venerdì, gennaio 20, 2012

Recensione CD “Anime migranti” di Mario Incudine

Mario Incudine: “Anime migranti”
Un affresco corale di grande fascino

di Fabio Antonelli

“L'energia delle culture radicate nella profondità dei tempi e nei cammini dell'interiorità anche nel marasma della mediocrità sanno emergere e trovare voci e interpreti. Ascoltate Mario Incudine, il colore della sua voce, il suo stile interpretativo, il suo gesto vocale, condensano e distillano per noi l'arte e il sapere di una tradizione, la forza di una cultura, i suoni esplodenti colori di una lingua che trasuda umori, colori, ironie, il privilegio di contaminazioni antiche di una terra di accoglienza, solare e tragica, ricca di umanità travagliata, consumata dalle fatiche, dispersa negli esili, esiliata nelle sue masserie. Mario trasmette, reinventa e ricrea. Il cunto nella sua bocca e nei suoi segni espressivi  ti fa saltare sulla sedia, ti fa partecipe di vicende secolari, ti diverte ti destabilizza, perché Mario nel suo essere hic et nunc, è antico e contemporaneo, giovane e vecchio, con lui siamo nel passato, nel presente e nel futuro, ma non solo noi, lo è l'eredità di cui siamo collettivamente ed individualmente responsabili”

E’ Moni Ovadia a invocare l’ascolto di Mario Incudine tramite queste belle parole tratte dal libretto che accompagna “Anime migranti”, il nuovo disco di questo giovane artista di Enna che a soli trent’anni s’è già cimentato nelle vesti di cantante, attore, ricercatore, musicista e autore di colonne sonore, sempre con ottimi risultati.

Proprio come nel caso di questo gran bel disco che ruota intorno ad un tema di grandissima attualità come quello delle migrazioni, sviluppato attraverso un vero e proprio affresco corale che vede coinvolti tante voci preziose come quelle di Alessandro Haber, Mario Venuti, Edoardo De Angelis, Nino Frassica, Salvatore Bonafede, Faisal Taher, Lello Analfino, Anita Vitale, Kaballà, i Djeli D’Afrique, impressionante anche la miriade di strumenti utilizzati (tanti esotici) e i relativi strumentisti coinvolti nel progetto.

Non è certo però la quantità ma la qualità dell’opera a colpire sin dalle prime note, da quel punto di partenza sia musicale sia geografico costituito da “Salina”, il brano con cui Mario ha vinto il Festival della nuova canzone siciliana con quel “S’ un pozzu iri avanti / un mi mannati arreri / lassatimi muriri ammenz o mari”, capace di condensare tutta la disperazione di coloro per cui “L’Italia è un pensiero costante, che attraversa la corrispondenza e conduce a un finale imprevedibile, perché certi legami quando si spezzano, ti diventano spasmo nelle viscere” come scrive lo stesso Incudine nella sua breve nota introduttiva all’intero lavoro. Musicalmente affascinati le influenze orientaleggianti che emergono verso la fine brano.

Note liquide di pianoforte accompagnano invece la calda voce di Mario mentre recita intensi versi tratti da “Solo Andata, righe che vanno troppo spesso a capo” di Erri De Luca “Da giorni prima di vederlo il mare era un odore / un sudore salato / ognuno immaginava di che forma. / Sarà una mezzaluna coricata, / sarà come il tappeto di preghiera / sarà come i capelli di mia madre” e, dopo una bellissima e commovente melodia eseguita al pianoforte da Antonio Vasta (co-produttore artistico del disco) e dai violini di Giuseppe Cusumano, ancora toccanti versi “Non fu il mare a raccoglierci, / noi raccogliemmo il mare a braccia aperte / solo il primo ha l’obbligo di sollevare gli occhi, / gli altri seguono il tallone che precede, / il viaggio è una pista di schiene”. Commovente questa “Sottomare”.

Melodica e più legata alla tradizione popolare è “Novumunnu” che vede la partecipazione di Kaballà in veste sia d’autore sia di co-interprete di questo brano che è un canto sul vivo sogno d’America di tanti nostri migranti. Le voci sullo sfondo, quasi un dolce lamento, sono affidate all’Omnia Beat Gospel projet.

