giovedì, luglio 18, 2013

Intervista a Francesco Giunta

di Fabio Antonelli

Francesco Giunta, autore, interprete, editore e produttore palermitano, è tornato con un nuovo progetto discografico “Era nicu però mi ricordu”, in realtà si tratta di una riedizione del suo disco “Li varchi a mari” del lontano ’91, però qui Francesco canta i brani accompagnato dai musicisti del conservatorio di Palermo, diretti per l’occasione da Valter Sivilotti, che ne ha curato anche gli arrangiamenti. Vediamo cosa ci racconta in merito a quest’operazione.



Francesco, sei tornato a pubblicare un nuovo disco dopo tanti anni, come mai questo vuoto e soprattutto a cosa dobbiamo questo gradito ritorno?

Ho pubblicato quattro dischi tra il '91 e il '97, ma nel 1996 ho fondato l'etichetta Teatro del Sole che mi ha assorbito interamente. Alla fine, in un catalogo di quasi 60 titoli, di miei ... soltanto uno, il quarto appunto.
Per il mio ritorno devo ringraziare Alfredo Lo Faro che è venuto a prendermi letteralmente a casa in un momento in cui avevo deciso di mollare tutto diciamo ... per stanchezza!
Forse ho esagerato nel fare il "discografico" a tempo pieno...

Più stanchezza o insoddisfazione?

Insoddisfazione. La Sicilia e Palermo sono territori difficili. Nonostante abbia ripubblicato in CD praticamente l'intera opera discografica di Rosa Balistreri, più alcuni inediti fondamentali, nonostante abbia pubblicato quasi 60 titoli in una decina d'anni, nonostante abbia pubblicato quattro raccolte di lavori miei, ho avuto scarsissimo sostegno dagli enti preposti che hanno di contro regalato vagonate di soldi ad amici e parenti!
Le mie produzioni discografiche non hanno avuto nessun sostegno pubblico, le ho fatte con i soldi guadagnati nei miei concerti, Ma non è tanto questo che mi pesa ... piuttosto il dover spiegare continuamente al nuovo "assessore" o consulente chi sei ... quando il più delle volte, giusto sarebbe chiedersi: "chi sono loro"!

Finalmente grazie a Lo Faro, sei tornato in campo direttamente, come'è nato il disco e perché proprio questo titolo?

Uno dei temi che ricorrono nelle cose che ho scritto e soprattutto uno dei temi del disco è il tentativo di recuperare dalla memoria "ciò che abbiamo perso" e non certamente "il tempo andato" o "la giovinezza" o chissà che, recuperare invece ciò che ci rendeva più "ricchi" e più "uomini".
E’ considerazione nota che il nostro tempo è "disumanizzante", quando "io ero piccolo" invece il mondo era più umano, perché ci si ascoltava.

Quindi è un disco molto legato al presente, molto più di quello che il titolo potrebbe far pensare

Ciò che siamo e, soprattutto, ciò che di "importante" possiamo essere, è nelle "parole che vengono da lontano".
Assolutamente legato al presente... Quando nei miei concerti viene il momento di poter dire qualcosa con più leggerezza dico...
"La nostalgia è come il colesterolo: c'è quella buona e quella cattiva. Io faccio il tifo per quella che può farci stare meglio!"

Visti i miei problemi di colesterolo lo terrò presente. Scherzi a parte, questo nuovo disco, per chi già ti conosce, non è del tutto nuovo, vorrei che lo spiegassi però per chi si approccia alla tua opera per la prima volta

Due sono i temi centrali: da un lato il recupero della lingua come strumento di comunicazione e di scambio dell'esperienza. Dall'altro il recupero del rapporto umano, sempre meno possibile in un mondo che ci spinge a essere "terminali" di qualcosa.
"U panaru fori usu", "E tempi ch'e tazzi" e “Fumu di castagni caliati" raccontano ad esempio di come sia cambiato il vivere cittadino e di come questo percorso ci abbia portati all'indifferenza … e l'indifferenza porta a un vivere senza indignazione e senza capacità di reazione. Questo lo si trova in "Quannu è guerra".
I siciliani che non s’indignano e non si ribellano sono i primi nemici della Sicilia.
Quando canto "Ma com'è c'on ghiccati vuci" mi rivolgo proprio a loro. Abbiamo vissuto e ancora viviamo perennemente in guerra e non riusciamo a rompere queste catene!
A questi temi s’intreccia il tema del rapporto umano più importante, base di ogni altro rapporto: il rapporto amoroso.
Più che il rapporto di coppia, però, dei quali mi pare ne parlino abbastanza gli altri, ho inteso parlare della "capacità di amare", la qualità che ci rende davvero speciali e al centro dell'universo per come noi possiamo figurarcelo ...
Allora, se "Tra arbuli e pitruna" racconta della passione amorosa al suo primo "stadio" (il brano è ambientato in una sorta di "eden laico"), "Iu c'haiu a tia" è la sublimazione di quel sentimento primordiale.

