di
Fabio Antonelli
Il
cantautore genovese Federico Sirianni, a distanza di cinque anni dal suo
precedente lavoro discografico intitolato “Dal basso dei cieli” (uscito a
gennaio del 2007), è appena tornato in campo con un nuovo importante disco che
vede la collaborazione con lo Gnu Quartet, che ne ha curato gli arrangiamenti. Sentite
cosa mi ha raccontato in merito.
“Nella
prossima vita” è il titolo del tuo nuovo disco dove, pur sembrando che nulla
cambi rispetto ai precedenti, in realtà tutto cambia, in barba ai principi di “gattopardiana”
memoria. Mi spiego meglio, se i tuoi precedenti dischi erano ricchi di alcolico
spirito qui, ne troviamo altrettanto, ma di altra natura, ben più maturo. Battuta
a parte che dici di questa mia chiave di lettura?
Al di là della
questione alcolica che, tutto sommato, era un labile contorno all'ambientazione
delle storie che raccontavo, penso che questo disco sia profondamente diverso
dai precedenti, per tanti aspetti. Innanzitutto perché la scrittura dei quarant’anni
è diversa da quella dei trenta e, così deve essere, se no ci sarebbe da
preoccuparsi, perché la vita e i suoi avvenimenti influiscono ancora di più in
maniera fondamentale, ci sono margini d'errore sempre più esili, le possibilità
diminuiscono. La tendenza a guardarsi dentro è forte. Per quel che mi riguarda,
ho quasi del tutto abbandonato lo stratagemma che mi consentiva di parlare di
me attraverso le storie degli altri, ho iniziato semplicemente a raccontare in
prima persona. Questo per quel che riguarda la scrittura. Poi c'è la musica,
ovviamente.
Già,
c'è la musica e ci sono gli Gnu, tanto che in copertina compaiono
entrambe le componenti, quanto gli Gnu hanno influenzato musicalmente
il disco che, diciamolo subito, è suonato da Dio.
Grazie,
sono contento che ti piaccia.
Gli Gnu non sono stati
semplicemente gli arrangiatori di questo disco, ma hanno rappresentato una
parte fondamentale del progetto. Volevo che il loro modo di suonare influenzasse
fortemente le mie canzoni, ma anche che le mie canzoni suggerissero loro spunti
e pensieri. Non è stato un lavoro facile, per trovare la quadra giusta abbiamo
impiegato tempo, fatica e sperimentazione. Mi piace dire che gli Gnu hanno
preso le mie canzoni che nuotavano serene in un fiume e le hanno
riportate al mare, anzi all'oceano.
Il
disco, oltre che intitolarsi "Nella prossima vita", inizia proprio
con la title-track, perché proprio questo titolo e questa scelta, non sono così
comuni come potrebbe sembrare?
So di essere un po'
anacronistico, ma sono ancora di quelli che vedono il disco come una specie di
opera completa, con un inizio e una fine. So bene che la fruizione della musica
è molto cambiata, le canzoni sono prese qua e là, decontestualizzate e
sistemate in personali playlist. Quando però decido di mettere mano a un disco,
per me esiste un'architettura definita in cui le canzoni tracciano un sentiero.
"Nella prossima vita" è un concetto che, soprattutto negli ultimi
anni, ho molto a cuore, anche in termini, come dire, metafisici, ma non solo. Circa
tutto il disco è permeato da un senso di possibilità che vengono a mancare, più
si va avanti negli anni meno tempo si ha per progetti nuovi o grandi
cambiamenti. Mi piace pensare che ci sia una "prossima vita" per
riuscire a colmare le lacune di questa.
Procediamo
allora secondo progetto e, perché siamo in periodo elettorale, permettimi
un’altra battuta, se con “Nella prossima vita” e i versi conclusivi “E al
giudizio divino andrà assolto per legittimo impedimento” mi hai fatto subito pensare
a Berlusconi, con i versi iniziali della seconda canzone “Vuoi” in cui canti “Vuoi
le mie mani / vuoi il mio denaro” ho pensato ti riferissi a Monti, in realtà è
una canzone con un tema più alto, pienamente nei solchi filosofici di questo
disco no?
