di Fabio Antonelli
Rodolfo Giovanni Marra, noto
come Rudy Marra, originario di Galatina, è stato sin dai suoi esordi
discografici nel lontano 1986 con “Telefonami/Prima o poi me la paghi”, un
cantautore originale e fuori dagli schemi. In quasi trentacinque anni di
attività artistica ha all’attivo cinque album, forse pochi, ma mai banali, in
cui sicuramente non ha mai voluto rifare sé stesso e nel quale non mai avuto
paura di dire la propria su tutto e tutti. Tra questi album poi, delle opere
letterarie altrettanto interessanti. Proprio in questi giorni di forzata
clausura mi è balzato poi all’occhio un suo post intitolato “Salvate il soldato
musica!”. Da qui il desiderio di scambiare quattro chiacchiere con lui.
Direi di partire, come
d’accordo, da questa situazione anomala, da questa infinita quarantena
impostaci dalle istituzioni. Tra gli artisti c'è chi ha deciso di reagire con
dirette Facebook, live virtuali, chi con aperitivi e cantate dai balconi e chi,
invece, non ha più voluto cantare o, perché addolorato, o per protesta,
ritenendosi dimenticato da questo stato. In mezzo ai due estremi una lunga
serie di sfaccettature. Tu come ti poni, quale è stata la tua reazione?
Crocodile rock, sarebbe il pezzo giusto per questa
situazione. Insopportabili i piagnistei degli artisti dimenticati dalle
Istituzioni. Fino a ieri dove eravate? Qui mi riferisco soprattutto a quelli
che contano, agli "Dei del microfono", insomma quelli che riempiono
teatri, palasport, Stadi. La loro potenza mediatica e "contrattuale"
li avrebbe dovuti portare già da tempo a fare brutto muso ai politicanti di
turno per richiedere garanzie, assistenza, albo professionale, previdenza e
quant'altro! E invece, il più delle volte, di riffa o di raffa, con i
governanti e i loro derivati (gruppi economici, banche, giornali, tv, radio,
multinazionali discografiche...) i suddetti Dei microfonati avevano di che
spartire e quindi silenziosamente accondiscendenti. Gli altri, i canterini dei
club, delle date sottocosto, dei ricattati da "quanta gente mi
porti?" possono fare poco, anzi niente per essere onesti, se non far finta
di avere uno spirito di corporazione mai esistito e così approfittare della
situazione per avere il pretesto di mostrarsi e farsi sentire in qualche
performance video musicale, nella maggior parte dei casi di scarsa qualità e
gusto. Il silenzio è impossibile, è una finta presa di posizione alternativa,
se tu non suoni ci sarà qualcun altro disposto a farlo, senza contare tutti i
canali dove la musica non puoi fermarla. Per quel che riguarda i balconi è un
discorso ancora più ampio, si toccano situazioni sociali e addirittura
antropologiche, come il fare gruppo per paura di essere soli, associarsi per
solo interesse davanti alla fiera malefica, alla bestia feroce... Va da sé che
tutto ciò non ha nulla a che fare con la musica, una situazione spinta dai
media e probabilmente da chi ha interesse a tenere compatta la popolazione in
un momento di disgregazione, letale per chi gestisce il potere, facendo leva
sui sentimenti e in particolare la paura! A me personalmente fanno cagare (se
si può dire se no trova tu un sinonimo) tutti i "canti" di massa, che
siano Volare, Bella ciao, Il cielo è sempre
più blu oppure 'O sole mio ... Io
non mi sono neanche posto il problema di che fare in questa situazione, ho
sempre fatto quello che mi andava di fare, se ho voglia di suonare e cantare lo
faccio, se mi va di stare in silenzio metto in mute, senza dover dar conto a
nessuno. Potrei chiudere la risposta col verso di una mia canzone mai uscita su
un disco ufficiale che però è parte di un bootleg live registrazione di un tour
veramente underground del 2011 in cui cantavo "Si fa presto, si fa presto
a farsi fottere!".
Direi che la tua conclusione
non fa una piega. Hai citato un bootleg di un tour underground del 2011. So che
ti sei sempre mosso per sentieri alternativi, spesso impervi, ma credo anche
ricchi di soddisfazioni. Gli anni trascorsi dal tuo ultimo disco ufficiale
"Sono un genio ma non lo dimostro" sono ormai tanti. È una strada che
non vuoi più percorrere o, invece, qualcosa bolle in pentola?