Dopo una tenera “Tenimi l’occhi aperti” che vede anche la presenza dell’Orchestra di Puglia e Basilicata diretta da Valter Sivilotti, ecco uno dei momenti più intensi dell’intero lavoro che vede la presenza efficace delle voci di Anita Vitale e di Mario Venuti, “Namenàme” è un pezzo pregno di echi africani evocati dal corno tunisino di Antonio Putzu, la voce e le percussioni africane di Alain Victor Mutwe, la voce e le congas di Samuel Kwaku Gyamfi, è il canto dell’abbandono di tutto ciò che fino quel momento era familiare per un futuro senza certezze “Lassamu u cori ccà chiantatu nterra / lu cori di cu un jornu ebbi a scappari / e ora stavi accussi … tira a campari”.

Molto bello è anche il canto a due voci, quella di Mario e di Edoardo De Angelis e due lingue, il dialetto ennese e l’italiano, del brano “Speranza disperata” che vede, in una sinergia di contributi, anche la presenza dell’Orchestra “Canzoni di confine” proveniente dal lontano Friuli. Fanno riflettere i bei versi finali “Quello che fa più male / in fondo a questa storia / è assistere al silenzio / al silenzio della memoria” giusto prima di quel lungo finale d’archi, qui determinanti e ancora una volta diretti da Valter Sivilotti.

Giocata sulle percussioni e il controcanto delle chitarre elettriche, con le voci di Mario, Giancarlo Guerrieri e Max Bosa che si alternano, “Sempri ccà’” è una canzone trascinante, dai colori decisamente mediterranei che ci parla dell’immutabile quotidianità “Nta stà vanedda di stu tò paisi / unni restu cca fora senza pritisi, / c’è tuttu chiddu ca mi fici cristianu / e ci si tu ca mi facisti celu”.

Intensa, poetica, è “Lu trenu di lu suli”, un testo di Ignazio Buttitta musicato da Mario e suonato dal solo violoncello di Redi Hasa, dedicato all’immensa tragedia belga della miniera di Marcinelle che l’8 agosto 1856 vide tra le 262 vittime molti siciliani. E’ un pezzo che trasuda dolore passo passo, partendo da quell’abisso creatosi all’arrivo della notizia della tragica morte di tanti connazionali.

In “Terra”, c’è ancora un dialogo tra lingue distanti, qui la voce di Mario si alterna con il canto arabo del palestinese Faisal Taher, la musica è sorretta dal solo pianoforte di Salvatore Bonafede ma c’è come un senso di pienezza che appaga l’ascoltatore. Trovo sia uno dei passaggi più belli del disco, con la musica che si fa protagonista anche del testo “Musica ca s’arriviglia a matinata / ca cu a senti mancu si la scorda / pirchì è la musica di sta terra surda / ca di tant’anni un cangia / è sempri chidda”.

Non ci sono proprio mai cali di tensione, battute a vuoto, in questo disco, basta ascoltare la successiva “Sotto un velo di sabbia” per rendersene conto. E’ una canzone mesta, in cui si alternano il canto in italiano di Alessandro Haber e quello in dialetto di Mario, intercalati dal recitato in etiope dell’attrice Caterina De Regibus fino a giungere a questi versi finali recitati da Haber “Lascio il mio amore corda di violino / lascio il mio cuore pelle di tamburo / lascio la mia rete senza più esche / resto sotto un velo di sabbia / divorato dalle mosche”, chiude un finale arabeggiante, pieno di violini che si stagliano su un fondale d’ipnotiche percussioni.

