Il titolo che ho voluto dare a questa intervista a Giacomo Lariccia,
giovane cantautore che ha letteralmente trovato la sua America in Europa, basti
pensare che ha già all’attivo due suoi dischi tra i finalisti per le Targhe
Tenco, unisce scherzosamente il titolo del video SENZA FARCI DEL MALE, appena
pubblicato per l’etichetta indipendente belga Cello Label e il titolo del suo
ultimo album RICOSTRUIRE, pubblicato nel 2017 da Avventura in Musica. Il video
è stato diretto, filmato, montato da Marco Locurcio, che ne è anche il
produttore e vede protagonisti gli attori Federica Rizzo, Federico Lazzari,
Bruno Gonzales. Ho colto l’occasione per fare un po’ il punto della situazione
sulla sua attività musicale.
E’ appena uscito il video SENZA FARCI DEL MALE per l'etichetta
indipendente Cello Label, il video è nuovissimo, mentre la canzone, invece, è
una delle più belle del tuo ultimo album RICOSTRUIRE uscito nel 2017. Come mai
questa scelta? Per segnare in modo tangibile il passaggio alla nuova etichetta?
Da quando è uscito il disco
RICOSTRUIRE avevo ben chiaro in testa che sarebbe stato un lavoro al quale
bisognava dare l'opportunità di giocare tutte le carte. Diverse canzoni di
Ricostruire meritano, secondo me, più attenzione di quella che sono state in
grado di ottenere fino ad ora. Un modo per accendere i riflettori su una
canzone oggi è il videoclip. Un accompagnamento in immagini che può riuscire
anche a dare un senso ulteriore alla canzone. Ho sentito dire che il ciclo di
vita di un disco sia di due anni: trovo che questo ritmo rischi di essere
esagerato e addirittura sfiorare il consumismo, una sorta di bulimia culturale.
Soprattutto per delle produzioni artigianali come quella di cui faccio parte,
questo ritmo non è sempre sostenibile. Tutto ciò mi era ben chiaro dal primo
momento di vita di Ricostruire: dalla scelta dei primi videoclip (un brano suonato
live – Ricostruire – e una ballad – Quanta strada -impreziosita dalla poesia delle immagini di
Benedetta Mucchi) sapevo che Ricostruire sarebbe durato a lungo. Come bene
affermi tu, nella scelta di riproporre un brano del disco Ricostruire, c'è
stato anche una riflessione fatta con la Cello Label, una giovane ma dinamica
label con i piedi a Bruxelles e le radici in Italia. È stato un felice incontro
di questi ultimi mesi. Con loro stiamo facendo progetti via via più importanti
e credo di aver trovato un valido alleato per varcare le Alpi e incontrare il
pubblico italiano. Sono sempre stato sorpreso dal fatto di ricevere più
concerti e riconoscimenti in Francia e Belgio piuttosto che in Italia. Sono
molto soddisfatto di questo videoclip che è stato prodotto da Marco Locurcio
con il quale collabora ormai da quasi due lustri. Oltre alla storia di due
persone che si amano, litigano, si riappacificano - insomma, vivono - c'è anche
un simbolo forte che è quello dell'orologio. L'orologio rappresenta, ovviamente,
il tempo che passa, che logora le nostre vite e le nostre relazioni e anche un
oggetto che, come succede alle nostre vite stanche, rischia di fermarsi, di
rompersi. La seconda storia raccontata dal videoclip, magari quella più
difficile da percepire, è quella di qualcuno che in solitudine, al buio, cerca
di riparare quello che si era rotto, e alla fine ci riesce. Il tempo riprende a
battere, le lancette si muovono, la vita riprende.
Cover singolo SENZA FARCI DEL MALE
Una cosa che mi ha colpito, di questo singolo, è la copertina che gli
hai voluto dare, è molto vintage, ricorda molto i dischi della RCA Lineatre,
quasi che il tempo si fosse fermato ... In fondo quella serie di dischi era
stata concepita dalla RCA per poter fornire ai fruitori raccolte di brani più
economiche, la tua scelta ha un legame con la crisi infinita di questi tempi?
A dir la verità l’elemento della
crisi non è entrato nella mia scelta della copertina. Ero talmente affascinato
da quei colori, da quella grafica che d’istinto ho chiesto al grafico di farne
una simile. Mi divertiva molto fare una citazione delle copertine che giravano
in casa mia quando ero piccolo. Forse, inconsciamente, c’è anche il desiderio
di collegarsi ad una storia, quella della canzone d’autore, di entrare in
quella scia. Un senso di appartenenza. Forse è quello che, senza volerlo, mi ha
inconsciamente guidato nella scelta.
So che tu Giacomo vivi ormai stabilmente da qualche anno a Bruxelles,
come percepisci da lì la situazione della canzone d'autore italiana e più in
generale dell'Italia, c'è un futuro per entrambe?
La verità è che non ascolto molta
canzone italiana per diverse ragioni. La più importante di queste è che non voglio
in nessun modo essere influenzato da ciò che già esiste. So che ci sono tanti,
tantissimi bravi cantautori conosciuti e meno conosciuti che costituiscono
quindi il presente e il futuro della canzone d'autore italiana. Il futuro
dell'Italia sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare. Anche quello
dell'Europa che è un continente che non mi sembra avere più tanta spinta
innovativa e culturale.
Il futuro di Giacomo Lariccia? C'è già qualcosa che bolle in pentola?
Nel prossimo futuro, nei prossimi
mesi, voglio continuare a proporre Ricostruire in Francia, Belgio e in Italia e
far sì che la collaborazione con la Cello Label porti tanti frutti. Per il
futuro più remoto ancora non so. Ma so che continuerà ad esserci tanta musica.
Marco Ongaro è un cantautore, poeta e scrittore italiano, nonché autore
teatrale e librettista d'opera. Nella sua pagina di wikipedia campeggia questa
sua citazione: «Quale direzione prendere? E quando? La scelta è chiara: entrambe,
sempre» tratta dal suo saggio Psicovita di Niki de Saint Phalle. L’ho voluta
riportare qui, giusto per definirne la complessità. A due anni esatti dal suo ultimo
disco Voce, (2016 - D'autore/Azzurra Music), ecco arrivare un nuovo progetto
dal titolo Il fantasma baciatore (2018 - D'autore/Azzurra Music). Ce ne parla
approfonditamente in questa intervista.
Cover cd IL FANTASMA BACIATORE
Sarà la mia passione per la fotografia ma sempre, guardando la
copertina di un disco, mi domando perché sia stata studiata così, allora ti
esprimo subito alcune mie curiosità. La dominante blu notte evoca per caso una
natura più notturna delle canzoni di questo nuovo lavoro? L'immagine di te che
suoni il pianoforte è ripresa allo specchio, c'è forse un gesto narcisistico
dell'autore, un compiacimento del livello di maturità stilistica e
contenutistico raggiunto in questo ultimo disco? Quanto c'è di te in quel Fantasma baciatore che sembra essere
l'anello mancante dopo il Salvatore delle
donne tristi e Il sostegno alle
massaie?
Lo specchio in realtà è quello del piano, la mia immagine è
riflessa nel mio pianoforte mentre lo suono, cosa avvenuta nell'album
precedente, Voce, ma non in questo, dove ad accompagnarmi ci
sono fior di musicisti e le canzoni sono state tutte scritte alla chitarra. Ma
poco importa, giacché il Fantasma è un doppio, viene dall'altra dimensione,
quella speculare, visibile ma intangibile. Se tocchi la superficie del
pianoforte in corrispondenza della mia testa non senti la mia carne, senti la
lacca dello strumento. Se tocchi la copertina senti la carta. Lo
specchio era nero come la lacca del piano. Virarlo in blu è stratagemma
unificante che dalla notte coglie l'aspetto fantasmatico dei sogni quanto dei
desideri. La mano in primo piano è quella dell'autore che suona il piano, ma
l'autore nel disco non lo suona, dunque è l'immagine di un'immagine
ectoplasmatica come qualunque copertina in fondo si riduce a essere. In questo
caso la mise en abyme era troppo invitante per resistere: il
fantasma è là, dentro al pianoforte, è pura immagine. Lo si può intravvedere,
ma soprattutto sentire (con l'ascolto). Il Fantasma baciatore è
l'evoluzione naturale del personaggio creato con Il Salvatore delle
donne tristi, che già derivava dal Landru di Archivio
Postumia e si proiettava nel Sostegno delle massaie di Canzoni
per adulti. Nessuna opera è compiuta, questo permette all'artista di
continuarla finché vive, pescando dai propri discorsi per continuare la narrazione.
