di Fabio Antonelli
Quasi un anno fa, di questi tempi, uscì un disco che mi colpì molto da
subito, si trattava di “Blusanza” del chitarrista e cantautore abruzzese Nicola
Pomponi, in arte Setak. Un titolo originale, un dialetto, quello abruzzese o
meglio di Penne, poco utilizzato nell’ambito della canzone d’autore e undici
tracce che per la qualità dei pezzi sarebbero potuti benissimo essere undici
singoli. Un disco d’esordio di grande maturità. È passato ormai un anno, lo
ascolto ancora con piacere e, grazie anche a questa quarantena, ho pensato bene
di andare a disturbarlo per una chiacchierata.
Questa emergenza coronavirus, la conseguente quarantena impostaci, per
molti è stata anche motivo di riflessione sulla propria vita, sulla propria
attività. Tu, personalmente, sei reduce dal tuo primo disco Blusanza, se
dovessi fare un primo bilancio di questo esordio discografico che conclusioni
trarresti?
Si, devo ammettere che la quarantena è stata anche una preziosa
occasione per riflettere. Riguardo al disco sono davvero felice di come sia
stato accolto. Essendo un progetto con un percorso tutto suo, mi dispiace che
si sia fermato tutto perché stavano succedendo cose importanti proprio in
questo periodo. Non ci resta che prendere il buono da questa situazione (e di
cose buone ce ne sono molte) ed avere molta pazienza.
Ecco, credo valga la pena di parlare un po' di questo tuo primo disco
che appena ho avuto tra le mani mi ha colpito sia per il titolo quel Blusanza
che è un neologismo che unisce il blues alla transumanza, sia per la copertina
che ti ritrae trattenuto desiderato da mani il cui colore tradisce origini
diverse. Mi piacerebbe che mi spiegassi queste scelte comunicative.
Sì, l’idea era quella di trovare un nome che riuscisse a riassumere il
concetto del disco che è nato dall’esigenza di sintetizzare tutte le mie
esperienze musicali e umane, il rapporto con la mia terra e con il mio
dialetto, tutta la musica con cui sono venuto a contatto. Blusanza, ovvero
blues e transumanza, sentimento e appartenenza, è una miscela di influenze
musicali (il blues, imprescindibile per la mia formazione che ho mischiato ad
altre realtà musicali di varie parti del mondo). Su tutto questo ho innestato
il dialetto della mia terra adeguandolo espressivamente a una mia personale
esigenza di intimismo. Per quanto riguarda la copertina c’è da dire
innanzitutto che è stata un’esperienza fortissima. Volevo qualcosa che
traducesse in un’immagine il concetto di esperienza. Ho immaginato a delle mani
su di me che rappresentassero la storia, i luoghi, le esperienze della mia
vita. Poi ci sono io con l’espressione di uno che accetta con serenità tutto
questo. È stata scattata a Lione dal mio amico fotografo Jacopo Butticè il
quale, dopo avergli comunicato l’idea, si è occupato di trovare persone di
diverse etnie ed età. Io ovviamente non conoscevo queste persone e volevo che
fossi toccato e anche infastidito. Dopo i primi momenti di timidezza e
imbarazzo, mi hanno letteralmente torturato. Si era creata una situazione
surreale, non potevamo comunicare verbalmente per via della lingua ma c’era
un’energia bellissima, giornata memorabile.
Dire che per via della lingua non potevate comunicare e scegliere di
usare il dialetto per il tuo primo disco potrebbero sembrare una
contraddizione. Il dialetto in campo musicale è per te un ostacolo alla
diffusione del proprio mondo musicale o, al contrario, un arricchimento, il
creare un legame stretto, inscindibile, con le proprie radici?
Si è vero, ho scritto che non potevamo comunicare verbalmente ma ho
anche scritto che si era creata un’energia bellissima, memorabile. Questo è
esattamente quello che vorrei succedesse con la mia musica. Io credo che il
dialetto, almeno nel mio caso, non sia un elemento determinante ma
semplicemente un pezzo del puzzle. Nelle mie canzoni parlo al mondo, racconto
di cose in cui potrebbero rivedersi tutte le persone di qualsiasi parte del
mondo e come mezzo di espressione ho usato la mia lingua d’origine,
l’abruzzese.
Ricordo bene che il disco è stato anticipato dal singolo Alé Alessa’
con un video bellissimo, direi surreale, in cui tu sei su un ascensore e ad
ogni piano si aggiungono strani personaggi, ognuno reclama spazio, ma ad un
certo punto da delle borse porta strumenti vengono estratti come per magia
chitarre, banjo, tamburelli e la musica sembra mettere tutti d'accordo in un
clima festoso. È un po' quel messaggio di cui si vuol fare portavoce il disco
stesso?
