di Fabio Antonelli
Lo scrittore e chansonnier milanese Giangilberto Monti, ha voluto
rendere omaggio a Dario Fo, uno dei suoi maestri d’arte scenica con un disco
“Le canzoni del signor Dario Fo” (2018 Fort Alamo/Warner Music Italia) che
racchiude sedici titoli dalla vastissima produzione musicale dello scomparso
artista. Per l’occasione ha voluto ricreare quell’atmosfera jazz elegante e
divertita da cui era partita la coppia Fo-Jannacci, coinvolgendo nel progetto
un protagonista di quelle composizioni, il clarinettista e arrangiatore Paolo
Tomelleri, coadiuvato da grandi musicisti quali Sergio Farina alla chitarra,
Tony Arco alla batteria, Marco Mistrangelo al contrabbasso e Fabrizio
Bernasconi alle tastiere.
Cover CD "Le canzoni del signor Dario Fo" |
Parliamo del tuo nuovo disco “Le canzoni del signor Dario Fo”, la cui
copertina non ti vede assolutamente protagonista, in cui campeggia, invece, un
Dario Fo molto sorridente con il tuo nome in alto, accostato a quello di Paolo
Tomelleri.
La copertina è una scelta
doverosa perché c’è un rifermento talmente alto che non si può immaginare che
io possa essere superiore al maestro scenico che è stato Dario Fo, quella è una
bellissima foto di Guido Harari gentilmente concessami ed è la stessa che compare
nel libro “E sempre allegri bisogna stare” uscito a gennaio dell’anno scorso (2017
- ed. Giunti)
Si, perché in realtà il progetto Dario Fo è ben più ampio, non
comprende solo il disco…
In effetti è un lavoro un po’ più
complesso, sono partito con il libro, poi c’è il disco, poi ci sarà ad aprile
la produzione del radiodramma con la RSI, dove io userò le stesse canzoni però
il racconto sarà ovviamente molto più vario e vasto con la presenza di vari
personaggi, il tutto si chiuderà poi con lo spettacolo di narrazione musicale
che andrà in scena a metà maggio al nuovo Teatro del Buratto di Milano, in
realtà Teatro Bruno Munari. La scelta, invece, di indicare in copertina anche
il nome di Paolo Tomelleri è proprio un omaggio alla sua storia artistica, al
fatto che lui è la memoria storica di quelle canzoni, di come sono nate. La mia
arte è stata quella di riuscire a non riproporre cover, perché soprattutto il
repertorio con Jannacci è inarrivabile e non puoi pensare di fare delle cover,
l’originale è sicuramente meglio (ride), allora l’arte è proprio il non
riproporre pari pari le canzoni ma il reinventarle, studiare un arrangiamento
nuovo, anche un modo di interpretare, farne la fotocopia non avrebbe avuto
alcun senso.
Nella scelta della scaletta sei andato a pescare da un repertorio molto
vario e vasto, vista le numerose collaborazione di Dario negli anni.
Esatto, sono tantissime le
canzoni. Se prendiamo anche solo le più conosciute e depositate in SIAE, sono
circa 160, però lui ne ha scritte molte di più, si arriva a 250, perché ci sono
anche le canzoni che compaiono nei copioni teatrali, lui ha sempre lavorato con
la musica negli spettacoli. Io feci una prima cernita di 40 canzoni quando misi
in scena con Laura Fedele, jazzista molto brava che mi accompagnava al
pianoforte, il mio primo recital di canzoni di Dario Fo, era il 1999. Per
questo disco, invece, che è dichiaratamente in chiave jazz elegante e
divertito, ne ho prese 16.
