mercoledì, dicembre 04, 2019

Francesco Giunta: un tipo troppu very well


di Fabio Antonelli

Curiosando tra le pagine di Facebook, mi imbatto in quella dell’amico musicista palermitano Francesco Giunta e sono subito attratto da un post in cui campeggia la bellissima copertina disegnata di “Troppu very well”, il suo nuovo disco registrato dal vivo al Teatro Jolly di Palermo il 17 settembre del 2017, incuriosito gli scrivo in privato chiedendone una copia da ascoltare e da lì nasce un intenso scambio di “lettere” digitali che voglio rendere pubblico. Prendetevi tempo, magari accompagnati da un bel bicchiere di Nero d’Avola e vedrete che ne varrà la pena.

Cover CD "Troppu very well"


Ieri pomeriggio m'è arrivato il tuo disco che subito ho messo nel lettore, purtroppo in auto, purtroppo senza poter ascoltare con la dovuta attenzione, ma l'impressione che ne ho ricevuto è quella di un divertimento intelligente, che tra origine dalla forte passione per il proprio dialetto, per le parole, per il loro significato anche se, purtroppo, il più delle volte il significato mi sfuggiva, però era come se ne cogliessi lo spirito, l'intenzione ... lo ascolterò ancora e ancora e poi ti farò le domande. Ti ho scritto in privato però è un pensiero che renderei pubblico senza alcun problema. Con profonda ammirazione. Aggiungo solo una cosa per il momento, la copertina del disco è una meraviglia, viene voglia di ascoltarlo anche se non sapessi nulla dell'autore e del possibile contenuto. A presto con le domande, spero, sono sempre incasinato...

Non so se conoscevi già Marco De Angelis, il disegnatore che ha realizzato le tavole. È una persona meravigliosa che ho conosciuto solo un paio d'anni fa. Per il tramite di Edoardo De Angelis (non sono parenti ma amici) si è innamorato del nostro progetto è ci ha fatto dono del suo intervento! A volte nella musica ci sono cose che vanno al di là. Ancora un saluto.


Prime due pagine interne del libretto


Hai citato Edoardo De Angelis, non credo sia necessario presentarlo, però so che senza di lui probabilmente questo disco non sarebbe neppure nato, come vi siete conosciuti e come hai fatto a far innamorare Edoardo con l'uso di un dialetto non certo tra i più semplici per i non palermitani, anche se forse un po' lo so, perché lo stesso effetto lo ha avuto su di me...

No, senza la determinazione e la convinzione di Edoardo non sarebbe nato. Probabilmente le ragioni che hanno reso necessario un intervento deciso di Edoardo sono diverse, tra queste anche i miei timori nell'affrontare in modo pubblico e massiccio un registro impegnativo come quello "umoristico", solo apparentemente ...leggero! Questa è una storia che voglio raccontarti per bene, insieme al come ci siamo conosciuti e come siamo rimasti vicini e in contatto in un rapporto che l'estate prossima segnerà il 40° anniversario. Ma per farlo per bene è meglio che riprenda domani, dopo aver riposato perché oggi è stata una giornata molto impegnativa. Mi fa piacere leggere dell'effetto che il nostro dialetto ha su di te perché anch'io sono frequentemente affascinato dal suono di altri dialetti. In altre parole tutto questo dimostra, allora, che possiamo essere accomunatati da uno stesso sentire pur vivendo un diverso parlare. Per adesso ti auguro una notte serena e a domani!

Il seguito?

IL MIO INCONTRO CON EDOARDO (PARTE 1)
Il mio primo incontro con Edoardo risale all’estate del 1980 e, in effetti e per mio tramite comunque, non fu subito del “dialetto” che si innamorò ma di Palermo.
In quell'estate io, poco meno che trentenne insieme ad altri …tre giovani come me, partecipavo alla “gara degli emergenti” della manifestazione musicale “Cantamare Musica in onda” che si svolgeva sul palco di una affollatissima e caldissima arena di Mondello, borgata balneare per eccellenza e antonomasia di Palermo!
Noi aspiranti alla conquista del “Trofeo Fonit Cetra” e dell’annesso provino discografico, agguerritissimi e se non ricordo male palermitani tutti e quattro, nell'arco di una ventina di minuti scarsi facevano da apripista ad una kermesse musicale che sarebbe durata per altre tre ore alternando sulla scena gli artisti più affermati e più in voga del momento, presentati dall'allora lanciatissimo Pier Maria Bologna.
Dei divi con i quali …ho condiviso il palco quella sera ricordo solo Drupi, Edoardo Vianello, Sterling Saint Jacques e Edoardo De Angelis che per me (a quel tempo) non era ancora “divo”, nel senso che ero assolutamente convinto si trattasse di un “nuovo cantautore”. In pratica non sapevo di Lella, di De Gregori, né della Schola Cantorum, né di tant’altro. Non sapevo che di musica e di musica ad ottimi livelli si occupava già da anni. Per me era comparso solo qualche mese prima a Discoring, con una canzone strepitosa di cui mi ero innamorato al primo ascolto: Una storia americana! Che meraviglia quel suo album Anche meglio di Garibaldi.
L’avevo intravisto dietro le quinte (non dicevamo ancora backstage) prima di salire sul palco per la mia esibizione da emergente e mi ero ripromesso di avvicinarlo per fargli i complimenti e salutarlo. D'altronde, mi sarò detto, “seppure già al primo disco, è un emergente anche lui”!
Come d’intesa con l’organizzazione, fornì il mio piccolo contributo all'avvio della lunga serata cantando una mia canzone in lingua (il canto in dialetto già da alcuni anni era copioso ma ancora intimo o strettamente riservato a contesti amicali). Cantai Lo spogliarello di Maria il cui distico di apertura diceva “Nessuno si preoccupò quando Maria / gridava di spogliarsi sulla piazza”. Sia questo incipit che lo svolgimento del tema tradivano con evidenza l’artista che io quasi certamente consideravo mio Maestro e modello ma, a onor del vero, anche per i miei “colleghi emergenti” si poteva fare identica riflessione.
Ringraziai e raccolsi l’applauso del pubblico per uscire dalla scena dell’arena Odeon di Mondello, ignaro del fatto che sulla scena della mia vita stava per fare il suo ingresso una persona straordinaria, che in molte scelte della mia vita avrebbe avuto un ruolo determinante. In cima a tutte, il mio rapporto con la musica.


