di Fabio Antonelli
A sei anni dal suo esordio ufficiale con”Asincrono” (2010),
disco accolto molto bene dalla critica e oggetto di più premi, Luigi Mariano, cantautore
salentino, ma romano d’adozione, è appena tornato sulle scene con “Canzoni all’angolo”,
un nuovo album, maturo, molto personale, in cui è emersa anche una vena rock
forse fino ad ora repressa. Con lui, in questo nuovo lavoro, vi è la presenza
di numerosi ospiti, per un disco tra i più belli di questo 2016. Ecco cosa mi
ha raccontato.
Copertina CD "Canzoni all'angolo" |
Il tuo disco "Asincrono" del 2010 è stato un disco molto ben
accolto sia dal pubblico sia dalla critica e ripetersi, si sa, non è mai
impresa facile. A distanza di sei anni da quel fortunato esordio torni al tuo
pubblico con "Canzoni all'angolo", un disco che hai voluto
simbolicamente dedicare a tuo padre scomparso due anni fa. Mi racconti la
coloratissima copertina di questo tuo nuovo disco, che immagino sia ben più di
una riuscita immagine fotografica.
Il nuovo disco è dedicato a mio
padre Salvatore, che ho perso due anni fa. Era un commerciante di generi
alimentari ed ha passato un'intera vita di duro lavoro tra uffici, camion,
carrelli elevatori e pallet. I pallet in copertina, appesi alla parete alle mie
spalle, sono dunque un omaggio al suo lavoro e rappresentano le radici da cui
partire, per trovare la propria strada. Ho voluto simbolicamente dipingerli con
i colori della mia creatività artistica, riscattando la sua vita fin troppo
convenzionale. E, staccandomi da quella parete, ho preso la mia strada verso la
chitarra, ossia la musica. In generale i colori della copertina rappresentano
anche la mia reazione vitale (che musicalmente, nel disco, sfocia nel rock)
alle tante amarezze vissute, di cui queste canzoni sono molto intrise.
Poiché hai parlato di amarezze, vorrei affrontare il titolo del disco
che è anche quello della canzone in cui duetti con Neri Marcorè. Quanto pesa
sentirsi sempre messi all'angolo? Oppure è quasi meglio tanto da cantare
"quasi quasi ci ripenso e torno qui nell'angolo"?
Non essere capiti, o addirittura
risultare totalmente invisibili, credo sia una pena per chiunque svolga un
lavoro creativo che presupponga l'urgenza di comunicare con gli altri. Le canzoni
all'angolo sono quelle dei tanti artisti di nicchia, a volte di estrema qualità
(e non certo solo nella musica), di cui questo Paese spesso abbonda, ma cui non
sempre la sorte offre poi una chance concreta per emergere. Finisce così con lo
schiacciarli ancora di più nel loro piccolo cantuccio, scoraggiandoli, fino a
spezzar loro le ali e costringerli a sparire. Questo può accadere in ogni campo
delle attività umane, non solo nel campo artistico. E' anche vero che, se si riuscisse a
considerare "l'angolo" in modo diverso, ossia con meno frustrazione e
con più amore per la riservatezza o per il basso profilo (concetti quasi
inconcepibili, oggi), forse se ne potrebbe riscoprire un aspetto interessante,
decisamente controcorrente rispetto a tempi così egocentrici e caotici, in cui
tutti aspirano ingenuamente al viavai del centro piazza.
Com'è nata l'idea di cantare questo brano a due voci l'altra, come
detto, quella di Neri Marcorè?
Avevo incrociato fugacemente Neri
nel 2007, mentre suonavo in un locale romano di San Lorenzo: una stretta di
mano e via. Nient'altro. L'ho rivisto a cena alcuni anni dopo e ho scoperto
(con stupore) che mi stimava: aveva nel suo cellulare le canzoni del mio primo
disco "Asincrono". Ho avvertito molta empatia reciproca, oltre che
gusti musicali simili (Gaber su tutti). Così ho preso coraggio e ho pensato di
proporgli il brano "Canzoni all'angolo": il suo garbo e la sua
discrezione caratteriale, seppur di un artista ormai famoso e popolare, mi
parevano sposarsi bene col concetto di "angolo" e di rapporti tra
fama e invisibilità. O quanto meno, mi pareva potessero risultare argomenti a
lui molto comprensibili, per sensibilità e visione del mondo. Così è stato e ne
sono felicissimo. Anche perché Neri, dopo aver ascoltato tutto il disco in
studio, ne ha amato profondamente ogni brano, abbracciandomi alla fine
dell'ascolto di ogni traccia.
