di Fabio Antonelli
Il 7 maggio, al Blue Note di Milano c’è stato un bel sold out, che ha
visto protagonisti il cantautore milanese Folco Orselli ed il trombettista jazz
argentino Pepe Ragonese. Al centro della serata le canzoni di Folco Orselli, partendo
dal suo primo lavoro discografico “La stirpe di Caino” fino al suo nuovo album “Blues
in MI vol.1”, una ghiotta occasione per intervistarlo.
Il 7 maggio, accanto al trombettista jazz e amico di sempre Pepe
Ragonese, hai letteralmente riempito il Blue Note di Milano. Che cosa hai
provato a stare su quel palco, davanti ad un pubblico così entusiasta?
E’ stato molto appagante, stare
davanti a tutta quella gente, in un luogo con un’acustica perfetta, io e Pepe
Ragonese, in duo, con tutta la nostra passata storia musicale da rivivere
insieme, con tutte le sfumature “sensibili” a disposizione, la possibilità di
sussurrare parole e note, di arrivare al cuore delle canzoni e delle persone
attraversando e sfondando la distanza attraverso le mie canzoni, i miei
aneddoti, le note calde di Pepe e avvalendomi di quel modo di fare
intrattenimento, che mi è sempre piaciuto molto. Ora torno ai piccoli club,
comunque, dove ogni sera è una sfida, dove a volte non ti conosce nessuno e
devi portare a casa la pelle musicale … è divertente anche questo, anche se è
molto più faticoso, ma di questi tempi è davvero necessario.
In quella serata hai ripercorso la tua carriera artistica proponendo
alcuni dei pezzi che hanno segnato maggiormente il tuo percorso discografico,
tra questi cito il funky di MilanoBabilonia,
La ballata del Paolone, L’amore ci sorprende, la sempre amata Bellocchio, fino ad anticipare il
divenire. Proprio in chiusura, hai proposto un bellissimo inedito dedicato alle
Varesine, un pezzo di storia milanese che ignoravo e che mi ha letteralmente
commosso, soprattutto con quei versi finali dedicati alla tua Milano “meno male
che se guardo in fondo agli occhi tuoi vedo che sei ancora tu la mia città”.
Quanto sei legato a Milano?
Milano è il convitato dì asfalto
di tutte le mie canzoni. E’ la mia città, che cambia ogni dieci anni, come me,
come noi. Continuo a guardarla e a farmi affascinare da quella segreta grazia
tutta femminile. L’ho già detto mille volte, per me Milano è femmina, madre e
amante. M’ispira ecco, come una musa. Le
Varesine è un inedito che spero di riuscire a registrare per Blues in MI
vol. 2. Sono cresciuto in zona Stazione Centrale e il Luna Park “permanente”
delle Varesine è stato il mio spaccato sul surreale, sulla visione crepuscolare
poetica, sulla solitudine delle giostre che tanto mi ha assomigliato nei miei
dieci anni, ero un bambino vivace ma aperto alla malinconia e quel luogo mi ha
insegnato tanto. Ci andavo durante la settimana, quando non c’era nessuno e mi
riempivo di sensazioni, di odori, di avventura. Poi l’abbiamo visto stingersi
negli anni, dalla pioggia e dal tempo. Poi alcuni anni d’immobilità assoluta, un’allegoria
di luce e colore in una metropoli ferma, gli anni ’80-metà ’90 e poi le hanno
smantellate. Mi piace questa canzone, mi fa tornare a quelle sensazioni. Magia e
mistero della musica.
Credo sia però giunto il momento di parlare del tuo nuovo disco, che
già nel titolo Blues in MI evoca il
tuo legame con il blues e con Milano. Il disco è stato preceduto dal
divertentissimo video di una delle canzoni più belle, Paolo Sarpi Blues, com’è nata questa canzone? Com’è stata
sviluppata l’idea del video? Anche in questo caso, come racconti spesso, ti sei
ispirato al tuo vissuto?