Giuseppe Greco, Francesco Giunta


Ora mi hai davvero incuriosito, non puoi lasciarmi con il racconto sospeso a metà…

IL MIO INCONTRO CON EDOARDO (PARTE 2)
Dietro le quinte, organizzate alla meno peggio, trovai Edoardo seduto a un tavolino da bar. Mi avvicinai, chiesi “Posso?” e lui fu subito molto cortese. Gli domandai come avesse cominciato a fare quel “mestiere strano”, tradendo nella formulazione del quesito la mia erronea convinzione che fosse agli inizi di quella carriera. Sorrise divertito. Pensai che avesse trovato ingenua la mia domanda e invece non se l’ebbe a male e mi spiego subito che a farlo sorridere era stata l’idea che in quel “mestiere” ci fosse da poco: in realtà, aggiunse, che in quel mestiere gli era successo già a sufficienza da poter cominciare ad averne abbastanza.
In effetti, dopo tante cose di cui saprò meglio più avanti, si trovava all'inizio di una nuova e ulteriore fase che si apriva proprio con quella “storia americana” e con quel disco.
Parlammo a lungo di tante cose ma mi colpì che, dopo le mie primissime battute, mi disse “sei dell’Ariete, vero?”. Ed era vero. Il discorso arrivò inesorabilmente a “Conosci Palermo?”. A dire il vero, non so quali e quante altre “cittadinanze” vengono vissute con lo stesso bisogno di “condivisione” che avvertiamo noi palermitani. È come se avessimo la convinzione che questa nostra Città possa essere o diventare, prima o poi, la città di tutti coloro che passano da qui: basta fargliela vedere!
C’era stato pochissime volte e sempre di passaggio: aeroporto, albergo, teatro e dopo il teatro ancora albergo, aeroporto. Non aveva avuto interesse a vedere altro. La “primavera di Palermo” (per quanto alla fine breve e senza estate!) era ancora da venire: come dargli torto? Nonostante ciò, come fanno spesso i palermitani, gli proposi “se alla fine non hai impegni, te la faccio conoscere.”
La kermesse andò avanti fino ad esaurire a tarda ora tutti i divi della musica leggera a disposizione: io ricordo solo Sereno è (di Drupi, ovviamente) e le due “storie americane” di Edoardo: quella ormai famosa dei banditi degli States e l’altra di un bandito (anche lui “poco cattivo”) più che altro ribelle sudamericano: Ramirez!
Ultimo atto di quella lunghissima serata, l’assegnazione del “Trofeo Fonit Cetra”, gara ed evento di cui il pubblico s’era verosimilmente dimenticato! Lo vinsi io quel primo premio (provino compreso!) tant'è che tengo il “Trofeo” in bella evidenza nella stanza dove lavoro e non certo per farne mostra ma perché mi sia da monito. Ancora oggi!
Lo spettacolo era finito tardissimo ed Edoardo non era libero del tutto. Nonostante ciò si liberò e accettò il mio invito: “voglio conoscere Palermo!”.
In quegli anni avevo una Fiat 126, sicuramente scomoda per un passeggero come Edoardo ma che si rivelò della misura esatta per il compito che le avevo assegnato quella notte: girare la città passando per le strade e le piazze principali ma inoltrandosi anche tra i vicoli stretti del centro storico, dove ancora tanto c’era da fare in quegli anni per risanare le ferite della guerra e del “sacco di Palermo” di cianciminiana criminale memoria.
Lo portai in giro a lungo, nelle piazze più appariscenti e nei vicoli più dimessi che stavano appena dietro, spuntando a sorpresa da un vicolo per passare a effetto davanti a un monumento o a quella meraviglia che è la Cattedrale. Raccontando di storie e di “palermitanità”.
Lo riaccompagnai in albergo a notte inoltrata, tant'è che la mattina dopo (aveva un volo prestissimo tipico di chi vuole scappare) faticai non poco per raggiungerlo ancora una volta e portargli una copia di L’anima è un blocco notes, mia opera prima in vinile. Prodotto e stampato alla bell’e meglio qualche mese prima, conteneva (contiene ancora) proprio Lo spogliarello di Maria con cui la sera prima pensavo di aver fatto un passo in avanti in quel “mestiere strano”.
Quella mattina ci scambiammo i numeri di telefono e si trattava di numeri fissi, numeri di casa. Eravamo così diventati amici. Lo stesso Edoardo racconterà in una sua autobiografia recente che quella notte rimase affascinato da Palermo risultando chiaro l’avviarsi di un rapporto che sarebbe durato nel tempo.
Lasciato Edoardo recuperai i giornali per vedere se qualcuno dei quotidiani cittadini riportava la notizia del “mio Trofeo”! C’era, in pochissime righe ma c’era ed era addirittura in due quotidiani diversi e con diverso tono. Uno la riportava come una cronaca e senza giudizi di merito. Nell'altro il giornalista dissentiva apertamente da quanto deciso dalla giuria al punto di dare al secondo classificato il diritto di considerarsi il vincitore morale della gara. Sosteneva che il mio “spogliarello” era troppo "deandreiano" per meritare attenzione. Ometteva ovviamente di scrivere che l’altro, quello che sarà stato suo amico, classificatosi al secondo posto era "gucciniano" dal primo al terzo e ultimo accordo! (…e che sia chiaro: io amo Guccini).
Tutto ciò però per me cominciava a non avere nessuna importanza. Ma non per presunzione o per sottovalutazione del giudizio degli altri: quella canzone, peraltro, è davvero scritta sui modelli del Maestro!
Non lo sapevo ancora ma quell'anno “tondo” (come canterebbe Amedeo) era un anno di passaggio e di svolta. Era il 1980, anno di un vinile con una “s” forse di troppo nel titolo, del Trofeo/provino Fonit Cetra e dell’incontro con Edoardo. Incontravo un “artefice” della canzone d’autore in italiano e allo stesso tempo cominciava a chiudersi la mia personalissima e, seppure misconosciuta, per me entusiasmante stagione di “scrittura in italiano”!
Quella esperienza durata oltre dieci anni avrebbe lasciato il posto alla scrittura in dialetto. Ci vorranno ancora diversi anni per arrivare a dei risultati “visibili” e il primo testimone e giudice, ancora una volta, sarà proprio Edoardo.