Luigi Mariano con Neri Marcorè |
Quello con Neri non è l'unico duetto presente nel disco, un altro duetto
molto divertente anche per l'ironia che pervade l'intero brano, dal titolo
"L'ottimista triste", è quello con Mino De Santis. Vorrei che mi
parlassi del brano e di lui, a più forse sconosciuto ma personaggio di grande
talento.
Conosco Mino appena dall'estate
del 2012, ma sembriamo amici d'infanzia. C'è una corrispondenza emotiva
fraterna, che ci ha portato con facilità a scrivere assieme "L'ottimista
triste", sebbene Mino (da cavallo di razza e battitore libero) vesta
abbastanza di rado i panni del coautore. L'idea musicale del brano è mia,
nonché la psicologia del personaggio (sfigato ma ottimista) e il titolo. Ho
presentato a lui un mio testo che mi convinceva poco e gli ho chiesto di
metterci mano. Il personaggio è rimasto identico, ma fa cose completamente
diverse dal mio testo precedente. E inoltre è più simpatico e accattivante.
Mino De Santis è un miracolo e un tesoro inestimabile, non solo per il Salento.
La sua poesia, profondissima e popolare, ironica e geniale, è patrimonio
dell'umanità. I suoi bozzetti della vita di provincia, con le piccole ipocrisie
di paese, ma anche con la bellezza dei ricordi e della terra, rimandano a un
Salento più antico e romantico, fatto di dignitosa semplicità, che in certe
sacche resiste ancora ma che purtroppo si sta perdendo. Per simili artisti come
Mino, non sarà mai la lingua dialettale l'ostacolo per la loro diffusione,
anche a livello nazionale: il talento straripa e la poesia si fa strada
ovunque.
Dev'essere che artista valido attira artista valido se, in un altro tra
i brani più interessanti e allo stesso tempo ironici del disco ti sei trovato a
condividere il brano "Fa bene fa male" con uno tra i musicisti più
sensibili del panorama italiano, ossia Simone Cristicchi. Com'è nata questa
intelligente canzone e come mai hai pensato di condividerla con Simone?
Ci siamo conosciuti in un locale
romano di San Lorenzo nell'estate del 2003, in cui suonavamo entrambi, e
abbiamo scoperto d'avere molto in comune, soprattutto l'amore per il teatro
civile e per la canzone d'autore del passato. Gli regalai tutti i monologhi di
Gaber, che non conosceva: lo folgorarono. Lui ricambiò donandomi la
videocassetta (forse non esistevano ancora, in giro, i DVD!) di
"Vajont", l'indimenticabile spettacolo di Marco Paolini. L'amicizia è
stata immediata, insomma. L'ho incoraggiato in tutto il suo percorso, fino alla
vittoria di Sanremo, e certo io non mi sono meravigliato della sua decisa
svolta teatrale, sulla scia dei suoi maestri Paolini, Celestini o Mario
Perrotta: fin dall'inizio era attratto da quel mondo. Tanti anni fa mi regalò
un monologo-sfogo, scritto da lui e recitato da un suo amico attore, che si
chiamava "La musica dei supermercati": era un elenco di nomi
dell'attualità, un po' critico, snoccciolati da un recitato incalzante e
parossistico. Quando ho scritto "Fa bene fa male", nel novembre 2015,
ho subito pensato a lui, perché anche la mia canzone conteneva un elenco-sfogo,
tra Rino Gaetano e Remo Remotti. Simone ha accettato subito: "La
faccio!", mi ha risposto. Ed è stato di parola.
Luigi Mariano con Simone Cristicchi |
Dentro questo tuo nuovo progetto trova dimora "Come orbite che
cambiano", una dolcissima canzone dedicata apertamente a Stephen Hawking e
alla sua prima moglie Jane. Che toccanti i versi finali "Mettimi gli
occhiali portami i giornali come tanto tempo fa" ... com’è nata questa
canzone?