E' evidente che la
frase sul "legittimo impedimento" sia di facile attribuzione. Monti
invece non c'entra con "Vuoi" anche se, adesso che mi ci fai pensare,
potrebbe essere un referente azzeccato. "Vuoi" è un piccolo sfogo nei
confronti di tutti quelli che, intorno a te, per i motivi più vari, non esitano
a chiederti qualcosa, dal semplice denaro, al tempo, all'essere come ti
vorrebbero o vedrebbero loro, senza pensare, né a chi sei realmente, né,
tantomeno a restituire nulla di quanto pretendono. Sono molte le persone di
questo tipo.
In
"Quando la sera verrà", una sorta d’intensa preghiera, si può dire
che per ben cinque volte invochi il Signore, è forse un ravvedimento sulla via
di Damasco? Ci sono molta spiritualità in questa canzone e altrettanta
disperata umanità, sei d'accordo?
Si, hai ragione.
Spiritualità e disperata umanità, come le definisci tu, sono aspetti presenti
in questa canzone, ma anche in numerosi altri passaggi del disco. Non so
sinceramente se si possa parlare di ravvedimento o d’illuminazione, sono sempre
stato vicino al concetto di "preghiera", affascinato da molte
iconografie religiose, suggestionato dal linguaggio biblico. In questa canzone
c'è una preghiera sommessa, lancinante, sì, disperata. La preghiera come
salvezza da uno stato di malessere che t’inghiotte nei suoi inferni.
Per
cercare di uscire da questo stato di malessere, di dare una risposta a questa
estenuante esigenza di spiritualità ci sono molti modi, in "Dimmi chi
sei", mi sembra che tu voglia proprio riferirti a certi tipi di risposte
"facili", è così?
“Dimmi chi sei" è
una domanda facile, la cui risposta è invece molto complicata. A cominciare da
me stesso naturalmente. Ho messo in versi un po' di esempi, affetti,
conoscenze, che si sono manifestate ognuna con le proprie decine di sfumature e
sfaccettature. Forse è davvero una domanda impossibile. Ecco, i luoghi oscuri
delle persone sono un altro aspetto dell'esistenza che mi affascina molto. In
"Dimmi chi sei" credo siano descritti diversi luoghi oscuri
dell'animo umano.
Giunti
a questo punto, mi permetto uno scarto sequenziale, vorrei unire in unico
discorso due brani, il successivo "La stanza cinese" e "La neve
nel bicchiere", perché mi sembrano rappresentare una nuova via
orientaleggiante del Sirianni maturo, non dico solo musicalmente, ma
soprattutto in senso filosofico e spirituale. Sono entrambi grandi pezzi, anzi
"La neve nel bicchiere" penso sia in assoluto il pezzo più alto
dell'intero disco, che mi dici?
Si
tratta di due canzoni cui sono particolarmente affezionato. Intanto,
musicalmente, vedono la presenza, oltre agli Gnu, di un pianista giovane e
straordinario, Michele Di Toro, che ha dato a questi brani l'atmosfera
perfetta.
"La
stanza cinese" è qualcosa che sta a metà tra il sogno e l'incubo,
un'attesa strana di qualcuno che forse non arriverà mai o addirittura non
esiste, un fuoco purificatore che ammanta la stanza, il suo ospite e i suoi
fantasmi.
"La
neve nel bicchiere" è invece una canzone che segna un momento importante
di cambiamento, di rinascita. Ho voluto ambientarla in una sorta di giardino
giapponese di fine inverno, con i passi sulla neve e i primi fiori che
sbocciano.
Amo
moltissimo la musica orientale, una conoscenza che devo anche a una violinista
giapponese molto brava, Mayumi Suzuki, con cui ho avuto il modo e la fortuna di
collaborare.
Riprendendo
il cammino, troviamo una canzone, "Nato sfasciato", che sembra voler
interrompere un po' quest’aria seriosa del disco. E’ piena d'ironia già dal
titolo che, può essere letto come condizione in fondo comune a chiunque stia
per nascere e quindi non ancora in fasce, ma anche sfasciato nel senso di
"sfigato" . Quell'"angelo usato" di "nome Pilato",
oltre che idea geniale, mi sembra eloquente. Non incazzarti però, se ti dico
che quando canti "Ma sono vivo, bevo e canto le canzoni ..." mi
ricordi un po’ Vinicio ...