Giuseppe Greco, Francesco Giunta


Dunque sei partito dalla lingua italiana per approdare al dialetto sia con il penultimo lavoro Era nicu però mi ricordu, sia con il nuovo Troppu very well, perché questo percorso quasi a ritroso si potrebbe dire e perché, nel caso del tuo ultimo lavoro, la scelta di registrare un live, scelta secondo me azzeccatissima? Immagino che quest'ultima scelta sia nata dalla fucina De Angelis-Giunta o mi sbaglio?

Caro Fabio, devo chiederti ancora un po' di tempo per portare avanti questa nostra corrispondenza che diventa sempre più interessante. Sono giorni un po' complessi questi in vista del "recital di festa" di domani e devo stare dietro a un po' di cose. Da dopo domani riprendo a scrivere sul "nostro fronte". In una delle prossime fasi dovrò forse chiarire che prima dei due album in dialetto che citi tu ne ho pubblicato altri quattro (sempre in dialetto), tra il 1991 e il 1997, tutti di mia composizione. Sono quelli gli album in cui Edoardo incontra il dialetto e la cosa interessante (a parer mio) è che il percorso di avvicinamento al dialetto non riguarda solo Edoardo ma, per certi aspetti, coinvolgerà anche me! E questo è un aspetto non indifferente di tutto il nostro ragionare perché ha a che fare con la questione più generale delle tappe che hanno segnato la "riconquista" dello scrivere e del cantare in dialetto in tutta Italia.



DALL'ITALIANO AL DIALETTO (PARTE 1)
In presenza di una passione forte nessuna cosa riesce a essere più convincente della passione stessa: neanche la geografia! A quella età e con le esperienze fatte io avrei dovuto dare per assodato che nella musica a vincere può essere … proprio la geografia! Almeno dalle nostre parti.
Tutto potrebbe non avere a che fare con la scelta del dialetto. Ma non è così.
Già allora avrei dovuto pormi una domanda e …darmi una risposta: esiste la “scuola romana”, la “scuola genovese”, quella “milanese”, “napoletana”, “bolognese”, a suo modo anche la “catanese” e altre scuole minori. Come mai nella storia della canzone d’autore italiana non esiste una “scuola palermitana”? Com'è possibile che Palermo, quinta città d’Italia almeno per popolazione, non ne ha espresso una seppure “minore”? Domanda lecita perché con tutto l’affetto per personaggi amabili come Nico dei Gabbiani o Christian, o struggenti e indimenticabili come Giuni Russo, se si esclude Pippo Pollina che sin da subito ha scelto di vivere e crescere proprio in un altro paese, non si riesce a parlare neanche di semplici tracce di una “canzone d’autore palermitana”! E a poco vale dire che adesso col web si va manifestando qualcosa che somiglia a una scuola di questo tipo, perché è solo un dato anagrafico e non certo il “comune luogo cittadino”, agorà di condivisione e sperimentazione della musica. Perché le città sono evaporare nel web.
La mancata formazione di questa “nostra” scuola non è stata determinata dall'assenza di qualche tratto genetico necessario ma non presente nel DNA dei musicisti e degli autori panormiti. No e solo “L’ombroso” la penserebbe così!
In modo inesorabile, allora, nell’epoca dei telefoni ancora fissi e dei voli ancora “high cost”, fu la geografia ad aver la meglio sulla musica! Palermo, come tante altre periferie, pagò l’essere troppo lontana dalle grandi centrali di produzione musicale e culturale che generavano, laddove si trovavano e in modo assolutamente naturale, un indotto fertile sia per la sperimentazione che per il consumo di musica e cultura, creando e stimolando occasioni, palestre e, appunto, “scuole”!
Di tutto questo in ogni altrove arrivava l’eco e il riverbero, appena sufficienti per accendere le passioni.
In quegli anni avevo fatto riflessioni che somigliavano a queste, ma fu proprio l’incontro con Edoardo e il vincere il provino con la Fonit Cetra che mi convinsero che da “queste parti” non c’era nessun futuro né come allievo né, ancora meno, come M° di una neanche ipotizzabile scuola di “cantautori palermitani”!
Edoardo parlò sin dall'inizio con estrema chiarezza di quanto “complicato” fosse il mondo della musica, di come sorrisi e successo non fossero necessariamente esclusivo frutto e risultato del talento o delle doti artistiche di qualcuno.
Come sarà anche per altri artisti romani, fu il “Folk Studio” il suo punto di accesso a quel mondo. Da lì e già fino a quel 1980 aveva avuto in quel mondo diverse esperienze con diversi ruoli (cantautore, autore, interprete, produttore, solista, “componente”…), attraversandole tutte cercando di mantenere una posizione di difesa della propria indipendenza e della propria identità. Mi raccontò che aveva scelto di dedicarsi sin da subito alla “canzone d’autore”, magari senza troppa attenzione ai grandi numeri e alle classifiche di vendita. D'altronde, come è abbastanza evidente, i “grandi numeri” comportano che tutto sia necessariamente grande, anche i sacrifici, le rinunce, i compromessi.
Che sia chiaro: non mi disse “non entrarci e stanne lontano”, piuttosto “se ci entri, stai attento”. E, infatti, non fu tanto questo suo “mettermi in guardia” a suggerirmi di rinunciare a scrivere e cantare in italiano, perché la geografia …me le aveva date più forte!
Fu l’aver vinto il Trofeo/provino Fonit Cetra che mi porto a dire: “Basta!”.