Si, prima dell’uscita del disco sono stati pubblicati tre pezzi e Alé
Alessa’, in effetti, è stato l’ultimo. In realtà non ho mai pensato a
questo e non ho questa presunzione però se a qualcuno dovesse trasmettere
questa sensazione, ben venga!
Magari per qualcuno lo è stato, come accade nel video. Anche durante
questa lunga emergenza ho notato che la musica per tanti è stata di aiuto. Le
dirette Facebook, il cantare sui balconi ne sono degli esempi eclatanti. Non
dico che un disco possa salvare la vita, ma un buon disco come il tuo può
sicuramente renderla più piacevole. Se dovessi scegliere una canzone del disco
cui non rinunciare per alcun motivo al mondo, quale sarebbe? E per quale
motivo?
Cattiveria pura! ☺ Questo tipo
di domande mi stendono, troppo difficile. Sarebbe come chiedere a un padre
quale figlio salvare. Se mi chiedessero di salvare una canzone del disco in
cambio della vita sceglierei molto probabilmente Dumane ha ‘ggià ‘rrivate.
In quel pezzo c’è tutto.
Bellezza pura, in questa risposta c'è davvero tutto l'amore paterno per
la propria creatura. Restiamo ancora al disco e precisamente al nuovo singolo
appena pubblicato in questi giorni, ossia Pane e 'ccicorje, il cui tema
è decisamente in tema con la separazione imposta in questa lunga quarantena. È
nato con il contributo dei tuoi ammiratori se non sbaglio, mi racconti genesi
del brano e del video appena realizzato?
Si rispondere non è stato facile perché questo non è uno di quei dischi
in cui ci sono due singoli e il resto messo lì per riempire il vuoto. Ogni
brano ha avuto una storia unica a cui ho dedicato tutto me stesso. Prima di
parlare del nuovo disco (evento ovviamente rimandato) volevo porre l’attenzione
su quei brani del disco che non hanno avuto la visibilità degli altri. Il primo
è appunto Pane e ‘ccicorje (che casualmente tratta di un tema molto in
sintonia col momento che stiamo vivendo) di cui avremmo dovuto girare il video
proprio nei giorni dell’emergenza. A quel punto abbiamo chiesto aiuto ad amici,
fan ed a tutti quelli a cui avrebbe fatto piacere partecipare. A mio avviso ne
è uscito un lavoro davvero bello, mi sono emozionato la prima volta che l’ho
visto.
Che sia proprio come dici tu, lo dimostra il fatto che nel gioco al
massacro tu, sebbene a malincuore, abbia scelto di salvare la canzone che
chiude il disco, segno che non si tratta di un riempitivo ma forse il brano che
più ti rappresenta. Personalmente adoro Zitta zitte, sarà forse perché
in quell'espressione sembra stare racchiuso un modo di pensare tipico degli
abruzzesi, quel sottrarsi dai riflettori anche quando invece meriterebbero di
essere illuminati dall'occhio di bue, un po' come quell’artista che ha scelto
di chiamarsi Setak. Sarà forse il nuovo singolo?
Si, dici bene. Zitta zitte forse è il pezzo che più di tutti
parla ai miei conterranei. Più che altro descrivo personaggi e situazioni molto
frequenti nei contesti di paese. Un altro aspetto che hai colto sono i modi di
dire come appunto “Zitta zitte” che caratterizzano il pezzo. Infatti quando
uscì la canzone molte persone mi hanno chiesto a quali personaggi reali mi fossi
ispirato e ovviamente questo rimarrà un segreto! Sicuramente sarà, se non il
prossimo, uno dei pezzi su cui metteremo l’accento nei prossimi giorni.
Riguardo al discorso sui riflettori devo ammettere che il progetto non aveva
questo come obiettivo primario ma un’eventuale maggiore attenzione mediatica
non la disdegnerei.
Per chiudere il discorso su Blusanza, ad inizio intervista hai
detto di essere rimasto molto dispiaciuto che questa emergenza coronavirus
abbia impedito lo svolgersi di alcuni eventi legati all'evoluzione del
progetto, cosa stava bollendo in pentola?
Beh, oltre ai diversi concerti che non vedevo l’ora di fare in posti
molto belli ci sarebbe stato l’evento più importante, ovvero l’uscita del
secondo album.
Forse è prematuro parlarne, ma hai anche fatto cenno ad un nuovo disco,
credo che guardare al futuro sia un'iniezione di fiducia per tutti. Mi dici
qualcosa di più sul prossimo progetto?
La prima cosa che mi verrebbe da dire è un po’ quella che dicono tutti
gli artisti prima dell’uscita di un loro lavoro. Sarà una bomba!
Autoincensamenti a parte devo dire che sono davvero contento e non vedo l’ora
di farlo uscire. Se dovessi trovare una diversità con il primo, questo è
decisamente più estroverso e le tematiche hanno un valore ancora più
universale. La cosa certa è che lo spirito è rimasto lo stesso del primo album.
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