Dopo l'uscita di Sono un genio ma non
lo dimostro (Alabianca/Warner 2007) e un paio di anni di live per
promuoverlo, la mia strada musicale ha preso una direzione inaspettata anche
per me e, se vogliamo, in un certo senso incredibile. Ad un certo punto mi sono
accorto che non ne potevo più della musica che mi circondava, la mia e quella
degli altri del panorama italiano e spesso anche internazionale, non solo da un
punto di vista tecnico musicale, ma anche proprio concettualmente. Sinceramente
non sopportavo neanche tutto il contorno della musica nostrana, radio,
giornalisti, musicologi, festival e premi d'autore, tradizione cantautorale
vecchia, finto rock travestito da alternativa e tutta una serie di cose per me
insopportabili, come paragoni, riferimenti costanti al testo poetico e meno
poetico, accuse di non avere come altri una linea musicale ben individuabile,
come dire che non facevo sempre la stessa canzone rigirata a mo’ di frittata,
insomma, per auto citarmi, non ero mai stato "né pop, né rock, né
jazz...". Cancellare tutto a parole è facile, in pratica è cosa
complicata. Così sono partito da quello che mi pareva più naturale facendo
musica, cioè sentire suoni diversi, magari utilizzare strumenti non usuali, non
convenzionali. Deciso che la cornamusa era troppo difficile da imparare in
breve tempo e che di elettroniche sofisticate capisco zero, mi sembrò più che
naturale rivolgermi agli strumenti a corda che da sempre suono. Una specie di tabula rasa della musica
moderna mi ha portato a ricercare nel mondo primordiale, una indagine di suoni
primitivi, in terre africane, in popolazioni non gravate da architetture armoniche
e melodiche di cultura occidentale, ritmo e vibrazioni per stringere, suoni
viscerali. Le corde di budello animale, le percussioni, il suono profondo di
corni e di casse toraciche con emissioni basse baritonali, un mondo magico,
psichedelico, rotolante "rock", l'origine di tutto alla fine, del
blues e quindi di tutti i generi che poi si sono succeduti, tutto partiva da
lì. Così smontai prima le due corde più sottili della mia chitarra, poi anche
la terza corda (il sol) e cominciai a suonare come un misto di chitarra e
basso.... Vado più in fretta che posso; cominciai a creare, grazie ad un amico
liutaio, uno strumento elettrico a 3 corde che chiamai bassarra (ora sono
arrivato ad un basso a due corde) con l'uso dello slide. Non solo il suono ora
era diverso, ma cambiava proprio il concetto di fare musica, suonavo bi-corde,
potevo accordare in maniera diversa per creare armonizzazioni e via dicendo. In
questa maniera non aveva senso continuare a pensare alla canzone così come
avevo fatto fino a quel momento, quando suoni ritmico, quasi percussivo, non
puoi più permetterti di non esserlo anche con le parole, anzi con i suoni che
emetti e non avere le corde sottili ti impedisce di fare melodia intesa come i
soli, accenti vari e a tutto questo devi sopperire con la bocca e quindi anche
con quello che dici. Lo so che forse non è di facile comprensione ai non
addetti e forse è anche complicato da sentire la differenza, ma è un mondo
totalmente diverso. Non me ne fregava più nulla delle parole, anzi le parole
erano pesi superflui, ostacoli alla musica, questo non vuol dire che i concetti
non erano forti come e più di prima, solo che cominciavo a superare il birignao
retorico e stantio della canzone d'autore italiana. Da lì è stato tutto un crescendo
fino a un episodio un po’ magico. Chiamai un amico e musicista che già aveva
giocato con me, un trombonista, e gli spiegai che avevo voglia di mettere su
una band con queste caratteristiche per fare un genere alternativo, con suoni
ipnotici, cupi, ma ritmico, con vibrazioni ed energia, mi pareva che una
chitarra a tre corde un trombone e una batteria fossero l'ideale. Da grande
jazzista, ma anche da sperimentatore accettò volentieri e con un batterista
cominciammo a provare e nacquero Rudy Marra & the M.o.b. (Member's of band)
e fu lì che successe la magia. Un giorno Simone (Simone Pederzoli trombone ndr)
durante alcune prove mi nominò una band che in qualche modo aveva un percorso
simile a quello che stavamo facendo, si trattava dei Morphine, band cult
americana degli anni '90, un alternative rock proprio da loro definito low
rock. Io, sinceramente, non li conoscevo o forse avevo sentito qualcosa di
passaggio, quindi andai a ricercare nella rete. Sconvolgimento totale, mi
sembrava di vedere e sentire, in un certo senso, il mio sogno, i miei pensieri
musicali, concretizzarsi, diventare reali, fattivi. Non conoscevo la storia del
leader bassista (a due corde!) Mark Sandman e scoprire che era scomparso nel