Premio Fonit Cetra


Mi sembra di essere immerso in un libro di Sciascia, dove i particolari si aggiungono poco a poco, ora però voglio sapere cosa accadde dopo quel categorico "Basta!"

DALL'ITALIANO AL DIALETTO (PARTE 2)

Non andai a Roma alla Fonit Cetra per fare il provino. E perché mai avrei dovuto (scoprirò poi)?

Nei giorni successivi alla magica serata in cui una mia “creatura” (ebbene sì, la più “deandreiana” tra tutte) mi aveva fatto vincere il “Trofeo”, ero in costante e febbrile attesa per la partenza verso il provino!
Chissà come sarebbe stato trovarsi dentro un vero studio di registrazione, con quelle mega cuffie che fanno sembrare buffi e professionisti allo stesso tempo, chissà? mi domandavo.
D'altronde non mi era mai capitato di vincere un provino discografico!
L’ho già detto: i telefoni erano solo fissi in quel tempo. Non potevo aspettarmi un sms o un WhatsApp, né allora avrei mai immaginato che un giorno la posta sarebbe arrivata anche senza postino e a qualsiasi ora. Nonostante ignari di questa arretratezza, ricordo perfettamente di essere in attesa, in attesa di essere “contattato”, magari con una telefonata ad un apparecchio in bachelite nera!
L’apparecchio non squillò.  Guardavo il Trofeo che troneggiava nella mia stanza da una posizione simile all'attuale seppure in tre o quattro case fa e mi chiedevo: che faccio?  E alla fine mi decisi.
Tornai all'ufficio dove era cominciato tutto, una di quelle aziende pubbliche di un tempo che si occupavano di sport, cultura, spettacolo e turismo e trattava tali materie come se fossero un’unica sostanza.
Trovai uno dei funzionari che si era occupato della manifestazione e che avevo visto intrattenersi tra le quinte e con gli artisti della manifestazione. Si ricordava di me. Vagamente. Forse perché si era occupato più della logistica che della parte artistica, sperai. Quando gli ricordai che ero quello che aveva vinto, tagliò corto e mi disse qualcosa come “Bene… e quindi?”.
“Come … e quindi?!” avrò ripetuto dentro di me, stupendomi! “Ho vinto il provino alla Fonit Cetra e vorrei andarlo a fare…” avrò detto per certo. Quel funzionario, quasi certamente, non si era occupato neanche della logistica perché quando mi sentì nominare la parte più preziosa del premio che avevo vinto, quella cosa che mi stava facendo sognare, rimase perplesso. Si guardò intorno e fortunatamente trovò conforto in un suo collega. “Sì, è così: ha diritto a un provino alla Fonit Cetra”. Il primo annuì e tornò a parlare con me: “E allora vacci!”.
Io non so se in questo breve scambio si intravede il dramma che attraversò il mio ancora giovane e ingenuo animo di piccolo cantautore di periferia! Stavano parlando di una opportunità che avrebbe inumidito gli occhi di qualsiasi emergente come se fosse niente e ne parlava come se non avesse nessuna importanza!
E non aveva nessuna importanza. Mi fu chiarito che sarei dovuto andare e alloggiare a Roma a mie spese, che mi sarei potuto presentare negli uffici della Fonit Cetra dove, spiegando chi ero, mi avrebbero fatto registrare un mio brano chitarra e voce. Poi mi avrebbero fatto sapere. Mi sembrò qualcosa di squallido.
Me ne tornai a casa e quella sera chiamai il mio nuovo amico romano. Gli raccontai del mio stato d’animo e fu bello e confortevole parlare con lui. Mi disse qualcosa come “se ti va di farlo, fallo pure” e mi offrì il suo supporto logistico. “Tieni però in conto anche un eventuale esito negativo, perché se una tale eventualità ti trova impreparato può essere più dannoso del non farlo”.
Decisi di non andare e di rinunciare a quel provino.
Quando ormai avevo serenamente e consapevolmente deciso Edoardo aggiunse qualcosa che sapeva da prima e che volutamente aveva omesso fino a quel punto: “L’altra sera, in prima fila, c’era seduto il Direttore artistico della Fonit Cetra” e aggiunge il nome. “Se avesse avuto motivo o intenzione di proporti un contratto discografico, lo avrebbe fatto quella sera stessa”.
E allora nella musica non bastano i provini per battere la geografia, perché a volte i provini non provano nulla!
Tornando però al disco nuovo, volevo sapere se non ti è mai venuto in mente di inserire in libretto anche la traduzione in italiano dei testi o ritieni che avrebbero, non so come dire, perso valore per mancanza di sonorità e di assonanza?

