giovedì, ottobre 29, 2015

Premio Tenco 2015 - "Fra la via Aurelia e il West", un’edizione quasi perfetta


di Fabio Antonelli

Sabato 24 ottobre, all’Ariston di Sanremo, s’è conclusa la 39sima edizione del Premio Tenco, che ha segnato il ritorno alla tradizione nel senso che, dopo alcune edizioni in cui, per problemi sostanzialmente economici la rassegna s’era svolta in forma ridotta nel vicino Casinò, si è tornati alla classica formula delle tre serate all’Ariston. Tre serate in cui sono stati consegnati sia i Premi Tenco, quelli assegnati “insindacabilmente” dal Club, come ci ha tenuto ancora una volta a sottolineare lo storico presentatore Antonio Silva, sia le Targhe Tenco, quelle votate da una giuria di circa 230 giornalisti, la più vasta e rappresentativa in Italia in campo musicale.

L’edizione 2015, intitolata “Fra la via Aurelia e il West” è stata dedicata Francesco Guccini, uno dei maestri indiscussi della canzone d’autore italiana che, instancabile, malgrado i suoi settantacinque anni e la non trascurabile mole, ha presenziato a tutte le serate, non trascurando né la mitica Infermeria del Tenco, luogo di scambi culturali e bevute all’insegna dell’amicizia, né quei dopo Tenco svoltisi nel privè del Casinò di Sanremo e in cui gli artisti sono stati chiamati a improvvisare delle jam session.

Francesco Guccini - Foto di Manuel Garibaldi


Quest’anno, ogni artista che è stato invitato al Tenco dal Club, è stato “obbligato” a presentare un proprio omaggio al Maestro e, in proposito, Francesco Guccini quando è salito sul palco alla fine dell’ultima serata per salutare e ringraziare il numerosissimo pubblico, ha ironicamente detto "Queste tre giornate sono state faticosissime. Bravi tutti! Le canzoni mi sono piaciute, sembrava quasi che le avessi scritte io” aggiungendo poi "Io ringrazio tutti, però vorrei dire: sono ancora vivo!".

Veniamo però alle serate, non voglio certo raccontare nel dettaglio tutto quanto accaduto serata per serata, altrimenti non basterebbe certo un articolo, vorrei invece soffermarmi da una parte sugli episodi più emozionanti e toccanti e dall’altra su quelli meno riusciti, le note stonate, poche, di quella che è stata forse la più bella delle edizioni dell’ultimo decennio.

Partiamo dalla prima serata, in cui ci sono state parecchie consegne: la Targa Tenco per la miglior canzone a “Il senso delle cose” a Cristina Donà e Saverio Lanza, la Targa Tenco Opera prima a La Scapigliatura, il duo cremonese dei fratelli Nicolò e Jacopo Bodini, per il disco omonimo; il Premio Tenco all'Operatore Culturale a Guido De Maria, vignettista e cartoonist fra i più apprezzati in Italia e grande amico di Francesco dai tempi (1967-68) della collaborazione nell'ambito del Carosello per gli slogan dell'Amarena Fabbri.

In questa prima serata, apertasi eccezionalmente non con la classica “Lontano lontano” di Luigi Tenco bensì con “Auschwitz” di Guccini, cantata da Vittorio De Scalzi accompagnato per l’occasione da Mauro Pagani e Edmondo Romano, una piacevolissima sorpresa, almeno per il sottoscritto che a dire il vero l’ha sempre un po’ trascurata, è stata l’esibizione di Cristina Donà. E’ stata direi perfetta, sia nell’esecuzione di “Stelle” di Guccini, sia dei propri pezzi, anche quando li ha cantati nell’inusuale contesto, almeno per lei, di soli pianoforte e voce. Tutti brani molto belli, compreso quello che le ha fatto vincere la Targa (ex - equo con il duo Bersani-Pacifico con "Le storie che non conosci”).

Cristina Donà - Foto di Manuel Garibaldi


Devo ammettere che il Premio Tenco, anche in passato, è sempre servito a farmi conoscere artisti pregevolissimi e anche questa volta non s’è smentito.

Un altro artista che ha asciato il segno è stato John De Leo, ex voce dei Quintorigo, qui in veste solista che dotato di una voce straordinariamente duttile e virtuosa, accompagnato da musicisti di grande spessore, ha proposto una personalissima “Il pensionato” di Guccini e alcuni suoi pezzi frutto di un’appassionata e lunga ricerca musicale. Da applausi a scena aperta.