Venivo da un periodo
creativamente difficile, non trovavo stimoli che mi mettessero in moto, che mi
facessero dedicare alla scrittura con entusiasmo. Non sono un mestierante, non
scrivo se non ne ho voglia, le canzoni scritte per forza fanno mediamente
schifo, le canzoni devono raggiungerti, anche se sei distratto, devono essere
equipaggiate di qualcosa di urgente che non sento nel 90% delle cose che
ascolto. Ho passato una vita sulle sponde di un fiume fiorito d’idee e d’ispirazione
e voglio continuare a muovermi su quella sponda. Pensavo di essere arrivato
alla foce e poteva anche starci. Poi ho sconfitto questa paranoia affrontandola
e guardandola dritta in faccia. Si è dileguata e la mia risata, nel vedere
questa vile angoscia che mi pervadeva, sciogliersi davanti a me, mi ha fatto
scrivere le ventuno canzoni che andranno a finire nei due Blues in MI. Paolo Sarpi Blues fa parte di questa
risata. Avevo voglia di un sound rhythm and blues, con i fiati, l’Hammond e,
con il mio pard artistico di ormai quattro dischi, Enzo Messina, abbiamo
confezionato questo bel groove. Era tempo che avevo voglia di scrivere una
canzone in milanese, che poi è legnanese giacché i miei nonni erano di li. Il
video è stato una collaborazione con i ragazzi de Il Terzo Segreto Di Satira
con i quali ho messo a fuoco delle idee che avevo sulla sceneggiatura della
storia e che volevo, appunto, divertente. Penso che si sia riuscito
nell’intento. Il pezzo dal punto di vista testuale rientra in quella mia
ricerca su Milano e sulla sua composizione sociale e multiculturale, vera sfida
dei prossimi anni. La comunità cinese mi ha sempre affascinato, è dal ‘500 che
sono a Milano, città da sempre votata al commercio come i cinesi appunto. Se
poi questa è un’esperienza personale, beh … non te lo dico.
A proposito di vissuto, non posso non chiederti di Como e carne, sia perché sono di Como sia perché è una canzone che
trasuda “libidine”…
La gran parte delle canzoni che
scrivo ha qualcosa di vissuto. Le canzoni che portano con sé una storia vera, o
in parte vera, sono molto più convincenti. Non so dirti perché, ma quando le
canto in pubblico, passa qualcosa che l’opera di pura fantasia, per quanto
cantata in modo convinto, non passa. Como
e Carne contiene qualcosa di vero e qualcosa di aggiunto. Le cose vere si
capiscono quali sono secondo me…
C’è una canzone, Pericolosamente
retroattivo, che sembra essere quasi il seguito di quel “j’accuse” che è
stato La stirpe di Caino, sono passati tanti anni ma la rabbia è rimasta viva?
Guarda, rabbia è una parola che
non mi appartiene. Di questi tempi poi mi sembra sia diventata il cibo di chi
non usa bene il cervello oppure la benzina dell’ignoranza, quindi preferisco
evitarla. Il mestiere dell’artista è complicato, si ha a che fare con le
proprie aspirazioni, molto spesso frustrate, e quindi si rischia di confondere
la determinazione nel restare in piedi con qualcosa di simile alla rabbia. Non
è così. Almeno per me. E poi quando inveivo dalle pagine de La stirpe di Caino non immaginavo che si
potesse arrivare così in basso, parlo dal punto di vista produttivo musicale.
La discografia si vergogna di se stessa, hanno abdicato al loro ruolo, sono dei
falliti. Hanno fallito la loro missione: proporre l’arte e gli artisti alla
gente, avere il privilegio di capirli, di produrli e di promuoverli. Ora vivono
nella tirannia della domanda, non decidono più nulla, si limitano a produrre
quello che la rete, con le visualizzazioni, impone loro. Pericolosamente
Retroattivo è un dialogo con il tempo e con lo specchio che questa gente non è
minimamente in grado nemmeno di capire.