Inizialmente avevamo previsto un testo esplicativo piuttosto che una vera e propria "traduzione" che, se non è impossibile, non è semplice. Abbiamo dovuto rinunciare perché sarebbe stato necessario un confezionamento più impegnativo. A brevissimo sarà online il sito di Musica del Sud e lì contiamo di risolvere la cosa.

In tal senso ho avuto modo di vedere qualche video live del tuo spettacolo e credo che farne un DVD sarebbe stato un gran bell'oggetto perché i movimenti del corpo, gli sguardi, il gesticolare sono come una chiave di accesso per chi non è siciliano come ad esempio il sottoscritto. Non ci avete mai pensato in fase di progettazione?

Anche quella del DVD fu una opzione in campo. Purtroppo i limiti del budget non ci hanno consentito riprese di alta qualità. Un altro limite imposto dalla esiguità del budget è che abbiamo fatto un disco live con una sola... replica.
Mi auguro di poter fare una serie di recital per pubblicare un DVD fatto come si deve.


Giuseppe Greco, Francesco Giunta, Edoardo De Angelis


Sarebbe davvero bello. Credo che di carne al fuoco se ne sia già messa tanta, anche se  ci sarebbe da dire anche della corposa introduzione di Roberto Sottile (Docente di Lingua Italiana dell'Università di Palermo), presente nel libretto del disco, che è già in sé una singolarità per un disco in dialetto, senza dimenticare che il 6 e 13 dicembre prossimo avrai due incontri con gli studenti dei due corsi di Lingua Italiana dell'Università di Palermo e che il 16 dicembre presenterai il disco all'Istituto Centrale per i Beni sonori e Audiovisivi (l'ex Discoteca di Stato) su iniziativa e con la partecipazione del Dipartimento di Antropologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Si potrebbe dire che è stato necessario il dialetto per entrare all'Università! Ma se sei d’accordo approfondiremo la questione a valle di queste esperienze …

Molto volentieri, a presto allora.




lunedì, novembre 25, 2019

Giangilberto Monti: maledetti francesi io vi amo!


di Fabio Antonelli

Ispirato all’omonimo successo editoriale del 2018, è appena uscito, su etichetta Freecom, il nuovo album di Giangilberto Monti, intitolato MALEDETTI FRANCESI, in cui lo chansonnier milanese è accompagnato dalla voce e dal pianoforte di Ottavia Marini. Si tratta di ben diciassette canzoni che riassumono il suo grande amore per la canzone impegnata d’oltralpe.


Vorrei cominciare dalla copertina che raffigura gli occhi degli artisti francesi che hai voluto racchiudere in quest’omaggio alla canzone impegnata d’oltralpe, hai scelto gli occhi perché specchio dell’anima?

In realtà la copertina è la stessa del mio libro omonino, pubblicato da Miraggi nel 2018, ma certo gli occhi sono un po’ il biglietto da visita di ognuno e in questa raccolta c’è davvero un secolo di storia della canzone francese, dal 1880 al 1980, anche se io in realtà mi sono concentrato soprattutto sul periodo che va dal dopoguerra in poi.

Il titolo Maledetti Francesi può essere letto facendo riferimento a quei poeti  francesi da sempre considerati maledetti, ma anche un “maledetti francesi che amo così da non riuscire a farne a meno”, giacché da sempre la tua musica ha girato intorno a questi artisti.

Beh, maledetti francesi perché da sempre Rimbaud, Baudelaire e Verlaine sono considerati i poeti maledetti, quelli da cui trassero poi ispirazione i vari artisti che sono presenti nel disco, uomini ma anche donne, perché spesso si pensa alla canzone francese al maschile ma vi sono  state molte voci femminili da Juliette Gréco ad Édith Piaf tanto per citarne un paio. Le figure femminili sono state così importanti che in questo disco ho voluto vi fosse una presenza femminile poi, certo, ci sta anche la tua accezione, perché il titolo è volutamente provocatorio. E’ vero la loro è stata una presenza fondamentale nella mia vita di chansonnier, anche se ciò non ha impedito che io scrivessi negli anni canzoni mie.

 
Ottavia Marini e Giangilberto Monti

A proposito di donne, in questo disco hai voluto con te Ottavia Marini, hai scelto lei perché già la conoscevi?

In realtà mi è stata presentata dall’attore Walter Tiraboschi, con cui aveva lavorato, e s’è rivelata una scelta molto azzeccata, pur provenendo dalla classica, è una grande pianista, con la sua voce, per altro un po’ fuori del comune, ha però dato un importantissimo contributo nei duetti. Non faccio più da anni il produttore, in tal senso direi che ho già dato, ma se dovessi segnalare una valida artista, farei volentieri il suo nome, per la grande sensibilità dimostrata nell’affrontare un mondo musicale non suo.

Dal punto di vista musicale si può definire questo disco il più francese tra i tuoi? Per l’impianto musicale su cui si fonda?

Sì, in un certo senso sì, perché piano, chitarra e le nostre due voci, registrate in presa diretta, con solo qualche passaggio ripreso in studio, hanno voluto dare quell’atmosfera che si percepiva a chi entrava in un locale parigino in quegli anni, è in tal senso vero, autentico.

Una cosa che mi ha colpito è l’alternanza italiano-francese nel cantato, senza discontinuità, tanto che, non so se per la bellezza poetica dei testi originari o la bellezza delle traduzioni, quasi non si capisce più quale sia il punto di partenza, se le canzoni siano nate in francese o in italiano.

La scelta di alternare francese e italiano è derivata dagli spettacoli dal vivo, dove questo espediente ha funzionato molto bene, in effetti, quello che dici è vero, perché c’è dietro un grandissimo lavoro nelle traduzioni, negli adattamenti dal francese all’italiano, nel cercare di rendere il senso di citazioni di doppi sensi, calembour, altrimenti sarebbero delle semplici cover e non è certo il mio intento.




