di Fabio Antonelli
Cover CD "10" |
Fabrizio Consoli è uno che bazzica gli ambienti musicali sin dagli anni ottanta quando fu session man al fianco di Eugenio Finardi, Alice, Cristiano De André, Mauro Pagani, PFM e molti altri. Dopo una fugace apparizione a Sanremo 1995, continuerà a scrivere e produrre diverse canzoni di successo per i Dirotta Su Cuba ed Eugenio Finardi). E’ del 2004 il suo secondo album “18 piccoli anacronismi” con cui vince il Premio Ciampi. Il terzo album è del 2009 con “Musica per ballare”, cui segue “Live in Capetown” (2012) ed una fervente attività concertistica soprattutto in Germania. Il 12 maggio del 2016 è uscito il nuovo atteso album, “10”. Sette anni sono quindi passati dal suo secondo album di inediti, ma sono stati anni spesi bene, il disco è di quelli che merita molta attenzione.
E' finalmente uscito ufficialmente, dopo una lunga gestazione seguita
da un parto un po' travagliato, il tuo nuovo disco "10". Soprattutto
i giovani potrebbero pensare si tratti di un disco incentrato sulla figura del
top player in ambito calcistico. Non è propriamente così, anche se il disco è
sicuramente un top player in ambito musicale per il suo valore. Spiega allora
perché questo titolo così sintetico ma così pregno di significato.
Sono da tempo un convinto sostenitore, per
molti motivi, del concept, come contenitore ideale per una raccolta di canzoni
che aspiri a dire qualcosa in modo più o meno esplicito, tutti i miei ultimi tre
album di inediti lo sono. In particolare, “10”, è una rilettura laica e
contemporanea dei 10 comandamenti, ma naturalmente, la scelta del titolo non è
stata così automatica. La natura del disco presupponeva calma nella scrittura,
nella realizzazione, ma soprattutto nell'approccio ai comandamenti, e nei toni
con cui cercavo risposte alla domanda che ha generato l'intero lavoro, e cioè:
“Rispetto a queste regole che ritengo essere conquista e fondamento di civiltà
piuttosto che dogma, cosa mi manca, oggi?”. Senz'altro, quindi, la strada più
indicata non poteva essere il piglio del sermone o di chi ha capito tutto, ma
il tono sommesso, semmai intimo e complice, proprio degli amanti, o di chi, tra
sé e sé, cerca di capirci qualcosa, sussurrandosi risposte che non troverebbe
ad alta voce. Così il primo titolo a cui ho pensato originariamente, è stato
“Ten Whispers”, un po' perché speravo si rivolgesse a un mercato più
internazionale, un po' perché la traduzione italiana è davvero brutta (dieci
sussurri, brrr). Alla fine, e proprio per la velleità del disco di avere un
titolo “buono per ogni evenienza”, dopo le prove del caso (Ten, Tzen, Dieci),
ho capito che la strada migliore era anche la più semplice, quella che non
necessitava traduzione alcuna: “10”.
A questo punto il titolo, direi perfetto, l'abbiamo archiviato, direi
però che valga la pena spendere qualche parola per la copertina, quell'omino di
carta scritta a mano, seduto a leggere un testo sacro da cui scaturiscono
fiamme, non può lasciare indifferenti. Da chi è nata l'idea e come è stata
sviluppata?
