“Cavallo Pazzo”, il primo
disco di Ivan Francesco Ballerini, cantautore toscano, mi è giunto tra le mani
in maniera direi rocambolesca. Inviato da un amico comune a farmelo pervenire
per un ascolto, sono poi riuscito a recuperare il disco dalla mia sede di
lavoro dove me l’ero fatto recapitare dopo ben più di un mese per colpa dell’emergenza
coronavirus. Perché vi dico questo? Perché sembrava un incontro nato sotto un
cattivo auspicio, invece, la forzata clausura mi ha permesso poi di recuperare
il tempo perduto, di ascoltarlo con attenzione, di apprezzarlo e di farne una
lunga ma piacevolissima intervista.
Sai Ivan, credo che in
periodi come questi, di grandi paure e soprattutto di incertezze sul nostro
futuro, un disco come il tuo Cavallo Pazzo,
non possa che fare bene all’anima. Per questo mi piacerebbe parlarne con te, a
partire dalla confezione, un bel cartonato piacevole al tatto, virato seppia,
che sa di lontano passato, ma anche di attualità, se solo ci soffermiamo alla
foto che ti ritrae appoggiato ad una staccionata, mentre suoni una chitarra, Ray-Ban
compresi. Com’è nata questa veste grafica e perché proprio questo titolo? Ha
anche un qualcosa di autobiografico, vista la strada intrapresa, ormai non più
ragazzino?
Di tante domande che mi siano state fatte circa Cavallo pazzo, questa è sicuramente la più interessante. Allora partiamo dalla confezione. La scelta di questo formato vintage, risponde perfettamente a me, che sono sempre stato fuori moda, sin da quando ero piccolo. Il mio modo di vestire è sempre quello, maglietta aderente nera e jeans.... non li cambio mai... solo per lavarli. Le foto, molto belle, sono di mia figlia Eleonora, che per qualche motivo che non so spiegare, è un’ottima fotografa. Al resto ci ha pensato Stefania Coccozza, della Radici Records. Quando mi fu proposta la copertina, con il virato seppia, mi sembrò una soluzione perfetta per un album che parlava di indiani, mi sembrava che già dalla copertina si entrasse in un mondo, fatto di polvere, di natura incontaminata, di cavalli... Riguardo al perché abbia deciso di scrivere un disco in età adulta rispondo: solo adesso ho avuto il tempo per potermi dedicare a scrivere canzoni, con la testa sgombra dai problemi del quotidiano, dei mutui, del lavoro. Inoltre è stata una sfida, una sfida che Ivan ha lanciato a Ivan, chiedendogli: "adesso vediamo cosa sai fare?". Una grande spinta è stata la ricerca di cose nuove, perché, come più volte ho detto, sono stanco di suonare canzoni che ho imparato quando avevo 13 anni.... tuttavia non voglio allontanarmi da quelli che sono i miei riferimenti: Fabrizio De André, Francesco De Gregori, sicuramente hanno lasciato in me una grande impronta... che voglio custodire, ovviamente cercando un mio stile. Trovo, anzi ne sono certo, che cantare canzoni di altri autori sia molto faticoso. In qualche modo ti devi adeguare al loro stile, cosa che invece non accade quando sei tu a scrivere le tue canzoni. Adesso compongo canzoni che mi cucio perfettamente addosso, canzoni in cui al primo posto pongo la parte letteraria, il messaggio, lasciando le musiche nelle mani di Alberto Checcacci, maestro e musicista, che mi sa capire esattamente dentro il cuore. Riguardo alla foto di copertina, l'abbiamo scattata dietro casa, ha un che di selvaggio, che mi sembrava perfetto per pubblicizzare il disco. L'ho scattata a giugno del 2019, pochi giorni dopo un intervento chirurgico alle corde vocali. Questo ha compromesso in parte il lavoro in quanto la voce è una parte determinante. Per ovviare a questo problema mi sono visto costretto, per chiudere i lavori, a riutilizzare registrazioni che avevo fatto prima dell'intervento, sicuramente non perfette. Ho ricantato esclusivamente quelle canzoni in cui avevo commesso grossolani errori di dizione... tutto con grande fatica. Ma alla fine, la perfezione non esiste, esiste ciò che tu metti in gioco... e forse questo è quello che più viene apprezzato in questo mio primo piccolo lavoro che porta il titolo di Cavallo Pazzo.
Hai giustamente parlato di polvere, di natura incontaminata, di cavalli, direi che copertina e titoli delle canzoni ci potano subito in un mondo ben chiaro e delineato però, come dici tu stesso nella contro copertina del disco, scrivi hai scritto di un mondo passato, di fine ‘800, per parlarne di un altro, ben più vicino a noi, tremendamente attuale, dove sembrano perpetuarsi gli stessi errori, è così?
È esattamente così. Chi è che ha detto: "il futuro ha un cuore antico". Per riuscire, in parte, a capire il futuro, dobbiamo intanto aver chiaro cosa è successo nel passato. Ma pochi hanno veramente chiaro questo concetto. In fondo gli errori che noi europei abbiamo fatto durante la conquista dei territori Americani, li stiamo rifacendo adesso in Africa e in tutte le parti del mondo dove vi sia da sfruttare qualcosa: non importa se si tratta di petrolio, di legname o.... di vite umane. Ecco, questo lo trovo orrendo. Io che vorrei un mondo fatto di arte, di amore... di bellezza. Per questo ho voluto cucire, tessere una unione tra gli accadimenti di fine 800 e quelli attuali, Siria compresa.
