lunedì, febbraio 17, 2025

Stefano Tessadri - Qualcosa di buio si fa luminoso, da poesia non può che nascere poesia

di Fabio Antonelli

Il 10 febbraio del 2025, anno in cui ricorre il cinquantenario dalla morte di Pier Paolo Pasolini, il cantautore milanese Stefano Tessadri, a ben diciassette anni dal suo precedente album Passione e veleno (2008 Novunque/Universal) ha deciso di tornare sulla scena della canzone d’autore pubblicando “Qualcosa di buio si fa luminoso” (2025 AltRo Records), concept album dedicato interamente al poeta friulano.



Partirei, se sei d'accordo Stefano, com'è mia consuetudine, dalla copertina del tuo nuovo disco dedicato a Pier Paolo Pasolini proprio nel cinquantenario della sua morte, avvenuta il 2 novembre 1975. Prima di tutto questa stupenda fotografia in bianco e nero che ritrae, illuminata da una splendida luce di taglio, una macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 con accanto degli occhiali con lenti scure come quelli che usava Pasolini e un titolo Qualcosa di buio si fa luminoso, che credo si ispiri ai versi "Alle volte è dentro di noi qualcosa / (che tu sai bene, perché è la poesia) / qualcosa di buio in cui si fa luminosa / la vita: un pianto interno, una nostalgia / gonfia di asciutte, pure lacrime" della poesia Guinea di Pier Paolo. Un titolo che si potrebbe definire un progetto, il riportare in luce ciò che era rimasto per tanto tempo come messo in disparte. Può essere una giusta chiave di lettura? Che ne pensi?

La chiave di lettura è duplice, ciò che tu hai colto è senza dubbio presente nella mia volontà di voler cercare “con i miei piccoli mezzi” di riportare alla luce ciò che in questo paese è stato troppo spesso tenuto da parte. L’altra lettura, anch’essa presente nei miei intenti, è quella di voler descrivere un artista e un intellettuale che ha cercato di far luce “rendendo luminoso” ciò che è sempre stato tenuto volutamente nell’oscurità. Sono compiaciuto che tu abbia colto il riferimento alla poesia La Guinea.

Con Nino e i fiori, la canzone che dà inizio al disco ci caliamo, sia musicalmente sia per la poetica, nel mondo pasoliniano. La si può considerare una trasfigurazione lirica di quella notte che ci ha tolto per sempre un poeta che, come disse Moravia durante la sua intensa orazione funebre, "di poeti ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo"? Trovo meravigliosi i versi "Tutti dicon sia sbagliato / Sul viale un fiore ad ogni metro / Ad ogni metro un mio peccato / Questi fiori m'hanno ucciso" con quella chiosa finale "Perdona e guarda loro in viso / perché i fiori non sanno amare.”

Questa canzone vuole raccontare gli ultimi giorni e l’ultima notte della vita di Pasolini. A questo brano sono molto legato, soprattutto perché è l’unica canzone di cui non sono il solo autore ma che è stata scritta a quattro mani con mio figlio Vittorio “che ha curato insieme a me la produzione artistica dell’intero album ed ha suonato chitarre e mandole”. Siamo partiti da un suo testo che poi io ho rivisitato e da una mia musica che lui ha rivisitato, e da qui è nata Nino e i fiori.



Con la successiva Le cinque rose si prosegue questo viaggio nel mondo poetico di Pasolini, essendo il testo ispirato alla raccolta Poesia in forma di rosa. Personalmente trovo di una potenza inaudita i versi "Io vengo dal passato / vivo è solamente / chi ancora non è nato" che mi riporta alla mente quei versi, altrettanto forti, della morale finale "Essere vivi o essere morti è la stessa cosa" del film La terra vista dalla lunaPoesia in forma di rosa è senza dubbio un romanzo autobiografico in versi, ma in fondo tutto il cinema di Pasolini è impregnato della sua poetica, del suo essere. Sei d'accordo?

Sono completamente d’accordo. Normalmente, il cinema ha una visione narrativa cioè la visione di uno scrittore, il cinema di Pasolini “per citare Carmelo Bene” è la confessione di un poeta, e il poeta sa essere cattivo e spietato e produce un “guasto” nel singolo e nella massa. Tu prima hai citato il mio verso “vivo è solamente chi ancora non è nato”, questo verso si riferisce sostanzialmente al pensiero che sostiene che la morte comincia nel momento in cui si nasce, come se la vita fosse una lunga agonia, cioè la vita stessa è la morte e nel momento in cui moriamo, non siamo noi che si muore, ma è la nostra morte a morire definitivamente e per sempre.