Con “Strati di paci” si cambia sicuramente passo, è una danza che ha tutta la vitalità del sud sin dalla vivace partenza con la fisarmonica di Antonio Vasta, cui subentrano chitarre e percussioni quasi a invitare l’ascoltatore a un collettivo ballo, a una fratellanza che porti pace “e nni fa ricurdari quantu su nnutuli / li mali paroli si c’è l’omu c’aiua autru omu / e lu frati c’abbbrazza lu frati / sunnu belli li strati sunnu belli li strati / c’è bisognu di l’omu ch’aiuta autru omu / e dun frati ch’abbrazza li frati / c’è bisognu di paci c’è bisognu di paci”, come cantano anche i bambini del Coro “Hator” del I circolo didattico di Vittoria (RG).

Dopo tanta energia c’è quasi bisogno di congedarsi con un brano lento e riflessivo come “Lu tempu è ventu”, costruito su un intreccio tra gli arpeggi della chitarra classica di Massimo Germini e il suadente violoncello di Paolo Pellegrino, il canto si chiude così “Ogni cosa lassata è cosa pirduta / lassu lì me muddichi nta la tò strata / si t’arrivigghi, mannami na vasata / pigghia li muddicheddi e cangia vita”.  

Difficile davvero trovare un appiglio per una critica negativa a questo bellissimo progetto che vede Mario Incudine nel ruolo di regista, autore della maggior parte dei testi e delle musiche, valido interprete dei suoi pezzi con l’aiuto di un gran numero di ospiti coinvolti, tanto che questo lavoro già nel titolo sembra assume un valore corale, una condivisione d’intenti, una sinergia capace di produrre risultati sorprendenti.

Un difetto? La mancanza, nel libretto che accompagna il disco delle traduzioni dei testi che, per chi come il sottoscritto non è siciliano, comporta una difficoltà interpretativa a volte molto ostica.

Mi sembra davvero poco, confrontato alla bellezza dell’intero disco, ascoltatelo con il cuore vi si aprirà un mondo musicale d’incredibile fascino.



Mario Incudine
Anime migranti

Finisterre / Felmay - 2011

Nei migliori negozi di dischi o su http://www.marioincudine.info/

Tracce           
01. Salina
02. Sottomare (feat Nino Frassica)
03. Novumunnu (feat Kaballà)
04. Tenimi l’occhi aperti (feat Vincenzo Mancuso e Valter Sivilotti)
05. Namenàme (feta Mario Venuti e Anita Vitale)
06. Speranza disperata (feat Edoardo De Angelis)
07. Sempri ccà (feat Giancarlo Guerrieri e Max Busa)
08. Lu trenu di lu suli (feat Redi Hasa)
09. Terra (feat Salvatore Bonafede e Faisal Taner)
10. Sotto un velo di sabbia (feat Alessandro Haber)
11. Strati di paci (feat Lello Analfino)
12. Lu tempu è ventu

Crediti
Mario Incudine: voce, chitarre acustiche (1, 5, 6, 7, 11), tzouras (1), voce recitante (2), chitarra battente (6), chitarra classica (10)
Mariangela Vacanti: cori (1)
Franco Barbarino: chitarre (1), laud (1), tzouras (5), bouzouki (11)
Antonio Vasta: fisarmonica (1, 2, 3, 6, 11), zampogna “a paru” (1), pianoforte (2, 6)
Antonio Putzu: corno tunisino (1, 5, 6), flauto sopranino (6), duduk (10), clarinetto (11), flauto di canna (11)
Angelo Scelfo: basso (1)
Davide Campisi: cajon (1)
Salvo Compagno: percussioni (1), shaker (3), tammorra muta (3), cassa (5, 11), djembè (5, 11), congas (5), shaker (5), tamburelli (5), cajon (6), riq (6, 10, 11), surdo (6), piatti (6, 11), daf (10), sonagli marocchini (10), darbouka (10), ocean drum (11)
Giuseppe Cusumano: I violino (2), II violino (2)
Adelaide Filippone: viola (2)
Paolo Pellegrino: violoncello (2, 12)
Kaballà: voce (3)
Mario Saraglia: tastiere (3), programmazioni (3)
Omnia Beat Gospel project: cori (3)
Massimo Germini: chitarra classica (3, 12)
Vincenzo Mancuso: chitarre acustiche (4)
Valter Sivilotti: direzione orchestra (4), arrangiamento archi (4), direzione archi (6)
Anita Vitale: voce (5, 6)
Mario Venuti: voce (5)
Alain Victor Mutwe: voce (5), percussioni africane (5)
Samuel Kwaku Gyamfi: voce (5), congas (5)
Mario Tarsilla: basso (5)
Edoardo De Angelis: voce (6)
Pino Ricosta: basso (6, 7, 11)
Orchestra “Canzoni di confine” (Friuli): (6)
Emanuele Rinella: batteria (7)
Placido Salomone: chitarre elettriche (7)
Totò Orlando: tammorra (7), percussioni (7)
Giancarlo Guerrieri: voce (7)
Max Bosa: voce (7)
Redi Hasa: violoncello (8)
Faisal Taher: voce (9)
Salvatore Bonafede: pianoforte (9)
Alessandro Haber: voce (10)
Caterina De Regibus: voce recitante (10)
Ivan Pietro Greco: I violino (10)
Giancarlo Renzi: II violino (10)
Paolo Lombardo: viola (10)
Sonia Giacalone: violoncello (10)
Lello Analfino: voce (11)
Coro “Hator” del I circolo didattico di Vittoria (RG): (11)
Cinzia Spina: direzione coro (11)


