di
Fabio Antonelli
Copertina di Oliviero Toscani |
Cominciamo
dalla copertina del tuo nuovo lavoro discografico “Viaggiatore
immobile”, un bellissimo scatto di Oliviero Toscani, com’è nata
questa collaborazione e soprattutto ti senti pienamente rappresentato
da questa sua creazione?
Assolutamente,
altrimenti non l’avrei pubblicata (ride), l’incontro con lui è
stato veramente magnifico, Oliviero ed io eravamo stati invitati ad
una giornata dedicata alla fotografia e ai nuovi media, lui teneva un
conferenza e io il concerto conclusivo, piano solo con la proiezione
di alcune immagini fotografiche. Lui ha assistito al mio concerto, è
rimasto entusiasta, ci siamo conosciuti, siamo diventati amici, ha
avuto modo di sentire in anteprima il disco, ne è rimasto colpito e
mi ha proposto di realizzare la copertina del disco che, sfruttando
l’immagine del mio volto riflessa nel mantello del pianoforte, è
proprio una bellissima traduzione del titolo, perché c’è sempre
una parte di ognuno di noi che è impegnata in un altro viaggio,
quello dei desideri, delle emozioni. La cosa più incredibile di
quella foto, che per altro è esattamente com’è stata scattata, è
che se tu osservi attentamente il riflesso del volto nel mantello del
pianoforte, è leggermente diverso rispetto alla parte reale e penso
fosse proprio quello che lui intendeva dire con quello scatto, il
fatto che c’è sempre una parte di noi che mentre siamo impegnati a
fare qualcosa è a sua volta impegnata a fare altro.
E’
bellissimo, come il titolo “Viaggiatore immobile”, che hai dato a
questo tuo nuovo lavoro.
“Viaggiatore
immobile” è nato un pomeriggio in cui riflettevo su tante cose,
prima di tutto sul fatto che vivo in una città, Pordenone,
abbastanza lontana dai centri di produzione. Già nei dischi
precedenti avevo parlato di luoghi che avevo visitato solo con la
fantasia, penso a dischi come “Tabu” o “Igloo” molto legati
appunto al viaggio della fantasia, poi in quel pomeriggio ho
riflettuto sul fatto che suono uno strumento, il pianoforte a coda,
che è il più intrasportabile degli strumenti, mentre una persona
che suona il violino può pensare di andare a suonare sulle piramidi,
io no … allora ho immaginato che questo lungo pianoforte a coda,
fosse il personaggio di un romanzo, che con la sia valigia e il suo
cappello potesse girare con la forza della fantasia i quattro angoli
del mondo. Ho poi riflettuto sul fatto che spesso, durante i concerti
o su Facebook, le persone mi dicono “Io con la tua musica faccio
dei grandissimi viaggi con la fantasia” e che comunque, viviamo in
un epoca che è tra le più emozionali che si ricordi. Tutte le
persone oggi sono impegnate a ricercare fortemente i loro desideri e
ho quindi pensato che con questo disco potessi scrivere la colonna
sonora di quel altrove, quel territorio che ognuno di noi cerca.
Perché siamo tutti viaggiatori immobili, perché qualunque cosa si
stia facendo c’è sempre una parte di noi impegnata in un viaggio
delle emozioni, quindi “Viaggiatore immobile” era un titolo
policromo e soprattutto cangiante, perché il viaggiatore immobile è
lo strumento che suono, sono io che stando fermo in una piccola città
viaggio con la musica, ma sei anche tu che ascolti, siamo tutti noi
che bene o male dobbiamo fare i conti con le nostre emozioni più
segrete.
Sai
chi mi ha fatto venire in mente questo titolo? Magari il mio è stato
un pensiero fuorviante, ma mi ha fatto pensare a te come a un nuovo
Salgari, cioè a colui che chiuso nella sua stanza riesce a viaggiare
altrove, a descrivere luoghi misteriosi.
