di Fabio Antonelli
Il protagonista di questa nuova
puntata della rubrica NOIR&SONG è il giovane cantautore parmense, Rocco Rosignoli, classe 1982.
Chitarrista e
polistrumentista (mandolino, bouzouki) impegnato in diversi progetti, dalla
canzone popolare, alla musica folk, alla canzone d'autore di propria produzione
(testi e musiche).
Nel 2008 è stato finalista al concorso MusicaControCorrente,
semifinalista al concorso Botteghe d'Autore e terzo classificato al concorso I
have a dream - una canzone per la pace. Nel 2010 ha composto ed eseguito la
colonna sonora originale del film documentario A passo d'uomo, di Sara Bonomini
e Maria Teresa Improta. È stato vincitore del LetterarioMusiContest 2010.
Nel 2011 pubblica “Uomini e
bestie - una sinfonia dell'orrore”, un concept album dedicato all'immaginario
horror da lui scritto, arrangiato e prodotto. Nello stesso anno si esibisce
come solista ai Faber Days udinesi, organizzati dallo storico Folk Club
Buttrio; alla rassegna D.O.P. organizzata dalla Biblioteca Civica di Parma;
alla rassegna Sotto il cielo di Parma sul prestigioso palco allestito nel
cortile del palazzo della Pilotta.
Nel 2012 collabora in qualità di
chitarrista con Lee Colbert, cantante della Moni Ovadia Stage Orkestra,
dapprima curando la parte musicale dello spettacolo Rosa rossa senza spine,
dedicato a Rosa Luxemburg, e poi sviluppando un repertorio live vasto e vario
che va dalla folksong americana, alla canzone sudamericana, alle songs di
Brecht e Weill.
Lo stesso anno nasce la Rigoletto
Records, associazione culturale volta alla salvaguardia e alla divulgazione
della canzone d'autore. Rocco ne è fondatore insieme ad altri musicisti e
cantautori parmigiani.
Durante il 2012, grazie a
Rigoletto Records, nasce “Ascolti l'Autore”, iniziativa in partnership con la
Biblioteca Civica di Parma. I cantautori della Rigoletto Records organizzano
lezioni-concerto sui grandi cantautori. Rocco Rosignoli cura le lezioni su
Leonard Cohen, Francesco Guccini e Jacques Brel.
Il 28 giugno 2013 Rocco Rosignoli
presenta il suo terzo cd “Testuggini” al Mulino di Torrechiara (PR), locale
storico e punto di riferimento per gli amanti della canzone d'autore.
Successivamente parte per un tour promozionale estivo che, oltre che in Emilia,
lo vedrà impegnato in Veneto e in Lombardia, dove tra l'altro si dà al busking
per le strade di Milano.
Nel 2011 hai dato alla luce "Uomini e bestie", un disco o
meglio un concept album che è un viaggio all'interno del genere horror. Quella
congiunzione “e” presente nel titolo vuol forse unire questi due gruppi o non
sempre uomini e bestie sono davvero distinguibili?
Nella testa ci riecheggiano
sempre alcune parole chiave. Credo che il titolo mi sia stato suggerito da
Steinbeck, ho un vivido ricordo d'infanzia del trailer di un film tratto dal
suo "Uomini e topi". E come alcuni uomini per Steinbeck facevano una
vita misera, paragonabile a quella dei roditori, così io trovo che alcuni
uomini sappiano essere bestiali più delle bestie stesse. Ma alla fine, la
congiunzione "e" rimanda anche alle storie che racconto nell'album:
dalla Bestia del Gevaudan al dottor Frankenstein, racconto sia l'una che
l'altra categoria - che come tutte le categorie, sono fallaci.
Già, il disco sembra sposare la tesi che non sempre è facile dirimere
ciò che è bene da ciò che è comunemente considerato male, esemplare in tal
senso il brano “Frankenstein conversazione fra Victor e la creatura” in cui i
ruoli sembrano scambiarsi di posto. No?
Assolutamente. La chiave di
lettura che scelgo (e non sono il primo a farlo) è quella di un rapporto
padre-figlio tra lo scienziato pazzo e la sua creatura. Un rapporto da cui la
creatura esce devastata, allontanata dalla freddezza del padre, che dopo averla
messa al mondo rifiuta di darle la sua autorizzazione a vivere. Chi è l'uomo,
chi è il mostro, in questo caso? Sembrerebbero la stessa persona. Ma allora,
cos'è la creatura? Uomo o bestia? Non lo sappiamo, e nemmeno lei lo sa. E
questo non le fa bene...
La stessa cosa accade in fondo nella canzone “La strega”, la più antica
tra tutte, mi pare di capire, in cui il soggetto è tra i più classici della
storia umana. Oggi magari ci fa sorridere pensare all’idea che una donna
potesse essere considerata una strega e per questo finire al rogo, però nei
secoli bui del medioevo tantissimi “femminicidi” sono stati considerati dall’uomo
opere di bene, tanto che il brano si chiude con questi versi “pensavi che il
diavolo dava la vita e che invece per mano di un uomo saresti poi morta”. Quella
che in apparenza poteva essere una storia legata al passato, sembra invece ripetersi
all’infinito, sbaglio?