Testi e musiche di Mario Incudine tranne:
“Sottomare” (musica di Mario Incudine e Antonio Vasta), “Novumunnu” (testo di M.Saroglia e Kaballà - musica di M.Saroglia), “Namenàme” (musica di Mario Incudine, Mario Tarsilla e Anita Vitale), “Speranza disperata” (testo di Mario Incudine e Edoardo De Angelis), “Sempri ccà” (musica di Mario Incudine e Francesco Barbarino), “Lu trenu di lu suli” (testo di Ignazio Buttitta), “Terra” (testo e musica di Mario Incudine e Faisal Taher), “Strati di paci” (testo di Mario Incudine e Lello Analfino - musica di Mario Incudine, Lello Analfino e Antonio Putzu) 

Produzione: Mario Incudine, Arturo Morano per Finisterre
Produzione artistica: Mario Incudine, Antonio Vasta per Finisterre
Produzione esecutiva: Pietro Carfi, Raffaele Pinelli per Finisterre
Registrazioni: Andre Ensabella presso AS Studio Project (Enna), Antonio Zarcone presso lab Music (Palermo), Leonardo Bruno presso Altaquota Studio (Petralia Soprana – PA), Mario Saroglia presso Omnia Beat Studio (Milano)
Missaggio: Andrea Ensabella presso AS Studio Project (Enna)
Mastering: Paolo Mauri presso Omnia Beat Studio (Milano)
Grafica e fotografie: Charley Fazio www.charleyfazio.it

Sito ufficiale di Mario Incudine: http://www.marioincudine.info/
Mario Incudine su MySpace: www.myspace.com/marioincudine
Mario Incudine su Facebook: www.facebook.com/terra.incudine

lunedì, gennaio 16, 2012

Migliori dischi 2011

di Fabio Antonelli



Luigi Maieron - Vino, tabacco e cielo
Susanna Parigi - La lingua segreta delle donne
Folco Orselli - Generi di conforto

L'inizio di un nuovo anno porta inevitabilmente a fare una sorta di bilancio di ciò che è stato l'anno precedente, eccomi allora a ripensare a quel 2011 che musicalmente è stato davvero copioso di album validi, tanto che non mi sento di racchiudere in appena dieci titoli la mia personalissima selezione di migliori album.
Prima cosa perché ogni cernita, pur ponderata e pensata a lungo, parte sempre da una valutazione pur sempre parziale perché è impossibile per chiunque riuscire ad ascoltare, non dico con attenzione ma anche soltanto ascoltare, quanto è prodotto musicalmente in un anno.

A ciò va aggiunto che la maggior parte delle uscite è costituita da autoproduzioni con i noti problemi di distribuzione per cui capita spesso che ottimi dischi restino inascoltati.

