di Fabio Antonelli
Fabrizio Consoli è senza dubbio un cantautore atipico.
Per chi non lo conoscesse, grave mancanza, inizia la sua carriera nella musica
degli anni ottanta come chitarrista al fianco di diversi artisti di primo piano
della scena musicale italiana, quali Eugenio Finardi, Alice, Cristiano De
André, Mauro Pagani, PFM e molti altri. Ad un certo punto (1993) pubblica un
album che porta il suo nome ed approda così nel 1995 a Sanremo con “Quando
saprai”. Non ha la fortuna sperata o forse sì, perché nel 2004 pubblica “18
piccoli anacronismi”, quello sì forse il suo vero esordio nella canzone
d’autore. Seguono due gran bei dischi “Musica per ballare” nel 2009 e “10” nel
2016. Tra questi un primo live “Live in Capetown” nel 2012 ed ora il secondo
live “Con Certo Jazz - Live from the Heart of Europe” (Vrec / Audioglobe
distribuzione), una splendida fotografia del tour seguito all’uscita di “10”,
il disco che è stato un viaggio laico all’interno dei dieci comandamenti.
Sempre in bilico tra Italia e Centro Europa, un po’ come Pippo Pollina, pur
vivendo in Italia, vale la pena sentire cosa ci racconta in merito a questa sua
ultima fatica discografica.
Sarà forse per la mia grande passione per la fotografia,
per ciò che sa trasmettere, ma un disco con una copertina come il tuo "Con
certo jazz" lo comprerei ad occhi chiusi. Perché non ci sono i colori a
distrarre l'occhio, perché la foto che ti ritrae trasmette energia,
passionalità, intensità e, perché hai scelto un titolo molto significativo, un
gioco di parole che è anche un manifesto programmatico? Devo cambiare occhiali
o c'è del vero in queste mie impressioni? Poi mi piace quel "Live from the
Heart of Europe", in questo momento in cui c'è tanto bisogno di un’Europa,
di una Europa di cuore. Ho già detto troppo, lascio spazio a te.
Al di là della comune passione per la
Fotografia, direi che hai assolutamente colto nel segno. Immaginare la
copertina di un disco è, dal mio punto di vista, un processo fondamentale ... è
la faccia che dai al tuo lavoro. Di più. La copertina di un disco dovrebbe, più
semplicemente possibile, riassumerne l'anima. Ti confesso una cosa. Sai che le
copertine dei miei dischi in studio sono molto particolari. Da anni, per vari
motivi, pubblico solo concept album. Bene, molto spesso ancor prima di avere le
canzoni che finiranno nell'album, io ho già visivamente chiara quella che ne
sarà la copertina, e questo prima ancora di averla, o poterla realizzare
fisicamente, solitamente in maniera, direi, empirica … Nel caso della copertina
di 10, per esempio, abbiamo dato
realmente fuoco all'omino di carta che legge il libro sacro ... Ovviamente,
prima abbiamo dovuto costruire sia l'omino che il libro e la sua etichetta. Per
quanto riguarda la copertina di Con Certo
Jazz, nasce da uno scatto decisamente fortunato (di Jessica Panattoni, per
l'ultimo tour in Russia N.d.R.), ed ho difeso subito la scelta di usare sia la
fotografia sia la tipica grafica Blue Note degli anni 50/60, con quel suo non
so che di sensazionalistico ... Unita all'energia, quasi futurista, dello
scatto, si crea un insieme di grande effetto, che a mio avviso calza
perfettamente la proposta musicale contenuta nell'album. Questo risulta ancora
più evidente nella versione in vinile. E, si, hai ragione, se una bella
copertina dovrebbe svelare l'anima di un’opera, il suo titolo dovrebbe esserne
la voce, in qualche modo illuminare il senso dell'immagine scelta ...
aggiungerei solo che, pur in chiave minimale, un buon titolo dovrebbe anche
raccontarti qualcosa del carattere dell'artista, lasciandoti la voglia di
conoscerlo di più. Con Certo Jazz, in
questo senso, mi piace molto... cosi come il suo “sottotitolo”. Se pensi che si
tratta di un Live concepito e registrato a Zurigo - in una Svizzera che non
condivide il progetto politico Europeo - pur essendone il “cuore” geografico,
capisci che si tratta chiaramente di un messaggio e, insieme, una professione
di “fede”.