E’ stata una scelta dura quindi…
Sì, perché teoricamente uno
potrebbe fare 10 dischi (ride). Ho cercato quindi di scegliere quelle che a mio
giudizio sono le più rappresentative, quindi c’è sicuramente il filone più
popolare e discografico, quello di Jannacci, c’è poi il filone di canzoni
scritte con Fiorenzo Carpi, più legato al teatro più melodico, poi c’è il
filone più barricadero che comprende le canzoni scritte con Paolo Ciarchi. C’è
poi la diatriba sulla vera genesi della canzone “Ho visto un re” che, gran
parte dei personaggi dell’epoca attribuiscono a Fo e a Paolo Ciarchi, anche se
è depositata solo con il nome di Dario Fo, perché allora Paolo non era iscritto
alla SIAE. In realtà, quella sarebbe una canzone di Fo e di Ciarchi, ma lì si
apre tutto un mondo e questa è una cosa che io racconto molto bene nel libro,
nel radiodramma e anche nello spettacolo, ovviamente nel disco tutto questo si
perde e rientra nel naturale lavoro che ho fatto con Paolo Tomelleri, nel
cercare di rivestire in modo omogeneo le canzoni che ho scelto.
So che il disco sarà presentato venerdì 23 marzo a Milano…
In realtà questa serata è un
omaggio al mondo musicale di Dario Fo e riprende pari pari la serata che ho
fatto alla fine di ottobre 2017 alla RSI, dove c’era una conduzione che legava
un po’ le canzoni, che partendo dal libro raccontava un po’ questi passaggi,
non è quini ancora lo spettacolo vero e proprio, è una via di mezzo tra lo
spettacolo e il concerto. Però è fatto in collaborazione con l’Assessorato alla
Cultura del Comune di Milano e questo mi ha fatto molto piacere, perché la
Palazzina Liberty è intitolata a Dario Fo e Franca Rame ma è la prima volta che
vi fanno un qualcosa legato proprio al mondo di Dario Fo perché, fino ad oggi,
essendo sede di un’associazione che si chiama Milano Classica, lo spazio è
stato utilizzato solo per concerti di musica classica, un mondo però che non
c’entra assolutamente nulla (ride) con Dario Fo. L’evento proprio perché
sostenuto dall’Assessorato alla Cultura sarà ad ingresso libero, aperto alla
cittadinanza, non sarà un business e questo mi fa molto piacere, fa parte del
mio desiderio di fare cultura attraverso la musica, è la mia “mission” (ride),
come direbbero oggi.
Giangilberto Monti |
A proposito di fare cultura, tu credi che le canzoni di Dario Fo e
comunque il mondo in esse rappresentato, possano ancora insegnare qualcosa ai
giovani di oggi o è ormai sono un qualcosa relegato al passato?
No, no, secondo me non è
archeologia, al di là della bellezza della scrittura, sono ancora molto
attuali, il mondo che vi è descritto è un mondo che può ancora trasmettere dei
valori divertiti importanti, di impegno civile ma anche di ironia, di capacità
di lettura del sociale. Certo il jazz non è un rap, non è una musica che
potrebbe andare oggi nelle radio, però non è neanche escluso perché i francesi,
ad esempio, sostengono che è una musica di classe, è una musica elegante, però quel
mondo è un mondo profondo, anche il linguaggio è un linguaggio interessante e
alto, sono le nostre radici la nostra cultura, poi è ovvio che ogni generazione
ha il proprio modo di esprimersi, ma Dario era avanti vent’anni quando scriveva
queste canzoni, almeno questa è la mia opinione.
Hai citato i francesi, tornando alla copertina del disco, quel titolo
scritto anche in francese stringe l’occhiolino alla Francia?
Si, perché il nostro obiettivo è
quello di portarlo all’estero, l’abbiamo fatto con la Svizzera e vogliamo farlo
anche con la Francia, l’uso del francese è quindi un modo di allargare il
campo, avrei voluto farlo in tre lingue però il francese mi sembrava fosse una
scelta divertita. Non dimentichiamoci comunque, che la Warner è una
multinazionale, per cui, potrebbe distribuirlo in Italia ma potrebbe farlo
anche in altri paesi. Vediamo intanto come va in Italia … nel caso il prodotto
è già pronto anche per il mercato estero. Attenzione poi, il digitale in questo
aiuta, è vero che esiste il cd fisico, però il digitale può veramente girare il
mondo sena limiti, la stessa cosa ad esempio m’è capitata quando ho lavorato
sul repertorio delle canzoni francesi, i miei adattamenti in italiano di Boris
Vian, Serge Gainsbourg, ecc. hanno avuto successo anche all’estero.
