di Fabio Antonelli
“I Pazzi osano dove gli angeli temono d'andare” scriveva Poe e, in
“Pazzu” il nuovo progetto di Giancarlo Guerrieri, il musicista siciliano ha
osato molto e non solo artisticamente. Libero da ogni cliché, in quest’ultimo
disco i vari generi e stili musicali si fondono piacevolmente e sono al
servizio e alla funzionalità delle canzoni. Ecco cosa mi ha raccontato di
questa sua nuova “pazzia”.
La prima cosa che mi ha incuriosito di questo tuo nuovo lavoro è la
copertina, molto diversa dai lavori precedenti, ha quasi un qualcosa di
messianico, quella folla di colore e tu quasi assunto in cielo com’è stata
scelta e perché?
La fotografia così come tutto il
progetto grafico è di Charley Fazio, la foto è nata da una sua idea e, in
effetti, il mio tuffo su quelle mani tese, che mi salveranno, sono una rete di
sicurezza per un folle tuffo nel vuoto. Sono del parere che dai paesi
sottosviluppati India, Africa, ecc. in futuro arriverà la nostra salvezza o
redenzione, questo perché la globalizzazione ci sta portando sempre di più a
non capire il mondo. In questo caos ordinato, verrà fuori l'umanità del futuro
che da questi paesi salverà il mondo ... come non lo so, ma le profezie sono
sempre un po’ ermetiche.
La musica può qualche cosa in tal senso? Da quanto canti in "La
musica è putenti", energico pezzo che apre questo lavoro sembrerebbe
proprio di si o sbaglio?
La musica ha una forza insita che
può tutto, io sono dell'idea che con la musica si possono ancora fare le rivoluzioni
"culturali" ed io imbracciato la mia chitarra, in “La musica è
putenti” do voce a quella moltitudine di uomini semplici che nella canzone si
ritrovano di colpo abbracciati sotto lo stesso cielo uniti da un ideale di
giustizia e fratellanza, una sola voce, perché “La musica è potente e non si
arrende, mai”.
Ciò che più mi ha colpito favorevolmente di questo lavoro è da una
parte la bellezza e l'impegno civile dei testi dall'altra l'immediatezza di
molte canzoni, hai saputo coniugare alla perfezione fruibilità (nonostante le
difficoltà del dialetto per chi non è siciliano) e impegno, pregio non da poco.
Concordi?
I testi sono stai scritti con
moltissima attenzione, ci sono stati ripensamenti e, più di una volta, ho
voluto confrontarmi con altri colleghi cantautori, che mi hanno aiutato
nell'avere fiducia in me, poi ci sono state le canzoni scritte con Kaballà che
ha saputo entrare nei miei brani scritti insieme con molto entusiasmo, senza
però invadere troppo "il campo". Il mio stile si è andato delineando
sempre di più in questi due ultimi dischi, con “Pazzu” ho fatto un ulteriore
step, che mi ha permesso di scrivere in dialetto storie pensate in italiano,
accostandomi alla lingua italiana con naturalezza e il risultato è stato
appunto questo esperimento, che nella versione in siciliano di “L'uomo è pazzo”
è più evidente.
Mi hai anticipato, volevo giusto che parlassi di "L'uomo è
pazzo" o di "Pazzu" se guardiamo alla versione in siciliano. Nella
versione in italiano duetti, per altro, con Roberta Zitelli una delle voci più
belle che abbia sentito in quest’ultimo anno di ascolti. Com'è nato questo
brano e com'è nata l'idea di affidare a lei il ruolo femminile?
Questa canzone è nata a Milano
durante la registrazione del disco, avevamo bisogno di una canzone lenta che
andasse a chiudere l'album, ed io mi sono fermato a leggere una frase che avevo
scritto a matita su di un foglietto volante ... forse qualche giorno prima,
"L'uomo è pazzoooo". A quelle parole però mancava una melodia, che
Mario Saroglia ha saputo trovare immediatamente, poi avevamo bisogno di una storia da raccontare o un
messaggio da far passare e con Kaballà abbiamo pensato di scrivere un brano che
parlasse di femminicidio, la voce di Roberta Zitelli mi è sembrata da subito la
più adatta a interpretare il brano, conoscendola bene da molti anni, infatti,
Roberta è la corista della BANDACAMINATI, formazione che mi accompagna oramai
da cinque anni- Il risultato è stato quello auspicato, cioè un brano intenso
che sa emozionare ma soprattutto riflettere.
Una delle canzoni che secondo me ha questo potere di far riflettere su
come in pochi anni il mondo, i valori siano cambiati completamente, è
"Carizzi e petri", una delle più evocative direi.
E’ vero, ho voluto raccontare la
storia di una donna di altri tempi, che ha visto la guerra e vissuto i soprusi,
la miseria e, dopo una vita che comunque gli ha regalato l'amore, dei figli e
dei nipoti, giunta alla fine dei suoi giorni, si rende conto che ha il dovere
di lasciare in eredità quei valori universali che non hanno prezzo, perché la
vita senza l'amore non ha alcun valore.
Nel disco è inserita anche una splendida cover di una canzone di Nino
Ferrer, mi riferisco a "Agata", com'è nata l'idea di farne una cover
e di darle una veste dal punto di vista così attuale. Uno dei pezzi più
trascinanti.
