giovedì, aprile 02, 2020

Marco Ongaro: le prigioni di un Casanova senza colpa


di Fabio Antonelli

E’ da poco passata la mezzanotte, sto quasi per spegnere il cellulare e per coricarmi quando, all’improvviso, come un flash, mi viene in mente l’amico Marco Ongaro. Chissà se sarà ancora sveglio, comincio a farmi delle domande su come starà vivendo queste giornate di forzata immobilità dentro le mura di casa, lui che è sempre in moto perpetuo, che si divide tra teatri e festival, tra la sua Verona e l’amata Parigi, tra le canzoni d’autore e i libretti d’opera. Mi faccio forza e gli mando un WhatsApp, chiedendogli se è ancora sveglio, se non lo disturbo, in cuor mio so che non mi manderebbe mai a quel paese e, allora, ne approfitto…




In questi giorni di forzata quarantena, se non tutti ma quasi, si sono fatti dispensatori di buoni consigli su come vivere questi giorni di clausura imposta, tu cosa non consiglieresti mai? O meglio cosa non faresti mai neppure sotto tortura?

Guardare la televisione. Non possiedo un apparecchio televisivo dal 2005 e mi reputo più felice della media umana già solo per questo. Naturalmente disposizioni e ordinanze trovano comunque modo di raggiungermi, e le subisco come tutti, ma al netto della retorica che le accompagna.

Tu sei uno che non ha mai avuto problemi di scrittura, tanto che un giorno mi confidasti che per te scrivere è come un bisogno fisiologico come l'andare in bagno ... In questi giorni ti è altrettanto naturale scrivere o la mente è troppo distratta da altri pensieri?

Scrivo principalmente su commissione, per il teatro o per l’editoria, come copywriter o come librettista. Seguo l’impulso di una richiesta. Qualcuno mi invita a un progetto e mi sento automaticamente, miracolosamente ispirato. Con la depressione economica indotta dal lockdown, soprattutto in ambito culturale e artistico, le commissioni pagate diminuiscono ma non il bisogno di interventi pensati per il futuro. Scrivo sì, quando me lo si chiede, ma anche suono. La costrizione al chiuso mi ha fatto riscoprire il piacere di suonare il pianoforte e cantare, ogni giorno, prevalentemente al mattino. Non mi viene da scrivere canzoni, però. Diciamo che la scrittura spontanea scarseggia, risente della cattività. Lo diceva Sartre che la libertà è condizione indispensabile per la scrittura. Pellico ha scritto in prigione e Gramsci pure, ma io non sono ancora abbastanza rassegnato a questi arresti domiciliari, è presto per farne oggetto creativo. Preferisco la reazione di un Casanova che dopo essere evaso dai Piombi, e solo allora, narra dell’incarcerazione e della fuga.

Mi hai detto di aver riscoperto il piacere di suonare il pianoforte e cantare, ma canti tue canzoni o canzoni di altri, quale è la colonna sonora di questi strani giorni?

Prevalentemente canzoni mie. Recuperate, con spazi di assolo swing da area Canzoni per adulti o Archivio Postumia, cioè quelle adatte al pianoforte. Per alcune persone care ne registro sul cellulare una al giorno e la invio via WhatsApp. Un modo di essere vicini in momenti in cui non ci è permesso. Ma ho anche tradotto Homburg dei Procol Harum e mi ritrovo a suonare per mio gusto A wither shade of pale nella versione originale, col suo incedere da Bach omogeneizzato. Una sorta di recupero delle melodie dell’infanzia, un riappropriarmene facendole mie, aggirandomi nei loro meandri conservati segreti e inaccessibili fino a poco tempo fa. È la tipica operazione che Benjamin definirebbe “del morente”, sebbene fisicamente non mi sia mai sentito più sano di adesso. Sono sano, ma i governi del mondo mi trattano come un malato, e questo non mi euforizza. È una situazione in cui si trovano più a loro agio gli ipocondriaci: finalmente la loro nazione li capisce.