Mi ha sempre affascinato la
comunicazione visiva delle grandi rock band del passato, fatta di elementi
grafici molto marcati, a volte ridotti a un logo unico, riconoscibile al punto
di sostituire il nome stesso della band, pensa alla lingua degli Stones o all'astronave
dei Boston, solo per esempio. Così ho sempre cercato un segno grafico
fortemente connotativo, capace di diventare icona del mio lavoro. Quando ho
realizzato che siamo tutti molto simili all'omino di carta, fragili,
accartocciati dalla vita, e pieni di parole, sentimenti ed emozioni, espresse o
meno, ho capito di aver trovato l'elemento giusto. Così, l'omino di carta,
negli anni, è diventato il leitmotiv della comunicazione del progetto, dai
concerti agli strumenti che uso. Al punto che molto spesso le copertine e il
loro "concept" nascono prima della musica, direi prima del titolo
stesso dell’album. Così è stato per "Musica per Ballare", in cui
l'omino si ascoltava il cuore con uno stetoscopio fatto con fil di ferro,
scotch e una borchia da jeans, e a maggior ragione, per 10, in cui le fiamme
generate dal libro sacro distruggono completamente l'omino di carta. Quando
l'idea della cover di "10" mi ha colpito, sono stato quasi
sopraffatto dalla forza evocativa dello scatto. Ho capito subito che l'estrema
attualità della copertina di "10" ne fa un icona del nostro tempo, ma
la sua contemporaneità non cancella il fatto che si tratti di un immagine senza
età, perché da sempre l'uso improprio e strumentale di qualunque religione, ha
finito per seminare distruzione, morte e sofferenza. Tecnicamente, l'omino è
sempre reale, un pupazzetto tridimensionale, non c'è nulla di costruito al
computer. Nel caso di '10', gli abbiamo realmente dato fuoco. Ho cercato un libro
antico piccolo abbastanza, ho fatto incidere l'etichetta da un amica
restauratrice, poi io e Max Soldati (che ha fatto gli scatti) abbiamo fatte un
po' di prove, di luce, di posizione, e lo abbiamo acceso ... stando attenti a
non mandare lo studio un fiamme!! L'idea
di base, essendo molto legata al contenuto del lavoro musicale, è sempre mia.
Ma non appena l'idea è abbastanza a fuoco, di solito chiamo l'amico e artista
Fabrizio Falchetto, che definirei un "Pittoscultore" (e che è il vero
"Papà" dell'Omino), e gli chiedo di realizzarne uno sulla base delle
mie indicazioni e necessità. Da questo
punto di vista, le copertine dei miei album sono dei veri e propri lavori
d'arte concettuale e di artigianato empirico. Il risultato è che spesso le
persone non ricordano me, ma l'omino. Bum. Centro.
Artigianale e geniale direi, poi è sempre meglio che le persone
ricordino l'omino che non ricordino del tutto. Passando ora al contenuto vero e
proprio, scorrendo le tracce, la prima cosa che balza all'occhio è che le canzoni
non seguono l'ordine classico dei comandamenti, la scelta è stata dettata da
motivazioni musicali?
Si, sono d'accordo, e il fatto
che siano immagini "pensate per far pensare", le rende, nel senso
bello del termine, "anacronistiche"... in fondo ciò che importa è
bucare la scorza dell'indifferenza dettata dalla valanga di informazioni che
riceviamo quotidianamente. Venendo alla sequenza dei brani, assolutamente si ...
non ho mai dimenticato per un istante che si tratta di un lavoro musicale, e
che alla fine per me è importante che la sua musicalità arrivi anche a chi
magari, al momento, non vuole fermarsi ad approfondire i testi. Così scegliere
l'ordine dei brani è stato davvero un lavoro importante, e nulla è stato
lasciato al caso, neanche la distanza tra un brano e l'altro.
Ecco, allora vedo di stravolgere un po' questo lavoro certosino e ti
chiedo subito di uno dei brani che più mi hanno colpito da subito per limpida
bellezza, una bellezza direi assoluta. Si tratta di "Sirena" in cui
affronti il comandamento "Non desiderare la donna d'altri". Credo che
qui tu abbia raggiunta un livello di scrittura invidiabile, cito "Non
chieder perché resto qui / A spettinare la spiaggia / A far cadere i tramonti
uno ad uno / Come farfalle ubriache, come gocce di pioggia, / A tener chiuso un
immenso futuro in valigia". Com'è nata?
