di Fabio Antonelli
E' da poco uscito BOXE, il nuovo disco di Claudio Sanfilippo, un album in cui il cantautore milanese ha raccolto 14 canzoni scritte tra il 1981 e il 2017, tutte chitarra e voce, “parole e musica a mani nude”, come l'ha definito lui stesso nel bel libretto che è inserito nel disco. Un disco meravigliosamente fuori moda, da gustarsi lentamente, come questa intervista.
E' da poco uscito BOXE, il nuovo disco di Claudio Sanfilippo, un album in cui il cantautore milanese ha raccolto 14 canzoni scritte tra il 1981 e il 2017, tutte chitarra e voce, “parole e musica a mani nude”, come l'ha definito lui stesso nel bel libretto che è inserito nel disco. Un disco meravigliosamente fuori moda, da gustarsi lentamente, come questa intervista.
Quanto è bella la copertina
di questo BOXE, uno splendido scatto bianco e nero,
una schiscetta con il tuo cognome e nome incisi sul coperchio, fotografata
dall'alto. Mi racconti la sua genesi e chi è l'autore della foto?
Il disco
era chiuso, mixato e masterizzato, per la copertina c’erano un paio di idee
sulle quali stavo ragionando, ma non avevo ancora deciso nulla. Poi dal
“sottotetto” è arrivata la sorpresa, per puro caso: in uno scatolone c'era
questa “schiscetta” (in italiano gavetta, portavivande) che mia madre aveva
fatto fare nel 1963 per mandarmi all’asilo, avevo tre anni e ai tempi dalle
suore di S.Rita, in via Ponzio a Milano, non c’era la mensa; ogni bambino
doveva presentarsi con il cibo preparato a casa, e così mia madre fece incidere
il mio nome. Quando l’ho vista è stato un attimo, il richiamo era perfetto, a
partire dal titolo, lo stesso della canzone che apre, dedicata a mio padre che
era mancato da poco. Inoltre è perfettamente tonda, richiama la forma di un
disco che che raccoglie 14 canzoni inedite scritte dal 1981 al 2017, una specie
di autobiografia musicale inconscia, la mia natura profonda. L’accostamento con
“l’origine” non poteva essere migliore, e così ho chiamato Lorenzo De Simone,
l’amico fotografo che mi segue da anni nei concerti, che ha fatto lo scatto e
che per l’occasione ha fotografato alcuni angoli domestici che illustrano il
libretto. La grafica è stata poi affidata ad Alessia Casati, che segue da anni
le mie proposte “visive”. Questa è la storia della copertina.
Prima di parlare delle
canzoni, vorrei soffermarmi sul libretto perché offre parecchi spunti, dalle
foto piene di ricordi personali, di chitarre, tanto passato. Mi ha colpito la
tua definizione "Parole e musica a mani nude", aggiungere io come
oggi non si fa più. Si può definire un disco partito da molto lontano?
E’ un disco nato in maniera
del tutto casuale, non avevo nessuna intenzione di andare in studio a
registrare, era appena uscito Ilzendelswing,
l’album in milanese di ispirazione country-folk che ho realizzato insieme a
Massimo Gatti. E’ successo che abbiamo organizzato una serata di ascolto
attento in uno studio in cui ho registrato quasi tutti i miei album, il Maxine
di Rinaldo Donati, volevamo testare una chitarra classica baritono che mi aveva
appena costruito un liutaio bravissimo che si chiama Fabio Zontini. La serata,
per chitarra e voce, davanti a una ventina di amici, è stata magica, e così
abbiamo deciso di replicare il giorno dopo, con l’intenzione di registrare,
questa volta senza pubblico. In due pomeriggi abbiamo messo in fila 14 canzoni
che raccontano 40 anni di musica scritta, scelte al volo nel repertorio inedito
che negli anni è diventato molto corposo. Sono canzoni che potevano entrare in
tanti miei dischi e che per motivi casuali sono rimaste fuori, tutto è successo
in modo veloce, sfogliando il libro dei miei testi. Poi, nel corso della
registrazione, ho suonato tante chitarre diverse: la baritono classica, che è
un po’ la protagonista di questo disco, e le acustiche, le elettriche… in fondo
si tratta anche di una dedica personale allo strumento che mi accompagna da
quando ho iniziato a scrivere le prime canzoni, nel 1976.