John De Leo - Foto di Manuel Garibaldi


Il momento topico della prima serata è stato sicuramente la presenza di Roberto Vecchioni. Il Professore ha omaggiato il Maestro con una splendida versione di “Bisanzio”, brano in cui il cantautore modenese nel 1981 anticipava il non senso di un mondo dove Oriente e Occidente non si capiscono più. Eseguita da Vecchioni come fosse stata tratta da un libro di poesie, con la musica a fare solo da sottofondo musicale alla lettura del testo ha fatto si che le singole parole, una dietro l’altra, sembrassero uscire da quell’immaginario libro per dare vita a magnifiche immagini. Spettacolare, così come l’esecuzione di alcuni propri cavalli di battaglia, tra cui non poteva mancare in conclusione la sua “Luci a San Siro”.

Roberto Vecchioni - Foto di Manuel Garibaldi


Si parlava prima di note dolenti, beh direi che il duo La Scapigliatura, malgrado fossero freschi di Targa Tenco Opera prima non mi ha certo entusiasmato, con la loro aria da intellettuali barbuti e scapigliati. E’ vero che, come cantavano i Nomadi “chi vi credete che noi siam per i capelli che portiam”, non bisognerebbe mai giudicare dall’aspetto però il loro modo di porsi sia in conferenza stampa sia sul palco, il loro citazionismo, l’aria un po’ snob delle canzoni e l’essersi, di fatto, limitati a cantare e suonare le loro chitarre su delle basi preregistrate, non ha certo deposto a loro favore.

Peggio di loro però è stata l’esibizione di Appino, che s’è presentato sul palco con aria da rock star, ma non è mai riuscito a conquistarsi il pubblico presente, complici ballate dai buoni contenuti ma dall’andamento stanco. A sua parziale discolpa, bisogna ammettere che ha avuto la sfortuna di scontrarsi con un macigno gucciniano come “Eskimo”, da cui ne è uscita una versione tesa, veloce come un treno in corsa, ma assai piatta. Da dimenticare. Anzi già dimenticata.

Direi di passare alla seconda serata, visto che il resto è stato tutto molto apprezzabile, seconda serata che ha visto l’apertura da parte dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo, diretta per lì occasione da Vince Tempera, uno dei musicisti che più ha suonato con Guccini. L’Orchestra ha eseguito tre brani di Guccini tra cui una “Radici” che, grazie alla bravura della cantante ospite Vanessa Tagliabue Yorke, si può azzardare sia stata quasi meglio dell’originale apparsa su disco nel lontano 1972. Il pubblico, più numeroso che nella prima serata, se n’è accorto e ha riservato alla Yorke, a fine esibizione, una lunghissima standing ovation.

Altro artista accolto benissimo e direi meritatamente dal pubblico, è stato il livornese Bobo Rondelli, che ha reso omaggio il Maestro con “L’avvelenata” e che con un equilibrio perfetto tra ironia, leggerezza, profondità di pensiero, ha poi proposto alcuni pezzi dal suo nuovo disco “Carnevali” tra cui “Nara F.“, eseguita pianoforte e voce, dedicata alla madre venuta a mancare non molto tempo fa, con il pubblico in rigoroso silenzio e visibilmente commosso. Bravo, spendendo pochissime parole ha saputo incantare il pubblico.

Bobo Rondelli - Foto di Manuel Garibaldi


La seconda serata ha davvero sfornato ottime prove, compresa la comparsata del comico Leonardo Pieraccioni, grandissimo fan di Guccini, venuto per omaggiare il maestro. Ha eseguito alcuni suoi brevissimi ma affatto stupidi pezzi, per poi tributargli una bella e sentita interpretazione di “Venezia”. Certo c’è voluto un po’ prima che si mettesse a cantare quelle canzoni di poche pretese, come più volte detto dello stesso consapevole autore, ma lo scandalo delle “strisciate” sanremesi, gli ha offerto più di un fianco per parecchie frecciate velenose.

Ci sono state anche le interessanti esibizioni di due bei premi, il Premio Tenco per il migliore artista, assegnato quest’anno alla cantante inglese Jacqui McShee, voce dei Pentangle, un gruppo folk rock inglese con influenze jazz e il Premio “I suoni della canzone” assegnato ad Armando Corsi, uno dei più bravi chitarristi d’autore di sempre, dal passato pieno di prestigiose collaborazioni.

Armando Corsi - Foto di Manuel Garibaldi


La serata s’è poi conclusa con il set di Carmen Consoli che, chitarra elettrica alla mano, ha subito omaggiato Guccini con “Il vecchio e il bambino” con il proprio sempre personalissimo modo di cantare. Ha poi attaccato il distorsore e ha iniziato a cantare tre suoi pezzi “Geisha”, “Lo zio” e “AAA cercasi”, tutti all’insegna della difesa della donna costantemente abusata e sottomessa dall’uomo, in questo coadiuvata da un duo basso e batteria tutto femminile. E’ apparsa dura, violenta come un pugno nello stomaco, ma incredibilmente affascinante.