In fondo però, stilare il bilancio di un'intera annata discografica, è un po' come valutare la produzione enologica di una certa annata, si sa che ci sono vini magari buoni come novelli, freschi immediati, anche se poi lasciano un po' il tempo che trovano e tanto che a volte ci si chiede se siano veri vini, poi ci sono quelli che definirei di medio corpo, con un po' più di stoffa e di carattere, non di quelli che al secondo assaggio hai già cambiato idea sulla loro validità, poi ci sono anche vini più complessi, sulle prime ostici, difficili da interpretare ma che alla fine sono quelli che lasciano il segno e che non temono lunghi invecchiamenti anzi, ripresi in mano negli anni successivi, rivelano nuovi aspetti e si rendono ancora più intriganti.

Chiusa la parentesi enologica, partirei quindi con il listone e, sul podio dei migliori dischi del 2011, metterei questi tre lavori: Luigi Maieron con il suo magnifico "Vino, tabacco e cielo", l'artista friulano è da sempre capace di mettere nelle proprie canzoni l'essenza della vita ma questa volta l'ha fatto utilizzando anche la lingua italiana rendendo così più fruibili le proprie canzoni a chi friulano non è, Susanna Parigi fiorentina ci ha abituato di anno in anno a lavori di ottima fattura qualunque fosse la tematica scelta e con il suo "La lingua segreta delle donne" questa volta è volata molto alta, in difesa di un mondo femminile spesso sottomesso e costretto al silenzio, infine un disco di recentissima uscita che meriterebbe davvero maggior visibilità, ma sconta il fatto di essere come si diceva un'autoproduzione, rappresenta anzi lo sforzo di un artista che ha voluto intraprendere la difficile strada di crearsi una propria etichetta, mi riferisco al milanese Folco Orselli e al suo gran bel disco "Generi di conforto" e, di generi di conforto, ne abbiamo un gran bisogno in questo difficile momento storico.

Detto questo, procederei poi in ordine sparso, così come mi affiorano alla mente per libera associazione di pensieri, ecco così Gianmaria Testa e il suo "Vitamia", una sorta d'intimo sguardo alla propria vita ma anche alla realtà circostante, con una grande assenza tra le tante assenze di questi tempi bui, quella del lavoro, quindi temi attualissimi.

Denso, intenso, molto legato alla propria terra d'origine, espressione di grande maturità artistica è "Sette pietre per tenere il diavolo a bada" del catanese Cesare Basile, restiamo allora in terra siciliana e l'invito è ad ascoltare l'attualissimo, quasi corale per i tanti ospiti presenti, "Anime migranti" di Mario Incudine.

Il dialetto sembra davvero essere tornato lingua viva, non c'è più solo il sempre valido Davide Van de Sfroos con "Yanez", un disco che ha per forse un po' patito la partecipazione alla kermesse sanremese, ci sono altri esempi come il bellissimo per arditezza e stile "Canto dell'anguana" di Patrizia Laquidara che per l'occasione ha ripercorso le proprie origini materne, intraprendendo un personalissimo e per questo ancor più affascinate percorso, Aldo Rossi friulano che con il suo doppio disco "La vite e la muart" ha messo in canzone un'ampia riflessione a tutto tondo sul duplice tema della vita e della morte, Roberta Alloisio genovese che in "Janua" ha cantato la sua Genova come donna, un po' santa un po' puttana e, non ultimi, gli Yo Yo Mundi con "Munfrà", un disco che non caso ha finito per affascinare l'inarrivabile Paolo Conte.

Di Conte in Conte, come non citare Giorgio Conte quale esempio di home-production di pregio, si perché l'ironico e sornione fratello ha voluto realizzare il suo "C.Q.F.P. Come Quando Fuori Piove" senza muoversi da casa, grazie anche al prezioso contributo del fisarmonicista Walter Porro, inserendovi alcuni "effetti speciali" molto domestici e aprendo forse così una nuova via da perseguire contro la crisi discografica. Lo ascolterei all'infinito.