Fede. Ecco, forse ci vuole
anche quella per affrontare un viaggio musicale come il tuo se, come dici
all'interno della copertina del disco "Contaminare con certo jazz la mia
musica, mi ha restituito la meraviglia di salire sul palco senza sapere cosa
succederà". Quanto credi abbiano contribuito i musicisti di cui ti sei
circondato a quello che, in fondo, può definirsi una splendida fotografia del
tour che è seguito al tuo ultimo lavoro discografico 10, intorno al quale ruota
tutto lo spettacolo dal vivo?
Tornando al parallelo metaforico del significato di
copertina e titolo per un album, se il front man è per forza di cose faccia e
voce narrante - così come energia, traino e denominatore comune - di quando
succede su un palco, i musicisti ne sono il corpo. E se ci pensi, immaginare
una band come un unicum, spiega i diversi livelli di energia che sa trasmettere
così come la differenza, il salto di qualità (così come, a volte la disarmonia)
che il cambiare anche un solo membro può apportare al risultato espressivo del
gruppo. Non si tratta solo di tecnica naturalmente. Per come concepisco il
live, si tratta soprattutto di generosità, e capacità di mettersi in gioco, di
osare ... Questa capacità, insieme alla sensibilità necessaria a portare sul
palco la propria vita, è in fondo ciò che distingue un artista da un
mestierante. Ed è la cosa che più mi fa
apprezzare generi come il jazz, in cui nei suoi momenti alti, non senti
differenza tra chi suona, e la voce del suo strumento. Quindi, la risposta alla
tua domanda è, e sarà sempre: in maniera totalmente determinante. Ma, va
ricordato e sottolineato, che nessuno fa un concerto da solo. Altrimenti si
chiama “suonare davanti allo specchio”. Il pubblico, per me, è l'altra metà del
cielo 😉 e il concerto si fa sempre in due: noi,
la band, più (o contro) loro, l'audience. Il concerto perfetto, a qualsiasi
livello, avrà sempre una grande band e un grande pubblico. Sempre.
Poi, ovviamente ci sono le tue canzoni, soprattutto, come
si è detto, tratte dal tuo ultimo disco, 10, un concept incentrato sui 10
comandamenti, visti però in un'ottica personale e del tutto attuale. Ti ritieni
soddisfatto dell'attenzione rivolta a questo progetto di grande profondità
dalla critica italiana? Perché io ho avuto la sensazione che, almeno in Italia,
non sia stato apprezzato come avrebbe meritato, ma forse è vero che nessuno è
profeta in patria...
