di Fabio Antonelli
Il 20 aprile è uscito “Canti
Rossi” il nuovo disco del cantautore e polistrumentista parmigiano Rocco
Rosignoli, un disco che sin dalla copertina e dal titolo non lascia dubbi sulle
tematiche e gli intenti dell’intero progetto che raccoglie ben quindici tracce,
di cui l’undicesima è “Gappisti”, un inedito scritto per l’occasione dallo
stesso Rosignoli. Il disco si dipana lungo un arco temporale di cento anni, con
una varietà di arrangiamenti a dir poco sorprendente. Credo sia il caso non
solo di ascoltarlo con attenzione, ma di addentrarcisi con il suo aiuto.
Proprio in questi tempi di
paure, di incertezze sull'avvenire, sei uscito con un disco "Canti
Rossi" che sin dalla copertina si schiera apertamente. Sono rossi i canti,
è rossa la copertina, che nella sua semplicità, con quel sole nascente mi ha
fatto tornare in mente quel sole posticcio che sorge nella scena finale di
Palombella Rossa, ha ancora senso questo sole dell'avvenire?
Per cominciare, devo dire che tutta la mia attività di musicista è quella
di un uomo apertamente schierato, e che non fa mistero di esserlo. I canti di
questo disco sono rossi, oppure rossoneri: io sono comunista, ma ho una forte
simpatia per i compagni libertari, che oltretutto possono vantare canti
meravigliosi e che gli invidio molto. Addirittura alcuni canti sono
patriottici, nonostante io sia un internazionalista! La tua domanda sul sole
dell'avvenire è piuttosto complessa. In primis: il buon Nanni Moretti non ha
mai avuto alcun ruolo effettivo nella mia personale formazione, salvo
strapparmi qualche rara risata. In secundis: come lo vogliamo intendere, questo
sole dell'avvenire? Come una destinazione necessaria verso la quale tutta la
storia tende inequivocabilmente? Se è così, la mia risposta è un categorico no:
se c'è una cosa che la storia può insegnarci, e in questo periodo è un
insegnamento quanto mai attuale, è che la sua prevedibilità è minima. Le cose
brutte accadono, e in genere sono diverse da quelle che ci aspettavamo. Ma c'è un grosso ma: l'emergenza coronavirus
ha posto sotto gli occhi di tutti una serie di contraddizioni intrinseche al
sistema in cui viviamo, ha inasprito disparità sociali che vedono contrapposte
una minoranza di ricchissimi e una maggioranza di poveri, la cui vita ha valore
solo in rapporto al guadagno che essi possono arrecare ai primi. Dei poveri non
ha importanza la salute: lo stop alle fabbriche è arrivato molto tardi, e ne ha
riguardato di fatto una minima parte. Il diktat era: non fermare la produzione.
Grazie agli operai, sappiamo bene che nella maggior parte dei luoghi di lavoro
le regole di sicurezza non sono state applicate, se non in una fase
estremamente avanzata del contagio. Inoltre, la decennale trasformazione degli
ospedali in aziende volte al profitto ci ha messo davanti al tracollo di un
sistema sanitario indebolito da decenni di tagli e privatizzazioni. E questo è
costato molte vite. Insomma, siamo testimoni di tempi veramente bui. Il voler
uscire da questa notte, verso un'alba in cui tutti gli uomini siano liberi e
uguali, e in cui davvero il libero sviluppo di ciascuno coincida con il libero
sviluppo di tutti e non con una lotta a chi si accaparra le briciole di
Marchionne, è un'idea quanto mai adeguata ai mali tempi che corrono.
In che misura, canzoni come
quelle che hai voluto inserire in questa raccolta, che come hai detto giustamente
tu, spaziano su un fronte ampio, anche a livello temporale, credi che possano
fare da cartina tornasole, da bussola in questi tempi, per non ricadere negli
stessi errori? Per operare scelte consapevoli?
Il vantaggio che ci può offrire un approccio in canzone all'argomento delle
lotte operaie, delle rivoluzioni mutilate, tradite, sequestrate, offre un
vantaggio. La musica, a differenza di molte altre forme d'arte, non richiede
conoscenze pregresse per emozionare: può essere fruita da chiunque. E chiunque
può scoprire che i suoi sentimenti sono simili a quelli che negli ultimi
duecento anni hanno spinto persone di ogni tipo a ribellarsi a un mondo
ingiusto, cercando di renderlo migliore. Ricadere negli errori di sempre fa
parte della natura umana, ma anche sbattersi per cambiare le cose quando le
moltitudini si rendono conto che non funzionano più. La consapevolezza è spesso
un lusso di pochi, e in genere quelli che la posseggono guidano scelte mirate
al loro tornaconto. Le canzoni non possono risolvere questa realtà, ma di certo
possono commuoverci, farci piangere, farci ridere, farci incazzare, e stimolare
la nostra coscienza a capire che troppa roba non va. Poi capire cosa, e come
risolverlo, è complesso. Richiede studio, discussione, azione.