Sirena è una canzone attorno alla
quale ho girato per anni … succede, che la fortuna dell’intuizione, e la grande
importanza del significato, fanno si che io affronti la scrittura con grande
introspezione. La musica, o meglio l’armonia (gli accordi e il movimento che
poi è stato ripreso dal pianoforte), esistevano già nel 2006, e facevano parte
delle musiche dello spettacolo teatrale in cui recitavo con Max Pisu,
“Autogrill”, come sottofondo al monologo finale “serio” di Max, e l’idea del
testo è più o meno dello stesso periodo, sebbene io abbia chiuso la canzone
solo un paio d’anni fa. Credo che uno dei motivi che hanno reso difficilissima -
per me - la scrittura, è che non mai vissuto “Sirena” come una “canzone”, ma
come un piccolo racconto “visivo”, nel senso che ho sempre immaginato fosse la
traccia musicale di un cortometraggio. E
non vedo che altro può essere … Sirena è un vecchio ex pescatore, così chiamato
perché racconta a tutti (allo sfinimento) che in gioventù ha salvato una sirena
dalla rete. Innamoratosi perdutamente, ha passato il resto della sua esistenza
fissando il mare e l'orizzonte, nel tentativo di rivederla, dimenticandosi di
vivere, o se vogliamo scegliendo di non vivere altrimenti. Tollerato dagli
avventori del bar in cui sopravvive, accudito dalla vecchia proprietaria del
bar che lo lascia dormire nel retro, non si accorgerà mai che, proprio lei, un
tempo giovane e bellissima, è la sirena di cui parla sempre, che ha abbandonato
il suo elemento, il mare, la sua vita libera, per stare vicino a quest'uomo,
reso cieco dall'idea che, in un altro tempo, si è fatto dell'amore. Ecco, io credo che non esista uomo che non
sia, in un modo o nell'altro, salvato, di più, redento, dall'amore della sua
donna … ma, così, spesso restiamo innamorati dell’idea che ci siamo fatti
dell’amore e della sua perfezione, in un altrove temporale che non visiteremo
mai più, senza accorgerci che, come il canto di una sirena, non è in nessun
modo reale, e che quest'idea poco o niente ha a che vedere con la natura stessa
dell'amore … Proprio questo ha fatto sì che associassi “Sirena” al comandamento
che citavi ... la riflessione su come, spesso, chi “desidera la donna d'altri”,
non “riconosca” più la propria … La storia mi è apparsa da subito un metafora
molto potente, e, seppure, in fondo, si tratti di un piccolo racconto minimale,
la sua verità, ha spalancato le porte a una profondità che mi sorprende ad ogni
ascolto. E che, credimi, tutt’ora fatico a comprendere appieno …
Dopo tanta profondità credo sia il caso di passare al brano che ha fatto da apri pista all'intero lavoro, mi riferisco a "La fidanzata" di cui è stato realizzato anche un bel video. Un brano trascinante, creato su ritmi latino-americani, però solo in apparenza spensierato perché qui in gioco vi è il futuro. Nel libretto, al titolo vi hai aggiunto una importante didascalia "Non permettere che le menzogne cambino la tua vita", credo sia davvero giunta l'ora che si torni tutti "a chiamare finalmente le cose con il loro nome e a non scordarlo più". Ormai siamo circondati da così tante false verità da far sempre più fatica a discernere il giusto, è così?
