, penso ad esempio a "Colpevole" cantata da un Arigliano
già ottantunenne nel 2005. Personalmente trovo meravigliosa la tua versione
voce e chitarra e, ancora una volta, emerge il tuo amore verso il jazz o
sbaglio?
Non sbagli, è così!! È un amore
che esiste ... Quando ho deciso di realizzare questo disco, uno dei brani che
volevo assolutamente fare era proprio "Colpevole". Un brano che mi è
sempre piaciuto tantissimo, la canto con il sorriso. Ricordo con emozione e
divertimento l'esibizione di Arigliano al Festival. Mi piace molto l'atmosfera
e l'ambientazione del brano originale e sono molto contenta della nuova veste
sonora che vede Massimo Germini alla chitarra, con arrangiamento di Lele
Battista.
Senza per forza passare in rassegna tutte le canzoni, che sono davvero
una più bella dell'altra nelle tue versioni, ci sono però due canzoni
"Rosanna" di Nino Buonocore e "Lei verrà" di Pino Mango
che, per la particolarità delle voci dei due cantanti tu, con la tua voce scura
e calda, hai saputo valorizzare con straordinaria bravura, tanto da farmele
quasi preferire alle versioni originali. Affrontarle è stata per te quasi una
sfida? Un voler dimostrare di potercela fare anche nei confronti di voci così
lontane dalla tua? Se si, direi che ci sei pienamente riuscita ...
Intanto grazie Fabio per le tue
parole e le tue impressioni!!! Per quando riguarda "Rosanna", mi sono
trovata subito a mio agio nel cantarla e mi è piaciuto tantissimo!! Poi Joe
Damiani ha realizzato un arrangiamento molto fresco e delicato. Per quanto
riguarda "Lei verrà", avevo delle resistenze inizialmente e avevo
anche pensato di non farla in quanto la vocalità di Pino è particolarissima e
questo brano viene colorato dalla sua voce in modo unico. In un secondo
momento, ho provato a rapportami a questo brano in modo semplice e diretto e ho
provato a farlo a modo mio. È diventata, ovviamente, una cosa molto diversa.
Sono molto contenta per la realizzazione di entrambi i brani.
Patrizia Cirulli - Foto di Valeria Bissacco
So che in questi giorni di Festival, avrai modo di presentare il disco
proprio a Sanremo, per la precisione nella sede del Club Tenco, spero
seguiranno altre occasioni live ... con che formazione porterai in giro il
disco? A proposito di Club Tenco, il tuo disco non credi faccia da trait
d'union tra questi due mondi spesso distanti fra loro, che aiuti in un certo
senso il dialogo e l'abbattimento di certi confini?
Si, mercoledì 7 febbraio ci sarà
una presentazione del disco nella sede del Club Tenco e sarò a Sanremo tutta la
settimana per altre presentazioni. Il disco lo presentiamo in acustico,
chitarra e voce. Questo disco credo che possa essere motivo di unione fra i due
mondi, sono d'accordo con te. Il brano dei Tazenda, "Pitzinnos in sa
gherra", porta la firma anche di Fabrizio De André, ad esempio. Poi ci
sono brani di Lauzi, Tenco insieme ad altri autori considerati più
"pop" (che non è una brutta parola!). La bellezza è bellezza e riesce
ad andare oltre ogni confine e pregiudizio.
Concordo molto con questa tua ultima affermazione. Vorrei chiudere, se
fossi d'accordo, con una domanda proiettata verso il futuro. Dopo questo
progetto, che ti vede ancora una volta in veste di interprete, hai
definitivamente abbandonato la via del cantautorato puro o queste barriere in
realtà non esistono e quindi, chissà?
In realtà, nel disco precedente,
"Mille baci", ho composto tutte le musiche, oltre ad interpretare
tutti i brani. Mi sono aperta anche ad altro, non ho l'esigenza di fare per
forza solo cose scritte interamente da me. Mi sono divertita moltissimo con
questo ultimo disco e non escludo di fare altro come interprete. Mi piace fare
ciò che mi appassiona. Il prossimo disco potrebbe essere composto da brani
scritti da me e mi piacerebbe molto (ho brani nel cassetto che attendono...), anche
se fra i miei progetti c'è anche un'altra idea che vorrei realizzare in veste
di compositrice.
Quest'ultima mia domanda era, in effetti, una provocazione, perché in
realtà so benissimo che tu non hai mai abbandonato l'attività creativa in senso
stretto, per fortuna nostra. Solo una curiosità, per congedarci, hai già in
programma qualche data dal vivo oltre alla settimana sanremese?
Grazie Fabio!! Il 24 marzo alla
Casa delle Arti - Spazio Alda Merini, a Milano, altre date in via di
definizione ... Ora affrontiamo la settimana sanremese!!!
Sono passati ben sei anni dal disco “Tra il tempo e la distanza” (2011 –
Alfa Music) con cui la giovane pianista e compositrice di formazione classica
Roberta Di Mario, esordì nel mondo della canzone d’autore. Ad ottobre del 2017
è tornata sulle scene con un nuovissimo progetto dal titolo “Illegacy” (2017 –
Warner Music), dieci brani strumentali da lei composti e dal forte impatto
cinematografico.
Cover di "Illegacy"
La copertina di un disco è sempre, secondo me, il biglietto da visita
con cui l'artista presenta un proprio lavoro. Sono rimasto subito incuriosito
dalla foto che ti ritrae in abito lungo, ripresa dal basso, tra grossi massi di
pietra sovrapposti e con una scultura, un viso spezzato in due, su un
piedistallo. Dov'è stata scatta? Ho letto nel libretto essere opera di Matteo
Zamboni cui dedichi anche il disco in "amorevole memoria", mi parli
di come è nata e del vostro rapporto?