Direi che con queste tue parole abbiamo toccato un po' tutti i temi principali di questo lavoro, quando però dicevo che non si tratta proprio di un disco totalmente nuovo, mi riferivo al fatto che forse si potrebbe definire un remake, che dici?

Il termine mi piace perché cinematografico e secondo alcuni i miei testi sono evocativi proprio d’immagini e fotogrammi.
Ancora una piccola considerazione sugli altri brani, se sei d'accordo ...

Sono tutto orecchi …

“Rosa", piccolissima ninna nanna che ho scritto la notte del 20 settembre del '90 quando Rosa Balistreri ci lasciò, è un omaggio alla più grande voce che abbia cantato in siciliano. Non so se hai avuto modo di guardare il video (http://youtu.be/xf15F8VBAek) in cui racconto il mio rapporto con Rosa ... gran parte del mio decidermi a cantare è sostanzialmente dipeso da lei!
Gli altri tre brani del disco compongono una sorta di "terzo" percorso sull'esistere: "Li varchi a' mari" (metafora dell'esistenza), "Li me jorna" (metafora del vivere in una terra come la Sicilia) e "Suli chi spacchi" sulla "meravigliosità" dell'esserci nonostante tutte le difficoltà!
A questo punto sul disco non penso ci sia altro da dire, se non il fatto che "rappresenta un po' l'unità d'Italia", giacché le elaborazioni orchestrali e la direzione sono di Valter Sivilotti, mio grande amico friulano!

Hai citato "Li varchi a' mari", in fondo tutto parte da lì, giusto?

Sì, presento "Li varchi a mari" dicendo sempre che è un po' "il mio atto di nascita"!

Di conseguenza "Era nicu però mi ricordu" non vuole essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza di un nuovo ciclo, si può dire così?

Proprio così ... il buon Alfredo Lo Faro, infatti, è intenzionato a ripubblicare i "remake" anche degli altri tre dischi che ho fatto. Il prossimo sarà (penso già nel 2014) "Per terre assai lontane" del 1992!
Non so se hai avuto modo di vedere il live che ti ho mandato ... (http://youtu.be/4IrhQ5ijiPc)

Si e devo dire che questo programma di massima è come una ventata di energia in un mondo musicale sempre più chiuso su se stesso, spero seguiranno anche delle date live

Abbiamo cominciato nonostante il momento difficile... Siamo però determinati ad andare avanti ...

Io ti ringrazio per la disponibilità dimostrata, vorrei farti chiudere con un saluto, un appello. Come saluteresti chi ci legge e perché, secondo te, dovrebbe avvicinarsi alla tua opera?

Alfredo sostiene, secondo me giustamente, che la musica andrebbe venduta in farmacia perché è una delle medicine più importanti ed efficaci. Quanto di curativo possa esserci nelle cose che scrivo e canto, è cosa che devono giudicare altri. Posso però dire con certezza e in piena sincerità, che ho scelto di cantare nella mia lingua perché penso siano importanti tutte le lingue del mondo. E allora suggerisco a tutti di avvicinarsi non tanto o non solo alla mia musica, ma a tutta la Musica come rimedio e fonte di benessere. Se questo vi capita anche ascoltando me grazie di cuore!

Sito ufficiale di Francesco Giunta: www.francescogiunta.it
Francesco Giunta su Facebook: www.facebook.com/francesco.giunta.737

Recensione CD "Era nicu però mi ricordu” di Francesco Giunta

Francesco Giunta: “Era nicu però mi ricordu”
La Sicilia secondo Francesco Giunta, terra dolceamara

di Fabio Antonelli

Quando capita la fortuna di avere tra le mani un disco come questo e vieni a sapere che, se esiste fisicamente, è solo grazie alla testardaggine di un coraggioso produttore di Nicosia, che risponde al nome di Alfredo Lo Faro, capace con la sua etichetta Music Made in Sicily di promuovere i migliori artisti siciliani nel mondo, quasi quasi ci si ricrede sul fatto che in Italia nessuno investa più nella musica di qualità.