Il Sostegno delle massaie collocava il Salvatore nell'ambito
della prestazione sindacalmente inquadrata. Il Fantasma baciatore entra
in una dimensione parallela, impalpabile, una presenza senza pretese, un aiuto
forse immaginato, una speranza oltre l'incorporeità internettiana.
Nel rispondermi hai citato
ben quattro tue canzoni, percorrendo circa vent'anni di canzoni (perché quel
gioiello di Archivio Postumia è stato pubblicato nel 2005 ma
nasce nel 1990, da due lavori distinti, a dire il vero). Spesso le canzoni di
valore attraversano indenni il passare del tempo, anche quando sono solo degli
abbozzi, mi riferisco a Star Strek, il brano che chiude il disco,
di cui vorrei parlassi per primo, per sovvertire l'ordine delle cose ma
soprattutto perché personalmente mi ha commosso da subito, uno di quei brani
che ti si infilano subito sotto pelle, risalgono al cuore e allora sono guai...
Non te ne liberi più.
La canzone nasce dalla semplicità di una poesia catalogo, la
forma più elementare di poesia che però in buone mani può sortire effetti
sorprendenti, in questo caso le mani da cui l'ho presa, e rimaneggiata in sua
compagnia, sono quelle del poeta Nicola Saccomani, già frontman dei Ratatuja che
vinsero Arezzo Wavenel 1997. La sua umoristica desolazione, la
grottesca dignità dell'uomo sfiduciato eppure resiliente all'amore si è
unita nell'elenco alla mia ossessività per il dettaglio, puntando a creare in
effetti una sorta di correlativo oggettivo che esprime il clima da
smantellamento con cui il brano chiude il disco. La farmacia dell'ultima
strofa, pensata nella vita e nella testa di Saccomani, per me non è lontana da
quella in cui Mick Jagger incontra Mister Jimmy in You can't always get
what you want. Un'idea di benessere conservato al prezzo
dell'invasione degli alieni, il tempo sfasato dall'arredamento e
dall'equipaggio dei venditori di medicine: una non soluzione all'elenco di cose
presenti in casa a rappresentare quelle mancanti nella vita. Una non soluzione
è meglio di qualsiasi soluzione. Magari una soluzione al 70%.
Torniamo, se sei d'accordo,
al concetto che nessuna opera può dirsi mai compiuta per analizzare meglio due
canzoni Menelao e Paride, che chiudono il cerchio
ideale con Elena, canzone già inserita nel tuo penultimo
disco Voce. I personaggi di questa epica vicenda sono evidentemente
tre, come tre sono le canzoni, ma in fondo è sempre solo lei il vero soggetto,
il fulcro di tutto, sbaglio?
Non sbagli, è lei, Elena, l'unica, la regina che ha tutte le
colpe e niente a discolpa, quindi è innocente. Non ha neanche responsabilità
per la sua bellezza, che Gainsbourg definiva "la sola vendetta della
donne". I vari punti di vista vengono esaminati nelle tre canzoni, sebbene
quello di Elena, nella canzone eponima, sia osservato in terza persona. La
bellezza non può essere vista dal suo interno, nemmeno da colei che ne è
portatrice: per avvertirla ha bisogno di specchi, e comunque di vedersi da
fuori. Il marito Menelao ha osato troppo sposandola, la bellezza non si può
sposare se non a prezzo altissimo, e il rischio di svilirla è immenso. Paride
l'ha rapita, cioè l'ha fatta innamorare, vittima egli stesso di una bellezza
che comunque non può possedere. La bellezza fa infuriare e fa perdonare. Il
grande equivoco, quando c'è di mezzo la bellezza, è l'amore. Si può considerare
tale il desiderio di possedere la bellezza? Di tenerla per sé? O di conservarla
su di sé? La bellezza può essere una grande corruttrice, va trattata con
cautela, richiede un equilibrio da illuminati.
Abbiamo parlato di Menelao,
non posso non chiederti del video che è stato realizzato per promuovere il
brano, realizzato da un ottimo Oscar Serio con la straordinaria partecipazione
della splendida Jesusleny Gomes. Come mai nel realizzare un videoclip è stato
scelto proprio questo brano e com’è nata l'idea di realizzarlo così?
Ogni tanto sfrutto la fortuna di pubblicare per un'etichetta
discografica, Azzurramusic, che ha un fondatore e leader, Marco Rossi.
Nell'ascoltare il master per decidere la pubblicazione, gli ho chiesto due cose
che ci tenevo fosse lui a stabilire, è bello che qualcosa del proprio lavoro
sia deciso da qualcun altro. Un punto di vista esterno e professionale. Le due
questioni riguardavano il titolo dell'album, che lui ha scelto opportunamente
dalla terzultima traccia, e quale canzone fosse indicata per il video, da lui
individuata in Menelao. Sono stato d'accordo su entrambe le
scelte. La sceneggiatura del video è del suo realizzatore, Oscar Serio, con cui
già girammo a Parigi il clip di Essi vivono. Jesusleny Gomes è
un'amica imprenditrice che stimo molto. Ha fatto il cammino di Santiago da sola
due volte e l'anno scorso ha percorso a piedi il Veneto incontrando gente in tutti
i Comuni, un'impresa che la colloca tra le più interessanti figure integrate
nel panorama sociale italiano pur non avendone la cittadinanza. Bellissima
e molto spiritosa, già si era appassionata alla canzone Elena del
precedente cd, nella quale un po' civettuola si riconosce. Il suo
senso dell'umorismo le ha permesso di interpretare l'Elena della mia Menelao con la
giusta dose di ironia. I suoi trascorsi di modella si sono riaccesi per un
attimo nel ruolo dell'irresistibile cui il marito resiste. Non ho sbagliato a
chiedere a lei: in questa pantomima che rievoca un po' le scaramucce alla
Mondaini/Vianello, ha dosato una perfetta miscela di squisitezza, innocenza e
nonchalance.
Le donne, ancora una
volta, sono le grandi protagoniste delle tue canzoni, che si tratti delle
amanti desiderate e amate "Anche se rispetto ad altre arrivano
seconde" o di donne quasi ossequiosamente dipendenti dall'uomo, che
ostenta sicurezza sapendo che "Non le importano i divi le scarpe il paté A
lei importa soltanto di me". Certe donne si amano e Non
le importa, le due canzoni che aprono il disco, come sono nate? Quanto
attingono al proprio vissuto?
Va sempre tenuto conto dell'ironia, soprattutto nel
caso del secondo brano.
Come spiego nelle note di copertina, il testo di Non
le importa prende spunto da My Baby Just Cares for Me,
brano del 1930 di Gus Kahn su musica di Walter Donaldson, ascoltato
nella toilette di un ristorante a Montparnasse nella versione di Frank Sinatra.
Il ritratto in terza persona di una donna da parte di un osservatore
esterno mi ha rimandato automaticamente nell'immaginario a She belongs
to me di Bob Dylan. In quella canzone però lei era speciale e
distaccata, imprendibile e artistica, qui invece più che una descrizione della
donna c'è una descrizione bidimensionale del protagonista che la canta.