La scintilla è arrivata da un
film che mi ha toccato il cuore, "La teoria del tutto", con
l'interpretazione magistrale di Eddie Redmayne, premio Oscar miglior attore
protagonista, nei panni appunto dell'astrofisico Stephen Hawking. Di Hawking
avevo sentito parlare per la prima volta vent'anni fa da un mio coinquilino
abruzzese che studiava Fisica e che mi aveva passato alcuni suoi libri molto
divulgativi sullo spazio. Mi sono ritrovato al cinema, nel gennaio 2015, e ho
capito che sullo schermo andavano in scena la nascita e poi la fine di una grande
storia d'amore, in cui la malattia dello scienziato era diventata una gabbia
asfittica e mortale, sia per lui sia per sua moglie. E la decisione di Hawking
di lasciare Jane, che tanto aveva fatto per lui, era in realtà un grande atto
d'amore: un modo per liberarla. Queste dinamiche dolorose mi hanno fatto
pensare alla fine di una mia storia d'amore del passato, molto importante. E ho
capito che, così come successe per "Edoardo", potevo utilizzare anche
stavolta la storia di qualcun altro per parlare di me in modo sincero e forte.
La musica al piano già c'era da qualche mese e aspettava l'ispirazione giusta:
ho solo dovuto scrivere il testo su quei binari musicali.
Luigi Mariano |
C'è una canzone in questo disco che mi ha subito affascinato sia per
l'intelligenza con cui è stata scritta sia per la veste musicale che le è stata
cucita, mi riferisco a "Scambio di persona". Come t'è venuta l'idea?
Ogni scambio di persona è una fuga dalle proprie responsabilità? Vuol dire
questo il verso "diventiamo dei serpenti a ogni scambio"?
Esattamente. Ho pensato a Erri De
Luca e a come, per difendere una semplice idea, sarebbe stato disposto a finire
persino in galera. Ho pensato che uno come lui fosse una vera eccezione
italica. E che invece, per la maggior parte, esistesse tanta vigliaccheria in
giro. Ecco, volevo raccontare questa vigliaccheria infantile e creare un
personaggio "opposto" a Erri De Luca: ossia uno che, pur di salvarsi,
avrebbe rinunciato del tutto alle sue idee. Il brano è un rock blues energico e
abbastanza classico, che cerca di fare appunto a pezzi uno dei difetti peggiori
degli italiani: il non volersi mai assumere le proprie responsabilità. Partendo
dalla precisa volontà di scrivere un brano sul tema, ho fatto venir fuori una
vicenda dai contorni surreali ed estremi, con finale a sorpresa, in cui cercavo
contrappassi punitivi all’estrema meschinità e negatività del personaggio.
A volte, uno le responsabilità le fugge per meschinità, a volte,
invece, uno la vita cerca di viverla a pieno, mettendoci tutto se stesso però
non è detto che si usi le "armi" giuste. In "Mille bombe
atomiche", il brano che apre il disco, al protagonista che si guarda allo
specchio fai dire "E con le bombe una ferita non la puoi richiudere".
E' sempre così difficile essere a posto con la propria coscienza?
Per chi ha un alto senso
dell'etica e dell'onestà intellettuale, sì: è difficile. Si cerca sempre il
pelo nell'uovo per criticare se stessi. Se quest'atteggiamento sconfina verso
l'ossessione, credo sia un difetto grave e vada limato e corretto. Se invece è
vissuto solo come generica "tendenza" a far bene, credo di preferirlo
agli atteggiamenti sbarazzini e spregiudicati del personaggio di "Scambio
di persona". Penso che ciò che conta sia essere veri. Quando lo si è,
anche i "grilli parlanti interiori" arrivano ad azzittirsi. Ammetto
che questo è ciò che è accaduto totalmente con questo disco: ho davvero
pochissimo da rimproverarmi, perché è semplicemente la mia fotografia di questi
ultimi quattro anni. Qualsiasi cosa diversa sarebbe stata una forzatura poco
sincera. E anche il brano d'apertura, "Mille bombe atomiche",
rappresenta al massimo questo denudarmi: è stata scritta mentre mio padre era
in fin di vita e rappresenta tutta la rabbia malinconica e le esplosioni intime
ed emotive che sentivo nello stomaco, avvolto dalla consapevolezza che non
sarei riuscito a salvarlo. Questo mi rendeva fuori di me. Allo specchio non
riuscivo più a riconoscermi, ma anche in quella rabbia, che mi aveva alterato
lineamenti e comportamenti, a guardarci bene c'ero io: con la mia verità e
difficoltà di quel momento.