No
no, non è assolutamente fuorviante, anzi ti ringrazio del parallelo
e del complimento, perché così come nessuno meglio di Salgari ha
descritto la giungla pur non avendola mai vista, così quando
comunque nasci in una piccola città di provincia, puoi raggiungere
determinati posti solo con la forza della fantasia, quindi il fascino
del viaggio senza movimento tramite il pentagramma e i suoni, era una
via assolutamente da percorrere e che, tra l’altro, mi ha fatto
fare un viaggio molto particolare, perché generalmente, quando uno
parte per un viaggio, pensa che incontrerà dei paesaggi, invece in
questo viaggio della fantasia in cui il pianoforte, i suoi tasti non
sono altro che la cartina di questo viaggio, mi sono imbattuto invece
solo nell’essere umano, in un catalogo di imperfezioni, desideri,
emozioni, così alla fine ho pensato che il viaggio più vero che la
musica mi poteva permettere di realizzare era quello di parlare del
mio tempo, che è quello poi che, secondo me, chi scrive musica
dovrebbe sempre sforzarsi di fare. Ecco perché il disco ha degli
elementi legati allo spasimo, alle emozioni, all’amore pop, al
natural mind, a cose che hanno a che fare con l’essere umano.
Ecco,
a proposito, tra i titoli che hai citato mi ha colpito molto “Amore
op”, perché hai dato al brano questo titolo?
Beh,
“Amore pop”, perché il pop è la musica che si ascolta tutti i
giorni, quella che è trasmessa maggiormente in radio…
Quella
più immediata, possiamo dire.
Si
proprio, la musica pop è quella che ascolti tutti i giorni, che non
devi magari andare in una sala da concerto per sentirla, nel disco
c’è una dicotomia, un contrasto tra “Amore pop” e “Musica
per due”, se ascolti i due brani ti raccontano il rovescio di una
stessa medaglia. “Amore pop” è musica in forma epistolare, è
una lettera che uno scrive ad una persona e nella quale si fa come un
bilancio, è proprio dedicato all’amore di tutti i giorni, in cui
magari ti mandi a quel paese, però è quell'amore vero, basato sul
costruire delle cose, passando magari anche per momenti non felici,
quindi è una musica di flashback, di ricordi, di speranza, di
tenersi stretti perché si è necessari l’uno a l’altro. Il
rovescio della medaglia di questo viaggiatore, è appunto “Musica
per due”, in cui c’è l’arte del corteggiamento, è l’incontro,
in una locanda immaginaria, di due persone che sono attratte l’una
dall’altra e non riescono a fare altro che ballare sulla loro
pulsione, sulla loro attrazione.
E
“Specchio”, vuole forse essere l’incontro con se stesso?
No,
se dovessi sintetizzare “Specchio”, direi che non è lo specchio
in cui mi guardo, ma è lo specchio in cui ti guardo, in realtà
quindi una carica fortissima di sensualità La musica descrive un’ora
precisa della notte, una notte molto scura, però è anche la
descrizione di un oggetto molto importante in una camera da letto,
perché è quello che ti permette di proiettare le tue fantasie e a
volte anche di illuderti di vederle. Quindi qui lo specchio è visto
come mezzo attraverso il quale osservare un’altra persona.
Quindi
in una veste decisamente più intrigante.
Si
, se provi magari a riascoltare il brano sotto questa prospettiva …
E’
vero, adesso che ci ripenso, direi che hai ragione.
(ride)
D’altra parte i miei titoli, a partire da quelli dei dischi, fino a
quelli dei brani, non sono vincolanti. E' molto più importante il
viaggio, la suggestione che ne ricevi ascoltando la musica, quindi se
per te lo specchio è quello interiore, è quello interiore, il mio
punto di vista è lasciare il più possibile chi ascolta libero di
abbandonarsi alla fantasia, cercando quindi spiegare il meno
possibile attraverso i titoli. Poi è chiaro che, se mi si chiede il
mio punto di vista, allora spiego cosa mi ha ispirato quel brano, ma
come dicevo non è vincolante, trovo sia secondario quanto pensassi
in quel determinato momento, molto più importante è quello che
provi tu, mentre ascolti la mia musica.