Convinto un po' come l'eroe di Non è Francesca di Mogol che
lei viva per lui, non con la stessa disperazione sommersa ma con un attacco di
maniacalità non meno grave, il protagonista se la racconta un po' e non sapremo
mai se effettivamente le cose stanno come lui dice. L'insistenza
sull'assolutezza di quell'amore univoco pone riserve istantanee con un tono che
a me suscita ilarità, allegria. È bello essere del tutto convinti di
qualcosa, è già un premio. In Certe donne si amano l'ironia
c'è ma in misura ridotta. Il problema della donna che arriva cronologicamente
prima di un'altra e per questo dovrebbe vedersi dedicato tutto l'amore per
sempre è questione in cui già s'ingamberava Molière nel suo Don Giovanni. Vale
per le donne come per gli uomini: non esiste soluzione alle scelte in amore,
per questo ho messo all'inizio questa canzone. Si sbaglia sempre comunque e
l'errore potrebbe portare fortuna. C'è una lista infinita di possibilità
lasciate inesplorate, e a esse il brano è dedicato. Quanto attingono al mio
vissuto? Basta pensare una cosa e diventa parte del proprio vissuto. Nella vita
ci sono più pensieri che azioni. Anche se sono sempre un po' gli stessi, come
peraltro le azioni.
Ci sono altri elementi
che ricorrono ormai sempre più frequentemente nei tuoi dischi e che apprezzo
molto, data la mia poca dimestichezza con la lingua inglese, sono le traduzioni
di canzoni di altri, ancora una volta c'è l'amato Cohen con la sua famosa The
stranger song qui diventata La canzone dello straniero, troviamo Simpathy
for the devil dei Rolling Stones che si trasforma in Comprensione
per il diavolo e infine i Dire Straits con la loro Romeo and
Juliet, qui Romeo e Giulietta. Quest'ultima traduzione credo
sia stata quasi una conseguenza logica dopo tante tue attività legate al
capolavoro shakespeariano, ma forse anche la più difficile da rendere in
italiano oppure quale tra le tre è stata la più ardua? Quale quella che ti ha
lasciato più soddisfatto?
Sono tre storie diverse e questo è il bello. Comprensione
per il diavolo è un atto d'amore per i Rolling Stones e per una delle
loro canzoni più efficaci. Non facile da tradurre per la ritmica serrata e il
numero di tronche che la lingua inglese permette e l'italiano mal sopporta. Il
trucco è essere fedeli allo spirito sfuggendo alla letteralità, richiede
innanzitutto una buona comprensione del testo che si va ad adattare. Se lo si è
ben interpretato, poi le parole giuste vengono. Insegno songwriting al
CSM College di Verona, e l'esperienza mi ha mostrato che chiunque abbia gli
strumenti tecnici indispensabili, partendo dallo stesso testo, se l'ha ben capito,
trova un'infinità di soluzioni individuali per tradurlo restando fedele a
quello che dice l'originale. Ho fatto tradurre la Ballad of absent mare di Cohen ogni anno e ogni anno allievi
diversi hanno trovato diverse soluzioni per dire le stesse cose. Le possibilità
sono quasi infinite. La canzone dello straniero di Cohen, che
nel disco è suonata con maestria alla chitarra dall'amico Max Manfredi, è
quella che ha richiesto maggiore impegno a livello esegetico, uno sforzo
superiore in principio per decifrarne le nuance. Romeo e
Giulietta dei Dire Straits è il risultato di un compito che ho dato
alla mia classe di songwriting due anni fa. Non do mai un compito che io non
possa eseguire. Mentre loro lavorano, lavoro anch'io. Alla fine
ho integrato il mio testo con quello dell'allievo Michele Gelmini,
che aveva escogitato in alcuni punti delle soluzioni che ho ritenuto
migliori delle mie, e l'abbiamo firmato insieme. Un lavoro di bottega, come si
usava nel Rinascimento. Tutte e tre le traduzioni mi soddisfano, ciascuna per
queste differenti ragioni, la soddisfazione è pari alla fatica compiuta. Tutto
può essere tradotto, e ascoltare una canzone straniera comprendendone il senso
è un regalo che non voglio rinunciare a offrire a chi mi ascolta.
In un disco dove il rock
la fa da padrone c'è però spazio per una canzone più intimista come Irriconoscibile
al mattino, la si può definire la canzone dell'amore nonostante tutto,
nonostante la fatica, nonostante il tempo che passa?
È una canzone d'amore-passione, un sentimento che non
ha a che fare con il tempo, quanto invece con l'attimo che tutto trasfigura. La
passione che irrompe nella vita, se vogliamo, il pensiero speso per la persona
amata perché non si può fare diversamente, il pensiero è monopolizzato.
Quando si arriva tardi, dopo che sono passati altri, con gli altri ci si
misura. Si arriva per ultimi e si punta a essere i primi, si punta a restare.
Si spera di essere in grado di rimanere a dispetto dell'effimero intrinseco
nella passionalità del sentimento. Niente di facile nel voler durare laddove
l'attimo è ciò che maggiormente conta. Ciò che resta è il premio da conseguirsi
costantemente nel concorso mai vinto del tutto, un concorso con prove d'esame
continue, una lotta per essere sempre all'altezza unita al languore di
abbandonarsi al fatalismo. L'amore-passione è una brutta bestia che quando
manca fa sentire un vuoto e quando c'è riempie troppo.
Colgo l'occasione offertami dal
parlar di concorsi e premi per affrontare l'ultima canzone di cui non abbiamo
ancora parlato, Ciascuno ha il proprio festival, ironica
riflessione sui tanti premi concorsi festival esistenti in Italia, i rancori
per le esclusioni e magari il desiderio di rifarsi a proprio modo... Sai che i
versi "Pagatemi e non vengo / Pagatemi e ci sono" mi ricordano un
po' la morettiana questione: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in
disparte o se non vengo per niente?” Un domani ci sarà un tuo festival?
È vero, l'esempio di Moretti è incistato
nell'archetipo dell'individuo che non sa come emergere con le proprie forze in
un contesto sociale competitivo sebbene ludico. Invitati alle feste o invitati
ai Festival, cambia poco. Una questione di visibilità. Essere ignorati è la
cosa che pesa di più, per cui i festival proliferano, e sono interessanti a mio
avviso soprattutto i direttori artistici, che nei festival trovano la loro
visibilità tirannica, e i Patron, che nella fondazione di raduni su materie in
cui talvolta non eccellono ottengono finalmente un riscontro a velleità in
passato deluse. Uno non sa scrivere canzoni e fa un festival canoro, oppure sa
scriverle ma non ha successo, e si fa il suo festival dove invita artisti di
maggiore successo con una sorta di vampirismo bonario, il
"positioning" che favorisce un'effimera illusione di luminosità
personale. Trattasi spesso di riflessi che si spengono insieme ai riflettori.
Non ho un mio festival e spero nessuno ne inventi uno a mio nome dopo la mia
morte. Ma quanto della volpe e l'uva c'è in un'invettiva? Ciascuno ha
il proprio festival in fondo, ridacchiando un po', è la mia Avvelenata.
Credo che ogni opera
musicale sia fatta per essere rappresentata soprattutto dal vivo, questo nuovo
disco, a differenza del precedente Voce non è però nato per
sola voce e chitarra, ma è nato con sonorità rock e per essere suonato da una
bella band, una bella sfida direi. Ci sarà la possibilità di ascoltarti in
concerto o dobbiamo lanciare un appello?
I dischi in studio sono fatti per vivere come dischi
in studio, secondo me. La ripetizione pedissequa dal vivo, quella in cui mai
incorre Dylan per esempio, è atto feticistico più che riproposizione del gesto
musicale in sé. Il gruppo di questo cd si chiama le Quotazioni, ed è pronto a
suonare per Halloween, in occasione dell'uscita dell'album Fantasma, dal vivo,
in teatro. Il concerto di presentazione è fissato a Verona al Teatro
Laboratorio. Il resto è nelle mani di chi lo vorrà. Al di là degli appelli, i
musicisti vanno pagati, e io pure. Se siamo pagati suoniamo, altrimenti
facciamo dell'altro. L'idea diffusa nei club che i musicisti suonino per il
loro piacere va scoraggiata con lo sciopero. "Pagatemi e non vengo,
pagatemi e ci sono". Ore di prove, anni di preparazione, tutto questo
richiede un riconoscimento in denaro, nessuno lo fa per puro diletto, almeno
qui da noi.