1999 proprio in un tour in Italia mi prese ancora di più. In breve cercai il
contatto dell'altro carismatico fondatore della band, il sax baritono Dana
Colley e sarebbe troppo lungo raccontarlo ora, ma alla fine, nell'estate 2011,
da Boston lui si unì a noi in Italia per una collaborazione musicale e direi
spirituale che da quel momento mi ha preso totalmente. Lo so che è lunga la
storia, ma non potevo spiegare altrimenti come poi, qualche anno dopo, siamo
andati a finire in uno studio di registrazione di Roma, il Diapason, il cui
sound engineer Simone Satta ha voluto diventare il produttore del progetto di
Rudy Marra & the M.o.b. feat Dana Colley che dopo due anni e passa di
registrazioni è pronto e caldo. Il problema è ora come, con chi, quando uscire,
vista la situazione di decomposizione cadaverica della discografia italica.
C'era una bozza di idea di uscita per il 1° maggio, ma come sai tutto è saltato
per pandemia. Posso solo anticipare che si tratta di un concept album di 16
tracce dal titolo Morfina, un viaggio
nel bisogno umano di trovare rimedi efficaci per i nostri dolori, fisici e
dell’anima, senza correre il rischio di diventare dipendenti da qualcuno o
qualcosa, insomma niente di stupefacente, pur essendo un disco assolutamente
stupefacente! Musicalmente la vecchia strada musicale è per me superata,
d'altronde se si vanno a sentire attentamente i miei dischi precedenti non era
affatto una strada precisa, mi ha sempre annoiato rifare le stesse cose, con
stessi schemi fissi, non amo neanche nella vita normale essere catalogato e
schedato. Certo capisco, da tante dimostrazioni di affetto che ricevo, che quel
mio passato è incancellabile, ed è giusto che sia così anche solo per i
grandissimi musicisti che hanno lavorato e hanno collaborato con me nei miei lavori,
per questo, oltre al nuovo disco, ho deciso di fare qualcosa per accontentare
chi è ancorato al mio passato, però l'ho fatto scrivendo un recital dove ci
saranno alcune di quelle vecchie canzoni, un attore sul palco e forse io farò
da colonna sonora dal vivo. Anche in questo caso doveva concretizzarsi il tutto
questa estate con qualche giro di prova, poi sappiamo il guaio successo...
Aspettiamo fiduciosi... il titolo del recital? Ridi Rudy che se non ridi ti rodi che mi pare giusto per il
momento.
Una storia fantastica direi,
da farci un documentario, aspetterò fiducioso. Ma la tua attività letteraria,
invece, rimarrà un episodio unico il tuo romanzo L'utente potrebbe avere il terminale spento? Perché credo che tu di
cose da dire ne abbia parecchie, magari non gradite a tanti, ma sempre
originali e contro mano, no?
Intanto ti/vi faccio sapere che i romanzi sono già 2, nel 2015 è uscito per
Zona ed. "Le facce" un romanzo, meglio un racconto breve, che parla
di incomunicabilità, con i suoi vari risvolti. In cassetto ho già pronto altro
materiale letterario, ma, come per i dischi, anche nell'editoria finché non sei
nel giro che conta è meglio aspettare il momento opportuno, per poterti almeno
gestire da solo una promozione che sia un minimo degna, almeno farlo sapere ad
una ristretta cerchia di amici, conoscenti, magari fare avere il libro brevi manu a quelli che vengono a sentirti
suonare, insomma non è un caso che anche tu non sapessi della mia seconda
pubblicazione (suppongo sia ancora in vendita in rete). Aggiungo solo che il
disco praticamente ultimato di cui ti ho accennato prima, "Morfina",
ha molto a che vedere con le pagine scritte, non a caso il titolo ha vari
riferimenti, un po’ gioca con la partecipazione di Dana Colley dei
Morphine, ovviamente il tema trattato,
cioè, come ripeto, il tentativo vano di trovare rimedi istantanei al nostro mal
di vivere, così come ci potrebbero illudere le droghe e, infine, anche, forse
soprattutto, perché è un richiamo a Morfina,
un racconto di Michail Bulgakov e, proprio come in quello, ogni canzone che
compone l'album è presentata da un breve scritto, come fossero appunti
giornalieri di un diario personale tenuto nell'arco di un anno intero, un anno
in cui il protagonista lotta con il suo male, i suoi ricordi, la ricerca di una
felicità risolutiva, un cadere e rialzarsi continuo, fino alla morte, al suo
stesso funerale a cui partecipa serenamente come se tutto il percorso doloroso
non fosse stato altro che paura di quell'evento finale, il paradosso base della
nostra sofferenza umana, quello di nascere solo per morire. Però il diario
racconta anche che la vita non è una linea retta, un punto A che arriva a un
punto B finale, ma un cerchio che magicamente ricomincia, senza soluzione di
continuità. Come vedi non so neanche io se ho fatto un disco di canzoni oppure
un libro che suona.