Da questo tuo racconto, in
cui ci parli di un parto del disco quasi del tutto casuale e di una raccolta
di canzoni scritte nell’arco di quarant’anni, magari per dischi diversi,
ci si sarebbe potuti aspettare una miscellanea eterogena di brani, magari fra loro
lontanissimi, il tutto, invece, forse favorito anche dalla scelta di proporre
questi piccoli gioielli così come sono nati, voce e chitarra, suona quasi come
un concept album, dove il tema è la quotidianità, il fare a pugni con la vita
stessa, una vita che non sempre ci sorride. E’ solo una mia impressione?
No, credo che la tua
impressione sia corretta. Evidentemente il mio modo di affrontare quel tipo di
registrazione, così improvvisato e figlio di un’immersione profonda, solo per
chitarra e voce, mi ha messo nelle condizioni di scegliere brani che in modo
inconscio dipingono un quadro coerente. Sono tutte canzoni che cercano
l’incontro, la prossimità, tutto si gioca sul piano empatico, emozionale. La
scelta di non aggiungere altri strumenti mi ha aiutato a non lasciarmi sedurre
da “distrazioni musicali” di altro tipo, anche se avrei potuto chiamare qualche
amico musicista per “colorare” qua e là certe atmosfere. Ne sarebbe uscito un
album con risvolti interessanti dal punto di vista sonoro, ma l’intenzione era
proprio quella di restare “nudi e crudi”, con il desiderio di restituire le
canzoni nella versione più vicina a come le avevo scritte. In questo senso è
anche un disco che vuole riportare tutto all’origine di questa arte, o
artigianato, secondo i gusti. E il titolo, BOXE, è anche la metafora di questa
operazione, in un momento culturale molto confuso, in cui l’autenticità sembra
non appartenere più alla modalità di ascolto. E’ un album anacronistico e al
tempo stesso attualissimo, almeno per questa intenzione di non perdere il filo
di ciò che è la canzone d’autore (o la canzone d’arte, come dice bene il mio
collega e amico Max Manfredi). Va detto
che il contributo di attenzione di Rinaldo Donati è stato fondamentale, sia per
la parte di supporto artistico che per quella delle riprese, del suono.
Io credo che in questa tua
risposta sia davvero racchiusa l'essenza di questo tuo ultimo, bellissimo,
lavoro e, per non togliere a chi ci legge il gusto di andare a scoprire ad una
ad una le 14 gemme che lo compongono, non voglio entrare troppo tra i solchi
del disco però, permettimi almeno di citare le due canzoni che aprono e
chiudono il disco. Mi riferisco a Boxe con quei versi iniziali
"Il libretto di lavoro di mio padre / sa di cedro e di castagne / e cacao
e brace di vulcano in riva al mare / il libretto di lavoro di mio padre / ha
l'inchiostro e la matita / la mano è una farfalla nella strada" in cui mi
par quasi di annusarli quei profumi, di toccarlo quel libretto di lavoro, di
averlo quasi conosciuto tuo padre, non so come dire... E poi c'è Piscinin, in
cui canti questi versi in dialetto milanese "Te i han portàa via / mi te
sé se foo / el papà ti a compra tütti anmò / l'è or che te dormet / piscinin,
l'è stada düra incoeu", che dolcezza in questa immagine, quanto amore, che
difficoltà a trattenere le lacrime. Come sono nate queste due canzoni e quanto
ha contato nella tua vita la figura paterna?
Boxe e Piscinin sono le canzoni più recenti,
che aprono e chiudono l’album, e non è un caso. Ho perso mia madre tanti,
troppi anni fa, e mio padre, soprattutto nei suoi ultimi anni, ha significato
molto. Un grande pasticciere, un grande lavoratore. Un vero uomo “del
Novecento”, un catanese salito a Milano con la famiglia negli anni Trenta, da
bambino, cresciuto nei cortili delle case di ringhiera. Infatti parlava un
milanese perfetto, assorbito nelle strade. Mia madre invece era una milanese
docg. Il retaggio culturale della mia città è molto legato alla memoria famigliare,
ai racconti dei miei genitori, di mia nonna materna, che mi ha cresciuto.