Carmen Consoli - Foto di Manuel Garibaldi


A deludere, invece, credo sia stata proprio l’esibizione di Mauro Ermanno Giovanardi, premiato con la Targa Tenco più prestigiosa, quella assegnata per il miglior album in assoluto dell’anno. Nulla si può dire in merito alla sua voce, una delle più belle e accattivanti dell’intero panorama italiano, capace come quella di Tognazzi di trasformare anche la ricetta di un risotto in un componimento poetico, però personalmente nutro un po’ di dubbi, per altro non fugati dalla sua esibizione al Tenco, sullo spessore artistico dell’ultima sua fatica discografica “Il mio stile”. Un’opera discutibile proprio per lo stile con cui è stata creata, troppo patinata, perfetta, quasi asettica; è certamente il suo stile ma probabilmente non il mio. Discutibile direi anche il suo omaggio a Guccini con “Dio è morto”, non contesto tanto l’originale mix con “Je t’aime … moi non plus”, anche se non ne capisco il nesso logico, ma lo stile degli arrangiamenti che hanno quasi trasformato la canzone di Guccini in una canzone da night. Mah …

Eccoci giunti all’ultima serata, quella che ha visto l’Ariston gremito come ai vecchi tempi.
Se dovessi parlare delle note stonate, avrei già finito qui, poiché è stata una serata pressoché perfetta, con alcuni punti davvero alti, come ad esempio l’apertura affidata ai Têtes de Bois, vincitori della Targa Tenco interpreti di canzoni non proprie con l'album “Extra” in omaggio a Léo Ferré. Esibizione suggestiva la loro, sia quando hanno tributato a Guccini la “Canzone delle domande consuete”, sia quando hanno affrontato il repertorio di Ferrè, canzoni di forte impatto, pieni di simboli, ondivaghe, a tratti debordanti che però il leader del gruppo, Andrea Satta, ha saputo far sue e tenere sotto controllo.

Andrea Satta - Foto di Manuel Garibaldi


Canzoni forti, sanguigne, legate alla propria terra, eppure altrettanto universali perché hanno come temi lo sfruttamento, le sofferenze, lo strapotere dei ricchi, la corruzione, sono quelle cantate da Cesare Basile, cantautore catanese e vincitore della Targa Tenco per il dialetto, con “Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più”, da cui sono state tratte le canzoni eseguite in compagnia dei propri musicisti di sempre. Una garanzia la sua presenza.

Cesare Basile - Foto di Manuel Garibaldi


Come non parlare poi della travolgente esibizione del canadese Bocephus King, che ha prima incantato il pubblico con una magnifica versione in lingua inglese di “Autogrill” di Guccini, così bella da far sembrare la canzone essere nata in quella lingua e che l’autogrill descritto in essa non fosse più quello della nostra pianura padana bensì quello dell'immensa pianura americana. Segno che una canzone, quando è scritta in maniera superba, può funzionare anche oltre confine senza problemi. Poi, dopo l’omaggio a Guccini, Bocephus è tornato ai propri pezzi e con la propria band ha surriscaldato l’Ariston, tanto che a fine esibizione è stato acclamato dal pubblico a tal punto, che il conduttore Silva ha dovuto concedere, cosa rara nella storia del Tenco, un bis. Un vero animale da palcoscenico, così come ha poi scherzosamente sottolineato anche il “tappabuchi “ Paolo Migone (esilarante in tutte e tre le serate) che entrato canticchiando la melodia del brano appena cantato da Bocephus ha detto di lui, scherzando, “quello è una bestia, mettetelo in una gabbia e rispeditelo in Canada”.

Bocephus King - Foto di Manuel Garibaldi


Salire sul palco, dopo un’esibizione così, chitarra e voce sola e portarsi il pubblico dalla propria parte credo sia un’impresa non da tutti, eppure Giovanni Truppi (Premio IMAIE 2015), uscito sul palco quasi nudo (in canottiera a dire il vero) accompagnato dalla propria chitarra elettrica è riuscito nell’intento. Dopo una bella versione di “Gli amici”, il suo bell’omaggio a Guccini, i suoi brani a tratti intimisti, a tratti surreali, a tratti sfrenati, uniti a una tecnica impressionante sia a livello strumentale sia vocale hanno fatto il resto. Da annotarsi.

Questi gli apici di una serata che si è conclusa con una rappresentativa dei musicisti storici di Guccini che hanno tributato al maestro alcuni suoi classici, poi lo stesso Guccini è salito sul palco per ringraziare e salutare.

Francesco Guccini - Foto di Manuel Garibaldi


Non vi poteva essere conclusione più degna.


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