di Fabio Antonelli
Curiosando tra le pagine di Facebook, mi imbatto in quella dell’amico musicista palermitano Francesco Giunta e sono subito attratto da un post in cui campeggia la bellissima copertina disegnata di “Troppu very well”, il suo nuovo disco registrato dal vivo al Teatro Jolly di Palermo il 17 settembre del 2017, incuriosito gli scrivo in privato chiedendone una copia da ascoltare e da lì nasce un intenso scambio di “lettere” digitali che voglio rendere pubblico. Prendetevi tempo, magari accompagnati da un bel bicchiere di Nero d’Avola e vedrete che ne varrà la pena.
Ieri pomeriggio m'è arrivato il tuo disco che
subito ho messo nel lettore, purtroppo in auto, purtroppo senza poter ascoltare
con la dovuta attenzione, ma l'impressione che ne ho ricevuto è quella di un
divertimento intelligente, che tra origine dalla forte passione per il proprio
dialetto, per le parole, per il loro significato anche se, purtroppo, il più
delle volte il significato mi sfuggiva, però era come se ne cogliessi lo
spirito, l'intenzione ... lo ascolterò ancora e ancora e poi ti farò le
domande. Ti ho scritto in privato però è un pensiero che renderei pubblico
senza alcun problema. Con profonda ammirazione. Aggiungo solo una cosa per il
momento, la copertina del disco è una meraviglia, viene voglia di ascoltarlo
anche se non sapessi nulla dell'autore e del possibile contenuto. A presto con
le domande, spero, sono sempre incasinato...
Non so se
conoscevi già Marco De Angelis, il disegnatore che ha realizzato le tavole. È
una persona meravigliosa che ho conosciuto solo un paio d'anni fa. Per il
tramite di Edoardo De Angelis (non sono parenti ma amici) si è innamorato del
nostro progetto è ci ha fatto dono del suo intervento! A volte nella musica ci
sono cose che vanno al di là. Ancora un saluto.
Prime due pagine interne del libretto |
Hai citato Edoardo De Angelis, non credo sia
necessario presentarlo, però so che senza di lui probabilmente questo disco non
sarebbe neppure nato, come vi siete conosciuti e come hai fatto a far
innamorare Edoardo con l'uso di un dialetto non certo tra i più semplici per i
non palermitani, anche se forse un po' lo so, perché lo stesso effetto lo ha
avuto su di me...
No, senza la
determinazione e la convinzione di Edoardo non sarebbe nato. Probabilmente le
ragioni che hanno reso necessario un intervento deciso di Edoardo sono diverse,
tra queste anche i miei timori nell'affrontare in modo pubblico e massiccio un
registro impegnativo come quello "umoristico", solo apparentemente
...leggero! Questa è una storia che voglio raccontarti per bene, insieme al
come ci siamo conosciuti e come siamo rimasti vicini e in contatto in un
rapporto che l'estate prossima segnerà il 40° anniversario. Ma per farlo per
bene è meglio che riprenda domani, dopo aver riposato perché oggi è stata una
giornata molto impegnativa. Mi fa piacere leggere dell'effetto che il nostro
dialetto ha su di te perché anch'io sono frequentemente affascinato dal suono
di altri dialetti. In altre parole tutto questo dimostra, allora, che possiamo
essere accomunatati da uno stesso sentire pur vivendo un diverso parlare. Per
adesso ti auguro una notte serena e a domani!
Il seguito?
IL MIO INCONTRO
CON EDOARDO (PARTE 1)
Il mio primo
incontro con Edoardo risale all’estate del 1980 e, in effetti e per mio tramite
comunque, non fu subito del “dialetto” che si innamorò ma di Palermo.
In quell'estate
io, poco meno che trentenne insieme ad altri …tre giovani come me, partecipavo
alla “gara degli emergenti” della manifestazione musicale “Cantamare Musica in
onda” che si svolgeva sul palco di una affollatissima e caldissima arena di
Mondello, borgata balneare per eccellenza e antonomasia di Palermo!
Noi aspiranti
alla conquista del “Trofeo Fonit Cetra” e dell’annesso provino discografico,
agguerritissimi e se non ricordo male palermitani tutti e quattro, nell'arco di
una ventina di minuti scarsi facevano da apripista ad una kermesse musicale che
sarebbe durata per altre tre ore alternando sulla scena gli artisti più
affermati e più in voga del momento, presentati dall'allora lanciatissimo Pier
Maria Bologna.