Nel disco ci sono un paio di canzoni, Lo Scaldabagno e Quel che
resta di te, in cui hai collaborato con due amici di vecchia data,
rispettivamente Claudio Sanfilippo e Flavio Pirini, due cui l’ironia certo non
difetta. Come sono nate queste due canzoni, stilisticamente così diverse fra
loro, ma altrettanto affascinanti?
Claudio e Flavio sono, oltre a
due grandi amici, anche due formidabili scrittori di canzoni. Hanno il blues
nello scrivere, nel far suonare le parole. E’ una questione molto importante
per me il come le parole suonino. Loro le sanno far suonare come piace a me,
quel modo che non ha niente a che invidiare con il suono della lingua inglese,
notoriamente ottima per scrivere canzoni e parole. Nel caso di Claudio, avevo
questo pezzo in finto inglese che avevo intitolato provvisoriamente “Kiss from
the Boyou”, il lungo fiume che bagna New Orleans si chiama Boyou. Non riuscivo
a uscirne finché una notte che eravamo finiti insieme a un baracchino, tra una
birra e l’altra, mi è venuto in mente di proporgli di scrivere lui il testo e
così, a caso, ho buttato li: “Potrebbe intitolarsi lo scaldabagno!”. Lui ha
raccolto e un paio di giorni dopo mi ha mandato il testo completo. Formidabile!
Con Flavio invece abbiamo adottato un altro metodo, sempre su una canzone in
finto inglese abbiamo scritto una strofa a testa a distanza. Lui me ne mandava
una ed io proseguivo con un altra e gliela rimandavo e lui continuava. Fino a
quando il testo non è stato completo. L’unica cosa che sapevamo era che avrebbe
dovuto parlare di uno che sparisce e nessuno sa più, dove si sia cacciato.
Il disco si apre con La gente un pezzo funky molto trascinante,
uno sguardo impietoso sul mondo circostante, un fiume di versi in piena,
potrebbe essere la tua Quelli che? E
non solo per quel “cosa significa quando ascolti Jannacci e sei Biagio
Antonacci”.
La gente l’ha scritto il mio inconscio. Ho sognato un mio grande
amico, Sergio Cocchi un musicista con cui ho suonato per una vita e con cui
suono ancora, che mi faceva ascoltare questo pezzo in uno studio, su un
registratore a cassetta. La prima frase del pezzo è proprio quello che ho
sentito nel sogno “Cosa significa, fare parte di un giro, cosa significa, fare
parte di un coro”. Mi sono svegliato e l’ho appuntata sul registratore del
telefono. Solo che non riuscivo più a dormire, perché mi arrivavano
continuamente altre frasi in testa. Continuavo ad accendere il telefono e a
registrare queste frasi. La mattina dopo mi sono reso conto che erano
tantissime e non ho fatto altro che copiarle e metterci sotto la musica che ho
sentito nel sogno che era molto semplice ma efficace.
Citazioni. Nel disco citi, nel bene o nel male, lascio a te dirlo, non
solo Jannacci ma anche Vinicio Capossela “con sotto quella musica italiana del
Capossela con la banda indiana che balla il bagaloo” in Bicchierate e persino Freddy Mercury “ti son venuti anche i dentoni
come il cantante dei Queen” in Oh Marleen.
Ce n’è per tutti?
Sì, mi sono divertito a citare
qualcuno. Ci sono anche citazioni sonore: Santana. Mark Knopfler, Dr John.
Capossela ogni tanto lo canzono un po’ perché devo restituirgli tutte le menate
che mi hanno fatto negli anni dicendo che lo imitavo. Anche se naturalmente lui
non c’entra nulla. Ora spero l’abbiano piantata: io suono il blues!
C’è una canzone Buio (storia di
una strega) che non può non lasciare turbati per il tema trattato,
purtroppo sempre attuale. Racconta di una storia in particolare, magari legata
a Milano?