Per lunghi anni mi sono chiesto
come fosse possibile che, più o meno velatamente, per i primi cinquanta anni di
storia repubblicana, il potere in Italia fosse appannaggio dei soliti nomi, più
o meno noti e, con mani pulite, ero anch'io con quanti speravano che la parola
giustizia fosse tutt'altro che una parola, e che da lì potesse partire una
sorta di nuovo “risorgimento civico”. A posteriori, capisco come invece avesse
solo dato fiato alle trombe più forcaiole e, in fondo qualunquiste, del nostro
paese. In realtà, ad oggi, nulla è cambiato … e poi, il capolavoro, Il
“ventennio” Berlusconiano, che ha trasformato una democrazia imperfetta, in una
videocrazia perfetta, in cui la verità è stata di chi ha urlato di più la
propria e gli effetti sono ben lungi dall'essersi esauriti, anzi. Basta
guardare un qualunque programma in cui ci sia un contendere. Con il passare del
tempo, l'oggetto del dibattere ha perso sempre più consistenza e aderenza alla
realtà, per trasformarsi in numeri, percentuali, cifre, che ognuno rivendica,
ma che nessuno ha la minima idea di come verificare, né si prende la briga di
contestare ... E la domanda è la stessa di allora. Com'è possibile? Il
benessere e la televisione possono aver rincoglionito a questo punto un popolo
che, dal Rinascimento alla Resistenza, solo per dire, ha dato al mondo così
tanto? “La fidanzata” parla proprio di questo, è un grido di allarme, una sorta
di “People have the Power” al contrario, che, attraverso la metafora forte
della persona amata che non può più sentirci, perché inconsapevole, “in coma”
(nel senso vaschiano del termine), racconta di come ancora, dopo vari
“ventenni”, si finisca sempre per delegare il potere a chi la racconta meglio e
ha i mezzi per farlo. Mentre il dibattere su debito pubblico e crescente,
disuguaglianza sociale, su questo vivere al di sopra dei nostri mezzi
depredando risorse naturali che dovevano essere dei nostri figli, è sempre e
soltanto a margine, se non messo a tacere. E sono solo alcuni degli “effetti
collaterali” di un mostruoso 'errore di sistema' che genera, e si nutre di,
ignoranza.
E' davvero impressionante come in questo disco ci si possa sia lasciare
irretire dall'accattivante musicalità delle canzoni e della tua voce calda e
roca, sia voler cercare i significati più reconditi dei versi, insomma, se solo
ti addentri un attimo tra le parole del disco ecco che emerge sempre una
profondità d'animo e di pensiero sorprendente. Si potrebbe dire che qui non sono
“solo canzonette” ma si fa cultura, però attenzione che "La cultura è una
parola ambigua / Che non ha "niente a che vedere con" / E fra tutte
le parole ambigue / E' quella che più riempie bocche vuote". Ho voluto citare
scherzosamente i versi iniziali di "La cultura" (comandamento
"Non uccidere"), ma in questo brano il discorso è tutt'altro che da
ridere, anzi ...
Hai citato una delle tracce che
più preferisco nel disco, sia perché musicalmente è quella che, al momento,
rappresenta al meglio il mio mondo sonoro, sia perché racconta un altro aspetto
secondo me drammatico della decadenza in atto a più livelli nel nostro paese.
Non ha senso riprendere qui la polemica su quanto poco valorizziamo la nostra
vera ricchezza, che già da solo vale l'accostamento al comandamento (non si
uccide più soltanto con la spada, ma anche, e in questa parte del mondo direi
soprattutto, con l'indifferenza). Porrei l'attenzione sull'uso strumentale
della parola, che ho sentito spesso venir (ab)usata da personaggi il cui solo
ed evidente scopo era gonfiarsi le tasche, mentre d'altra parte mi imbatto
quotidianamente nello svilimento di chi, spesso con grandi sacrifici, cerca di
immettere contenuti nella trama del tessuto sociale in cui vive, rinnovando,
conservando, proponendo, facendo insomma 'cultura vera' nella mancanza assoluta
di attenzione da parte di istituzioni, che spesso hanno nella loro stessa
ragione sociale la parola stessa 'cultura'. Per non parlare del fatto che la
cultura 'buona' genera sempre futuro, e persino 'controculture' costruttive,
mentre esiste, e sta mettendo radici profonde, anche una cultura 'cattiva', che
genera deserti, inaridimento sociale e mafie.