Durante un mio concerto di
qualche anno fa il mio amico Peppe Qbeta, front man del gruppo omonimo, mi
prese in disparte e mi disse, sai che tu mi ricordi Nino Ferrer sul palco,
secondo me dovresti ascoltarlo attentamente, da lì la curiosità di studiare la
sua discografia e il suo personaggio. Con “Agata” ho cercato di far rivivere
una canzone che è stata scritta negli anni ‘30 da Cioffi e Pisano e che, nella
mia versione arrangiata da Mario Saroglia, è rinata con l'idea di provare a
farla diventare una Hit radiofonica! Chi può dire che prima o poi non avvenga?
Se "Agata" è canzone che, come
dici tu, ha una fisionomia più radiofonica, questo disco è però ricco di
canzoni che narrano di resistenze perfettamente in linea con il tema del Tenco
di quest'anno, non credo sia una casualità, forse è il tema più sentito in
questi momenti così difficili, che dici?
Hai detto bene,
in questi ultimi anni in Italia, la situazione socio economica e politica e di
conseguenza quella culturale si è andata ad arenare in una palude stagnante,
dove regna il mal governo, una coscienza collettiva malata, del prendo tutto
quello che c'è da prendere e poco importa se lo faccio onestamente o se questo
comporta un danno di natura morale o economico che sia. Gli artisti, i
creativi, devono avere il coraggio di denunciare queste cose in maniera aperta,
senza timore di essere epurati dai circuiti mediatici, io con questo disco mi
sono imposto di raccontare "anche per le future generazioni" quello
che siamo stati e che siamo, l'ho fatto con “Super otto” e con “Kavallereska”,
due canzoni diverse tra loro, ma legate da un filo conduttore che è il mal
comune dell'italiano, credo di averlo fatto con onestà, coscienza e coraggio.
Può ancora l'amore essere una cura contro
tutto questo mondo d’interessi e di affarismi? "Zorhat haria" sembra
dire di si, ho visto che è stata scritta per te da Mario Incudine ...
Con Mario c'è
una profonda e sincera amicizia, rara in un mondo come quello della
discografia, tra noi c'è un accordo non scritto, a ogni mio nuovo disco lui
deve dare il suo contributo artistico con una canzone, e con “Zorhat haria”
l’ha fatto come sempre in maniera eccelsa, l'amore come ho detto tante volte è
forse l'unica cosa che conta veramente nella vita di ogni uno di noi, lo canto
apertamente nell'altra canzone d'amore "L'unica virità" dove, in un
mondo senza più poesia, si è perso il senso della misura, dove la violenza e il
caos regnano, l'unica cosa importante è l'amore, quello vero quello universale.
Passo dopo passo abbiamo ripercorso per
intero il tuo nuovo lavoro, che hai voluto chiudere con un'altra preziosa cover
"U jaddu" che nella versione originale sarebbe "Taglia la testa
al gallo" di Ivan Graziani, perché proprio Ivan e perché proprio questa
canzone?
Ivan Graziani è stato ed è uno dei
cantautori Italiani che hanno caratterizzato e influenzato la leva cantautorale
di questo trentennio, da tempo avevo in mente di inserire una sua canzone in un
mio disco.
Poi durante la mia tournée in Portogallo, ho deciso di metterla in scaletta con il suo arrangiamento originale. Solo in seguito mi sono accorto che una veste più intima al pianoforte avrebbe perfettamente trasmesso tutto il pathos, la rabbia e quel bisogno di rivalsa, di riscatto sociale, che il testo, pur nel mio riadattamento in siciliano, racchiudeva in se.
Poi durante la mia tournée in Portogallo, ho deciso di metterla in scaletta con il suo arrangiamento originale. Solo in seguito mi sono accorto che una veste più intima al pianoforte avrebbe perfettamente trasmesso tutto il pathos, la rabbia e quel bisogno di rivalsa, di riscatto sociale, che il testo, pur nel mio riadattamento in siciliano, racchiudeva in se.
Ivan aveva scritto questa canzone
dedicandola alla Sardegna, quindi c'è un altro "analogismo insulare"
che fa di questa canzone un inno alla resistenza culturale, atavica ed
esistenziale, l'attaccamento verso la mia Sicilia è forte così come l'odio per
certi aspetti che la caratterizzano negativamente e, con questa canzone, ho
voluto cantare il mio amore per essa e il mio odio per le mafie, i soprusi dei
politici e dei corrotti che offuscano la bellezza di questa terra che ha un
potenziale immenso e che continua a essere un fanalino di coda per
infrastrutture, abomini politici e burocratici.
Per concludere ricordo ai lettori che il
tuo disco è candidato alle Targhe Tenco nella sezione "Album in
dialetto", vuoi aggiungere qualcosa?
Si mi piacerebbe
che, chi avrà modo di ascoltare il mio disco, lasciasse una sua considerazione
sulla mia pagina di Facebook, un modo per sentirmi più vicino a coloro i quali
sono la mia linfa vitale, gli ascoltatori, ai quali va un mi sentito
ringraziamento, è grazie a loro, che c'è ancora chi crede di poter cambiare il
mondo con un assolo di chitarra elettrica. E’ grazie a loro che io esisto e
resisto artisticamente da uomo libero, libero di sognare e far sognare un mondo
migliore. Grazie anche a te e a tutti i critici e giornalisti seri che grazie a
dio si alzano al mattino e hanno ancora voglia di raccontare la verità delle
cose.
Giancarlo Guerrieri su Facebook: https://www.facebook.com/giancarlo.guerrieri
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