Credo che non abbia alcuna
importanza etichettare ciò che si produce, il voler poi incasellare un artista
è, in fondo, il mal celato tentativo di toglierli libertà. In tutto questo lungo
percorso che, proprio perché fuori da ogni logica di mercato e lontano anche
dalla cosiddetta musica indipendente, sembrerebbe vederti isolato da tutto e da
tutti, in realtà ci sono state collaborazioni musicali con altri artisti, penso
a Tosca, a Cristiano De André, Giusy Ferreri, Paolo Belli. C'è qualcuno nel
panorama italiano con cui vorresti, invece, collaborare all'interno di un tuo
progetto discografico? Un po' come avvenuto con Dana Colley?
La risposta è semplicissima, Eugenio Finardi, il pezzo è già pronto, è il
rifacimento, anzi uno stravolgimento di un suo classico, anche questo farebbe
parte del nuovo progetto, il contatto c'è già positivamente stato, ma
ovviamente finché non si concretizza discograficamente non posso coinvolgerlo
più di tanto.
Mi piacerebbe concludere questa
chiacchierata con uno sguardo al futuro, non tanto del mondo discografico che,
forse è già morto e sepolto, però sentiti libero di dire la tua sul suo stato
di salute, ma soprattutto su quello di Rudy Marra artista a tutto tondo. Mi
sembra che di carne al fuoco ce ne sia parecchia, come vedi la tua fase 3?
Parto immediatamente dal fatto che ti ho fatto sapere di miei progetti
discografici, letterari, teatrali quando ancora nulla è sicuro, magari nessuno
sarà interessato a pubblicarli o a farli andare in scena, cosa che qualche anno
fa non avrei mai fatto nemmeno sotto tortura, almeno fino a quando non fossi
stato sicuro di date, uscite con tanto di firme e controfirme contrattuali,
questo proprio perché è saltato tutto, ormai ci sono praticamente solo
autoproduzioni svincolate da qualsiasi contatto con il mercato, perché il
mercato non esiste più o, quanto meno, si è ridotto a gestione di
"personaggi televisivi" che hanno scadenze annuali, quei pochi (o
molti, a secondo dei punti di vista) che galleggiano nelle major, parlo dei
partecipanti ai Talent, quelli che fanno Sanremo nell’anno in corso, vecchi
leoni nelle riserve di programmi tv Rai e super big prima dell'ennesimo tour
estivo nelle arene, Stadi etc. Poi c'è tutto un sottobosco di cosiddette etichette
indipendenti che sfornano artisti a ripetizione, con lo stampino e con un nome
strano, replica della replica della
replica dei De Gregori, De Andrè, Rino Gaetano (ovviamente, per dati di fatto,
replica del peggio), fino al fenomeno rap / trap con le sue varie accezioni, un
elenco di nomi inutili che vanno ad ingrossare il panorama già troppo saturo.