Ho visto che molte traduzioni sono opera tua o sbaglio?

Lo sono tutte in realtà, qualcuna magari in collaborazione come Parigi Canaille firmata anche da Alessio Lega, oppure nel caso di Les amants d’un jour vi era già una traduzione, intitolata Albergo a ore, opera straordinaria dello stesso Herbert Pagani o di Le méteque di Moustaki che già era stato tradotto e cantato come Lo Straniero da Bruno Lauzi o Le Gorille di Brassens già tradotto e interpretato da De Andrè.

Il disco è nato da un lavoro di coppia, questa collaborazione tra te e Ottavia Marini e quindi sarà portato in giro in coppia?

Sì, certamente, non avrebbe senso fare diversamente, per altro si è già fatto perché in realtà lo spettacolo è venuto prima del disco la cui registrazione è stata voluta da Jean-Luc Stote, che ne ha curato le immagini da cui è nata anche Paris Canaille, una mostra dal 13 novembre a Milano nei locali dell’Institut Français.

Nel sito di Miraggi Edizioni, l’editore scrivendo di Maledetti Francesi fa riferimento a un mondo che “ha portato un messaggio vitale, anarcoide, canagliesco, che forse non esiste più”, ma davvero questo mondo poetico musicale appartiene a un passato che non c’è più o, invece, può ancora dirci molto.

No, credo che quel mondo, che aveva connotati così diversi dai giorni nostri abbia però ancora molto da dirci, in termini d’ideali e di umanità se mi guardo intorno, se ascolto tanti colleghi cantautori non a caso, ritrovo tanti riferimenti a quel mondo.




C’è, tra tutte le canzoni che hai scelto di inserire in questo disco, una cui non riusciresti a rinunciare?

Beh, una domanda difficile, direi due allora, la prima Allo Chat Noir che è in realtà Le Chat Noir di Aristide Bruant, uno chansonnier che a differenza degli altri non si limitava a eseguire canti tradizionali, ma che scriveva testi e musiche e che nel 1881 fece nascere, in un colpo solo, cabaret e canzone d’autore, la seconda Parigi Canaille per quell’atmosfera così scanzonata e perché ci presenta un Leo Ferré inusitatamente ironico o, forse per meglio dire, sarcastico.

martedì, novembre 19, 2019

Pierangelo Bertoli – Visto da vicino (dal cassetto dei ricordi)


Se Pierangelo fosse stato ancora in vita avrei avuto tante domande da porgli. In passato ebbi anche più di un’occasione di conoscerlo personalmente, a latere di qualcuno dei suoi sempre gremiti concerti, ma non so perché non ebbi mai il coraggio di farmi avanti, di stringergli la mano, di abbracciarlo e magari semplicemente complimentarmi con lui.
A questo punto rimediare non è più ovviamente cosa possibile, ho pensato allora di contattare il figlio Alberto e la moglie Bruna e anziché far loro un’intervista tradizionale sul compianto Pierangelo, di utilizzare invece le parole stesse di Pierangelo, quelle delle sue canzoni, magari proprio pescando dalle meno note, come spunti da cui poter lasciar emergere a loro discrezione ciò che è pubblico e ciò che è privato, Pierangelo artista e Pierangelo uomo, ecc.
In realtà loro hanno poi preferito muoversi ancor più liberamente, ma ne è ugualmente emerso un duplice, bellissimo, genuino ed intimo ricordo di Pierangelo. Non posso quindi che ringraziare entrambi per la loro cordialissima disponibilità.
1 settembre 2008



Ma sono fatto così 
e non ci posso far niente 
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente,
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
(Così – Frammenti 1983)

Così decisa tu venivi
per parlarmi allora per la prima volta
non sembravi imbarazzata forse appena un po’
con poche frasi semplici
mi hai invitato a cena da te
sono stato fortunato quando hai scelto me.
(A Bruna – Frammenti 1983)

Se dovessi reiventarti ti farei dal vero
…fino a quando lo vorrai ti vorrò vicino a me
e l'inverno sarà caldo anche a te
(Dal vero – Oracoli 1990)

Spero soltanto di stare tra gli uomini
che l'ignoranza non la spunterà
che smetteremo di essere complici
che cambieremo chi deciderà
(Italia d’oro – Italia d’oro 1992)

Nel 2000 non si troverà opposizione
Nel 2000 avremo una unica opinione
Nel 2000 le risate saran solo programmate e generali
Con il giusto sovrapprezzo passeranno perversioni personali
(Nel 2000 – Dalla finestra 1984)


Mio padre si nutriva soltanto di giornali e di televisione,
così, per quanto ho detto, non sono mai riuscito a toccargli la ragione.
Mi ha dato del bugiardo, poi duro mi ha guardato, e quasi mi ha picchiato,
e poi, per non sentire nemmeno una parola, l'esercito ha chiamato.
(1967 – Il centro del fiume 1977)


Prega prega Crest perché an te faga piò pener
Giost sal t'impedes ed continuer a ragiuner.
(Prega Crest – Eppure soffia)


I poeti sono il sole che riscalda le speranze
della gente disperata che si nutre di bestemmie
i poeti sono il mare che circonda tutto quanto
ma hanno la pelle troppo chiara e non fanno più di un tanto.
(I poeti – Certi momenti 1980)


E più ci penso più mi sento male
Nemmeno ci si sogna di cambiare
Future abilità, speranze umane
Riuscire a galleggiare sul letame
(Mio figlio – Sedia elettrica 1989)


E non so se avrò gli amici a farmi il coro
o se avrò soltanto volti sconosciuti
canterò le mie canzoni a tutti loro
e alla fine della strada
potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
(A muso duro – A muso duro 1979)