Dei divi con i
quali …ho condiviso il palco quella sera ricordo solo Drupi, Edoardo Vianello,
Sterling Saint Jacques e Edoardo De Angelis che per me (a quel tempo) non era
ancora “divo”, nel senso che ero assolutamente convinto si trattasse di un
“nuovo cantautore”. In pratica non sapevo di Lella, di De Gregori, né della
Schola Cantorum, né di tant’altro. Non sapevo che di musica e di musica ad
ottimi livelli si occupava già da anni. Per me era comparso solo qualche mese
prima a Discoring, con una canzone strepitosa di cui mi ero innamorato al primo
ascolto: Una storia americana! Che
meraviglia quel suo album Anche meglio di
Garibaldi.
L’avevo
intravisto dietro le quinte (non dicevamo ancora backstage) prima di salire sul
palco per la mia esibizione da emergente e mi ero ripromesso di avvicinarlo per
fargli i complimenti e salutarlo. D'altronde, mi sarò detto, “seppure già al
primo disco, è un emergente anche lui”!
Come d’intesa con
l’organizzazione, fornì il mio piccolo contributo all'avvio della lunga serata
cantando una mia canzone in lingua (il canto in dialetto già da alcuni anni era
copioso ma ancora intimo o strettamente riservato a contesti amicali). Cantai Lo spogliarello di Maria il cui distico
di apertura diceva “Nessuno si preoccupò quando Maria / gridava di spogliarsi
sulla piazza”. Sia questo incipit che lo svolgimento del tema tradivano con
evidenza l’artista che io quasi certamente consideravo mio Maestro e modello
ma, a onor del vero, anche per i miei “colleghi emergenti” si poteva fare
identica riflessione.
Ringraziai e
raccolsi l’applauso del pubblico per uscire dalla scena dell’arena Odeon di
Mondello, ignaro del fatto che sulla scena della mia vita stava per fare il suo
ingresso una persona straordinaria, che in molte scelte della mia vita avrebbe
avuto un ruolo determinante. In cima a tutte, il mio rapporto con la musica.
Ora mi hai davvero incuriosito, non puoi
lasciarmi con il racconto sospeso a metà…
IL MIO INCONTRO
CON EDOARDO (PARTE 2)
Dietro le quinte,
organizzate alla meno peggio, trovai Edoardo seduto a un tavolino da bar. Mi
avvicinai, chiesi “Posso?” e lui fu subito molto cortese. Gli domandai come
avesse cominciato a fare quel “mestiere strano”, tradendo nella formulazione
del quesito la mia erronea convinzione che fosse agli inizi di quella carriera.
Sorrise divertito. Pensai che avesse trovato ingenua la mia domanda e invece
non se l’ebbe a male e mi spiego subito che a farlo sorridere era stata l’idea
che in quel “mestiere” ci fosse da poco: in realtà, aggiunse, che in quel
mestiere gli era successo già a sufficienza da poter cominciare ad averne
abbastanza.
In effetti, dopo
tante cose di cui saprò meglio più avanti, si trovava all'inizio di una nuova e
ulteriore fase che si apriva proprio con quella “storia americana” e con quel
disco.
Parlammo a lungo
di tante cose ma mi colpì che, dopo le mie primissime battute, mi disse “sei
dell’Ariete, vero?”. Ed era vero. Il discorso arrivò inesorabilmente a “Conosci
Palermo?”. A dire il vero, non so quali e quante altre “cittadinanze” vengono
vissute con lo stesso bisogno di “condivisione” che avvertiamo noi palermitani.
È come se avessimo la convinzione che questa nostra Città possa essere o
diventare, prima o poi, la città di tutti coloro che passano da qui: basta
fargliela vedere!
C’era stato
pochissime volte e sempre di passaggio: aeroporto, albergo, teatro e dopo il
teatro ancora albergo, aeroporto. Non aveva avuto interesse a vedere altro. La
“primavera di Palermo” (per quanto alla fine breve e senza estate!) era ancora
da venire: come dargli torto? Nonostante ciò, come fanno spesso i palermitani,
gli proposi “se alla fine non hai impegni, te la faccio conoscere.”