Poi le donne, tutte molto nuove, tutte molto convincenti seppure diversissime fra loro, ecco quindi Giorgia Del Mese con il suo energico e a tratti aggressivo "Sto bene", Rebi Rivale che non difetta certo in personalità tanto da aver voluto chiamare il suo primo disco semplicemente "Rebi Rivale" quasi fosse un marchio di fabbrica, Roberta Barabino con il suo "Magot" un concentrato di raffinatezza allo stato puro pur nella grande semplicità dei testi e un'artista dalla voce meravigliosamente calda come Roberta Di Mario che ha esordito alla grande con "Tra il tempo e la distanza".

Come tralasciare poi due album ambiziosi, a tratti ostici, pieni di citazioni letterarie, ma comunque sempre affascinanti come "Herman" di Paolo Benvegnù e "Profeti, profeti e balene" del sempre presente Vinicio Capossela.

Chiuderei questa selezione DOC con due nomi certamente non nuovi ma che hanno saputo realizzare due gran bei dischi, trattasi di Teresa De Sio che con "Tutto cambia", ha dimostrato che la canzone d'impegno civile è tuttora possibile e come in questo caso con ottimi risultati e Bobo Rondelli sempre meno mattacchione e sempre più maturo, bello il suo "L'ora dell'ormai" una profonda riflessione intorno al tema del tempo che scorre inesorabile, uno sguardo il suo, malinconico quanto toccante.

Fatti i conti, sono arrivato oltre i venti nomi, troppi? Non direi vista la qualità espressa, piuttosto un'ampia rosa entro cui trovare il proprio disco ideale e se proprio non bastassero eccovi due dischi outsider, entrambi dal vivo, una forma che il sottoscritto non ama più di tanto su supporto fisico, che però in questo duplice caso hanno saputo cogliere l'attimo, l'atmosfera, gli umori di musicisti e pubblico in una complice sinergia, sono i dischi "Live alla Fontana" di Ruben e "Live in Capetown" di Fabrizio Consoli. Provate ad ascoltarli, hanno fatto ricredere un live-scettico come il sottoscritto.

Non basta ancora? Segnalo allora due casi atipici.

C'è chi, in tempo di crisi non solo discografica, si è permesso di realizzare nel giro di poco tempo l'uno dall'altro due progetti di tutto rispetto, entrambi dotati di un grande bagaglio di energia e simpatia, quest'uomo risponde al nome di Antonio Pascuzzo, per anni illuminato gestore direttore artistico del The Place di Roma e che nel 2011 ha pubblicato con il proprio gruppo, i Rossoantico, il disco d'esordio "Rossoantico" e permesso la nascita di un altro bel disco d'esordio, quello del Coro dei minatori di Santa Fiora, intitolato "Dilli che venghino", un disco che vede tra i vari ospiti nomi come Mannarino, Cristicchi e lo stesso Pascuzzo.

C'è chi invece scappato dall'Italia, dopo aver vagabondato verso nord con la propria chitarra, giunto a Bruxelles è riuscito finalmente a farsi finanziare il disco d'esordio da un centinaio di piccoli azionisti, amici incontrati lungo il proprio percorso non solo artistico e che hanno creduto nella sua musica, il giovane in questione si chiama Giacomo Lariccia e il suo "Colpo di sole" è stato per il sottoscritto un colpo di fulmine a ciel sereno, scommetto che lo sarà anche per voi?

Segno che la musica di qualità, seppure tra mille difficoltà, continua ostinatamente a voler vivere di luce propria.

E' vero, ormai da anni non si trova più né in televisione né in radio, fatte salve rare eccezioni, ma occorre invece cercarla in maniera altrettanto ostinata attraverso internet e altri canali alternativi, resta però il fatto che una volta trovata ripaga con emozioni che non hanno prezzo, cerchiamola dunque!

martedì, gennaio 10, 2012

Recensione del CD “Live in Capetown” di Fabrizio Consoli:


Fabrizio Consoli: “Live in Capetown”
La forza dell’amore per la musica

di Fabio Antonelli

Carpe diem!

Si, cogli l’attimo, questa in sintesi potrebbe essere la chiave di lettura di questo bel disco live di Fabrizio Consoli.