Gerardo Pozzi, nasce a Bergamo il 23 giugno 1972, cresce in provincia
di Milano, studia fisioterapia a Lecco, e si trasferisce a Vittorio Veneto (TV)
nel 2002, ha il cuore nomade… Così, si evince dalla sua biografia. Un tipo
originale potrei aggiungere io, se ripenso a come nel 2011 mi fece avere per
posta il suo primo magnifico disco “Sconosciuti e imperfetti” con appiccicato
un Post-it in cui mi invitava ad ascoltare quelle che lui riteneva solo
canzonacce…Mai dare retta agli artisti,
sono solo emeriti puzzoni, parole sue …
Cover cd "Sono una brava persona"
Direi, se sei d'accordo, di cominciare proprio come se io fossi uno che
non sa nulla di te e rimanesse, ovviamente, colpito dalla copertina del disco,
una fotografia stupenda che ti ritrae seduto dentro una vecchia vasca da bagno,
con tanto di cappello, sigaro, calice di vino e fiori di campo tra i quali
spicca un girasole che richiama Van Gogh, insomma un po' da matto del paese,
uno di quei tipi che definiresti un po' naif ma che, in fondo, di se stesso
direbbe "Sono una brava persona". Com'è nata questa idea di copertina
e perché questo titolo?
La copertina è nata da una mia
"idea": volevo far passare una sorta di senso di "caducità"
della vita. Infatti in copertina ci sono io nella vasca, mentre nel retro c'è
la vasca vuota. All'inizio io pensavo a me sdraiato su un divano, in un campo /prato.
Poi l'illuminazione della vasca è venuta a Franco Bonato, amico carissimo, chitarrista
e fotografo. Aveva una casa abbandonata, con questa vasca da bagno e tutto è
andato di conseguenza! A parte il freddo boia, abbiamo scattato le foto in
inverno, la casa era senza finestre ed io ero in mutande! Il vino nel calice è
l'ultimo goccio rimasto! Il resto è andato per scaldarmi! Il titolo, invece, è
conseguenza di una seduta con la psicologa, quando avrei dovuto, per esercizio,
dire ad alta voce questa frase. Essendo andato in panico totale, ha pensato
bene di "costringermi" (amorevolmente) a dare il titolo al mio nuovo
album proprio con questa frase. Anche
solo pensarmi una "brava persona" è imbarazzante ed impossibile da
credere...
Sai che discorso della vasca vuota in retro copertina l'avevo notato
anche io e d avevo pensato a questo messaggio? Comunque è vero, non posso dire
che tu sia una brava persona! Tutte le volte che ascolto un tuo disco finisco
per piangere... anzi questa volta da subito, sin dalla prima traccia
"Quando è notte". Al solo pensare quel verso "Le lacrime di
tutto il mondo, le bevo ogni mattina", mi vengono ancora i brividi...Parlami di questa canzone che apre il disco,
che sembra svelare l'incapacità di contenere nel proprio cuore tutto il dolore
che si prova... o sbaglio?
E' esattamente così... C'è la
malinconica celebrazione di ciò che si ha e che ci fa percepire fortunati, ed
al contempo il sentire, come dici tu, nel proprio cuore sia il proprio dolore
che quello che, di riflesso, ci arriva dal mondo che ci circonda, che sia il
nostro infinitesimo metro cubico o quello più esteso dell'umanità. Il dolore
umano ha una radice comune. Ci rende simili. Lo percepissimo un poco più
spesso, forse non vivremmo così isolati.
Questa canzone credo faccia il paio con "La vita mi fa un po'
male", con quella metafora che solo tu avresti potuto usare in una canzone
"Ahi ahi la Vita mi fa un po' male / come una botta sulla testa / la
fortuna che va via ... / Come la luna che ulula. / Come una rettoscopia"
... Deformazione professionale?
Yes...!!!
Saltiamo un po' di palo in frasca, ma neanche troppo, perché il dolore
è sempre presente e qui nelle sue svariate forme, mi riferisco allo
"Stabat Mater", un brano che in realtà è un recitato, che vede nella
doppia veste, di autore e interprete, un grande Natalino Balasso, com'è nata
questa collaborazione?
Balasso è una persona eccezionale
e densa di umanità. Ci siamo "conosciuti" qualche anno fa, grazie
alle canzoni ed a scambi di "opinioni sulla vita"... Questa sua
poesia è disarmante. Ogni volta che la ascolto, nei suoi spettacoli, mi
commuovo tantissimo. Qualche mese prima che io decidessi di incidere l'album,
mi scrive dicendomi che, in caso di album nuovo, mi avrebbe donato volentieri
questa sua poesia. E così è stato. E' venuto a registrare le voci (bellissima,
l'idea di inserire più voci con toni differenti) ed io ho messo un sottofondo
rispolverando il mio sassofono tenore, che non suonavo da tempi immemori...!
Ed è un peccato che tu non lo suona più spesso... In ogni caso questa
collaborazione ha dato buoni frutti, secondo me dovresti perseguire questa
strada... anche se magari la trovi difficoltosa, dico così pensando ai versi
"Quando canto faccio uscir la mia follia / che tanto son perdonato. /
Tutto il resto della vita a trattenere / per non essere internato"...
Quanto la musica è per te un ancora di salvataggio?
La musica è ancora oggi, per me,
un'ancora di salvataggio. L'arte tutta lo è. Mi permette di vivere. Di sentirmi
ancora vivo. A volte un sopravvissuto, altre una specie di "eletto".
Eletto non so a cosa però. Perché il pensiero non sempre è un amico facile... E
l'arte è pretenziosa. Ti vuole per sé. A volte ti provoca. Comunque ti ama.
Sempre. Esattamente come sei.
A proposito di arte, o meglio di artisti, mi pare però di capire che
bisogna diffidarne, questo almeno il tuo consiglio. In "Noi 4
artistucoli" canti addirittura che tra artisti "Ci si bacia sulla
bocca / ci si sputa sulle spalle", allora anche gli artisti sono esseri
umani...
Soprattutto gli artisti!
Diffidare di noi! Assolutamente! Siamo degli emeriti puzzoni! L'Arte in sé è
stupenda e innocente... L'unico neo è che è fatta dagli esseri umani: e loro sì
che sono sbagliati... Siamo narcisi affamati ed assetati di popolarità... Che
poi, stringi stringi, siamo dei poveri cristi che hanno un bisogno enorme di
affetto! Poi c'è l'arte fatta dalla Natura (un orizzonte, il mare, un bosco) e
lì sì, rasenta la perfezione. Certo che l'arte (che è ciò che più differenzia
l'uomo nel mondo animale) è un Dono preziosissimo. Ma davvero prezioso. Nessuno
può farne a meno.
Gli artisti non sono affidabili, questo lo abbiamo capito bene, allora possiamo
fare affidamento su chi? Su se stessi? Mi pare anche questa una via ardua,
sempre in salita, in "Reflex" dici "Mi vien facile odiarti così
/ perché me l'hanno insegnato / quand'ero bambino guardandomi dentro / e ti
odio con tutto me stesso / ieri come adesso / come odio lo specchio / come il
mio specchio". Com'è realmente questo rapporto?
Il rapporto con se stessi è,
credo, una delle cose più difficili in assoluto per l'essere umano. O almeno lo
è per me. Eppure è anche l'unico viaggio veramente degno di questa esistenza.
Ognuno può viaggiare dove e come gli pare. Ma il vero Viaggio è
"dentro". Il mio rapporto con me è ancora in un mare piuttosto
alto... Ma da tempo almeno ho una zatterina che mi tiene a galla. È fatta di tutto
ciò che di positivo ho imparato a costruire dentro di me. Ho buttato giù una
casa pericolante e pericolosa. E con fatica ne ho costruita un'altra. Purtroppo
le fondamenta sono le stesse, non si possono cambiare. L'importante è non
scendere sempre in cantina per aprire la botola delle fogne. Ogni tanto va
fatto, ma per spurgare...
