di Fabio Antonelli
Sono passati ben sei anni dal disco “Tra il tempo e la distanza” (2011 –
Alfa Music) con cui la giovane pianista e compositrice di formazione classica
Roberta Di Mario, esordì nel mondo della canzone d’autore. Ad ottobre del 2017
è tornata sulle scene con un nuovissimo progetto dal titolo “Illegacy” (2017 –
Warner Music), dieci brani strumentali da lei composti e dal forte impatto
cinematografico.
Cover di "Illegacy" |
La copertina di un disco è sempre, secondo me, il biglietto da visita
con cui l'artista presenta un proprio lavoro. Sono rimasto subito incuriosito
dalla foto che ti ritrae in abito lungo, ripresa dal basso, tra grossi massi di
pietra sovrapposti e con una scultura, un viso spezzato in due, su un
piedistallo. Dov'è stata scatta? Ho letto nel libretto essere opera di Matteo
Zamboni cui dedichi anche il disco in "amorevole memoria", mi parli
di come è nata e del vostro rapporto?
Grazie Fabio! La cover di questo
album è davvero potente ed è stata scattata nell’anfiteatro dell’Anima di
Cervere (Cuneo), in occasione del mio opening act a Dario Vergassola e in
occasione del videoclip “Indefinitely”. Matteo Zamboni è il fotografo che ha
scattato questa foto magica ed è mancato lo scorso agosto a seguito di un
incidente stradale. Aveva 21 anni e tantissimo talento. Questo disco e questa copertina ha tatuato
per sempre Matteo! ❤
Senza dubbio, ma potente, evocativo e, allo stesso tempo, creativo, lo
è anche il titolo "Illegacy". La mia, purtroppo, scarsa dimestichezza
con l'inglese mi ha condotto a ricercarne il significato ma, sorprendentemente,
il vocabolo in realtà non esiste, ho quindi pensato tu abbia voluto riunire due
altri vocaboli, ossia “illegal” e “legacy”, dico una fesseria? Quindi una certa
illegalità nella natura della tua musica e un senso di ereditarietà dal tuo
passato, immagino, ipotesi azzardate?
Roberta Di Mario |
Giustissimo! “Illegacy” è
l’unione di “Illegal”, inteso come musica illegale, cioè musica che mi ha
rubato il cuore nel momento in cui l’ho scritta e ogni volta che metto le mani
al piano per suonarla e “Legacy” inteso come eredità, radici, ovvero il mio
viaggio di ritorno verso casa, le mie radici, il pianoforte. È da lì che arrivo.
Parli di musica che ti ha rubato il cuore ma è soprattutto musica che
ruba il cuore all'ascoltatore o, almeno, al sottoscritto, a partire dalla prima
traccia "Illegal song", una sorta di grimaldello per aprire un varco
nell'interlocutore, non credi?
Se anche un solo ascoltatore
prova lo stesso turbamento che mi ha attraversato quando ho scritto “Illegacy”,
allora, comunque vada, ho vinto. Amo molto “Illegal Song” e mi è sembrato il
giusto preludio a tutto il resto!
Io ti ho conosciuta attraverso il tuo primo lavoro discografico
"Tra il tempo e la distanza", un disco che mi aveva ben colpito da
subito e in cui eri anche autrice di parte dei testi. Cosa ha voluto dire per
te non avere più questo onere della parola? Forse una maggiore libertà espressiva?
Avevo voglia di ritornare alle
mie radici e lasciare parlare soltanto la musica in modo ancora più potente ed
evocativo. Senz’altro il limite della lingua incasella un po’ la creatività!
Lasciando spazio solo alla musica si abbattono tutti i confini e si aprono
infiniti scenari!
Roberta Di Mario |
Il concetto di ritorno alle tue radici lo hai espresso anche nel
libretto del disco quando dici "Se la felicità non è una meta da
raggiungere, ma una casa a cui tornare, se felicità è tornare e non andare,
allora “Illegacy” è un po' di questa felicità". Ad opera compiuta quanto
ti senti felice? Questo sentimento di felicità è un po’ quello che sembra
emergere dal brano "Epilogue" che chiude l'intero lavoro, in cui
sembri essere al sicuro dentro casa tua, la pioggia fuori e lo sguardo aperto
verso il fuori, verso il futuro?
Mi sento completamente a casa,
centrata, sicura, quasi in pace. Scrivo quasi perché c’è sempre un margine di
tensione ed irrequietezza che mi rende verso il nuovo, verso altro, ma quando
hai le radici ben piantate allontanarsi e, a volte perdersi, è catartico e di
grande crescita!
Mi dici come nascono i titoli dei tuoi brani strumentali? Nasce prima
la musica o, viceversa, è dal tema scelto che trai ispirazione per la musica?
"Duende", dal punto di vista letterario, è il titolo che più mi
affascina, me ne parli?
Non c’è una regola né per la
nascita di un brano né per i titoli. Le mani scorrono, chiudo gli occhi e
qualcosa arriva. A volte parto da un immagine che un titolo può dare, a volte
davvero da pura ispirazione. “Duende” è tra i brani che amo di più, per
potenza, per magia, per emozione. Si ispira ai ritmi bulgari di Bela Bartok dal
punto di vista musicale, ma il “Duende” è parola e significato rubato
all’universo spagnolo e, soprattutto, all’universo artistico. È qualcosa che non
si spiega a parole, un’energia, una forza che arriva dal profondo e che ti
rende e rende la performance artistica speciale. Puoi avere stile, ma se non
hai il “Duende” non fai la differenza …
Per promuovere il progetto e i singoli brani del tuo nuovo disco, hai
scelto di far nascere da questi dieci brani altrettanti videoclip, è una scelta
che vuol anche sottolineare un’intrinseca cinematograficità delle tue creazioni
musicali?
Si, “Illegacy” è un progetto non
solo musicale, ma visual, 10 songs accompagnate da 10 videoclips (7 già in
rete) per proiettare l’ascoltatore in un mondo di bianco nero e colore
tipicamente cinematografico! Sembra che la mia musica evochi immagini, così lo
abbiamo concretizzato nel concept dei videoclip.
Il tuo futuro? Forse è presto per pensarci ma credi sarà ancora
all'insegna della sola musica o ci sarà anche un ritorno alla parola?
Il mio futuro spero sia ricco di
concerti e di soundtrack per il buon cinema italiano e non. Mai dire mai per la
parola che ritorna in musica. Per ora l’ho chiusa in un cassetto, ma il
cassetto resta socchiuso.
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