Non voglio parlare di
Capossela o qualsivoglia ipotetico riferimento, argomento che trovo noiosissimo
e inutile. "Nato sfasciato" è una canzone che sembra divertente, ma
racconta il disincanto di una vita "normale" annegata nelle
difficoltà quotidiane. Un personaggio "normale" che diventa patetico
nel non sapere o volere affrontare i mostri che lo assediano, in forma di
banche usuraie e assassine, datori di lavoro spietati. Si rifugia in una sorta
di arroganza ingenua, parossistica, canta, beve, va a donne mentre la terra
sotto i suoi piedi si sgretola e il suo angelo indifferente lo lascia affondare
giorno dopo giorno.
A questo punto del
disco c’è una breve traccia puramente strumentale a firma Edmondo Romano –
Federico Sirianni, io non credo mai nella casualità degli eventi, perché hai
voluto inserire questa traccia “senza parole”?
Perché
a metà cammino avevo bisogno di un momento di respiro. “Sospesa”, magistralmente
arrangiata e suonata da Edmondo con una dozzina di strumenti a fiato, ferma per
un attimo un flusso di parole molto sostenuto, le fa sedimentare riprendendo il
tema di “Nella prossima vita” come se fosse, appunto, sospeso. Per me è un
passaggio molto importante del disco.
Si
riprende con "La mia Madeleine", qui è invece l'amore a fare
capolino, un incredibile bisogno d'amore, da stringere fra le braccia, è
davvero difficile trovare una canzone sotto tono in questo disco, anche questa
è tra le mie preferite ...
Sai,
quando si pubblica un disco ogni quattro o cinque anni, si fa una buona scelta
di materiale...
In
realtà "La mia Madeleine" è una canzone sul tema del ricordo. Ricordo
che contempla ovviamente gli amori che sono transitati più o meno violentemente
nell'esistenza. In questo pezzo, come in un altro paio, c'è la bellissima
chitarra del grande Paolo Bonfanti. E' una canzone che ha i crismi della
"ballad" americana, genere che amo moltissimo.
Quindi
è più una canzone sulla nostalgia dell'amore, dell'amore passato?
Non solo sull'amore,
anche su suggestioni più o meno lontane. Il ricordo di un pianoforte da una
finestra in un pomeriggio estivo quando, da bambino, tenevo la mano a mia madre
mentre si andava al mare, certi momenti da giovane universitario con davanti
tutta un'esistenza di possibilità e poi, certo, la nostalgia di amori che porto
tuttora con me, che mi hanno fatto male e cui ho fatto male, le lettere scritte
ancora a mano e cose del genere.
E’
il momento di "Appollaiati stanno", storia di figure losche come
avvoltoi che ci riportano al Sirianni più "classico" quello che ama
il racconto, anche quando magari la storia che vai a raccontare ha poco di
sereno, è così?
Si, è vero,
"Appollaiati stanno" è una canzone un po' old style. Ci sono cascato
di nuovo, dannazione! In realtà è una canzone d'amore, molto dura, ma di grande
e disperato amore, un amore che porta il protagonista della storia a passare le
notti tra i pusher peggiori della periferia torinese per procurare l'eroina
alla sua donna in astinenza.
Per
fortuna l'amore a volte assume un volto più rasserenante, quasi
"puro" come quello cantato in "L'anima di Dio", brano tra i
più gioiosi del disco senza dubbio. Quanto c'è di te nello spirito che aleggia
in questo brano?
Tutto, c'è tutto di me.
C'è il senso della meraviglia, dell'incanto, della grandezza dell'amore. A
questo punto, però, ti faccio io una domanda a proposito di riferimenti. La
struttura totale di questa canzone, arrangiamento e cori compresi, è un
esplicito omaggio a un gigante della canzone d'autore, chiamiamola così. Chi?
Cohen?