Hai detto di aver dato molta importanza ai testi delle canzoni e, in effetti, sono tutti molto poetici, però ci terrei a sottolineare in particolare modo Non piangetemi mai, la canzone che chiude il disco. Prima di tutto perché trovo sia una bellissima e toccante preghiera laica e poi perché, a differenza di certi dischi dove il pezzo finale ha quasi la parvenza di un pezzo minore, usato come fosse un riempitivo, qui si ha una delle vette più alte dell’intero disco. Non so se tu sia d’accordo…
Doveva essere una lettura. Volevo chiudere il disco leggendo una preghiera sulla morte, una preghiera navajo. Ma una sera, da queste bellissime parole, è nata Non piangetemi mai che vuole essere un messaggio di speranza... un messaggio che ci sprona a compiere cose buone. Il giorno seguente la registrazione, chiamai Alberto per sentire cosa pensasse lui del brano. Lui mi rispose dicendomi che era a correre e che ogni volta che arrivava questo brano gli veniva da piangere. In quel momento capii che era la giusta conclusione del disco. Oltre tutto "non piangetemi mai" è preceduta da Penne d'airone che a mio avviso è il pezzo più bello del disco...
E’ vero, sembra esserne la
degna conseguenza di Penne d’airone
dove già affronti il tema della morte con questi bei versi finali “Quando sarò
andato, allora lasciami andare, / sono nei mille venti che soffiano leggeri, /
sulle onde del mare, / nei cristalli bianchi di neve, nei campi di grano, /
nelle calde giornate di pioggia, sono nella tua mano / perciò apriti alla vita …
e vola, / ricordati la vita ... è una sola” dove emerge una sorta di passaggio
del testimone… la vita come testimonianza di amore. O sbaglio?
Penso alla fine, resti solo quello... l'amore. Non esiste altro che conti
veramente. Che sia l'amore verso la donna amata, verso un figlio, verso l'arte.
L'amore è l'unica cosa che conta veramente. Io non ho fatto nulla in questa
canzone. Ho solo ripreso il testo di una preghiera e, con le variazioni che la
metrica musicale mi ha costretto a fare, ne ho fatto una canzone. In fondo
cavallo pazzo è una storia: si parte dalla descrizione di cavallo pazzo,
sprezzante del pericolo e della morte, per affrontare poi argomenti più
profondi... l'amicizia, l'amore, la morte. L'amicizia che c'è stata tra Cavallo
Pazzo, Toro Seduto, Coda Chiazzata... l'amore bellissimo e duraturo tra Nuvola
Rossa e Gufo Grazioso... il sentimento di rispetto verso la natura e i propri
simili e infine la partenza del nostro corpo dal mondo... cercando di lasciare
ricordi buoni che possano alleviare il dolore. Su questi aspetti varrebbe la
pena oggigiorno soffermarsi un attimo a riflettere.
Concordo, l’intero progetto è
in fondo un grande affresco su un mondo ormai scomparso, ma che è ancora in
grado di insegnarci molto, è a tutti gli effetti quello che un tempo si
definiva concept album, segno che sei un musicista d’altri tempi, lontano dalla
musica usa e getta. Il realizzare un disco a tema, utilizziamo questa forma italiana
per non abusare di inglesismi, ti ha reso la realizzazione più ardua o, al
contrario, ti ha facilitato?
Ho fatto esattamente quello che mi veniva spontaneo. Certo non alla moda.
Per me musica vuol dire emozione, emozionarsi ed emozionare gli altri. Se io
non mi emoziono, non posso emozionare chi ascolta. Qui sta la magia. Perché
secondo me è di magia che stiamo parlando. Dettata da un timbro di voce? Da un
testo particolarmente toccante? Dalla fusione di questi aspetti? Chissà...
comunque ho scritto fedele a me stesso, al mio modo di vedere e interpretare il
mondo. Certo in Cavallo Pazzo c'è
molto della mia infanzia, della mia Maremma, dei miei amori giovanili e dei
miei sogni. Non pensavo di fare un concept album, inizialmente pensavo di fare
un album di canzoni miste. Poi quando mi sono trovato tra le mani, cinque, sei
brani tutti inerenti gli Indiani d'America la strada mi è parsa chiara e
segnata. Preghiera Navajo è stata
anche inserita in una antologia di Mogol. Riguardo a scrivere una canzone: come
prima cosa devo avere chiaro quello che voglio comunicare. Se è un argomento
triste e malinconico, scrivo una musica triste e malinconica. Poi devo sviluppare
un tema di italiano. Perché è questo infondo... una canzone è un tema inserito
dentro un contesto musicale. Per fare un lavoro di qualità, bisogna prestarvi
grande attenzione, senza però perdere troppo la spontaneità... un lavorone. Io
adoro solo le canzoni tristi. Più sono tristi, più mi piacciono. Ma tristi,
tristi.... che a confronto il duello tra Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme
liberata diventa allegro...
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