Il tema del futuro è molto presente tra le tracce del disco. In
"Maria" canzone dedicata al comandamento "Onora il padre e la
madre" ribalti il senso originale del comandamento, perché se si desidera
"Un mondo nuovo, immacolato / Una parabola possibile / E un tempo in cui
non sia peccato essere giovani" per i propri figli occorre che come
genitori si cerchi di cambiare il mondo attuale "Un mondo in cui gli
uomini uccidono per Dio / Dio che nemmeno gliel'ha chiesto". Canzone
ricchissima di spunti, se ne potrebbe parlare per ore, a partire dallo stacco
netto che ad un certo punto si avverte tra musica acustica ed elettronica,
quasi una frattura generazionale ...
Si, hai afferrato esattamente il
senso del cambio totale di piano sonoro... È una canzone estremamente
emozionale, una delle due in cui mia moglie, al primo ascolto, è scoppiata in
lacrime, l'altra è Sirena. 'Maria' è di una sincerità, per certi versi,
crudele, totalmente spoglia di tutti i luoghi comuni che possiamo trovare nelle
canzoni dedicate ai figli, ma, al tempo stesso, dalla quale traspira un amore
totale. In 'Maria' ho cercato di non farmi nessun tipo di sconto, affrontando
le mie paure di padre, compresa quella del fallimento, personale, laddove non
generazionale, nel capire che rischiamo di lasciare ai nostri figli, insieme a
un mondo più tecnologicamente evoluto, per certi versi più magico, anche un
mondo emotivamente più arido e 'asettico', forse, e senz'altro più sporco e
spaventoso, a mio avviso decisamente peggiore di quello che abbiamo trovato. Mi
sembra sia, oggi più che mai prima, fondamentale insegnare fin dalla scuola
primaria, insieme al rispetto di chi è venuto prima di noi, quello per chi
verrà dopo.
Scusa il gioco di parole, ma credo ci sia un altro brano, mi riferisco
a "Credo", in cui da subito, visto che poi è stato scelto per aprire
e chiudere il disco, metti a nudo i tuoi sentimenti, basti pensare a versi come
"Credo al coraggio e alla paura / E se c'è un suono che davvero lascia il
segno / Non è il rumore dell'offesa, ma il silenzio di un amico". Il
riferimento è al comandamento "Non nominare il nome di Dio invano",
ma il discorso si fa al tempo stesso personale ed universale "Credo al
bugiardo nello specchio / Che ogni sorriso sia geniale / perché non ce n'è uno
uguale / Credo che in abito da sera o nuda / La verità sia vera". Il
libretto riporta questa didascalia "Dio è in ogni cosa, così non importa
quale nome gli dai, abbi fede, sempre", beh credo che Dio si sia infilato
anche tra i versi di questa magnifica canzone.
Non conosco un altro modo di fare
una canzone che contenga una qualche verità, se non quella di partire dal
proprio sentire e in questo '10' non fa distinzione, per forza di cose tutte le
canzoni del disco nascono da convinzioni e bisogni personali, soprattutto dalla
necessità di razionalizzare le esperienze che mi costringono a prendere
posizione rispetto alle 'grandi domande' della vita. Ma il mio lavoro tende
sempre alla condivisione, alla speranza, cioè che la mia piccola verità arrivi
a essere riconosciuta da altre piccole verità. In particolare per le due tracce
a cui ti riferisci, il colore, direi 'l'umore' diversissimo (ferma e spavalda
la prima, intima, riflessiva, quasi 'indifesa' quella in chiusura), è stato
fortemente voluto, al punto che, mentre i testi sono nati nello stesso momento,
le musiche sono arrivate a sei mesi di distanza. Il 'reprise' è nato di getto,
sulla Milano-Genova, una mattina, mentre guidavo verso lo studio ...