Direi di non addentrarci
troppo su questo fronte, altrimenti il cercare di capire come e cosa cambiare
ci porterebbe lontano da quello che il punto di partenza, ossia questo bel
disco, perché è un bel disco in cui hai necessariamente dovuto operare delle
scelte, sia per quanto riguarda la selezione delle canzoni sia nella loro
reinterpretazione. Quanto ti ha stimolato il rendere tue e allo stesso tempo
fresche, attuali, canzoni così diverse per genesi e per inquadramento storico?
È stato il motore di tutta l'operazione. Prima della passione politica, a
guidare le mie scelte è sempre stata la passione musicale. Qui non siamo solo
davanti a una rassegna storica di canzoni politiche, ma davanti a dei veri e
propri capolavori della canzone – a cui spero, a mio modo, di aver reso giustizia.
Per dire: mi sono trovato a tradurre Bertolt Brecht e ad arrangiare Kurt Weill,
e anche se so sia tradurre che arrangiare, qui avevo la consapevolezza di star
maneggiando il materiale di due geni. Mi ha dato ansia, mi sono chiesto se non
fosse il caso di dedicarmi ad altri canti... ma poi quella canzone era troppo
importante per il mio percorso, e ho deciso di includerla. Ho fatto il massimo
per render giustizia, e trovo che alla fine la mia rielaborazione del loro Epitaffio 1919 per Rosa Luxemburg sia
efficace – rispettoso, ma personale. E poi ci sono le canzoni popolari, quelle
che conoscono tutti come Bella Ciao,
qui elaborata in chiave folk-rock minimale, e Fischia il vento; ma anche canti un po' meno noti, come Inno del Patriota di Cesare Bassani,
partigiano Sam. Un partigiano ebreo, uno che rischiava doppio dunque, che
combatté sui monti del nostro appennino e ci lasciò questo canto. Per me è
stato emozionante scoprirlo, perché per lavoro mi sono interessato molto alla
musica di matrice ebraica, e sono andato a scovare i canti partigiani dei
ghetti. Scoprire che un partigiano ebreo aveva scritto un canto a un'ora di
distanza da casa mia mi emozionò tantissimo. E poi canti della Guerra di
Spagna, ma anche degli anni '60. Tra tutti questi splendidi brani ha trovato
posto una mia canzone, Gappisti,
dedicata ai partigiani che, in piccoli Gruppi d'Assalto Patriottico (GAP),
agivano in città con modalità di guerriglia. Una tradizione poco cantata, in
cui ho pensato di portare umilmente il mio contributo, raccontando una storia
inventata, ma simile a tante che possono essere accadute in tutta Italia.
Credo che con questa tua
risposta abbia reso l'idea di tutto l'amore, la passione e anche la
responsabilità che c'è stata nell'affrontare un progetto così ambizioso che
avrebbe anche potuto ricevere critiche da chi magari ha vissuto in prima
persona le realtà di alcuni di questi canti. Il Patrocinio dell'ANPI credo sia
una garanzia in tal senso. Quanto però credi che un disco come questo possa
comunicare agli ascoltatori più giovani? Perché è un disco che indubbiamente ha
un valore che va al di là dell'aspetto musicale, non pensi?
Mah, in generale gli ascoltatori più giovani non lo considerano nemmeno
più, il formato disco. Sono nati e cresciuti in un'epoca che vede tutt'altre
modalità di fruizione della musica. È un fenomeno che ha lati positivi e
negativi, ma quello che è certo è che non ho mai pensato che l'ascoltatore di
questo disco fosse un sedicenne. Però, chissà, magari capiterà che Spotify gli
suggerisca la mia Bella ciao, perché
lui l'ha ascoltata spesso nella versione de “La casa di carta”. E magari scopre
che gli piace, anche questo modo diverso di interpretare quella stessa canzone.
La mia esperienza nelle scuole mi ha mostrato a più riprese che gli adolescenti
sono estremamente sensibili alla musica, anche a quella che non fa parte dei
loro ascolti: quest'anno ho fatto qualche ora di storia in una scuola di
formazione professionale, e i ragazzi della mia classe hanno pianto quando gli
ho cantato Gorizia. E l'anno scorso,
a una festa antifascista, un bravissimo rapper mio coetaneo, Dank, ha portato i
suoi giovani “allievi”, una piccola crew molto talentuosa. Hanno fatto le loro
belle esibizioni, poi ho cantato io. Alla fine del mio set Dank è venuto da me,
e mi ha detto che uno dei ragazzi era andato da lui a dirgli: “Oh, ma il tipo
con la chitarra spacca!” È forse il complimento più bello che abbia ricevuto,
perché è arrivato da un ragazzo, appassionato a una realtà musicale talmente
distante da quella in cui mi muovo io da renderla all'apparenza incompatibile.