In questo tuo nuovo lavoro credo ci siano versi folgoranti, tra questi
quelli che chiudono la delicatissima canzone "Quello che non serve
più": "Avrò provato a far entrare tutto il mare in un secchiello
finché tutto era possibile ma poi ho capito che era solo un grande abbaglio e
ho cominciato a vivere". Di una bellezza disarmante ... me ne parli?
Citi uno dei brani più personali
e spudoratamente sinceri del disco. La canzone nasce dal ricordo del carattere
di mio padre e di ciò che mi ripeteva: "Non buttare mai nulla, perché può
sempre servire". La sua generazione era nata da genitori (i miei e i
nostri nonni) che arrivavano dalla guerra, da tante privazioni. La necessità di
risparmiare e dare valore a ogni piccola cosa li aveva indotti a insegnare ai
figli come utilizzare al meglio anche i materiali di scarto, per reinventarsi
ogni giorno oggetti utili, magari da costruire con le proprie mani da
qualcos'altro. Mio padre era il primo di otto figli e su di lui certo la
trasmissione di un'eredità ideale era stata più diretta e ossessiva. Perciò mio
padre non buttava mai via le cose. Dopo la sua morte, per esempio, ho scoperto
nel suo ufficio pile di vecchi giornali e tantissimi altri oggettini,
accumulati senza un motivo apparente, se non (credo) il legame con un qualche
ricordo. Metteva sempre da parte mio padre, in qualche angolo: anche cose
inutilizzabili o in apparenza inutili. Per imitazione, sono stato come lui per
molto tempo. Quante cose inutili conserviamo nel nostro hard disk, per esempio?
Ho compreso poi negli anni, divenendo adulto, che invece bisogna avere il
coraggio di rinnovarsi, di cestinare e di smettere di raccontarsi la favoletta
del "tutto può sempre servire". Smettere insomma di obbligare il
nostro infinito "mare intimo" a restare stretto in un secchiello.
Valiamo di più. E abbiamo più possibilità. Lo si può capire staccandoci dalla
paura di perdere per strada pezzi del nostro passato e aprendoci al nuovo. Via
le zavorre: si può davvero rinascere.
Se sei d’accordo abbandonerei questo viaggio a zig zag tra le tracce
del disco, anche per lasciare ai lettori il piacere di scoprire il resto (tra
cui anche una cover in italiano di “The ghost of Tom Joad” di Bruce
Springsteen). Chiuderei l’intervista con una notizia fresca fresca, la vittoria
con "Canzoni all'angolo" del Premio Lunezia DOC 2016, uno dei premi
più importanti nell’ambito della canzone d’autore. Magari questo riconoscimento
non riuscirà a far uscire queste tue nuove canzoni dall’angolo però …
Il "Premio Lunezia"
ricevuto dal mio disco è giunto all'improvviso, in modo inatteso e non cercato:
sarà questo forse uno dei motivi del mio genuino entusiasmo alla notizia (oltre
che per il prestigio del premio). È un orgoglio poter dividere un simile riconoscimento
con tutti coloro che ci hanno speso tempo, cuore, energie e anche soldi per
realizzare l'obiettivo comune e dar vita a "Canzoni all'angolo". Se
il disco avrà fortuna o meno, e o se uscirà dall'angolo per raggiungere il
centro piazza, io non lo so. Sarebbe bello che viaggiasse per conto suo: è un
desiderio comune tra i bravi genitori, nei confronti dei figli. Quindi auguro
al disco di viaggiare tanto e di farsi conoscere e apprezzare in giro. Da parte
mia, e da padre riservato, dico che restare un po' all'angolo a osservare da
lontano la crescita di un figlio, in fondo, non mi dispiacerebbe.