Nulla contro nessuno di questi generi, né contro alcuno di questi artisti,
ricordo sempre che quelli della mia generazione di tendenza rock “schifavano” a
prescindere la “musica da discoteca”, poi negli anni ci siamo accorti che
dentro quella marmellata c’erano anche cose fortissime, The Chic, Earth Wind
& Fire, Kool & the Gang… il problema sta nella testa di questo sistema
marcio, di quelli che sono a capo, direttori artistici, manager, impresari che
per incapacità o per esigenze di semplice fatturato imposto hanno stravolto il
mondo musica portandola da dimensione prettamente artistica a dimensione
“ufficio di collocamento per lavori alternativi” e accordi economici con gruppi
editoriali extra-musicali. La mia fase 3, come per tutti, dipende purtroppo da
questa situazione anomala: gli spazi nella discografia sono ristretti, anzi
stitici, risicati i modi per promuovere un progetto, relegati per lo più alla
rete e a circuiti digitali che hanno imbastardito l’educazione musicale, si
tratta per lo più di vendere immagine, video da cliccare, insomma tutto è
delegato alla capacità mediatica, a essere parte attiva dei mass-media, che poi
vuol dire essere massa, ossia carne tritata, poltiglia da consumare. Resterebbe
il circuito live, naturalmente club, associazioni culturali, qualche illuminato
gestore di eventi e festival, ma, anche qui, ancora prima del Covid-19, la
situazione era già disastrata, sempre più legata alle esigenze degli oberati
conduttori, incassi, vendite delle bibite e dei panini e, quindi, spesso
diretta e guidata dalla precedente esposizione mediatica, il cane che si morde
la coda insomma. Bisogna essere chiari, il modo di fruire della musica, un po’
per tutto quello appena detto, ma anche per altro, è cambiato radicalmente: di
questi artisti che hanno milioni di click in rete i loro fan conoscono a
memoria la canzone, conoscono bene il look, gli argomenti che tratta, e basta.
Chi ha suonato la chitarra nel suo disco? E la batteria? Ma c’è una batteria
vera in quel disco? E la chitarra che sembra una chitarra è una chitarra
davvero? Ma c’è qualcuno che suona ancora un qualsiasi strumento in questi
dischi? Una volta non era così, la musica non era solo una canzone da sentire,
era una storia da vivere, si viveva anche quello che accadeva dietro il
proscenio, il sudore del batterista sui tamburi, le evoluzioni del chitarrista,
bassista, pianista, chi era il produttore, la casa discografica etc. E si conoscevano
le vite dietro quel prodotto, il sangue, compreso i vizi e le droghe usate.
L’mp3 e la digitalizzazione hanno omologato la musica, tutto suona uguale, più
o meno, questa compressione audio serve ai grandi gruppi (Apple, Windows…) a
mettere infinite quantità di materiale nei loro dispositivi lanciati sul
mercato (pc, smartphone, ipod…), quantità non qualità! Le radio devono suonare
musica che abbia bit e bassi adatti agli impianti di ricezione. La musica si
dice è diventata più democratica, tutti possono fare in casa un disco, un video
clip e sbatterlo in rete e sperare nella buona stella, nel colpo di fortuna e
lavorare per costruirselo. Si sa, il potere al popolo, la demo crazia, è sempre
stato un inganno organizzato da pochi, dai tempi delle Polis ateniesi,
basterebbe leggere La Repubblica di
Platone e arrivare alla Fattoria degli
animali di Orwell. Io non ho mai
pensato di fare musica per lavoro, a dire il vero ho perso tante occasioni
perché non mi è mai andato molto di essere costretto per forza ad andare in
giro a cantare, ho sempre fatto dischi o libri e sono andato a promuoverli da
solo quando avevo voglia di dire la mia, di dire ad altri come vedevo il mondo
in quel preciso momento. Questo è quello che continuo a fare, se e quando
usciranno per il pubblico i miei nuovi progetti sarà mia premura cercare di
farlo sapere a più persone possibili, nonostante gli ostacoli mediatici
suddetti e, come sempre, chi già mi segue mi ritroverà, qualcuno che non mi
conosceva mi conoscerà e a chi non interesso continuerà a non sapere della mia
esistenza, almeno per il momento, perché la musica, digitalizzazione o non
digitalizzazione, incapacità dei discografici o meno, a volte è talmente magica
che arriva da sola dove le pare. L’unica cosa che sinceramente mi auguro è la
possibilità di tornare a suonare in giro insieme ad altri musicisti compagni
d’avventura, perché col tempo mi è venuta voglia di salire sui palchi, grandi o
piccoli che possano essere, davanti a tanta o poca gente non è un problema che
mi assilla più di tanto. Come dal tema trattato nel mio ultimo lavoro ancora
inedito, io non voglio dipendere e non m’interessa che altri dipendano da me.
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