La kermesse andò
avanti fino ad esaurire a tarda ora tutti i divi della musica leggera a
disposizione: io ricordo solo Sereno è
(di Drupi, ovviamente) e le due “storie americane” di Edoardo: quella ormai
famosa dei banditi degli States e l’altra di un bandito (anche lui “poco
cattivo”) più che altro ribelle sudamericano: Ramirez!
Ultimo atto di
quella lunghissima serata, l’assegnazione del “Trofeo Fonit Cetra”, gara ed
evento di cui il pubblico s’era verosimilmente dimenticato! Lo vinsi io quel
primo premio (provino compreso!) tant'è che tengo il “Trofeo” in bella evidenza
nella stanza dove lavoro e non certo per farne mostra ma perché mi sia da
monito. Ancora oggi!
Lo spettacolo era
finito tardissimo ed Edoardo non era libero del tutto. Nonostante ciò si liberò
e accettò il mio invito: “voglio conoscere Palermo!”.
In quegli anni
avevo una Fiat 126, sicuramente scomoda per un passeggero come Edoardo ma che
si rivelò della misura esatta per il compito che le avevo assegnato quella
notte: girare la città passando per le strade e le piazze principali ma
inoltrandosi anche tra i vicoli stretti del centro storico, dove ancora tanto
c’era da fare in quegli anni per risanare le ferite della guerra e del “sacco
di Palermo” di cianciminiana criminale memoria.
Lo portai in giro
a lungo, nelle piazze più appariscenti e nei vicoli più dimessi che stavano
appena dietro, spuntando a sorpresa da un vicolo per passare a effetto davanti
a un monumento o a quella meraviglia che è la Cattedrale. Raccontando di storie
e di “palermitanità”.
Lo riaccompagnai
in albergo a notte inoltrata, tant'è che la mattina dopo (aveva un volo
prestissimo tipico di chi vuole scappare) faticai non poco per raggiungerlo
ancora una volta e portargli una copia di L’anima
è un blocco notes, mia opera prima in vinile. Prodotto e stampato alla
bell’e meglio qualche mese prima, conteneva (contiene ancora) proprio Lo spogliarello di Maria con cui la sera
prima pensavo di aver fatto un passo in avanti in quel “mestiere strano”.
Quella mattina ci
scambiammo i numeri di telefono e si trattava di numeri fissi, numeri di casa.
Eravamo così diventati amici. Lo stesso Edoardo racconterà in una sua
autobiografia recente che quella notte rimase affascinato da Palermo risultando
chiaro l’avviarsi di un rapporto che sarebbe durato nel tempo.
Lasciato Edoardo
recuperai i giornali per vedere se qualcuno dei quotidiani cittadini riportava
la notizia del “mio Trofeo”! C’era, in pochissime righe ma c’era ed era
addirittura in due quotidiani diversi e con diverso tono. Uno la riportava come
una cronaca e senza giudizi di merito. Nell'altro il giornalista dissentiva
apertamente da quanto deciso dalla giuria al punto di dare al secondo
classificato il diritto di considerarsi il vincitore morale della gara.
Sosteneva che il mio “spogliarello” era troppo "deandreiano" per
meritare attenzione. Ometteva ovviamente di scrivere che l’altro, quello che
sarà stato suo amico, classificatosi al secondo posto era
"gucciniano" dal primo al terzo e ultimo accordo! (…e che sia chiaro:
io amo Guccini).
Tutto ciò però
per me cominciava a non avere nessuna importanza. Ma non per presunzione o per
sottovalutazione del giudizio degli altri: quella canzone, peraltro, è davvero
scritta sui modelli del Maestro!
Non lo sapevo
ancora ma quell'anno “tondo” (come canterebbe Amedeo) era un anno di passaggio
e di svolta. Era il 1980, anno di un vinile con una “s” forse di troppo nel
titolo, del Trofeo/provino Fonit Cetra e dell’incontro con Edoardo. Incontravo
un “artefice” della canzone d’autore in italiano e allo stesso tempo cominciava
a chiudersi la mia personalissima e, seppure misconosciuta, per me
entusiasmante stagione di “scrittura in italiano”!