Nell'economia del disco, è chiaramente un momento topico, una specie di
'manifesto' dell'intero lavoro ... Una dichiarazione di fede laica, a
sottolineare quanto io creda importante e necessaria l'esistenza di una
spiritualità, seppure diversa, e con mille distinguo personali. E allo stesso
tempo, la sua crescente mancanza, nel tipo di civiltà che si va delineando. Si,
credo sia definitivamente importante avere fede, qualunque essa sia. Per il
resto, in fondo, se riconosciamo noi stessi come una piccola azione della
'S.P.A ' divina, dobbiamo accettare il fatto che, in qualche modo, Dio si
infili un po’ in tutta la musica, e in tutte le canzoni ... 😉
Se sei d'accordo vorrei abbandonare le tracce del disco nel loro
dettaglio, perché credo che quanto detto sin qui sia già un ottimo biglietto da
visita per un disco di grande profondità ma di altrettanto grande fruibilità.
Parliamo piuttosto di una bella notizia, freschissima, il tuo disco è finito
tra i 50 album votabili dai giurati del Premio Tenco, per l'assegnazione della
Targa Tenco Migliore album in assoluto del 2016. Te l'aspettavi? Tu che in
fondo sei sempre stato più conosciuto all'estero che in Italia, tanto che il
tuo disco, se non sbaglio, è di prossima uscita in Germania con una grande
etichetta. Che mi racconti in merito?
No, direi che non me lo
aspettavo, assolutamente. Mi sembra una bella notizia, mi ha fatto molto
piacere ... Spero che questo significhi che il disco avrà la possibilità di
essere ascoltato (direi "scoperto") da più persone .... Tra l'altro,
come ricordavi, ‘10’, dopo l'uscita italiana di maggio, per iCompany, il 23
settembre p.v. uscirà anche in Germania, Austria e Svizzera, per l'etichetta
tedesca CHAOS, che è poi una delle etichette dei leggendari Studi Bauer di
Ludwigsburg, pensa che sono quelli che hanno registrato il Köln Concert di Keith
Jarrett. Entrare negli studi è come farsi un giro nella storia, per intenderci.
Entrandovi, una delle prime foto, fra le molte appese ai muri del corridoio, ritrae
Miles Davis, che era solito registrare da loro. Essere nel loro catalogo,
sentire la stima dell'etichetta, è per me uno stimolo enorme nel cercare di
lavorare sempre più seriamente. Tra l'altro è la prima volta che un mio lavoro
viene pubblicato in un altro paese, e visto che da Ottobre inizierò un tour
partendo proprio dalla Germania, è davvero una grande occasione per provare a
salire un piccolo gradino ... Senza fretta, per carità.
Permettimi un'ultima domanda, tornando a ‘10’, vedo alcune canzoni sono
firmate Fabrizio Consoli e Gigi Rivetti, quanto ritieni importante questo
vostro sodalizio? Tra le firme di ‘L’innocenza di Giuda”, compare anche Max
Manfredi, com'è nata questa collaborazione? Non credi poi che in Italia sarebbe
più utile per tutti una maggiore collaborazione fra musicisti, quasi fosse un
antidoto alla sempre maggiore disaffezione verso la canzone d'autore?