Perché momenti di grazia e di puro divertimento musicale come quelli racchiusi in questo disco bisogna saperli cogliere, cosa che il sottoscritto non ha purtroppo fatto quando, né il 4 né il 5 maggio del 2010 ha mosso le proprie chiappe dal divano di casa per mettersi al volante e raggiungere la non lontana Milano e, per la precisione, quel locale che risponde al nome di Cape Town Cafè, un bar per niente deputato né alla musica dal vivo, né tantomeno alla registrazione di un disco live, ma si sa che a volte i miracoli accadono e così è nato questo straordinario “disco di strada”.

Un disco che ha grandissimi pregi e ben pochi difetti, del tutto trascurabili.

Il maggiore pregio è quello di aver saputo cogliere magistralmente la magica atmosfera di complicità creatasi tra i vari protagonisti dell’evento, musicisti e pubblico davvero uniti in unico spazio fisico, senza la presenza di un vero e proprio palco e senza alcuna linea di demarcazione tra i due ruoli.

Gran parte del merito di questo piccolo miracolo va a Dario Zigiotto che, nel tentativo di dare un seguito a una prima fortunata serie di concerti legati alla presentazione del precedente disco “Musica per ballare”, propone a Fabrizio l’idea di realizzare un disco dal vivo, in attesa di tempi migliori e nuovo materiale la realizzazione di un disco in studio.

E’ però lo stesso Fabrizio ad avere l’intuizione della location, la scelta sembra inizialmente dettata più da esigenze economiche, il Cape Town è, infatti, situato nel palazzo accanto a quello in cui Fabrizio ha trasferito nel novembre 2009 il proprio studio di registrazione e ciò vorrebbe dire poter ridurre le spese per i trasferimenti di musicisti e strumentazione.

Non è però una scelta facile, primo perché il Cape Town non è luogo dedito alle serate live, anche se è vero che il proprietario Giancarlo Chiodaroli è solito offrire qualche saltuaria serata jazz alla propria clientela, secondo perché non sembra essere logisticamente un locale progettato per eventi musicali, tanto meno la registrazione di dischi live, vista anche la propria forma a L allungata, con il bancone bar sul lato lungo.

Il primo ostacolo è, però presto superato, Fabrizio una sera lascia nelle mani di Giancarlo una copia del disco “Musica per ballare”, non passa neppure una settimana che il proprietario gli chiede altre venti copie del disco e, soprattutto, gli dice che la serata si può fare.

Il secondo problema, squisitamente tecnico è invece risolto sistemando lo studio mobile nell’angolo, all’estremità superiore del lato lungo, prima della cucina, in modo da permettere al fonico Alessandro Ciola di essere alle spalle dei musicisti e quindi fuori dal fuoco sonoro delle casse destinate all’ascolto diretto del concerto da parte dei presenti.

Fondamentali poi sono state alcune scelte foniche come quelle di isolare il meno possibile i vari strumenti, dettata anche da evidenti ragioni di spazio e, soprattutto, quella di non cancellare totalmente il “suono del locale e della strada” fatto anche di tintinnare di bicchieri, chiacchiere, brindisi, commenti vari.

Perché tanti dettagli tecnici? Solo per far capire quale ostinata forza dell’amore per la musica c’è dietro ad un’operazione come questa.

“C’era proprio bisogno di un altro disco live?”, è ciò che si chiede Fabrizio nel bel libretto che accompagna il disco (splendidi per altro gli scatti in bianco e nero).

Premetto di non amare per nulla o quasi i dischi live, penso che spesso siano dischi più legati a operazioni meramente commerciali che non veri e propri progetti inseriti in un percorso artistico dell’artista e, se poi vedono l’addensarsi di cori di pubblico in delirio per il proprio beniamino, direi che mi danno pure sui nervi.

Sono poche le eccezioni che salvo da questo calderone. Tralasciando alcuni lives storici, mi vengono alla mente così, tanto per fare qualche nome, “Live in blu” di Max Manfredi o “Live alla Fontana” di Ruben, profondamente diversi per genere e risultati, ma entrambi egualmente sinceri e genuini.