Quella esperienza
durata oltre dieci anni avrebbe lasciato il posto alla scrittura in dialetto.
Ci vorranno ancora diversi anni per arrivare a dei risultati “visibili” e il
primo testimone e giudice, ancora una volta, sarà proprio Edoardo.
Giuseppe Greco, Francesco Giunta |
Dunque sei partito dalla lingua italiana per
approdare al dialetto sia con il penultimo lavoro Era nicu però mi ricordu, sia con il nuovo Troppu very well, perché questo percorso quasi a ritroso si
potrebbe dire e perché, nel caso del tuo ultimo lavoro, la scelta di registrare
un live, scelta secondo me azzeccatissima? Immagino che quest'ultima scelta sia
nata dalla fucina De Angelis-Giunta o mi sbaglio?
Caro Fabio, devo
chiederti ancora un po' di tempo per portare avanti questa nostra
corrispondenza che diventa sempre più interessante. Sono giorni un po'
complessi questi in vista del "recital di festa" di domani e devo
stare dietro a un po' di cose. Da dopo domani riprendo a scrivere sul
"nostro fronte". In una delle prossime fasi dovrò forse chiarire che
prima dei due album in dialetto che citi tu ne ho pubblicato altri quattro
(sempre in dialetto), tra il 1991 e il 1997, tutti di mia composizione. Sono
quelli gli album in cui Edoardo incontra il dialetto e la cosa interessante (a
parer mio) è che il percorso di avvicinamento al dialetto non riguarda solo
Edoardo ma, per certi aspetti, coinvolgerà anche me! E questo è un aspetto non
indifferente di tutto il nostro ragionare perché ha a che fare con la questione
più generale delle tappe che hanno segnato la "riconquista" dello
scrivere e del cantare in dialetto in tutta Italia.
DALL'ITALIANO AL
DIALETTO (PARTE 1)
In presenza di
una passione forte nessuna cosa riesce a essere più convincente della passione
stessa: neanche la geografia! A quella età e con le esperienze fatte io avrei
dovuto dare per assodato che nella musica a vincere può essere … proprio la
geografia! Almeno dalle nostre parti.
Tutto potrebbe
non avere a che fare con la scelta del dialetto. Ma non è così.
Già allora avrei
dovuto pormi una domanda e …darmi una risposta: esiste la “scuola romana”, la
“scuola genovese”, quella “milanese”, “napoletana”, “bolognese”, a suo modo
anche la “catanese” e altre scuole minori. Come mai nella storia della canzone
d’autore italiana non esiste una “scuola palermitana”? Com'è possibile che
Palermo, quinta città d’Italia almeno per popolazione, non ne ha espresso una
seppure “minore”? Domanda lecita perché con tutto l’affetto per personaggi
amabili come Nico dei Gabbiani o Christian, o struggenti e indimenticabili come
Giuni Russo, se si esclude Pippo Pollina che sin da subito ha scelto di vivere
e crescere proprio in un altro paese, non si riesce a parlare neanche di
semplici tracce di una “canzone d’autore palermitana”! E a poco vale dire che
adesso col web si va manifestando qualcosa che somiglia a una scuola di questo
tipo, perché è solo un dato anagrafico e non certo il “comune luogo cittadino”,
agorà di condivisione e sperimentazione della musica. Perché le città sono
evaporare nel web.
La mancata
formazione di questa “nostra” scuola non è stata determinata dall'assenza di
qualche tratto genetico necessario ma non presente nel DNA dei musicisti e
degli autori panormiti. No e solo “L’ombroso” la penserebbe così!
In modo
inesorabile, allora, nell’epoca dei telefoni ancora fissi e dei voli ancora
“high cost”, fu la geografia ad aver la meglio sulla musica! Palermo, come
tante altre periferie, pagò l’essere troppo lontana dalle grandi centrali di
produzione musicale e culturale che generavano, laddove si trovavano e in modo
assolutamente naturale, un indotto fertile sia per la sperimentazione che per
il consumo di musica e cultura, creando e stimolando occasioni, palestre e,
appunto, “scuole”!
Di tutto questo
in ogni altrove arrivava l’eco e il riverbero, appena sufficienti per accendere
le passioni.