In
questo disco c’è però un brano, quello che chiude il disco e che
s'intitola “9
ottobre 1963 (Suite for Vajont)”,
in cui il titolo ha davvero una sua importanza.
Beh,
si perché quello è l’unico brano che non ha rapporto con la
fantasia. In un disco, che è un evidente omaggio alla fantasia, si
finisce con un omaggio vero, concreto, a una diga che è là e non è
crollata, nonostante le sia caduta una montagna addosso, con questa
musica che vorrebbe aiutare a non dimenticare mai, perché quella
tragedia è un fatto storico accaduto nella mia città, a un’ora
dal centro della mia città e perché condivido quello che Marco
Paolini disse nel suo bellissimo spettacolo teatrale, cioè che i
silenzi non andrebbero mai osservati, ma andrebbero cantati. In tanti
anni, nessun compositore, nessun musicista, ha scritto una canzone,
una musica importante, per quei quasi duemila contadini, con tanti
bambini e tante donne, che persero la vita per una tragedia che
considero, senza troppe virgolette, una “strage di stato”. In
occasione del 50° anniversario, spero che questa dedica sia un
contributo a non far dimenticare quella che considero considero la
madre di tutte le tragedie in cui l’uomo non ha saputo o meglio non
ha voluto leggere i segni chiari della fine. E’ stata la prima
volta in assoluto che ho usato in un disco la mia voce, un coro che
viene utilizzato in modo particolare quasi fosse uno strumento, ai
coristi ho fatto dire Toc perché Toc è il nome del monte che
arginava l’invaso, termine derivante dall'aggettivo patoc che nella
lingua dei valligiani vuole dire fradicio, perché i valligiani
sapevano che quello era un monte fradicio,marcio, in cui già c’era
qualcosa che non andava. Se vai a vedere ad esempio su Youtube la
vicenda legata a Tina Merlin, capisci perfettamente però cosa sia
successo quella notte.
Si,
ho letto quel libro, lì si comprendono molte cose.
E’
stata una musica molto importante da scrivere, è stata molto lunga
la traduzione, ho capito che dovevo pubblicarla quando l’ho fatta
ascoltare in anteprima ai sindaci coinvolti nella vicenda, per capire
se loro si ritrovavano in quella musica. Quando mi è stato detto che
sintetizzava perfettamente quello che loro avevano provato, allora ho
capito che non solo era un mio desiderio ma era un dovere pubblicarla
e l’ho voluta nel disco.
Penso
che tu sia stato bravissimo nel rendere quei momenti, immediatamente
successivi alla frana del monte nel bacino …
E’
una musica che si basa su un tema circolare, l’idea era prima di
tutto quella di invertire i ruoli tra i due concetti di popolare e
aristocratico, invertirli completamente, il tema popolare assegnarlo
completamente allo strumento aristocratico per eccellenza che è il
pianoforte, utilizzando invece il coro maschile, che nell’immaginario
comune fa subito pensare al coro degli alpini come se fosse una
grande e nobilissima orchestra sinfonica. Il tema principale è
presentato dal pianoforte, suonato però in modo molto particolare,
quasi fosse uno xilofono, perché l’idea era di far sentire questa
musica come se la stesse suonando un bambino oggi, con lo sguardo di
un ragazzino che non ha conosciuto il nonno o il bisnonno e non sa
cos’è successo lì. La musica allora la interrompiamo ed
introduciamo un elemento di presagio, come a dire “forse qui è
successo un qualcosa” e poi c’è il momento della fuga del coro
con il pianoforte, che vuole essere una soggettiva di chi si è visto
cadere addosso una montagna in piena notte. Quei 25” sono appunto
una soggettiva di quegli istanti, dopo il tema diventa commento
lirico, perché l’acqua ha ricoperto tutto quanto e il coro diventa
struggente ricordo di una disgrazia che si poteva evitare. Penso che.
quando vai in quei luoghi, in particolare ad Erto e guardi la diga,
c’è ancora adesso una staccionata piena di bandierine colorate e
ognuna ricorda un bambino morto in quella tragedia.