Proprio come questo disco live di Fabrizio Consoli.

Io quella sera o meglio quelle due sere, perché nel disco sono unite registrazioni di due differenti sessioni, non c’ero ma grazie a questo disco ho potuto coglierne la fisicità, lo sforzo dei protagonisti, la loro gioia di suonare insieme, il fremito e la vivacità del pubblico e provo ancora una grande nostalgia. E’ possibile provare nostalgia di un non vissuto? Sembrerebbe proprio di si, miracoli della bellezza delle canzoni di Fabrizio e dei protagonisti che l’hanno messa in scena.

Primo fra tutti lo stesso Fabrizio Consoli che, se l’Italia fosse un paese serio, non si troverebbe come tanti a sbattersi, scrivere, telefonare per elemosinare serate sottopagate. Dotato di un tocco alla chitarra che è una meraviglia e di una voce calda e graffiante, insomma uno capace di “… scrivere canzoni / Che emozionano anche i cani / Che colorino le labbra / Alle ragazze sui balconi “ (“Camera con vista”) sa coinvolgere ed emozionare sia su disco sia dal vivo.

Al suo fianco musicisti straordinari, come il pianista Gigi Rivetti, il percussionista Silvio Centamore e, ultimo arrivato ma non meno importante, il trombettista Marco Milani. Tre moschettieri ma tutti per uno.

Infine gli ospiti “si sa che la presenza di special guest contribuisca ad alimentare il prestigio di un’operazione discografica, nonché, e a volte in maniera determinante, alla sua promozione”, scrive ironicamente Fabrizio sempre nel libretto, in realtà amici di quelli veri, che hanno voluto onorare con la propria presenza questo evento.

In primis Eugenio Finardi, la cui presenza è stata fortemente voluta da Fabrizio che altrimenti non si sarebbe mai permesso di interpretare da solo la canzone “La forza dell’amore” che porta la firma dello stesso Consoli, di Finardi e di Vittorio Cosma. Ne è nato cos’ un duetto molto bello, da brividi.

Simona Bencini e Alberto Patrucco sono gli altri due ospiti, entrambi avevano già duettato con Fabrizio in “Musica per ballare”, qui rieseguono dal vivo rispettivamente la splendida “Giro di carte” e la meravigliosa cover di “Canzone intelligente” con la quale si chiude il disco.

Una “Canzone intelligente” che ha il pregio, ancora una volta, di aiutarci a comprendere come la canzone di qualità, quando è ben scritta ed eseguita, può anche divertire, emozionare, far ballare e scusate se è poco … grazie Fabrizio!



Fabrizio Consoli
Live in Capetown

Banksville Records / SlowMusic - 2011



Tracce           
01. Casa mia
02. Sugar
03. Musica x ballare
04. Di quale amore
05. La forza dell’amore (feat Eugenio Finardi)
06. Una rosa
07. Que vida es
08. Camera con vista
09. Il coraggio
10. Giro di carte (feat Simona Bencini)
11. Autogrill (Ibraimovich!)
12. Canzone intelligente (feat. Alberto Patrucco)

Crediti
Fabrizio Consoli: voce, chitarra
Gigi Rivetti: pianoforte
Marco Milani: tromba
Silvio Centamore: percussioni

Eugenio Finardi: voce (5)
Simona Bencini: voce (10)
Alberto Patrucco: voce (12)
Prodotto da Fabrizio Consoli e Paolo Santoli
Registrato nelle serate del 4-5 maggio 2010 al Cape Town Cafè di Milano da Alessandro Ciola, assistito da Max Bocchio e Alessio Puglisi
Mixato nel luglio 2010 e masterizzato nel maggio 2011 da Alessandro Ciola e Fabrizio Consoli negli Studi Imagina Production di Torino

Sito ufficiale di Fabrizio Consoli: http://www.fabrizioconsoli.it/
Fabrizio Consoli su MySpace: www.myspace.com/fabrizioconsoli