In quegli anni
avevo fatto riflessioni che somigliavano a queste, ma fu proprio l’incontro con
Edoardo e il vincere il provino con la Fonit Cetra che mi convinsero che da
“queste parti” non c’era nessun futuro né come allievo né, ancora meno, come M°
di una neanche ipotizzabile scuola di “cantautori palermitani”!
Edoardo parlò sin
dall'inizio con estrema chiarezza di quanto “complicato” fosse il mondo della
musica, di come sorrisi e successo non fossero necessariamente esclusivo frutto
e risultato del talento o delle doti artistiche di qualcuno.
Come sarà anche
per altri artisti romani, fu il “Folk Studio” il suo punto di accesso a quel
mondo. Da lì e già fino a quel 1980 aveva avuto in quel mondo diverse
esperienze con diversi ruoli (cantautore, autore, interprete, produttore,
solista, “componente”…), attraversandole tutte cercando di mantenere una
posizione di difesa della propria indipendenza e della propria identità. Mi
raccontò che aveva scelto di dedicarsi sin da subito alla “canzone d’autore”,
magari senza troppa attenzione ai grandi numeri e alle classifiche di vendita.
D'altronde, come è abbastanza evidente, i “grandi numeri” comportano che tutto
sia necessariamente grande, anche i sacrifici, le rinunce, i compromessi.
Che sia chiaro:
non mi disse “non entrarci e stanne lontano”, piuttosto “se ci entri, stai
attento”. E, infatti, non fu tanto questo suo “mettermi in guardia” a suggerirmi
di rinunciare a scrivere e cantare in italiano, perché la geografia …me le
aveva date più forte!
Fu l’aver vinto
il Trofeo/provino Fonit Cetra che mi porto a dire: “Basta!”.
Premio Fonit Cetra |
Mi sembra di essere immerso in un libro di
Sciascia, dove i particolari si aggiungono poco a poco, ora però voglio sapere
cosa accadde dopo quel categorico "Basta!"
DALL'ITALIANO AL
DIALETTO (PARTE 2)
Non andai a Roma alla Fonit Cetra per fare il provino. E perché mai avrei dovuto (scoprirò poi)?
Nei
giorni successivi alla magica serata in cui una mia “creatura” (ebbene sì, la
più “deandreiana” tra tutte) mi aveva fatto vincere il “Trofeo”, ero in
costante e febbrile attesa per la partenza verso il provino!
Chissà
come sarebbe stato trovarsi dentro un vero studio di registrazione, con quelle
mega cuffie che fanno sembrare buffi e professionisti allo stesso tempo,
chissà? mi domandavo.
D'altronde
non mi era mai capitato di vincere un provino discografico!
L’ho
già detto: i telefoni erano solo fissi in quel tempo. Non potevo aspettarmi un
sms o un WhatsApp, né allora avrei mai immaginato che un giorno la posta
sarebbe arrivata anche senza postino e a qualsiasi ora. Nonostante ignari di
questa arretratezza, ricordo perfettamente di essere in attesa, in attesa di
essere “contattato”, magari con una telefonata ad un apparecchio in bachelite
nera!
L’apparecchio
non squillò. Guardavo il Trofeo che
troneggiava nella mia stanza da una posizione simile all'attuale seppure in tre
o quattro case fa e mi chiedevo: che faccio?
E alla fine mi decisi.
Tornai
all'ufficio dove era cominciato tutto, una di quelle aziende pubbliche di un
tempo che si occupavano di sport, cultura, spettacolo e turismo e trattava tali
materie come se fossero un’unica sostanza.
Trovai
uno dei funzionari che si era occupato della manifestazione e che avevo visto
intrattenersi tra le quinte e con gli artisti della manifestazione. Si
ricordava di me. Vagamente. Forse perché si era occupato più della logistica
che della parte artistica, sperai. Quando gli ricordai che ero quello che aveva
vinto, tagliò corto e mi disse qualcosa come “Bene… e quindi?”.
“Come
… e quindi?!” avrò ripetuto dentro di me, stupendomi! “Ho vinto il provino alla
Fonit Cetra e vorrei andarlo a fare…” avrò detto per certo. Quel funzionario,
quasi certamente, non si era occupato neanche della logistica perché quando mi
sentì nominare la parte più preziosa del premio che avevo vinto, quella cosa
che mi stava facendo sognare, rimase perplesso. Si guardò intorno e
fortunatamente trovò conforto in un suo collega. “Sì, è così: ha diritto a un
provino alla Fonit Cetra”. Il primo annuì e tornò a parlare con me: “E allora
vacci!”.