Il canto delle lavandaie del Vomero non è una canzone tua ma è una canzone popolare napoletana, molto malinconica, risalente addirittura al XIII secolo che fu utilizzata da Pasolini nel suo Decameron, una canzone con un testo molto semplice che nasconde però, molto probabilmente, una valenza politica, una forte protesta nei confronti di una mancata ridistribuzione delle terre (i fazzoletti di cui parla) da parte degli Aragonesi. Prima di tutto ti faccio i miei complimenti per come l'hai saputa interpretare, ma quanto credi sia ancora importante riproporre le canzoni popolari in un mondo che, musicalmente, è sempre più usa e getta?

Le canzoni popolari sono la nostra identità, raccontano di lavoro, di ingiustizie, di amore e di passioni e lo fanno in tutte quelle splendide lingue che sono i nostri dialetti. Dimenticarsi della canzone popolare è un po’ come dimenticare noi stessi e la nostra cultura.

In Tango della verità, credo tu abbia voluto mettere in luce quella che è stata l'attività di Pasolini scrittore, sempre in bilico tra la poesia di denuncia e la poesia d'amore, come fossero due facciate di un'unica medaglia e questo doppio binario lo sottolinei anche musicalmente perché questo tango, in realtà, è tango quando parli di politica ed è più beguine quando si accenna ai sentimenti. Trovo splendida l'immagine "ma le sue canzoni, in fondo nessuno, le voleva sentire" e credo fosse proprio questo il suo cruccio maggiore, il sentirsi solo e incompreso, che ne pensi?

Si, questo era senz’altro un suo stato d’animo che è rivelato in molti suoi scritti. Un’altra cosa che ho voluto sottolineare è proprio il fatto che "le sue canzoni, in fondo nessuno, le voleva sentire", perché sono sempre state “canzoni” scomode, tendevano a svelare quanto di terrificante stava avvenendo socialmente e antropologicamente al popolo italiano.



Con Ricetto si entra a piedi pari dentro Ragazzi di vita, il romanzo forse più conosciuto di Pasolini. Riccetto è il protagonista del romanzo e di questa splendida canzone vagamente sudamericana, di forte impatto. Il tema trattato è il sentimento di pietà che nell'evolversi della vicenda diminuirà con il crescere dell'imborghesimento del protagonista. Più borghesia meno purezza. È questa la chiave di lettura del romanzo e della tua canzone?

Per quanto riguarda il romanzo non posso rispondere, ma per quanto riguarda la canzone hai colto nel segno in maniera ineccepibile. La tematica della pietà era un tema ricorrente in Pasolini, lui riteneva che il sottoproletariato, nel momento in cui si imborghesiva, perdesse moltissimo di quella sua spontaneità e di quei codici non scritti che comunque lo tenevano distante dalla mediocrità di una vita grigia e borghese, riteneva anche che, il sentimento più importante che smarriva fosse proprio la pietà.

Con Fenesta ca lucive si torna alla canzone popolare. Composta nel 1500, fu riscritta nel 1800 da Vincenzo Bellini. Così almeno dicono per via della somiglianza con la melodia dell'Aria finale della Sonnambula. Ma sarebbe più logico pensare che sia stato il catanese a ispirarsi al canto popolare preesistente. Pasolini l'amava tantissimo tanto da inserirla in ben tre film Accattone, Decameron e I racconti di Canterbury. Per me la tua versione con quell'avvolgente clarinetto basso è meravigliosa, un po' come l’aver scelto l'insolita mandola tenore al posto del più classico mandolino in Canto delle lavandaie del Vomero. Come sono nate queste scelte?

Per quanto riguarda Fenesta ca lucive ho voluto sottolineare l’aspetto cupo e barocco del testo utilizzando il clarone basso, per gli intermezzi strumentali, io e Vittorio Tessadri, abbiamo deciso di adattare un tema di Nicolò Paganini. La scelta della mandola tenore nel Canto delle lavandaie del Vomero, è stato sostanzialmente una questione di timbrica, avendo io un registro canoro piuttosto basso, meglio si adatta alla mia voce una mandola invece di un mandolino.