Una risposta a questo disagio è anche la bellissima preghiera laica
"Faccio il bravo", una serie di buoni propositi che mi ha fatto
venire in mente quei versi di Bertoli "Se indosso il paraocchi, / mio
padre mi ha giurato, / mostrandomi una carta, / posso tornare a casa / insieme
alla mia mamma, / a vedere la tivù!". Bisogna per forza snaturare se
stessi per vivere un po' di serenità o c'è un'altra via?
Per quello che è la mia
esperienza, la vera serenità la si potrà provare (fugace forse, come è sua
caratteristica, ma comunque potente) soltanto quando smetteremo di snaturarci.
E, almeno nel mio caso, quando ci concederemo anche quel perdono che non ci
siamo mai dati. Quel perdono per fatti nemmeno commessi, il più delle volte.
Quando riusciremo a concederci un poco di amore. E' pazzesco, perché spesso
questa rigidità di giudizio nei nostri stessi confronti, è un retaggio
cultural-religioso (che affligge anche moltissimi atei, proprio perché
innestato anche nella cultura e nella società). Cioè: la religione che predica
l'Amore, è la prima ad aver mietuto vittime di odio, per se stessi e quindi per
gli altri... La vera rivoluzione sarebbe amare se stessi, in profondità. Ma noi
qui oscilliamo tra due estremi: l'odio profondo per noi stessi e il narcisismo
più cieco (che poi è un altra forma di odio per se stessi, in fondo) ...
Assolutamente d'accordo, ma allora? Di questo passo, si può anche
rischiare una "Pirlata dei caraibi" che, al di là del titolo e, di
una certa ironia di fondo, non è qualcosa di cui ridere... vero?
Ho detto, dico e dirò tantissime
Pirlate... Mi piacerebbe trovare sempre, nelle mie tasche bucate, un briciolo
di verità, ma trovo solo domande e domande... E le domande sulla caducità della
vita (ritorniamo alla copertina), al trucco della vita e della morte, come una
colomba nel cilindro di Silvan, alle zoppie degli affetti e dei rapporti di
coppia, sono domande che ustionano l'anima. Credo di avere l'anima ustionata su
almeno il 90% del suo corpo. A farmi domande sarei pure bravissimo, mi mancano
le risposte. Ma forse dare risposte non è compito degli artisti... Mi salvo,
così?
Cosa potrei dirti? Che "Ta sèt ù bàmbo"?
Sì!!! E' il titolo che avrei
voluto dare all'album... Sono un bamboccio, un ingenuo, uno stupido... ma forse
la mia psicologa ha la vista lunga, e chissà che, a furia di dover citare il
titolo vero, una piccola parte di me non cominci a prendere in considerazione
che siamo belli così come siamo, e si può essere brave persone anche sbagliando
di continuo. Anzi, forse di più proprio per questo.
Eppure, in mezzo a così tanta sofferenza una luce in fondo al tunnel
filtra, così almeno voglio intendere quel dolente brano conclusivo
"Esperanto" che già dal titolo suggerisce speranza, malgrado quel
"Se piangi ridi / se ridi soffri"... E' realmente così?
C'è una sorta di
"miseria", che ci brucia dentro, e non sappiamo "quando la
smetterà"... ma la speranza è che la vita è fatta di un susseguirsi di
momenti, i quali, essendo tali, per definizione finiscono (o finiranno). Quelli
belli, certo, ma anche quelli brutti. Perciò a volte bisogna soltanto
"starci dentro", a questi momenti, ed aspettare. Un po' quella sorta
di "allearsi col nemico se non lo puoi combattere", che è un
proverbio che odio, ma che forse si riferisce proprio ai momenti di difficoltà:
se non riusciamo (in quel momento) ad affrontarli, possiamo solo stare lì con
loro ed aspettare. Un giorno si stancheranno e se ne andranno. La mia speranza
è questa.
Se sei d'accordo, chiuderei il discorso disco con questo spiraglio...
lasciando al lettore / ascoltatore il desiderio di approfondire le altre
tracce, piuttosto mi piacerebbe sapere come hai intenzione di far conoscere
questo prezioso lavoro, hai già in mente un percorso live?
D'accordissimo! Ho fatto (a mie
spese ed a spese di una persona che mi ha aiutato economicamente) due serate di
presentazione. Lo stato dell'arte oggi è ridotto ai minimi termini, e ci si
ritrova a pagare per suonare... Ho altri live in programma, spero di poter
girare ed uscire anche dalla regione, per incontrare più persone possibili. La
Musica mi aiuta a superare la timidezza ed ha lo splendido scopo di farmi
incontrare anime simili...!
Un'ultima domanda, a proposito di anime simili. Anche se magari le tue
canzoni ti sembrano così personali da sembrare impossibile condividerle con
altri cantanti, ci sono artisti con i quali vorresti duettare? Che in qualche
modo stimi particolarmente?
Ci sono tantissimi artisti che
stimo. Erica Boschiero, Massimiliano Cranchi, due nomi tra i numerosissimi
artisti veneti, per parlare della mia regione. Ma anche Francesca Incudine,
Giovanni Del Grillo, e soprattutto la scena giovane di oggi, che è molto più
avanti di quel che si creda. I giovani che si trovano oggi a fare musica loro,
la sanno molto più lunga di quei discografici che pensano di colpirli con
fenomeni tipo Young Signorino, che invece dissetano solo la curiosità morbosa e
dissociata di adulti con la sindrome di Peter Pan...
Gerardo Balestrieri, laureatosi
all'Istituto Universitario Orientale di Napoli con una tesi sperimentale sul
sincretismo e la spiritualità nella musica popolare brasiliana, nel suo sito si
definisce cantautore apolide, polistrumentista. Per lui parlano soprattutto i
suoi dischi, sempre densi come la sua voce, sempre pieni di influenze lontane,
sempre così diversi fra loro. Da poco è uscito il suo nuovo progetto
discografico, “Syncretica” (2018 - Smart & Nett Entertainment), definito da
lui stesso “canzoni scritte da tempo e il tempo non esiste”.
Cover cd "Syncretica"
E' un po' di giorni che il tuo disco gira
nel mio lettore e ancora sono affascinato dalla mescolanza di suoni,
dall'incontro di mondi musicali diversi presenti in esso. Potrebbe, ad un
ascolto superficiale, sembrare una raccolta casuale ma non credo proprio lo
sia, forse la chiave di lettura sta nel titolo di questo nuovo lavoro
"Syncretica", che unisce tutte queste diversità. Un disco attualissimo
a dispetto della natura dei brani provenienti da tuoi periodi musicali diversi.
Il collante di questo progetto? Tu stesso e lo dimostra il fatto di esserti
messo in copertina. Ho detto fesserie?
Perfetta analisi scriverei. E' stato un album, da una parte ben pensato
e dall'altra, come in maieutica, ha visto nascere da sole certe cose, anche la
logica sequenza delle canzoni al di là dello stile che varia sempre nei miei
dischi. Un viaggio che parte da Creta, passa da Venezia (a cui Candia è
appartenuta), arriva in Francia e poi prende il largo, dal Medio Oriente e
altrove, un viaggio a porti aperti.
Lascio volutamente cadere il discorso
porti e resto sulla struttura del disco. Il fatto di averlo spesso ascoltato in
auto mi ha come portato in luce un aspetto che, inizialmente, mi era sfuggito,
il disco ha una struttura circolare e non mi riferisco certo al supporto
fisico, ma alle tracce. Si apre, infatti, con un rebetiko dal titolo
"Vieni vieni da Thomà" e si chiude con un altro rebetiko nascosto
(bonus track), quasi si ispirasse ad un vecchio film da me visto al cineforum,
mi riferisco a "Lo sguardo di Ulisse" di Theodōros Angelopoulos.