Vero, hai appena chiuso il ciclo con il disco dedicato a Renaud.
Si, anche con Renaud che tendo sempre
a dimenticarmi … ma perché agli italiani non piace Renaud, non gliene frega
niente di Reanud ed è un peccato, perché è uno degli ultimi maledetti e poi è
veramente simpatico, il suo è un mondo di periferia e io sono un ex ragazzo di
periferia.
Lo ami perché in fondo ti somiglia?
Beh, si, io vengo da lì, sono un
ex ragazzaccio (ride)
Giangilberto Monti - Foto di Daniele Poli |
Tornando al disco omaggio a Dario Fo, nel restringere la scelta a
questi sedici titoli, qual è il brano cui ti sei più affezionato?
A me piace molto “Hanno ammazzato
il Mario” perché è una storiaccia di malavita, sembra un film in bianco e nero
di Rossellini, ricorda quel mondo lì, quella Milano, un’Italia che si
ricostruisce, certo è una malavita antica, che non c’entra niente con quella di
oggi, una malavita ancora con dei valori se così si può dire, con degli oneri e
degli onori, non so come dire … però è un mondo che mi ha colpito. Poi certo c’è
“Ho visto un re”, per la quale ho ripreso l’arrangiamento realizzato con Elio e
le Storie Tese, quella canzone l’avevo già cantata con Elio in un mio disco di
qualche anno fa che si chiama “Comicanti.it” (2009 – ed. Carosello Records) riportandolo
però in ambito jazz, come vedi sperimento ancora … Poi a me piace molto
“Stringimi forte i polsi” che è un lento, uno slow, sembra “Strangers in the
night” (ride), è un evergreen un classico, ho fatto finta di fare Frank Sinatra
da piccolo però comunque è venuta carina, ci sta … Ma c’è anche il dialetto,
attenzione, io uso il dialetto milanese …
Per fortuna, rischia quasi l’estinzione …
Eh no, non si può, io ho abitato
sessant’anni a Milano non è che sia poco (ride) Il dialetto è importante, pensa
che Dario mi diceva sempre che il dialetto aiuta anche a recitare, ti aiuta
tantissimo, tant’è vero che il suo grammelot è un insieme di dialetti che
davvero aiuta moltissimo.
C’è, invece, una canzone che più di altre hai faticato a rendere tua?
La canzone più difficile in
assoluto è “Prete Liprando e il giudizio di Dio”, è stato un disastro, prima di
tutto il trovare un modo di farla che fosse originale, è stato per me come
prendere una laurea, perché avevo si dietro dei musicisti doc, cinque jazzisti
bravissimi, ma avevo sempre in testa il ricordo di Jannacci. Mi sembra alla
fine di essere riuscito a fare un buon lavoro, però non sono io che posso
dirlo, sarà la gente che ascolta, gli appassionati, il pubblico a dirlo.
Comunque ho faticato davvero tantissimo con quella canzone, ho fatto diventar
matti sia i musicisti sia il fonico.
A proposito di gente che ascolta, vorrei chiudere chiedendoti come
presenteresti questo tuo nuovo progetto musicale ad un potenziale ascoltatore
che magari neppure ti conosce, perché dovrebbe ascoltare questo disco?
Beh, perché sono storie belle,
che fanno bene al cuore, è un modo di ascoltare la musica un po’ all’antica,
c’è una grande attenzione al suono, una musica alta, rappresenta le nostre
radici, è come leggere un classico, è un po’ come se ti piacessero i gialli e leggessi
Agatha Christie piuttosto che Sherlock Holmes, come quando leggi “Guerra e Pace”
o leggi Dostoevskij o l’Odissea. Direi che ascoltare le canzoni di Fo ci aiuta
in qualche modo a capire meglio ciò che ascoltiamo oggi, tenendo presente che
Dario Fo è stato un artista che non ha mai smesso di cavalcare l’attualità fino
all’ultimo, l’ascolto delle sue canzoni è un’educazione, questo almeno per me.
Speriamo lo sia per tutti.
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