Queste due canzoni sono innestate in quella dimensione. Boxe ha una serie di immagini legate a lui, che da giovane ha
frequentato le palestre del pugilato milanese, alla fine dei Quaranta. Sono
immagini che raccontano per scatti visivi: il libretto di lavoro, i colori e i
profumi siciliani, le aringhe, una sua passione (in casa nostra un vaso di
aringhe che lui metteva personalmente sottolio, non mancava mai), la meringa (era
un maestro pasticciere), i suoi modi di dire. Il suo preferito, che cito nella
canzone, era un intercalare in dialetto: vann i tram? Cioè: gira tutto,
funziona? Me lo diceva col sorriso, una specie di gioco. Ho cercato di scrivere
un piccolo quadro emozionale, per immagini. Piscinin
invece è l’unica che non ho scritto io, ed è anche l’unica in milanese (le
altre 13 sono in italiano). E’ un brano bellissimo degli anni Trenta, scritto
da tre americani, si intitola “Little man you had a busy day”, è una canzone
dal sapore “cinematografico”, nello stile dell'epoca. L’ho scoperta in un album
recente di Eric Clapton (I still do), che l’aveva reinterpretata in chiave
“blues”. Il testo originale è bellissimo, e sono riuscito a restituirlo in
milanese con una certa fedeltà, aggiungendo cose mie, originali, compreso
l’arrangiamento chitarristico. E’ una canzone commovente, con la quale chiudo
da qualche anno i miei concerti, come una specie di invito ad abbassare le
difese e a darsi un po’ di pace, in questa epoca ansiogena e fetente in cui il
buio, l’arroganza, l’ingiustizia e la confusione hanno il sopravvento. E’ una
canzone “anarchica”, un po’ come tutto il disco, che non è “politico” in senso
didascalico (il mio modo di scrivere è da un’altra parte, da sempre), ma che in
fondo, tra i solchi, è una dichiarazione di guerra contro il potere e il gusto
dominante, solo lanciata da un territorio in cui il valore della poesia è
centrale. Quando si parla di “arte civile” la vulgata coinvolge stili e
significati in cui il sociale è un dato dichiarato, esplicito, come se questo
fosse un valore indipendente dalla forma. Io invece credo che l’arte civile non
esista, se l’arte è autentica non ha bisogno di aggettivi; purtroppo c’è in
giro una montagna di arte definita “civile” che trova spazio in nome della
definizione, come se cantare il sociale fosse un passaporto sempre valido.
Spesso si tratta di roba scarsa. La musica, come tutte le espressioni
artistiche, si distingue per un valore che non ha niente a che vedere con il tema
né, tantomeno, con presunte dichiarazioni di schieramento politico-sociale. Non
c’entra niente. O è buona o non lo è. Se è buona arricchisce, apre, se non è
buona paralizza il sogno, la possibilità di andare oltre. Anche in questo senso
BOXE cerca di lasciare un suo piccolo segno.
La parte finale della tua
risposta aprirebbe la strada a tante altre domande che però ci porterebbero
lontano dall'oggetto dell'intervista, ma quanto hai detto credo non possa che
accrescere il desiderio di entrare in questo tuo mondo poetico scritto in punta
di piedi. Se mi permetti, ti faccio un'ultima domanda, riguarda la scelta personalissima
di non pubblicare il disco su nessuna piattaforma digitale. Da feticista del
disco, da cultore dei libretti, non posso che condividerla, però vorrei sentire
il tuo parere, anzi, aggiungo un ulteriore step: non hai pensato alla
realizzazione di una versione in vinile?
Ho
pensato di non pubblicare il disco sulle piattaforme digitali, contrariamente
al resto di tutta la mia produzione discografica, per dare un piccolo segno di
discontinuità al conformismo che impera e che sta generando una pigrizia
diffusa insopportabile. Non è un disco da consumare, è un disco da sorseggiare
come un vino da meditazione. Io ci ho messo quel tipo di amore lì. Come se
fossi, appunto, un produttore di vino che recupera un vitigno autoctono che
sembrava perduto, lo recupera e lo coltiva con le attenzioni del caso e poi
decide di vendere le bottiglie al di fuori della grande distribuzione
organizzata, possiamo metterla così. E’ una scelta di coerenza verso lo spirito
dell’album che, come dicevo prima, è un piccolo manifesto controcorrente che
riguarda la nobile arte del combattimento, la BOXE. Il vinile uscirà in
primavera e devo ringraziare la IRD e Maremmano Records, insieme Simone
Veronelli e Paolo Pieretto, che mi hanno accolto e che hanno condiviso lo
spirito di questo album. L’idea è stata loro, hanno anticipato e reso possibile
un piccolo sogno.
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