A partire dal
presupposto che, se nessuno conosce il tuo lavoro, difficilmente potrà farsene
un’idea, positiva o negativa che sia, credo di aver imparato a convivere con la
convinzione che l'essere apprezzati o non apprezzati, purtroppo dipenda poco
dal merito... 10 ha avuto un coro pressoché unanime di critiche fortemente
positive, è finito tra i 50 dischi più belli dell'anno per il Tenco, e dalla
sua pubblicazione in Germania (Set. 2016) è stato rappresentato per più di 100
concerti. Da noi la critica che ruota intorno al mondo della canzone di un
certo tipo, è ormai costituita da giornalisti che fanno leva più sulla propria
passione che sulla convinzione che sarà possibile scoprire un nuovo De André e,
purtroppo, la possibilità di rompere il guscio che dalla critica porta al
grande pubblico, essendo venute a mancare tutta una serie di possibilità
mediatiche importanti (parlo di radio e programmi tv musicali), è stata
relegata al web ... Ma è illusorio pensare che la rete dia una possibilità a
tutti, perché non è così ... Basti pensare come TikTok o Instagram, solo per
esempio, facilitino la creazione di video virali, premiando chi asseconda
cliché predeterminati e praticamente oscurando chi non lo fa. Capisci che il
problema di chi, oggi in attività, non fosse stato già famoso negli anni '90 è
ormai quasi radicale, e legato alla portata della proposta musicale e alla
velocità con la quale viene consumata, direi bruciata, e dimenticata dal mondo
contemporaneo... Una volta arrivare in studio di registrazione e fare un disco
era e presupponeva un percorso importante, oggi non è più così. Chi arriva, con
grande esperienza, a pubblicare un buon album, si troverà sullo stesso piano
del ragazzino che, pur senza una preparazione musicale di qualche tipo, registra
un album XY, magari, scimmiottando rappers d'oltreoceano... Ma il ragazzo potrà
contare, per esempio, su una grande popolarità scolastica e farà più click e
visualizzazioni di chi, senza un buon ufficio stampa (che solitamente lavora a
tempo), rischia di non arrivare neppure a far sapere che esiste ... È come se
un buon fruttivendolo improvvisamente, sognando di fare l'architetto, siccome
la tecnologia lo permette, decidesse, di costruire una casa o un monumento in
piazza (o un ponte!) contando sulla sua grande popolarità in paese ...
Togliendo possibilità, che so, a un potenziale Bernini in erba. Io credo che
l'unione tra un innegabile impoverimento culturale e la presunta democrazia
della rete, stia generando una grande aridità.
Quello che dici è verissimo. Però se il web mette sullo
stesso piano il fruttivendolo che vuol fare l'architetto e il Bernini. Se Radio
e TV trasmettono solo musica commerciale, se un certo giornalismo osanna
chiunque abbia successo, se anche l'attività live è preclusa per l'emergenza
Covid che via resta da percorrere ad un Consoli che ha un buonissimo album live
da fare conoscere? Fare il fruttivendolo? Secondo me tu, prima, parlando della
critica hai centrato il tema. Ormai è costituita da appassionati, da visionari,
da nostalgici, per lo più quasi totalmente inascoltati al pari dei lavori di
cui scrivono, anche perché oggi se scrivi più di dieci righe credo tu abbia
perso il 95% di potenziali lettori. Esagero?
… Direi che allora
qui ci siamo persi tutto. J Quando distribuivano il dono della sintesi sono arrivato tardi J
Venendo alla
possibile via percorribile, se non si inseguono numeri da rockstar planetaria,
credo che un mercato esista ed esisterà ancora e che la possibilità, insieme
alla capacità, di proporre un live di buon livello, possano ancora fare
la differenza. Mi riferisco all'idea che proporsi a un pubblico, al di là dei
valori “culturali” che si pensa di esprimere, voglia dire abbracciare la
convinzione di fare anche e soprattutto entertainment, escludendo
categoricamente l'idea che il pubblico ti debba qualcosa, o che sia un’entità
da “prendere in ostaggio”. Ma, e qui entriamo nel vero, grande tema, e
cioè quello che veramente manca, perché quasi totalmente estinta: la figura del
talent/manager. Quello in grado di costruire un percorso di crescita per i suoi
artisti. Di essere realmente un valore aggiunto, cioè, determinante. I manager
veri, e ne ho conosciuto qualcuno, erano fondamentalmente dei super
appassionati che, armati di talento e di una cultura musicale pazzesca, si
erano, nel tempo, costruiti una solida credibilità. Credibilità che veniva
messa a disposizione del talento e della sua crescita. Oggi è
talmente difficile proporre e far crescere un artista, che questa figura si è
trasformata in una sorta di osservatore di quanto succede nel mondo del
“preconfezionato”, cioè della musica in TV: i talent. Si, perché in questo modo
il lavoro di far “conoscere” un artista, è (o almeno, sembra) già fatto.