Sai
fare il tuo mestiere, amico mio!
Era
tanto che volevo scrivere e cantare una canzone ispirata al vecchio grande Leonard,
con gli archi, i cori e tutto il resto. E questa mi sembrava giusta. Che ne
pensi?
La
stavo riascoltando ora, stupenda, perché capace di affrontare tematiche
profonde con squisita leggerezza, certo che dopo il tuo commento su di me è
meglio chiudere qui, non vorrei rovinare tutto con le ultime due canzoni …
No, procedi pure che
siamo quasi alla fine …
"Ondanomala",
con le sue sonorità elettriche e dure e il suo testo un po’ apocalittico, mi
sembra voglia affrontare il tema del castigo divino, un qualcosa che è
certamente insito nella mente dell'uomo, che mi racconti di quest'”Ondanomala”,
titolo che mi ricorda un po’ quello del tuo primo disco.
Il
primo disco si chiamava “Onde clandestine” ma sai, per noi che arriviamo dal
mare, le onde sono di casa.
In
realtà in “Ondanomala” ho voluto mettermi nei panni di uno di quei predicatori
da setta evangelica che, utilizzando il loro talento cialtronesco e imbonitore,
truffano centinaia d’ingenui fedeli. Alcuni anni fa, quando tornavo a casa, la sera
tardi, prima di addormentarmi, mi sintonizzavo su una televisione evangelica
che trasmetteva le convention di un predicatore americano, Benny Hinn, mi
sembra si chiamasse, straordinario nella sua cialtroneria. Si portava dietro
l'orchestra, il coro gospel e, nelle prime file, alcuni suoi seguaci che si
fingevano zoppi, storpi, gobbi. E lui a un certo punto li toccava e li guariva
nel tripudio generale. Un genio del male. Giuro che se il mestiere di
cantautore mi va definitivamente a rotoli faccio il predicatore!
Sono
sicuro che sapresti convincere moltitudini di persone. In fondo, a rileggere
gli ultimi versi della conclusiva “La rosa nel cielo”, quando canti “Non ci
saranno più sguardi di stalattite / non ci saranno più vetri nell'acquavite / Quando
vedremo che comincerà il disgelo / Quando spunterà una rosa nel cielo", mi
sembra di scorgere già un qualcosa di profetico.
Sarebbe bello. E' una
canzone di grande speranza. Purtroppo la quotidianità ci spinge sempre di più
verso un cinismo cupo, un disincanto sempre più profondo, viviamo in un'epoca
di straordinaria decadenza culturale e morale, la politica è una melma
puzzolente e ributtante che si specchia nella propria vergogna, nella propria
arroganza, dimenticando ogni minima idea di "valore". Ogni tanto
capita di vedere una rosa nel cielo, e quel momento è importante goderselo fino
in fondo, finché questa lunghissima notte non lasci campo a una stagione nuova.
Dopo
queste parole di speranza potremmo anche chiudere qui quest'intervista in cui
mi pare di aver sviscerato, anzi quasi sezionato in pezzi, il tuo disco. So
però che il disco è arrivato alle stampe, anche grazie a un artista come
Giangilberto Monti, che ho appena intervistato in occasione dell’uscita del suo
“comicanti.it”, com'è nato questo vostro sodalizio artistico?
Si,
qualche ringraziamento finale ci sta. Giangilberto aveva già prodotto il primo
disco, ci siamo incontrati di nuovo ed è stato fondamentale, sia per quel che
riguarda la produzione esecutiva, sia per alcuni suggerimenti artistici che
hanno in diverse occasioni disincagliato la nave dagli scogli. Poi c'è Fabrizio
Chiapello, il mio alter-ego di studio che mi ha seguito con affetto e pazienza
per quasi tre anni nei miei sbandamenti, entusiasmi e momenti difficili e,
oltre agli Gnu, tutti i musicisti che hanno suonato nel disco, con una menzione
speciale per le percussioni del grande Vito Miccolis.
E
poi c'è Egea, grazie cui il disco è nei negozi, e di questi tempi non è roba da
poco.
Sito ufficiale di
Federico Sirianni: www.federicosirianni.it
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Federico
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