Gigi Rivetti è una figura
fondamentale, non solo nella realizzazione di 10, ma nell'intero
"progetto" Fabrizio Consoli. Più di un braccio destro, quasi un alter
ego pianistico, da quasi 15 anni tutte le fasi creative, con la sola esclusione
dei testi, lo vedono presente. Abbiamo girato palchi di tutti i tipi, per mezza
Europa, suoniamo praticamente a memoria, ed è per me davvero una presenza
rassicurante. E' un pianista estremamente "intelligente", con una
grande cultura musicale- spesso direttamente complementare alla mia, e nel
tempo abbiamo ricercato e sviluppato insieme un linguaggio pianistico
estremamente personale, in grado di caratterizzare la mia musica. Solo per
farti capire, è molto facile aggiungere di getto qualche accordo jazz a una
canzone, altrimenti molto cantautorale, magari per variarne o per
"raffinarne" la scrittura armonica... ma nel 99 per cento dei casi
l'ambientazione che ne risulta è quasi pianobaristica, d'altri tempi, in
definitiva, tutt'altro che raffinata. Per arrangiare il piano di "Camera
Con Vista" (era in Musica per Ballare, del 2009), ci abbiamo messo quasi
un anno. Poi abbiamo trovato la chiave per un fraseggio che fosse insieme
classico e estremamente contemporaneo,
insomma, mai scontato. E ora (ed è il caso dei pianoforti di 10), coi dovuti
distinguo, rimaneggiamenti e sviluppi successivi, praticamente le parti che
registriamo di getto nei provini, sono quelle che rimangono fino alla fine dei
missaggi. Permettimi di citare gli altri personaggi che hanno formato il suono
del disco, Silvio Centamore, che suona un insieme molto particolare di
percussioni e batterie, acustiche ed elettroniche, Lele Garro, che ha suonato i
contrabbassi, Fabio Buonarota, autore di quasi tutte le trombe del disco,
insieme a Marco Milani, nostro storico trombettista. Un altro grande musicista
e amico, che ha suonato con noi spesso lo scorso anno, è Daniele Moretto. Una
presenza importante, come giustamente ricordavi, è Max Manfredi... Alla fine
del disco, dopo anni di lavoro, mi sono accorto che non avevo più tempo ed
energie per chiudere l'ultimo testo, "L'Innocenza di Giuda"...
inoltre mi ero pericolosamente affezionato al suono di un testo che per oltre
metà non andava bene. Considero Max un caro amico, e lo stimo tantissimo, come
autore e come performer, e gli ho letteralmente chiesto aiuto. Abbiamo lavorato
a chiudere il testo via Skype, è stato molto divertente direi. Poi, al di là di
questo caso particolare, se me lo chiedi, non è di facile affrontare, a mio
avviso, Il tema delle collaborazioni, soprattutto per sommi capi...Troppe gli
elementi di disturbo, a partire da un economia inesistente, per arrivare,
attraverso un percorso a ostacoli, alle diverse personalità ed ego più o meno
ingombranti degli artisti... Personalmente, anche se in un ormai lontano
passato ha dato risultati commercialmente rilevanti, non credo e non mi
interessano le operazioni discografiche infarcite di ospiti più o meno di
grido, almeno nella fascia di mercato in cui opero, e nella canzone in generale
... Anzi, tranne rare eccezioni (per esempio i live), le trovo di disturbo
nella comprensione della personalità dell'artista e della canzone. Soprattutto
se non particolarmente conosciuto. L'unico ospite in 10, ma si tratta di un
"cameo" pensato, scritto e ritagliato esattamente per lui, è Tonino
Carotone, nella "suite" iniziale, il Credo di apertura. Altra cosa, a
mio avviso, e ne sento un grande bisogno, sarebbe il consociativismo,
l'associazione, ma non per soli artisti. Vedi, per un artista, e per il suo
lavoro, la sfida più grande è far sapere che esiste, e "conquistarsi"
un pubblico. Ed è talmente grande la sfida, da rendere inutile la gran parte
della nostra produzione musicale, e da far arenare persino progetti di grande
potenziale, anche economico. L'associarsi, autoproducendosi, ma con il
supporto, anche morale e strutturale, di una famiglia di colleghi, appassionati
e quant'altro, potrebbe più facilmente aiutare l'artista, se non altro a
sentirsi meno solo. Molti amici, colleghi, hanno iniziato a fare concerti
insieme, ma la creazione di un circuito nazionale, la nascita di una
"piccola scena", che in Germania permette a piccoli talenti di far
crescere il proprio progetto mantenendo un alto standard, è ancora lontana. Ci
avevo provato qualche anno fa, con un progetto che si chiamava "Slow Music",
rifacendomi all'esperienza di valorizzazione della qualità di Slow Food, ma con
scarsi risultati. Chissà che non vengano tempi più "Slow", anche per
la musica.