Ed eccoci giunti a Salò, ultimo capitolo della vita di Pier Paolo ed anche del tuo disco, per lo meno di quanto scritto da te su Pasolini È sicuramente il pezzo più teatrale dell'intero disco, in esso hai saputo trattare con grande intelligenza i temi scabrosi dell'ultimo capolavoro cinematografico lasciatoci da Pasolini, che uscì nelle sale quando lui ormai era già morto. Musicalmente si apre con note musicali che mi ricordano la stessa atmosfera con cui si chiudeva il film, quando ad un certo punto uno dei due sacrificati trasformati in miliziani accende la radio e, cambiando stazione, si avvertono le note di Son tanto triste, in quel momento i due abbozzano dei passi di danza fino a quando arriva la domanda su come si chiami la sua ragazza, uno dei due risponde all’altro “Margherita”. Nella canzone emerge un grande senso di orrore senza fine "A questo orrore non c’è fine io lo so / Sarai ospite per sempre qui a Salò" addolcito solo da una musica in pieno stile "telefoni bianchi" ma, ad un certo punto, come nel finale del film sembra esserci una tenue luce finale, una possibile via di fuga, qui emerge una melodia nota, Bandiera Rossa... È stato difficile scrivere di Salò?

Ad essere sincero fino in fondo, probabilmente è stato il brano più immediato da scrivere. Ho immaginato quel clima, sapientemente arrangiato da Ludovico Cicchitelli e il testo è stato tra i più immediati, per quanto possa essere immediato un mio testo… non sono uno che si accontenta facilmente di ciò che scrive. Per quanto riguarda il discorso del finale strumentale di Bandiera rossa c’è una storia a riguardo: nella prima versione del film, nell’ultima scena doveva esserci un ballo improvvisato di tutta la troupe, compreso Pasolini, sulle note della canzone Pinguino innamorato, mentre delle bandiere rosse sventolavano in sovrimpressione. Purtroppo, vennero rubate le pizze del film e il finale originale andò perduto. Così si dovette optare per i due miliziani che danzano.



Il disco si chiude con Cosa sono le nuvole, la canzone resa famosa da Domenico Modugno che chiudeva l'omonimo episodio all'interno del film Capriccio all'italiana del 1968, una sorta di rivisitazione dell'Otello. Confrontarsi con un mostro sacro della canzone italiana come Modugno credo abbia poco senso, ha senso invece omaggiare con grande rispetto sia Pasolini (autore del testo) sia Modugno (autore della musica) e trovo tu lo abbia fatto egregiamente. Personalmente ho sempre amato tantissimo questa canzone rimanendone sempre commosso all'ascolto, compresa la tua versione. Com'è stato lavorare su questo pezzo?

A parte la doverosa deferenza che bisogna avere di fronte a questo incredibile connubio Modugno/Pasolini, è stata una vera goduria! Anche per quanto mi riguarda è un brano che ho sempre amato, tant’è che ho voluto, a grandi linee, mantenere l’arrangiamento originale. Questo brano è stato registrato solo da me e Vittorio Tessadri e ci siamo divisi così i compiti: io chitarra classica, contrabbasso e tastiere, mentre Vittorio guitalele e mandola tenore.

Un'ultima domanda. Credo che realizzare un concept album al giorno d'oggi sia un azzardo, incentrarlo sulla figura di Pier Paolo Pasolini, sebbene nel cinquantesimo della sua morte, ancor di più. Mi tornano in mente i tuoi versi "E intonava più in basso / Forse per farsi capire / Ma le sue canzoni, in fondo nessuno / Le voleva sentire", non ti sei mai sentito in questo stato d'animo nell'affrontare questo ambizioso progetto? Tra l'altro ho letto che ne nascerà anche un recital teatrale, quale sarà allora la strategia che metterai in campo per promuoverlo, in accordo con l'etichetta AltRo Records, con cui hai realizzato questa tua nuova avventura cantautorale a 17 anni dal tuo ultimo album Passione e veleno (2017)?

Affrontando questo progetto non mi sono posto l’obbiettivo di voler arrivare alla moltitudine, a 50 anni non ho più sogni di successo, mi basta cercare di fare le cose al meglio possibile ed esserne personalmente appagato. Stiamo lavorando ad un recital teatrale che dovrebbe andare in scena la prima metà di aprile, sto lavorando a questo progetto con il drammaturgo Diego Zanoni e l’attrice Sara Zanobbio e sono certo che ne verrà fuori una cosa molto interessante.

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