Questa premessa, oltre che doverosa, direi che è necessaria per capire la genesi di questo nuovo disco di Francesco Giunta, un’operazione sicuramente lontana da qualsiasi immediata logica di mercato.

“Era nicu però mi ricordu” è, se vogliamo definirlo così, un remake, un rifacimento di “Li varchi a mari” un disco di Francesco, pubblicato nel lontano 1991.

Detto questo però, si rende necessario aprire una parentesi, perché penso che a pochi il nome di Francesco Giunta dica qualcosa. Se poi, come ho fatto io, provate a cercare notizie di lui attraverso il motore di ricerca google (beh, concedetemi la pubblicità neppure tanto occulta), beh vi accorgerete che trovate solo la sua pagina Facebook che, laconicamente, dice:

“Sono nato a Palermo (agli inizi della seconda metà del secolo scorso) dove vivo e opero ormai da diversi anni nel campo del recupero del patrimonio linguistico e musicale siciliano, sia come autore e interprete che come editore e produttore.”

Beh, si sa che i palermitani sono uomini di poche parole ….

Scherzi a parte, il suo sito ufficiale www.francescogiunta,it non è, al momento, di grande aiuto, poiché in stato “Under Costruction” (in realtà Francesco, contattato via mail ha assicurato che sarà a breve nuovamente in linea).

Cercherò di riassumere in due righe quanto può essere utile a capire o, almeno a cercare di comprendere questa strana operazione, quest’atto di amore di Lo Faro nei confronti della canzone dialettale siciliana.

Tornando a “Li varchi a mari”, questo oltre che il titolo dell’opera originale era anche quello del primo dei nove testi in dialetto siciliano che, impreziositi da musica e interpretazioni indimenticabili, costituivano la raccolta.  Seguirono poi altre tre raccolte: nel 1992 “Per terre assai lontane” in cui i confini di questo viaggio a mare si dilateranno a dismisura, per tornare nel 1994, con “Porta Felice”, a una metafora del viaggio come pellegrinaggio – esplorazione – ricerca entro i confini di una città come Palermo. Infine arriverà “E semu ccà”, del 1997, in cui respiro della memoria, impegno civile, slancio lirico si fondono in immagini e sonorità di grande effetto, grazie anche alla testimonianza significativa di Pino Battaglia, poeta tra i più amati del secondo novecento, che affiderà a quell’incisione i suoi frammenti di parole (Morti ciuciulianu a la cunculina …).

Poi, un lungo silenzio a livello discografico, durante il quale però Francesco non se n’è rimasto certo con le mani in mano, poiché da artista “integrale” quale da diversi anni è, si è impegnato nel recupero del patrimonio linguistico e musicale siciliano, sia come autore e interprete sia come ideatore e curatore dell'etichetta discografica "Teatro del Sole". Insomma, la musica prima di tutto, l’impegno artistico aperto anche ai grandi temi d’oggi, la riflessione sempre viva sulla cultura tradizionale e sui suoi protagonisti (tra tutti, Rosa Balistreri), occupano da sempre la sua esistenza, ma con discrezione, non rumorosamente come spesso oggi accade.

Eccoci allora a questo disco, in cui Francesco è supportato da un’intera orchestra, quella del Conservatorio di Palermo, diretta da Valter Sivilotti, che ne ha curato anche gli arrangiamenti, impreziosendo di molto le canzoni di Francesco, che per altro erano già ricche di melodia nelle loro vesti originarie.

Rispetto ancora all’originale, troviamo una nuova canzone “Suli chi spacchi”, una duplice interpretazione (con differente orchestrazione) di “Iu c’haiu a tia, “Terra senza poesia” che è l'introduzione recitata di un brano più lungo presente nel suo terzo disco ("Porta Felice" del 1994, disco "corale" interamente alla Città di Palermo), manca invece “Xicara” un brano strumentale.