Io
non so se in questo breve scambio si intravede il dramma che attraversò il mio
ancora giovane e ingenuo animo di piccolo cantautore di periferia! Stavano
parlando di una opportunità che avrebbe inumidito gli occhi di qualsiasi
emergente come se fosse niente e ne parlava come se non avesse nessuna
importanza!
E
non aveva nessuna importanza. Mi fu chiarito che sarei dovuto andare e
alloggiare a Roma a mie spese, che mi sarei potuto presentare negli uffici
della Fonit Cetra dove, spiegando chi ero, mi avrebbero fatto registrare un mio
brano chitarra e voce. Poi mi avrebbero fatto sapere. Mi sembrò qualcosa di
squallido.
Me
ne tornai a casa e quella sera chiamai il mio nuovo amico romano. Gli raccontai
del mio stato d’animo e fu bello e confortevole parlare con lui. Mi disse
qualcosa come “se ti va di farlo, fallo pure” e mi offrì il suo supporto
logistico. “Tieni però in conto anche un eventuale esito negativo, perché se
una tale eventualità ti trova impreparato può essere più dannoso del non
farlo”.
Decisi
di non andare e di rinunciare a quel provino.
Quando
ormai avevo serenamente e consapevolmente deciso Edoardo aggiunse qualcosa che
sapeva da prima e che volutamente aveva omesso fino a quel punto: “L’altra
sera, in prima fila, c’era seduto il Direttore artistico della Fonit Cetra” e
aggiunge il nome. “Se avesse avuto motivo o intenzione di proporti un contratto
discografico, lo avrebbe fatto quella sera stessa”.
E
allora nella musica non bastano i provini per battere la geografia, perché a
volte i provini non provano nulla!
Tornando però al disco nuovo, volevo sapere
se non ti è mai venuto in mente di inserire in libretto anche la traduzione in
italiano dei testi o ritieni che avrebbero, non so come dire, perso valore per
mancanza di sonorità e di assonanza?
Inizialmente
avevamo previsto un testo esplicativo piuttosto che una vera e propria
"traduzione" che, se non è impossibile, non è semplice. Abbiamo
dovuto rinunciare perché sarebbe stato necessario un confezionamento più
impegnativo. A brevissimo sarà online il sito di Musica del Sud e lì contiamo
di risolvere la cosa.
In tal senso ho avuto modo di vedere qualche
video live del tuo spettacolo e credo che farne un DVD sarebbe stato un gran
bell'oggetto perché i movimenti del corpo, gli sguardi, il gesticolare sono
come una chiave di accesso per chi non è siciliano come ad esempio il
sottoscritto. Non ci avete mai pensato in fase di progettazione?
Anche quella del
DVD fu una opzione in campo. Purtroppo i limiti del budget non ci hanno
consentito riprese di alta qualità. Un altro limite imposto dalla esiguità del
budget è che abbiamo fatto un disco live con una sola... replica.
Mi auguro di
poter fare una serie di recital per pubblicare un DVD fatto come si deve.
Giuseppe Greco, Francesco Giunta, Edoardo De Angelis |
Sarebbe davvero bello. Credo che di carne al
fuoco se ne sia già messa tanta, anche se
ci sarebbe da dire anche della corposa introduzione di Roberto Sottile
(Docente di Lingua Italiana dell'Università di Palermo), presente nel libretto
del disco, che è già in sé una singolarità per un disco in dialetto, senza
dimenticare che il 6 e 13 dicembre prossimo avrai due incontri con gli studenti
dei due corsi di Lingua Italiana dell'Università di Palermo e che il 16
dicembre presenterai il disco all'Istituto Centrale per i Beni sonori e
Audiovisivi (l'ex Discoteca di Stato) su iniziativa e con la partecipazione del
Dipartimento di Antropologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Si
potrebbe dire che è stato necessario il dialetto per entrare all'Università! Ma
se sei d’accordo approfondiremo la questione a valle di queste esperienze …
Molto volentieri,
a presto allora.
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