Ma far crescere un artista è un altro discorso ... Il discorso è molto più
lungo, e non ha senso in questa sede approfondire. Dico solo che l'impressione
che ne ricavo è che non ci sia più nessuno o quasi, che abbia voglia di
rimboccarsi le maniche e lavorare. Questo in generale, ma soprattutto nella
musica italiana - nel cui panorama non esiste neanche uno straccio di piccola
scena in grado di produrre numeri dignitosi, in grado di sostenere chi fa il
proprio lavoro, cosi come di formare a un palco vero le nuove generazioni -
chiude il circuito vizioso in cui ci troviamo a dibatterci, molto prima che a sognare di operare ...
Concedimi un’ultima domanda o meglio duplice domanda. Il
concerto in streaming come quello che hai appena tenuto presso la sede della
Imagina Production Studio, credi possa essere un buon mezzo per promuovere un
disco come il tuo che, per sua natura, è strettamente legato all’attività live
e, azzardo, visto che per un musicista una volta pubblicato un disco si chiude
un ciclo, hai già in mente qualcosa di nuovo?
Insieme al
costituire un’esperienza importante (era la prima volta che davo un concerto in
diretta streaming), l'evento agli Imagina Prod Studios è stato un modo molto
“intimo” di salutare gli amici e una parte delle persone che, soprattutto
dall'estero, segue i miei live e il mio lavoro, spesso affrontando viaggi per
niente scontati. Si è trattato di una sorta di “ringraziamento”, uno dei motivi
per cui ho preferito non chiedere un ticket di accesso di qualunque genere. Il
concerto è stato un successo dal punto di vista della partecipazione, nel giro
di 24 ore è stato visto, tra chi era presente alla diretta e chi lo ha poi
visto in differita, da oltre 1000 persone. Non me lo aspettavo. Ma più che
fornire un supporto promozionale al disco appena uscito (la formazione e
l'imprinting sono stati completamente diversi da Con Certo Jazz), ha
dato un segnale forte dell'esistenza e della buona salute del “progetto”
Fabrizio Consoli... Se vogliamo trovarci un solo, ma sostanziale, grande
demerito è che ... non si è trattato di un vero concerto. Vedi, non so quanto il
pubblico sia consapevole che, a mio avviso, innegabilmente, non esiste un
concerto, grande o piccolo, magico, stupendo o “insipido” che possa senza un
pubblico essere: grande, piccolo, magico e stupendo. O insipido ;-) Un
eccellente esibizione può essere annientata da un pubblico mal disposto, o
disattento, o semplicemente “freddino”. È una questione di energia, che viene a
crearsi rimbalzando tra audience e artisti. Laddove questo equilibrio
viene meno, per qualunque motivo, c'è un calo di tensione, la band rischia di
deconcentrarsi, lasciando ad esempio il front man più solo ... e un concerto da
soli in circostanze simili può diventare un peso enorme da tirare. Ecco, tutto
questo, semplicemente, non c'era. È stato strano, come abitare una casa senza
il piano di sotto, mi sentivo come un pesce in una bolla d'acqua... Ma, in
definitiva, in un momento come questo, si è trattato, naturalmente, di un fare di necessità virtù, che è già di
per sé stesso indice di vitalità e, per usare una parola molto utile oggi, resilienza. Pur intuendo il
potenziale supporto che lo streaming potrebbe dare a un determinato tipo di
grandi concerti, credo che, se il futuro della Live Music fosse questo,
cambierei mestiere. Perché, se è vero che l'uscita di un disco chiude un ciclo,
è nello stato naturale di quel che “dovrebbe essere”, che ne apre uno nuovo.
Quello in cui le canzoni, diventano grandi, cominciano a camminare con le loro
gambe, e, conoscendo amore o fallimento, diventano sempre qualcosa che non
avresti mai detto. Questo, solo grazie a un palco vero.