Racconta di quanto il potere,
lungo tutti i tempi, utilizzi l’ignoranza della gente per conservare se stesso.
In passato la “santa” inquisizione utilizzava lo spauracchio del demonio per
imporre il suo dominio sulla gente, in questo caso racconto di un rogo in
piazza Vetra in cui parecchie giovani donne furono bruciate vive in nome della
Chiesa, agitando la paura del demonio. Ora agitano altre paure, non bruciano
più la gente ma utilizzano la stessa ignoranza facendo credere, a chi ci casca,
che esistono delle minacce esterne che mettono in pericolo la nostra esistenza
come popolo. Se il popolo è quello che crede in queste baggianate, queste armi
di distrazione di massa come dice qualcuno; bene spero proprio che qualcuno
venga a diluirci demograficamente, non ci potrebbe che fare del bene.
Sai che starei ore a fare domande sulle tue canzoni però voglio
lasciare a chi legge il desiderio di scoprire le altre tracce del disco che,
essendo un vol. 1 suppongo avrà un seguito … Già scritto, solo progettato?
Com’è lo stato dei lavori?
Ho già registrato nella prima
sessione otto pezzi che saranno integrati da altri cinque o sei che scriverò
per il progetto sulle periferie “Blues in MI: periferia identità di Milano”, al
quale sto alacremente lavorando, e che vedrà la luce nel 2020. Inserirò il
brano Le Varesine e altre canzoni su
altre zone di Milano, per lo più periferie. Sto completando piano piano un
lavoro di toponomastica musicale sulla città.
Ci sono altri due aspetti che vorrei toccare, il primo è come poter
acquistare il disco. So che hai scelto, di fatto, di non distribuirlo se non
attraverso i concerti? Perché questa scelta?
Perché è più comodo per tutti.
Perché i negozi ormai sono virtuali, Se qualcuno vuole un mio disco lo può
chiedere a me ed io glielo spedisco. Perché bisogna andare a vedere i concerti
e mettere il naso oltre lo schermo del computer o del telefono, altrimenti
alleveremo generazioni cui non interessa più esibirsi dal vivo, che non sanno
più suonare degli strumenti musicali, stare su un palco, alleveremo gente che
considera inutile il Live, quindi, andateci ai concerti. Partecipate, che la
libertà non è star sopra un albero come cantava qualcuno…
Secondo aspetto, l’attività live. Dopo il grande successo del Blue
Note, stai portando avanti un tour dal titolo “Blues to you”, di che si tratta?
Si tratta di un tour nelle case e
nei giardini di chi mi vuole ospitare, la storia di Maometto e della montagna.
E’ talmente necessario che la musica dal vivo torni nelle nostre abitudini che
vengo io a casa vostra, vi faccio un concerto privato. Sta molto funzionando e
sono contento. Per info agents@folcoorselli.com
Vorrei chiudere, in fine, con le parole di stima nei tuoi confronti spese
non da me, ma da un amico comune, il cantautore Federico Sirianni che di te ha
detto che sei uno dei migliori scrittori in assoluto di canzoni d’amore. Con
questo disco hai voluto smentirlo? In fondo non c’è una vera e propria canzone
d’amore, in senso classico, o forse lo è Bicchierate
con quei versi finali “bicchierate commesse con le analisi sbagliate tua moglie
ti farà delle menate ma forse quando torni dorme già” più di tante canzoni
piene di sdolcinate parole, esprime l’amore vero, quello di tutti i giorni,
quello che sopravvive dopo tanti anni?
Il mio amico Federico Sirianni mi
conosce bene, e sa che sono un fottuto romantico. In questo disco non ho mai
parlato tanto d’amore! L’amore per la vita! La vita del musicista,
dell’artista, costretto a rimanere in piedi al vento, alla burrasca culturale
che stiamo vivendo. Sono tempi di resistenza questi e cosa c’è di più amorevole
di combattere per qualcosa in cui credi? Ad maiora.
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