Spesso le persone usano le parole come fossero ornamenti, bijou per abbellire ed apparire.
Ci si dimentica che dietro ad ogni parola c’è una storia, un vissuto concreto nel percorso della vita e che il vocabolo, altro non è che la sintesi di un concetto profondo legato alla realtà quotidiana della vita di ognuno di noi.
Purtroppo, accade di frequente che individui con scarso senso della dignità e dell’etica, furbescamente, si attribuiscano proprietà poetiche che in realtà non hanno, sfruttando il lato più superficiale ed estetico della scrittura, per trarne privilegi e vivere parassiticamente.
Angelo amava parlare. Parlava a lungo, entrando nei minimi particolari, andando a ritroso nel tempo in modo da formare delle mappe: una sorte di genesi sull’argomento in questione che gli permetteva contemporaneamente di chiarirsi lui stesso sui concetti importanti che, successivamente, sarebbero entrati anche nei testi delle sue canzoni.
Il suo parlare era vero, autentico, semplice, concreto sempre legato ai fatti della vita nella sua interezza: cuore, intelletto, onestà, oggettività e forza!!! Tutto questo impegno appariva un tantino “serioso”, e spesso disturbava l’interlocutore amico che, volente o nolente, si trovava forzato a riflettere, a fare autocritica, a pensare, un esercizio quest’ultimo, oltre che faticoso assai noioso. Così, quando alla fine della giornata, ci si ritrovava da soli, con una nota di tristezza, mi prendeva una mano tra le sue, grandi e calde, e stringendola mi guardava con quello sguardo profondo che veniva da lontano nel tempo della vita e mi sussurrava: amore mio, sono stato fortunato, ti amo. Ed io gli rispondevo: “Io lo sono stata di più, +1, ho vinto! Non devi essere triste, scrivi queste sensazioni, questi pensieri, queste sono le vere poesie e tu le devi scrivere”.
Così nascono alcune canzoni come: Così, I poeti, A bruna, Dal Vero, A muso duro.

Bruna Pattacini (moglie di Pierangelo)




 

Rileggendo le parole di mio padre, non posso fare altro che pensare ad una frase che mi è stata detta da Luca Bonaffini, un suo coautore quest’estate dopo un concerto tenuto insieme in provincia di Roma “ho incontrato e conosciuto tanta gente, e tutti quanti hanno qualcosa che li fa assomigliare, chi più e chi meno, a qualcun altro, tuo padre no, tuo padre era un alieno!!!”. Fa sorridere che proprio in un’intervista di 15 anni prima, si può vedere una foto con noi famiglia vicino ad una lavagna dove mia madre aveva scritto una frase che secondo lei lo rappresentava “ben tornato Juppiter” (la foto è ancora oggi presente sul web).
Se leggiamo anche solo il teso di canzoni come Nel 2000 o Italia d’oro e Mio figlio non possiamo che rimanere a bocca aperta: è di qualche mese la notizia che hanno mossi i militari contro la mafia, ma come recita l’ultima canzone che ho citato “... al massimo si sentono belati, ma non ho ancora visto i carri armati ...”. Era veramente un uomo “... con lo sguardo dritto e aperto nel futuro ...”. ma la cosa più incredibile era che, se qualcuno chiedeva come facesse ad avere queste visoni del futuro azzeccate, la risposta era delle più candide “ma infondo lo sapevamo tutti”. In un qualche modo è vero che la gente sapeva già, ma ignorava, ma c’è anche da ammettere che lui in più aveva una lanterna per vedere tra il buio della notte del tempo e sicuramente questo era dovuto in parte al continuo rielaborare pensieri propri e pensieri altrui, come diceva prima mia madre, e in parte al fatto che era un uomo del popolo e la gente l’aveva conosciuta dall’interno, faccia a faccia, non superficialmente. Questo sapere volgare, del volgo del popolo era un bagaglio preparato con tolleranza, amore, comprensione e forza nei confronti dei diversi e delle diverse culture. Penso che solo chi conosce bene i popoli possa cercare di azzardare una previsione su un futuro che tutti i giorni prende forme differenti. Lui conosceva la gente addirittura dai loro canti popolari, cioè da dove affondano le radici le problematiche delle persone. Ho sentito mio padre cantare dal milanese al sardo, dal greco allo spagnolo, dal francese all’inglese, dal piemontese al siciliano, dal napoletano alla sua lingua, il Sassolese, quella da cui traduceva in italiano quando parlava e scriveva. Da questo punto partiva l’esposizione del suo punto di vista duro, di rottura, di diritti, di libertà in senso assoluto! Se hai come bagaglio le radici dei popoli non puoi offenderli, se esponi le tue idee, anche se queste sono indigeste, forse a qualcuno non piacerai, ma sicuramente sarai rispettato come tu rispetti gli altri.
E se infine volete sentire il Bertoli narratore della cultura sua contemporanea, e dichiaratore delle proprie idee ascoltate Prega crest, 1967, Certi momenti … anche se in ogni suo altro pezzo potreste trovare gli stessi tesori.

Alberto Bertoli (figlio di Pierangelo)

Luca Bonaffini: sospeso tra sogno e realtà, ma comunque libero


di Fabio Antonelli

In questo periodo Luca Bonaffini sta portando in giro per teatri e non solo, il suo ultimo lavoro discografico IL CAVALIERE DEGLI ASINI VOLANTI (2018 Ed. IdP), in versione unplugged. Sembra ieri il giorno in cui ebbe l’occasione di conoscere Pierangelo Bertoli e da lì iniziare una splendida collaborazione con il compianto cantautore di Sassuolo ma, in realtà, sono già passati trent’anni. Tempo quindi di bilanci, ma sempre con “lo sguardo dritto e aperto nel futuro” ...