Quindi riassumiamo un po', niente televisione, scrivi, suoni e canti, ma la lettura? Fa parte anch'essa di queste tue giornate da Casanova recluso senza alcuna colpa?

Come prima cosa, il dovere: ho letto La peste di Camus, pur prediligendo ancora Lo straniero. Ora sto rileggendo l’Eneide, dopo aver riletto Iliade e Odissea. Leggo sempre molto e preparo le lezioni di scrittura creativa e teatrale che tengo on line per la Scuola di teatro del Teatro Stabile di Verona. Il contatto on line per il teatro è un ossimoro, il mezzo televisivo vince infine sulla compresenza fisica teatrale. Che tristezza. Che Quaresima colossale. Mi sono ritirato da qualche chat di gruppo: non potendomene andare da casa ho scelto di andarmene almeno da lì. Baudelaire sosteneva fosse da includere nella Carta dei Diritti dell’Uomo il “diritto di andarsene”. L’ho onorato simbolicamente abbandonando qualche chat.

Non abbiamo parlato di cinema fino ad ora, ovvio che in questi giorni non si possa frequentare il cinema come luogo, ma la “settima arte” entra a far parte delle tue giornate da recluso?

Oh sì. Molti film in streaming, molti più di prima. Occasione di recuperare pellicole perse per problemi di distribuzione o di tempo. Quello è l’unico aspetto davvero vacanziero di questa reclusione, una scorpacciata di un paio di film al giorno nei fine settimana. Così i vari aspetti narrativi, intrattenimento o riflessione, i generi thriller o commedia o dramma si alternano insieme a ciò che ne rimane dopo averli consumati: emozioni volatili, stilemi ritriti, a volte autentica comunicazione artistica. In quest’ultimo caso si accende la gratitudine. Tra artefatto, artificio e arte le distanze restano incolmabili e il cinema, espressione collettiva e industriale dell’ingegno, è un’ottima cartina tornasole che svela le intenzioni, illuminandole o lasciandole appassire.

Il cinema è la chiave d'accesso all'ultima domanda, traggo spunto dal film El hoyo di Galder Gaztelu-Urrutia, ambientato in un edificio che si sviluppa sottoterra suddiviso in piani. La particolarità di questa prigione verticale è che al piano 0, situato in cima all’edificio, sono presenti dei cuochi con il compito di imbandire una larga tavola, la "piattaforma", con i piatti preferiti di tutte le persone imprigionate nei piani sottostanti. Ogni piano è numerato e due compagni ogni mese vengono spostati da un livello all’altro insieme, se entrambi sopravvissuti, in maniera casuale. La stanza presenta un lavandino con cui lavarsi, degli asciugamani per pulirsi, ma solo un gabinetto. La piattaforma scende verticalmente attraverso il "buco", una gigantesca apertura al centro di ogni piano. Non avendo cibo con sé, i prigionieri hanno la possibilità di mangiare, entro pochi minuti, gli avanzi di chi sta al piano superiore. Il protagonista del film è Goreng, uno dei volontari della sperimentazione che decide di entrare nell’edificio per smettere di fumare, del tutto incosciente della reale situazione, portando con sé il libro Don Chisciotte della Mancia, poiché ad ognuno dei presenti è concesso di portare con sé un solo oggetto. Ovviamente ad ogni coppia presente ad ogni livello sarà concesso di cibarsi degli avanzi di coloro che stanno ai livelli superiori ... ma lasciamo il film, che comunque offre molti spunti di riflessione, se tu avessi la possibilità di avere con te un solo oggetto, durante questo periodo di imposti arresti domiciliari, cosa sceglieresti, cosa riterresti irrinunciabile?

Per la molteplicità degli usi, senza dubbio un computer. Può fare da pianoforte, chitarra, giradischi, cinema e telefono, da scrittoio e carta e penna, da libro e specchio, da registratore e posta, da finestra, porta della percezione, forma inconsapevole di poesia, scrigno dei ricordi, magazzino delle idee. E si fottano J.J. Rousseau e il suo idiota “buon” selvaggio.


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