Grazie Fabio! La cover di questo
album è davvero potente ed è stata scattata nell’anfiteatro dell’Anima di
Cervere (Cuneo), in occasione del mio opening act a Dario Vergassola e in
occasione del videoclip “Indefinitely”. Matteo Zamboni è il fotografo che ha
scattato questa foto magica ed è mancato lo scorso agosto a seguito di un
incidente stradale. Aveva 21 anni e tantissimo talento. Questo disco e questa copertina ha tatuato
per sempre Matteo! ❤
Senza dubbio, ma potente, evocativo e, allo stesso tempo, creativo, lo
è anche il titolo "Illegacy". La mia, purtroppo, scarsa dimestichezza
con l'inglese mi ha condotto a ricercarne il significato ma, sorprendentemente,
il vocabolo in realtà non esiste, ho quindi pensato tu abbia voluto riunire due
altri vocaboli, ossia “illegal” e “legacy”, dico una fesseria? Quindi una certa
illegalità nella natura della tua musica e un senso di ereditarietà dal tuo
passato, immagino, ipotesi azzardate?
Roberta Di Mario
Giustissimo! “Illegacy” è
l’unione di “Illegal”, inteso come musica illegale, cioè musica che mi ha
rubato il cuore nel momento in cui l’ho scritta e ogni volta che metto le mani
al piano per suonarla e “Legacy” inteso come eredità, radici, ovvero il mio
viaggio di ritorno verso casa, le mie radici, il pianoforte. È da lì che arrivo.
Parli di musica che ti ha rubato il cuore ma è soprattutto musica che
ruba il cuore all'ascoltatore o, almeno, al sottoscritto, a partire dalla prima
traccia "Illegal song", una sorta di grimaldello per aprire un varco
nell'interlocutore, non credi?
Se anche un solo ascoltatore
prova lo stesso turbamento che mi ha attraversato quando ho scritto “Illegacy”,
allora, comunque vada, ho vinto. Amo molto “Illegal Song” e mi è sembrato il
giusto preludio a tutto il resto!
Io ti ho conosciuta attraverso il tuo primo lavoro discografico
"Tra il tempo e la distanza", un disco che mi aveva ben colpito da
subito e in cui eri anche autrice di parte dei testi. Cosa ha voluto dire per
te non avere più questo onere della parola? Forse una maggiore libertà espressiva?
Avevo voglia di ritornare alle
mie radici e lasciare parlare soltanto la musica in modo ancora più potente ed
evocativo. Senz’altro il limite della lingua incasella un po’ la creatività!
Lasciando spazio solo alla musica si abbattono tutti i confini e si aprono
infiniti scenari!
Roberta Di Mario
Il concetto di ritorno alle tue radici lo hai espresso anche nel
libretto del disco quando dici "Se la felicità non è una meta da
raggiungere, ma una casa a cui tornare, se felicità è tornare e non andare,
allora “Illegacy” è un po' di questa felicità". Ad opera compiuta quanto
ti senti felice? Questo sentimento di felicità è un po’ quello che sembra
emergere dal brano "Epilogue" che chiude l'intero lavoro, in cui
sembri essere al sicuro dentro casa tua, la pioggia fuori e lo sguardo aperto
verso il fuori, verso il futuro?
Mi sento completamente a casa,
centrata, sicura, quasi in pace. Scrivo quasi perché c’è sempre un margine di
tensione ed irrequietezza che mi rende verso il nuovo, verso altro, ma quando
hai le radici ben piantate allontanarsi e, a volte perdersi, è catartico e di
grande crescita!
Mi dici come nascono i titoli dei tuoi brani strumentali? Nasce prima
la musica o, viceversa, è dal tema scelto che trai ispirazione per la musica?
"Duende", dal punto di vista letterario, è il titolo che più mi
affascina, me ne parli?
Non c’è una regola né per la
nascita di un brano né per i titoli. Le mani scorrono, chiudo gli occhi e
qualcosa arriva. A volte parto da un immagine che un titolo può dare, a volte
davvero da pura ispirazione. “Duende” è tra i brani che amo di più, per
potenza, per magia, per emozione. Si ispira ai ritmi bulgari di Bela Bartok dal
punto di vista musicale, ma il “Duende” è parola e significato rubato
all’universo spagnolo e, soprattutto, all’universo artistico. È qualcosa che non
si spiega a parole, un’energia, una forza che arriva dal profondo e che ti
rende e rende la performance artistica speciale. Puoi avere stile, ma se non
hai il “Duende” non fai la differenza …
Per promuovere il progetto e i singoli brani del tuo nuovo disco, hai
scelto di far nascere da questi dieci brani altrettanti videoclip, è una scelta
che vuol anche sottolineare un’intrinseca cinematograficità delle tue creazioni
musicali?
Si, “Illegacy” è un progetto non
solo musicale, ma visual, 10 songs accompagnate da 10 videoclips (7 già in
rete) per proiettare l’ascoltatore in un mondo di bianco nero e colore
tipicamente cinematografico! Sembra che la mia musica evochi immagini, così lo
abbiamo concretizzato nel concept dei videoclip.
Il tuo futuro? Forse è presto per pensarci ma credi sarà ancora
all'insegna della sola musica o ci sarà anche un ritorno alla parola?
Il mio futuro spero sia ricco di
concerti e di soundtrack per il buon cinema italiano e non. Mai dire mai per la
parola che ritorna in musica. Per ora l’ho chiusa in un cassetto, ma il
cassetto resta socchiuso.