Gli adolescenti non sono gli automi imbottiti di droga e internet che certa
stampa vuol farci credere, tutt'altro! Al netto di tutto questo, però, non
credo che compreranno mai un mio disco. Il mio lavoro si rivolge a un pubblico
un po' più grande, che più spesso parte dai venticinquenni, e arriva fino ai
rari centenari. Il suo valore ha certamente un aspetto slegato dall'aspetto
musicale, e credo che sia quello di essersi costruito da sé intorno a una
comunità. Una comunità che mi ha sentito cantare decine di volte queste
canzoni: alle manifestazioni, nei centri sociali, alle feste dell'ANPI, e che
ogni volta mi chiedeva se avessi un disco che le conteneva. E fino a ieri non
c'era. Non c'era testimonianza di questa parte così importante del mio lavoro,
che ha costruito una rete di persone meravigliose, vicine e lontane, unite
dalla volontà di mantenere accesa la miccia della memoria, e di non confondere
il passato con le sue versioni che ci vengono propinate di quando in quando.
Se mi permetti vorrei farti
un'ultima domanda, credo che queste canzoni siano belle anche in una versione
solo voce e chitarra, però nel disco hai utilizzato archi, c'è il contributo
del coro OltreCoro, la voce di Alice Avanzi, credi sarà possibile presentarlo
in questa veste in qualche ricorrenza di particolare rilevanza? Sempre che si
possa tornare all'attività live, che già questa sembra una chimera...
Grazie per questa domanda, che rende giustizia anche agli amici e compagni
presenti in questo album! OltreCoro è il coro popolare che dirigo a Parma, ed è
specializzato proprio in questo repertorio. È un coro polifonico, canta a
quattro voci. Non è composto da professionisti, ma da compagni di varia
estrazione, che ci tengono ad avere cura del patrimonio del canto popolare, di
lotta, di lavoro. A volte provvedo io a scrivere nuove armonizzazioni per i
canti che scegliamo, altre volte ci rifacciamo alla tradizione: alcuni di noi
sono talmente appassionati da partecipare ai raduni internazionali di cori con
un repertorio simile al nostro, che in giro per l'Europa sono tantissimi. Da
loro impariamo spesso nuovi canti oppure nuovi arrangiamenti. È una realtà
molto viva e molto solidale, oltre che divertente da frequentare! Purtroppo in
questo momento neppure noi possiamo riunirci, ma abbiamo continuato a cantare,
come tanti altri gruppi, filmandoci a casa, montando i filmati e mettendoli
online. È un modo per continuare a esistere in questo periodo, nel quale il
fulcro della nostra attività, ossia l'aggregazione, costituisce un pericolo per
noi e per gli altri. Gli archi invece sono stati la scelta di accompagnamento
che ho compiuto un paio d'anni fa, quando l'Istituto Ernesto De Martino ci
coinvolse nella realizzazione di una compilation dedicata alla Guerra Civile di
Spagna – intitolata “Spagna '36, un sogno che resiste”. Coinvolsi gli amici
Salvatore Iaia al violoncello, ed Elena Contò alla viola. Al violino mi misi
io. La canzone, La despedida, è
chiaramente una canzone di tradizione colta, e con l'accompagnamento di un trio
d'archi mi parve di darle una forma coerente con quello che era il mio modo di
sentirla e interpretarla. Questa canzone è uscita allora in quel disco, e oggi
è stata riedita nel mio Canti rossi,
con l'amichevole placet dell'Istituto De Martino, che ringrazio di cuore. Alice
Avanzi invece canta Alle donne, una
mia personale traduzione di A las mujeres,
sempre dal fantastico canzoniere della guerra di Spagna. Non ho voluto cantarla
io, perché sentire una voce maschile che pronuncia quelle parole mi dava una
sensazione sgradevole di paternalismo... e ho voluto affidarla ad Alice, che è
la mia compagna. Con lei collaboro spesso, sia in studio che dal vivo. Alice
ora è incinta, e lo era anche al momento dell'incisione. Quello che allora non
sapevamo è che quella che aspetta è una bimba. E tutto assume un senso diverso,
a riguardarlo con questa consapevolezza! Nessuno di noi sa quando la nostra
attività di musicisti potrà riprendere. Una presentazione online c'è già stata,
con la partecipazione di Brunella Manotti e di Aldo Montermini, i presidenti
della sezione cittadina e provinciale dell'ANPI di Parma. Certo, avremmo tutti
preferito poter fare una presentazione in grande stile nella Sala Riunioni
della sede ANPI, e sono certo che, non appena sarà possibile, accadrà. E
parteciperà anche OltreCoro, e tutti i compagni che hanno collaborato al disco.
La musica è migliore, quando la si può fare insieme.
Foto di Cristiano Antonino.
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