Espansione TV


Hai appena compiuto i 57 anni in questi giorni, nel rinnovarti gli auguri ti chiedo una sorta di bilancio della tua vita, in termini musicali quanto sei riuscito realmente a realizzare di ciò che avresti voluto fare e cosa, invece, senti che ti è mancato o non hai potuto sviluppare come credevi?

Il bilancio, per fortuna, io lo faccio una volta al giorno, al mese, all'anno e dopo che mi accade un evento (bello e brutto), 57 è un numero anonimo, a parte il fatto che 5+7 fa 12! La mia carriera è stata breve, intensa ed incompleta. Dal 1985 al 1994, sono stati otto anni di "discografia vera", con obblighi, costrizioni, entrate economiche e successi (vedi Pierangelo Bertoli, Patrizia Bulgari, ecc.). Poi ho continuato, dopo essermi staccato dal "grande mondo dei grandi", per la strada (un po’ mia, un po’ no). E lì ho capito che un conto è far parte del sistema ed essere costretti a produrre numeri e fare da schiavo (ghostwriter o produttore di idee, strategie, tattiche); un altro conto è vivere per sé stessi, senza gravare sul fegato la necessità di "essere all'altezza del mercato (o mercatino ...)". Bisogna avere lo stomaco forte per resistere, in entrambi i casi. Ma io non ho mai mollato, anche quando il frigorifero era vuoto.

Questo credo non possa che farti onore. Certo non deve essere stato facile ma se l'anno scorso sei arrivato a realizzare un disco "Il cavaliere degli asini volanti", così diverso da ciò che hai fatto in passato, così pieno dei tuoi ideali, così fuori dalle logiche di mercato, credo sia anche una conseguenza del tuo coraggio. Mi racconti come è nato?

Nel 2015 ho compiuto 30 anni di percorso e la mia città mi ha omaggiato di un bellissimo evento al Teatro Ariston. Solo con voce e tre chitarre (due acustiche e una elettrica) ho raccontato aneddoti e momenti artistici della strada fatta. Da lì l'idea di ricominciare a lavorare su un album di inediti. Un produttore, un'etichetta, uno staff: troppe cose, troppi costi per un ultra cinquantenne pressoché ignoto. Allora, dopo il naufragio di un progetto tra passato e futuro molto bello ma irrealizzabile, ho chiesto a Roberto Padovan, compositore di musica per colonne sonore, di scrivermi alcuni "mondi" che si ispirassero ai sette chakra. Volevo volare ancora, come mi è accaduto, ma ancora più in alto. Volevo studiare la terra dall'alto, misurarmi con lo spazio fuori e con quello dentro. Ecco che abbiamo, nell'autunno del 2016, iniziato a scrivere e, nel giro di cinque mesi, c'era già tutto l'album Il cavaliere degli asini volanti, testi, musiche, arrangiamenti e registrazioni. È rimasto fermo fino all'anno dopo, diventando CD fisico nel settembre 2018, e digitalizzandosi in 240 Paesi del Mondo grazie a Believe Digital nel luglio di quest'anno. Intanto ho prodotto e realizzato libri e spettacoli, fino ad arrivare al mini tour unplugged.

L'Officina della Musica - Como


Nell'ambito di questa tuo mini tour, come lo hai definito tu stesso, mi sembra, almeno quello tenutosi a Como mi è parso così, che abbia voluto dare un peso notevole al rapporto umano, con coloro che hanno il piacere di seguirti in questi tuoi sogni. Quanto davvero è importante questo aspetto, per il tuo mondo musicale?

Io mi reputo un dream writer. Scrivo ciò che sogno e quello che mi spaventa, come ad esempio la negazione dei sentimenti. L'umanità siamo noi, non è un concetto astratto. È la definizione del nostro esserci, essere qui, su questo pianeta in questo preciso momento. E il mio mondo fantastico è inscindibile dal mondo reale ...

Teatro Lo Spazio - Roma


Ma non credi sia un mondo reale in cui ormai si calpesta tutto e tutti, quasi senza neppure accorgersene? Un mondo dove anche la musica è diventata usa e getta, come resistere a tutto ciò?

Resistere è la parola d'ordine dell'uomo. Sempre. L'uomo nasce per esistere e resistere senza alternativa. Chi si chiude, ha perso. Sono stato a Roma, recentemente. Beh... Viva Milano! 😀

Teatro della Memoria - Milano


Perché viva Milano?

Perché i milanesi a Milano, dove ho aperto l'etichetta ldp, credono ancora nel futuro. I romani, no. Ma forse sono capitato il giorno sbagliato!!!

Può essere, ma mai smettere di sognare un futuro e i tuoi sogni sono di quelli in cui gli asini volano. Non ho volutamente chiesto nulla del tuo rapporto con Pierangelo Bertoli ma so che l'esperienza vissuta con lui è stata un qualcosa di unico per te. Oggi, c'è un artista che, se ti dicesse “caro Luca ti va di scrivere un disco con me?” faresti la fine di quegli asini?

No, non c’è, ma gli asini sono la nostra memoria attiva, il sogno realizzabile. Quindi perché non provare a volare ancora?

Cover  IL CAVALIERE DEGLI ASINI VOLANTI

Se sei d’accordo, vorrei farti un’ultima domanda sull’ultima tua fatica discografica Il cavaliere degli asini volanti, visto che proprio in questo periodo, come detto sopra, la stai presentando in giro per l’Italia, in versione unplugged, non voglio però parlare delle canzoni perché non voglio togliere curiosità a chi ci leggerà, vorrei soffermarmi sulla splendida copertina illustrata, chi l’ha pensata e disegnata?

Daniele Massimi, un eccellente illustratore visionario che, tra proiezioni cosmiche e sentimenti umani, ha deciso di volare insieme a noi...


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