Immagini
che ancora oggi fanno un cero senso quindi.
Questi
sono gli elementi che sono entrati a far parte di una musica dal
forte sapore cinematografico, come se utilizzasse stilemi ed elementi
molto colti legati alla musica contemporanea, però con alla base un
tema facilissimo, elementare, un tema che se lo ascolti una volta
subito te lo ricordi. Convivono tutti questi elementi, il colto il
popolare il cinema, quest’ultimo inteso come una musicalità che
riesce a rendere visibili determinate emozioni.
D’altronde
tu hai dimostrato di aver sempre avuto un certo feeling con il
cinema, so che hai musicato parecchi film muti.
Si,
ho musicato parecchi film muti, ho dato le mie musiche anche al
teatro e alla pubblicità, comunque il rapporto con il cinema muto è
stato per me molto importante, un mondo dal quale poi mi sono
staccato, perché ho avuto la fortuna di realizzare dischi e poter
capire, piano piano, che la mia musica era indipendente, era dotata
di un’armonia che poteva vivere in maniera indipendente dalla
proiezione del film.
Comunque
sei sempre stato dell’idea che non esiste un confine tra un genere
musicale e un altro, così come non esiste un confine tra cinema e
musica, per cui nelle tue musiche convivono sempre vari mondi.
Guarda,
io ascolto tantissima musica, sono sempre stato profondamente
attratto da quello che mi era molto diverso per stile e musicalità,
penso che i generi musicali siano stati fatti saltare per aria da
tempo e che comunque la contemporaneità sia il saper usare tutti i
linguaggi e trovarne la sintesi, sono convinto che davvero, se Mozart
oggi fosse vivo, non si limiterebbe a scrivere i quartetti persiani
ma introdurrebbe magari un campionatore, utilizzerebbe cioè i suoni
della modernità, perché anche nel mio disco, che è un disco
acustico, se ascolti attentamente, senti dei rumori, delle dissonanze
legate comunque al nostro tempo.
Si,
mi viene in mente, in proposito, la presenza nel disco di un
musicista particolare come Francesco Arcuri.
Beh,
infatti (ride), questa è stata sicuramente una scelta molto
precisa, fatta anche con il produttore del disco, quella di
utilizzare musicisti che consideravamo all’altezza dell’idea,
quella di fare un disco sostanzialmente di pianoforte,
concettualmente un piano solo, con intorno tutti questi suoni
particolari che gli dessero un’identità non convenzionale.
Normalmente, quando pensi ad un disco di pianoforte, pensi ad un
pianoforte da solo o ad un pianoforte con un po’ di elettronica,
invece l’idea era di avere intorno al pianoforte dei suoni che non
si fossero mai sentiti.
Penso
che il risultato sperato sia stato pienamente raggiunto.
Beh,
sicuramente non è stato un disco di grandissima svolta estetica, mi
ha però consentito di lavorare per la prima volta con questo
produttore eccezionale che è Taketo Gohara e
con questo arrangiatore raffinatissimo che è Stefano Nanni, mi ha
permesso di suonare al fianco di grandi musicisti, però mantenendo
la mia cifra stilistica, la mia immediatezza, il gusto della melodia,
ottenendo un risultato che mi soddisfa molto, perché i suoni sono
molto contemporanei, al di là che è un disco che nasce da
un’ispirazione molto vera.
Foto di Gianluca Moro |
Sito
ufficiale di Remo Anzovino: www.remoanzovino.it
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