Quindi la Grecia come culla della civiltà occidentale e, non credo a caso, in
particolare Ulisse, del quale noi occidentali forse abbiamo mantenuto la stessa
furbizia nei confronti del mondo fuori le colonne d'Ercole e così, mi riallaccio
anche alla tua provocazione ... Che ne pensi?
E' stato l'ultimo film del più grande attore italiano a mio parere.
Sì, la circolarità che non si chiude, in realtà una spirale ... Kundalini. Eh
sì, io sto con Polifemo. Una volta, col "mio" contrabbassista,
eravamo in una stazione a Nord Est, " Cos’è quello?" chiede un
signore, riferendosi al contrabbasso, " E' la chitarra di Polifemo" gli
rispondo, lui in bici si avvicina e fa "Allora gli sarà costata un
occhio".
Cerchiamo di smontare un po' questo
cerchio o se preferisci spirale. Nel disco, ad esempio, ci sono canzoni come
"Gabbiano Bar" dove le lingue si mescolano e si confondono come
fossero schakerate, credo sia il termine più adatto vista anche l'alcolicità
del testo, in cui in fondo il testo sembra quasi più un pretesto a servizio
della magnifica atmosfera, quasi da film e canzoni, come "La sinistra
dalla erre moscia", in cui è il testo a dominare, fino alla chiosa finale
"sa qual è stata la disattenzione ... / Aver confuso come chi attende il
Sipario / la Rappresentanza con la Rappresentazione", un vero atto
d'accusa, no?
“Gabbiano Bar” l’ho scritta durante una stagione canoro pianistica
all’Hotel Cipriani, osservavo e ascoltavo i clienti e i barman, i camerieri,
ecc. Il pianoforte nel mix è lontano, come se a parlare fosse appunto il barman
e, di fronte nella sala, "Suonala ancora Sam" un po' come al Ritz di
Casablanca. “La sinistra dalla erre moscia” non la vedo come un atto d' accusa,
semmai un sogno sarcastico, attualissimo di queste ore, seppur scritta nel
2008, un destino tracciato di una realtà che ha dimenticato i deboli, gli
ultimi, confondendosi, attraverso la Rappresentazione coi forti e coi primi.
L’accusa se c’è non è mai diretta alla persona, ma al Potere.
In questo tuo navigare per mari lontani,
vai ad affrontare anche canzoni non tue. Partiamo da una tua personalissima e
libera traduzione di "Je bois" di Boris Vian, che leggo esser stata
scritta quasi dieci anni fa, com'è nata? Cela anche un riferimento a Piero
Ciampi, vero?
La traduzione fa parte del progetto di quindici anni fa legato a Boris
Vian, ho tradotto un bel po’di canzoni sue che poi han fatto parte dei miei
dischi, un giorno magari le raccoglierò tutte e ne farò un album dedicato al
patafisico del jazz. E anni fa avevo scritto "L’amore è lo sposo della
vita" su un foglio di carta, parole che ricordavo di Piero Ciampi ma non
ne sono sicuro, ho cercato ma non sono attribuite a lui, forse era un live in
cui ha detto questa frase, forse è mia, non ricordando esattamente ho preferito
attribuirla a lui, anche perché “Je bois” avrebbe potuto benissimo scriverla
Ciampi stesso, gran bevitore...
Ah, sicuramente. Le altre reinterpretazioni,
invece, appartengono alla musica popolare, parlo di "Cielito Lindo" e
del canto popolare "La strada nel bosco". Direi che mi ha colpito
soprattutto l'originalità e l'accuratezza musicale della prima che mi sembra
esaltare ancor più, se possibile, la composta fierezza del popolo messicano,
esagero?
In realtà, la musica stravolta di “Cielito Lindo” in tonalità minore e
in 5/4 è stata pensata in chiave molto mediorientale, tanto da essere stata
registrata a Izmir da musicisti curdi e azeri, riprendendo una versione incisa
insieme al più importante cantautore persiano vivente con cui ho collaborato.
E’ un Mexico ben lontano che porta la sua poesia, invece, che la musica, ma la
fierezza che hai intravisto penso ci sia, come di rimando. Di ritorno in questa
spirale...
Non mi riferivo tanto al vestito
musicale, stravolto si ma con una ricercatezza e gusto sublime, bensì al
significato dell'operazione.
Sì, un’operazione che tende a questo, anche per com’è cantata
probabilmente.
Direi che il medio oriente è comunque
sempre molto presente, mi sovviene ancora alle orecchie la splendida atmosfera
di "Se eredito la tua stanza", quei versi iniziali "Mirabile
visione a Malamocco: il vento al tuo incedere da bora si fa scirocco",
allora tutto è possibile, anche un ribaltamento della propria esistenza, di
luoghi geografici, quel Malamocco così vicino ma etimologicamente così lontano.
“Se eredito la tua stanza” è la canzone di “Syncretica” cui son più
affezionato, avevo scritto il testo e per anni ho pensato (immaginato spesso
prima di dormire) una batteria rock in 9/8. E' stata una bella sensazione e
soddisfazione sentirla finalmente incisa, quando, come scrivo nella
presentazione, hai l’esigenza di liberarti da qualcosa che ti appassiona e
ossessiona... Una canzone scritta su un solo accordo, un altro gioco più che
scommessa. A Malamocco ci son stato domenica scorsa, un posto senza tempo, un
acquarello di Hugo Pratt. Sto scrivendo un concept album dedicato a Corto
Maltese e cerco luoghi a lui cari, son passato da Scarso prima di andare al
mare. Un ribaltamento, un cambio improvviso di vento ... Parola e luogo antico,
c’era già in epoca romana prima che i barbari determinassero il nascere della
città in laguna, ho trascorso un'estate intera in questo borgo, in attesa di
mio figlio. C’è un Campiello dei Meloni adatto a pancioni da ottavo mese.
Senza voler passare in rassegna proprio
tutte le tracce del disco, vorrei però soffermarmi su "Tango del Rosso e
del Nero", magnifico tango, per almeno un paio di motivi, l'uso di strumenti
come daf e tombak e il fatto di essere stato scritto nel 1996, come mai è
rimasto sepolto così a lungo, lo trovo meraviglioso ...
Grazie dell'apprezzamento. Vivo un tempo discografico in netto ritardo
rispetto a quello reale. Ho scritto una sessantina di canzoni quando avevo poco
più di vent' anni, ma son riuscito a pubblicare il primo disco che ne avevo
trentasei, per cui tante canzoni nel carrozzone. Non è male che abbia inciso
“Tango del Rosso e Nero” adesso, in quegli anni non conoscevo il daf e il
tombak, strumenti magici in questo album. Ho scritto tanto in passato e questo
mi ha permesso di poter dedicare tanto tempo a fare il manager e promoter di me
stesso, nonché produttore. La scrittura ovviamente non è comunque mancata, a
sprazzi ho composto qualcosa anche negli ultimi dieci anni. “Canzone nascosta”
è il brano che sento più attuale. Adesso scrivo su Corto Maltese e son felice
di aver quasi svuotato la carrozza di "robivecchi" per dar posto a
storie nuove.
Per concludere, del tuo lavoro futuro hai
già accennato, vorrei invece chiederti come sarà promosso e fatto conoscere
questo tuo "Syncretica", sarà portato in giro con quale formazione
vista anche la vastità e complessità di sonorità che lo contraddistinguono? E
supponiamo che qualche avventore, vedendo magari la tua locandina appesa in un
locale, incuriosito dal titolo del tuo lavoro, ti chiedesse di che musica si
tratta, come gli risponderesti?
E' sempre un'incognita il tour e la band post disco. Non avendo mai
avuto strutture (booking, ufficio stampa, manager, ecc.) ho fatto sempre tutto
da solo, per cui niente di programmato a lungo termine e concerti con una band
ridottissima. Quest' anno, ho firmato con etichetta e agenzia tedesca, sono
previsti concerti con esclusiva in Germania, Austria e Svizzera, tutto da
programmare, intanto ho spedito un po’ di dischi per cercar di creare una
cartella stampa utile alla ricerca di concerti. Per poter davvero presentare i
miei album dal vivo avrei necessità di un'orchestra, ma da solo, senza strutture
è quasi impossibile. A volte capita...oggi trovare visibilità per me è
difficilissimo. Ho avuto la fortuna di essere arrivato alle orecchie di Renzo
Fantini che apprezzava molto ma ci ha lasciato troppo presto...