Non sbagli. Oltretutto, quello
che oggi è definito "femminicidio" è l'ultima propaggine di una
cultura che ai nostri occhi risulta (si spera) terrificante. Quante canzoni
popolari sono piene di riferimenti a stupri, che trattano in modo gioioso...
qualche esempio? "Veniva giù dai monti tutta spettinata, me l'hanno
rovinata, la chitarrina"... O ancora, "La Gigiassa nel canale a gambe
all'aria, le erano addosso in sette o otto..." (questa è in dialetto
parmigiano, non so se ne esistano varianti nel resto d'Italia). E c'è anche
"Il cacciator nel bosco", in cui allo stupro si rimedia con un
matrimonio finale, che riappacifica l'animo della violata, e che fino a un tempo
spaventosamente recente (anni '60, il caso Franca Viola fu la prima donna a
rifiutarlo) era ancora un'usanza. Se il canto popolare è espressione dell'anima
di un popolo, lo è nel bene come nel male. Insomma, se questo era l'inconscio
narrativo cui facevano riferimento i nostri antenati, disgusta ma non sorprende
la violenza che ancora è perpetrata ai danni delle donne. "La strega"
di cui canto ha veramente sposato il diavolo, o almeno lei lo crede. Ma la pena
che patisce è certamente più grande di qualsiasi sua colpa, e a infliggergliela
non è il diavolo, che ne avrebbe pur sempre il compito, ma gli uomini stessi.
Ascoltando con attenzione i testi delle tue canzoni, ci si accorge
subito della tua estrema familiarità con la letteratura e in più passaggi si
coglie anche il prezioso lavoro di ricerca svolto, mi riferisco ad esempio ai
brani “Il corvo” e “Il mio funerale”, il primo una poesia di Edgar Allan Poe,
qui nella traduzione del poeta Ernesto Ragazzoni, il secondo una poesia dello
stesso Ragazzoni. Come hai conosciuto l’opera di questo poeta e perché hai
voluto musicare proprio questa sua poesia?
Ragazzoni è un poeta vissuto tra
otto e novecento, che di solito è schedato come l'ultimo dei poeti scapigliati.
Lombardo, vizioso, coltissimo, fu in qualche modo riscoperto da Vittorio
Gassman, che recitò spesso sue poesie in pubblico. A me l'ha fatto scoprire
l'amico poeta Andrea Peracchi, con cui ho collaborato a lungo. La poesia
"il mio funerale" capitava a fagiolo per affrontare in maniera scanzonata
quello che è l'orrore supremo, ossia la morte. "Il corvo" invece è un
classico della letteratura horror (ma anche della letteratura tout court), e la
traduzione di Ragazzoni, che non è letterale, rispetta la metrica
dell'originale, dunque si prestava particolarmente a essere musicata. Il
poemetto è lunghissimo, e non l'ho musicato integralmente; nel disco è diviso
in due parti, che hanno la stessa melodia ma un arrangiamento completamente
diverso; la parte prima è swing, la seconda invece l'ho suonata con oud arabo e
bouzouki, suoni un po' esotici che rendono il pezzo abbastanza straniante.
Un’ultima domanda forse un po’ provocatoria, frugando nel tuo
subconscio, in questo tuo disco dedicato all’immaginario horror, c’è un
personaggio che più di altri magari anche solo lontanamente, ti somigli? Ti
senti in qualche modo membro di questo immaginario?
Probabilmente il personaggio cui
somiglio di più è proprio la creatura di Frankenstein. Tant'è che, anche se
giudico il brano uno di quelli che ho arrangiato meglio, è forse quello che
ascolto con maggior fatica... ma ci sono cose di me in ogni personaggio: forse
in particolare ne "L'Uomo Lupo", che in uno scorcio di vita notturna
descrive molto bene quello che era il mio universo esistenziale qualche anno fa
(la canzone è del 2008, credo). Pur non concedendomi agli eccessi ogni sera,
uscivo molto di notte, e (beata gioventù) mi rimanevano le forze per lavorare
tutti i giorni. Non andavo mai a ballare, non mi diverte; ci si trovava a casa
di amici, musicisti e non, a parlare fino a notte fonda. Andavo a letto sempre
tardi, e pur non accoppando nessuno la mia vita notturna mi faceva sentire
simile a un licantropo... che il giorno dopo smetteva i panni del nottambulo e
andava a far lezione in classe! Sono stati anni divertenti, e molto formativi.
E ovviamente, oggi mi mancano: anche se sono ancora giovane, non lo sono più
così tanto. A volte si parla di gioventù spensierata. Io non credo di essere
mai stato spensierato, quello che mi manca a pochi anni di distanza sono le energie
cui potevo dar fondo allora!
Sito ufficiale di Rocco Rosignoli: http://www.roccorosignoli.altervista.org
Rocco Rosignoli su Facebook: http://www.facebook.com/rocco.rosignoli.cantautore
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