Hai volutamente glissato la domanda del
curioso di turno?
No, scusa, hai ragione, gli direi semplicemente che sono canzoni che
fanno ballare e pensare, musiche del mondo, molto varie nei ritmi e nelle
lingue, negli strumenti e nelle melodie. A volte in tempi dispari per
inciampare un attimo col gusto di essere vivi... Inviterei poi anche
all’acquisto del cd, per leggere con attenzione i testi e guardare i disegni
del booklet, oltre ovviamente un invito al riascolto.
Carlo Mercadante, per chi non lo conoscesse, è un cantautore siciliano,
per la precisione di Barcellona Pozzo di Gotto, ma un cantautore decisamente
fuori dagli schemi, basti pensare che nel 2014 pubblica a “rate” l’album “7
briciole lungo la strada” (Isola Tobia Label 2014). Direi che è un cantautore
difficilmente classificabile ma per questo ancor più interessante ed eccolo ora
mettersi in gioco con un nuovo sorprendente album “In testa alle classifiche”
(Isola Tobia Label 2018). Ce ne parla qui, in maniera originale, come non
poteva esserlo?
Cover CD "In testa alle classifiche"
Direi di partire, come mia consuetudine, dalla copertina, una foto con
un primo piano su fronte ed occhi. Sulla fronte vi campeggia un bel codice a
barre con il tuo nome e il titolo dell'album "In testa alle
classifiche", gli occhi sembrano un po' quelli tanto espressivi di un
Carmelo Bene. Direi che il protagonista ha un unico chiodo fisso nella testa?
Paragone meravigliosamente
pesante! È un concept sull'ossessione del successo, sull'arrivismo. Mettere da
parte le proprie idee e diventare accondiscendenti, facendo quello che gli
altri vogliono ascoltare pur di ottenere fama. Mettersi in vendita. Il codice a
barre mi sembrava rendere l'idea.
Giusto, un concept album. Già questa è quasi una novità nel panorama
musicale attuale, per lo più questo disco è davvero musicalmente vario perché
in questo concept il protagonista, un povero cantautore che vuole raggiungere a
tutti i costi la cima delle classiche, si trova a dover dare ascolto ai
consigli di molti personaggi, alcuni davvero bizzarri e non mancano neppure alcuni
nomi importanti ad interpretarli, vero?
Sì. Prima di ogni canzone c'è un
personaggio che mi consiglia sul brano giusto che dovrei proporre per scalare
le classifiche. L'ufficio stampa (Daniela Esposito, il mio vero ufficio stampa)
colleghi, gente che ascolta la radio, e qualche voce nota come quelle di Elena
Ledda e Caparezza. E io ... che accetto tutti i consigli man mano che scorre
l'ascolto pur di essere quello che gli altri vogliono che io sia.
Carlo Mercadante - Foto di Tamara Casula
Io ho trovato il disco molto intelligente, profondo, ma anche, grazie a
questa sorta di sceneggiatura che lega i brani fra loro, molto divertente. Credi
però che questa compattezza dell'intero progetto possa finire per danneggiare
ogni singola canzone? Nel senso che i vari pezzi, ascoltati singolarmente,
potrebbero perdere l'intrinseco valore?
Dubbio che mi sono posto. Ma alla
fine mi interessava raccontare più la storia. Anche per la pubblicazione in
digitale ero in difficoltà. Poi ho stabilito che l'ironia, l'autoironia
dovevano rimanere per dare il senso che avevo in mente. C'è un gioco di fondo.
Perché toglierlo?
Assolutamente d'accordo. Nell'altrettanto ironico libretto che
accompagna il disco, sono riportate alcune tue riflessioni che si concludono
con "Niente di impegnativo. Solo musica ... E' solo un gioco" che
ricorda tanto il “sono solo canzonette” di Edoardo Bennato, ma io ci credo
poco. Mi spiego meglio, le canzoni è vero sono molto ironiche, anche auto
ironiche, ma dietro questa veste anche un po’ scanzonata e divertente, secondo
me si cela un'acuta analisi e una forte critica che non riguarda solo il mondo
musicale, quello è forse solo un pretesto, ma che ha come bersaglio la nostra
realtà sociale. Dico una fesseria?
Dire cose sorridendo è il mio
modo di comunicare. Mi piace giocare. Sta a chi ascolta stabilire se dietro un
messaggio apparentemente comico c'è una verità importante. Contrariamente al
ruolo del cantautore disperato che cerca il consenso ritengo che l'ascoltatore
debba sforzarsi di comprendere il gioco e metterci il suo nell'interpretazione
della proposta. Quello non è ruolo mio. Lo lascio a chi ha voglia di essere
attivo nell'ascolto.
Entrando un po' più nel disco, ad un certo punto al protagonista viene
proposto di fare un po' come nei talent, il suggeritore di turno gli dice che
in fondo se non è nessuno, non può permettersi di scrivere in maniera credibile
canzoni d'amore e allora tanto vale affidarsi ad una cover ... nello specifico
una splendida interpretazione di "Ma che sarà" di Edoardo Bennato
(guarda caso). Cosa ne pensi sia dei talent televisivi sia delle tante cover
band che riempiono locali e piazze?
Non demonizzo i talent ma fare
una distinzione tra persona di spettacolo e artista è importante. Nessun
artista si sottoporrebbe a un giudizio o alla gogna di un televoto perché un
artista dice il suo e basta. Chi fa spettacolo, invece, è completamente
sottomesso al gradimento, ne dipende. Inoltre delegare al pubblico la
responsabilità di votare il talento è il più grande atto di codardia discografica
degli ultimi anni, ci si toglie la responsabilità di scegliere testando direttamente
prima ancora il gradimento del prossimo "prodotto". "Se papa Giulio
avesse delegato per far prima / al televoto il nome del pittore per la sua Sistina
/ di certo Michelangelo sarebbe andato a casa / ma oggi ammireremmo tanti bei
gattini in posa", l'ho scritto in versi quello che penso. Le cover band sono
un discorso a parte, sono una palestra per tanti e che ben vengano, il discorso
riguarda l'impossibilità di distinguere un dopolavorista da un operatore dello
spettacolo, ovvio che l'hobbista si svenda per due birre e metta in crisi chi
fa questo lavoro h24. Per quel che mi riguarda ho fatto tour meravigliosi in
stalle e mulini pur di evitare locali e adesso mi sto approcciando al teatro.
La musica d'autore deve avere spazi e attenzione. I locali, com'è giusto che
sia, devono vendere birra e risparmiare sulla musica. Anche se nessuno li
obbliga a fare live.
Hai parlato di locali, di teatro? Quale ritieni possa essere la giusta
collocazione per le date di presentazione del disco che immagino tu stia
predisponendo? Come sarà dal vivo lo spettacolo vista anche la particolarità
del disco con i vari interventi "esterni" alle canzoni?
Lavoro ormai da anni per portare
la mia musica fuori dai locali. Niente contro, ci sono cresciuto come tutti ma
ho anche l'esigenza di raccontare con piccoli monologhi le cose. Ho presentato
il disco al teatro Kopò seguendo un canovaccio e proponendo per la prima volta
dei monologhi, tra l'altro accompagnato da una band che mi ha garantito un muro
sonoro eccezionale (Giuseppe Scarpato, Marco Polidori, Paolo Baglioni). Ho avuto
un ottimo riscontro e ho tolto le paure di dosso per poter adottare questa
formula. Quando la gente ti dice che due ore sono passate in un attimo è
confortante. Adesso sto lavorando per un tour teatrale da portare in giro.
Vediamo che succede …
Carlo Mercadante - Foto di Tamara Casula
Io spesso ho avuto occasione di guardare i tuoi video interventi presenti
su Facebook o YouTube e non avevo dubbi sulle tua capacità di far volare due
ore di spettacolo ... Se sei d'accordo, vorrei farti un'ultima domanda, tesa a
incuriosire un po' chi ci legge. Del disco ho apprezzato tantissimo la tua
personalissima interpretazione di "Vitti na crozza", proprio perché
così diversa dalla versione di Modugno, vorrei però mi dicessi a quale delle
tue creature sei più affezionato o meglio ti rappresenta. Io credo di saperlo,
però a te la parola.
Oddio ... è la domanda alla quale
si risponde "non posso sceglierne una, sono tutte figlie mie". In
realtà il gioco delle opinioni degli intermezzi mi permette di spaziare
tantissimo. "Gli amanti di Galway" mi ha permesso di scrivere una
canzone d'amore che ho sempre fatto fatica a proporre. "Non bisogna
credere al cantante" è intimamente mia. Se ne devo citare una cito la
ghost track "Era settembre" perché è la conclusione del disco e dà il
senso al concept. Sono io nella mia stanza a scrivere solo per me e non per gli
altri e poi perché è il mio gancio con il prossimo album. Come? non ve lo dico
… giochiamo insieme.
Accidenti, avessi scommesso avrei vinto! Lasciamo allora aperta questa
porta sul futuro e direi godiamoci il presente, ok?
Nella biografia di Lucina Lanzara troviamo scritto: cantautrice,
sperimentatrice vocale, produttrice musicale e teatrale. Di sicuro è artista
mai propensa a ripercorrere strade già battute, se nel 2015 realizza il disco
“Lucina canta e racconta De Andrè” (Kelikon Edizioni 2015), una rivisitazione
in chiave mediterranea di vita e opere di Fabrizio De Andrè in realtà nata nel
2007, eccola ora proporci il suo “Isòla” (Nota Preziosa Edizioni 2018), un
opera strumentale, sperimentale tra vocalizzi e jazz, tutta da ascoltare, nata
come sonorizzazione live del documentario "Il resto dell'anno". Come
resistere alla tentazione di saperne di più …
Cover cd "Isòla"
Sono sempre attratto dalle copertine dei dischi, in fondo sono il
biglietto da visita di un progetto. La copertina di "Isòla" ti vede fasciata
da un bellissimo abito e un altrettanto bel turbante in testa, com'è nata
l'idea della copertina e perché quell'Isòla con evidenziato l'accento sulla o?
Rosa è il colore dominante di
Isòla. Isòla è femmina. L’abito rosa evoca il viaggio in un mondo fatato, in un
mondo di sogni ed emozioni. Il turbante mi restituisce il sapore d’oriente, il
gioco di perle in mano come se con loro fossi stata germinata dalle acque. Isòla
con l’accento sulla “o” come se fosse un neutro plurale: le cose che si fanno
da sola, Isòla con un chiaro richiamo all’isola, al sole, al sale, alla
completezza della donna.
Isola è un disco, per chi ti avesse conosciuta per il tuo progetto su
De Andrè, decisamente spiazzante, tu qui è come se fossi completamente un'altra
artista, compositrice raffinata sperimentale ma se poi ne conosci la genesi
diventa tutto più comprensibile, me ne parli approfonditamente?
Nella mia rivisitazione di De
Andrè c’è la donna, la donna amante, l’innamorata di De Andrè. C’è tutta
l’acqua del Mediterraneo. Io sono Isòla, Isòla è la mia poetica. Il mio primo
disco edito dalla RAI nel 2003 fu “Il canto del Sole”, un concerto per la Pace
per voce sola e percussioni, scritto a margine dello scoppio della guerra in
Iraq. Prima ancora, 1997, vivevo a Genova, intrisa dell’odore dei carruggi di
Faber, e scrissi “De Mare”, assolutamente cantautorale, dopo alcuni anni (2006)
edito ancora dalla RAI. Alcuni produttori mi chiesero di rispettare il mio
pubblico, così lo avrei spiazzato ed io risposi che sono questa: in eterna
evoluzione. Oggi sono felice di avere avuto il coraggio delle mie scelte: 6
dischi, 12 opere, tutte apparentemente diverse. Cerco sempre e solo il Suono e
le Emozioni, nel Mediterraneo.
Credo tu sia riuscita pienamente ad essere te stessa ma come
classificheresti, operazione orribile a dire il vero, questo tuo nuovo
progetto? O meglio, come lo presenteresti ad un potenziale fruitore?
Lasciati prendere per mano e ti
condurrò nel mondo dei sogni, tra Word Music jazz e New Age.
Hai visto, a proposito, questo
post di Andrea Podestà "Dopo di che è successa la magia..."
in cui parla di me a Pieve Ligure
accompagnata dagli straordinari Edmondo Romano al clarinetto e Riccardo Barbera
al contrabbasso e loop station?
Si, ho visto, credo sottolinei soprattutto la dimensione concertistica
di questo lavoro discografico, un'opera che è nata proprio per essere eseguita
dal vivo vero? Qual è stata la genesi di questo bellissimo lavoro?
Ti ringrazio! Per la verità il
disco ed il live sono due mondi a se stanti. Nel disco, Daniele Camarda, lo
straordinario bassista cosmopolita, utilizza una loop station anni’70 che segue
un algoritmo per cui il Suono si evolve e diventa irriproducibile, sempre
diverso. In più il suo strumento è un basso a 7 corde che si è fatto costruire
apposta e che Camarda utilizza talvolta come liuto, talvolta come contrabbasso,
talvolta come Arpa. Non esisterà mai un live uguale al disco ma ciò che conta è
il racconto e come il pubblico diventa parte integrante del racconto stesso. La
genesi è la colonna sono del Documentario “il resto dell’anno”, di cui ho
curato la colonna sonora, di Michele Di Salle e Luca Papaleo: mi fu chiesto di
essere, con la mia voce, l’Isola di Salina. Così è stato. Una colonna sonora
minimalista. Molta voce sola. Poi il giro del mondo per i Festival più
importanti del Documentario. Nicchia. Sempre meravigliosa nicchia …
Lucina Lanzara - foto di Giuseppe Sinatra
A proposito di nicchia, c'è un artista di nicchia uomo o donna con cui
vorresti collaborare ed unire la tua creatività, la tua voglia di sperimentare
cose nuove?
Patrizia Laquidara, Max Manfredi, il compositore violoncellista Giovanni Sollima.
Tornando al tuo disco credi che in qualche modo il fatto che sia un
lavoro puramente strumentale possa in qualche modo aprire le porte ad un
ascolto oltre i confini nazionali? È vero che risuona di Mediterraneo ma è pur
vero che la musica di qualità quella capace di emozionare supera ogni barriera,
no?
Oh! Grazie! Si! Lo penso, lo vivo
così. Non sono arrivata a pubblicare i testi nel Booklet in inglese ma on line
lo è già. Alla presentazione del disco a Palermo ho avuto contatti con Roma
Milano Genova con la traduzione estemporanea in inglese. Ho avviato una serie
di contatti con l’estero ma non posso sbilanciarmi ancora.
Nel citare tre artisti con i quali gradiresti collaborare hai fatto
nomi molto interessanti, chissà che da ciò non possa nascere davvero un
qualcosa di nuovo. Quando un artista pubblica un disco è come se mettesse la
parola fine, il sigillo definitivo ad un proprio progetto e comincia a guardare
oltre. Hai già in cantiere qualcosa di nuovo, nel caso si può già parlarne?
Esatto!!! Dovrei registrare tre
lavori teatrali di cui esistono i DVD live, sono oratori moderni sperimentali: “Dies
Natalis”, “Canto della Santuzza”, “Canta San Mercurio”. Dovrei finire il libro
sulle “Voci Vicine” ma soprattutto registrare e pubblicare il nuovo disco da
cantautrice! Già ho le canzoni! Mi manca il tempo!