“Suli chi spacchi”, l’inedito, aperto da una dolcissima introduzione dell’orchestra, è quasi un inno alla vita, descrive quella sensazione di stupore, quasi di estasi, nel sentirsi parte integrante del creato “E sugnu petra sutta / acqua chi scurri / pezzu di celu nuru / ventu chi curri / e sugnu nègghia / e acqua di funtana / armali, fangu / rina e terra sana”.

Il brano si può in un certo senso ritenere tematicamente legato al già citato “Iu c’haiu a tia”, anche qui c’è il soffermarsi sul senso di ammirazione e di trepidazione che se ne ricava pensando all’amore e al sentirci in un certo senso artefici del nostro esistere dentro un qualcosa che è molto più grande di noi, il tutto attraverso versi meravigliosi “Lu suli s'ʹaffruntò / quannu nascisti tu / e dissi nna la terra / vinni jornu, un scura cchiù / Si chiànciri d'ʹamuri / è chiànciri pi tia / lu chiantu miu sarà / la me felicità”. Questo brano, nel disco, è interpretato in due diverse versioni, una accorata e passionale forse più rispondente al periodo in cui è stata scritta (più di trenta anni fa) e un’altra dall’atmosfera più intimista, più legata al Francesco di oggi.

Di “Terra senza poesia” riporto per intero il testo: “Vitti na terra senza rignanti / e nuddu ristava câ panza vacanti / Vitti na terra senza surdati / e un c’èranu morti mmenzu a li strati / Vitti na terra senza dinari / e ognunu campava cuntentu i campari / Vitti na terra senza poesia / chi vuci e chi chianti dda genti facìa!” sia perché così è riportato all’interno della copertina del disco quasi a suggello dello stesso, sia perché racchiude in se il modus operandi di Francesco, il suo amore viscerale per la Sicilia e la sua lingua, ma allo stesso tempo anche l’amore odio per quei siciliani che non s’indignano e non si ribellano alle tante storture.

Queste dunque le novità rispetto a quel disco del ’91, ma vale la pena parlare anche di altri brani come ad esempio “Rosa”, una dolce ninna nanna dedicata a Rosa Balistreri e scritta proprio quella notte di settembre in cui si spense, breve ma bellissimo il testo “Vuci di ciaca e ciatu duci / occhi di matri e cocci i luci / canta ca passa prestu la nuttata / squagghia lu nvernu forti e la ilata / Ciuri di scògghiu, sali e spina / volu d'ʹaceddu, terra e rina / dormi ca passa prestu la nuttata / dormi... squàgghia lu nvernu e la ilata”. C’è davvero tutto l’amore e la profonda ammirazione di Francesco nei confronti di quella che è stata più che una musa ispiratrice per il suo mondo musicale.

Come non citare poi “U panaru fori usu”, il brano che apre il disco, meraviglioso per la sua struggente malinconia che, attenzione, non è tanto nostalgia per un tempo passato che non tornerà più, quanto un sommesso grido di sconforto e di dolore perché ormai, in questo presente, quei rapporti umani, quelle città a misura d’uomo descritte nei versi “E la strata pareva un tiatru / mentri i matri facèvanu a spisa / un panaru chi cala e unu isa / e oramai un nni càlanu cchiù” sembrano non essere più possibili.

Su questa stessa lunghezza d’onda sono anche altre due canzoni “Ê tempi chê tazzi” e “Fumu di castagni caliati”, ancora un tuffo nel passato, nella propria esperienza, la prima partendo dal sentire risuonare nell’aria parole oramai fuori uso “Ê tempi chê tazzi / si chiamàvanu cicari / un c'ʹera una tazza / di mPalermu a Vicari”, parole però non vuote o peggio morte, ma che racchiudono in se un mondo ahimè scomparso “E iu ti dumannu / la cìcara ora unn'ʹè? / Grapi lu stipu / e nni trovi a tinghi-­tè”, la seconda attraverso i ricordi di profumi e sapori lontani nel tempo “Fumu di castagni caliati / chi sapuri si vi li manciati / mègghiu su di li cucciddati / sempri càvuri ccà li truvati”.

“Li varchi a mari”, invece, attraverso i versi “Signuri lu timuni affidu a tia / e reggi forti tu la varca mia / nni scanzi di timpesti e timpurali / di mari forti e ventu maistrali” e una musicalità a tratti vibrante e vigorosa, resa magnificamente dall’orchestra, ci racconta la lotta in solitudine dell’uomo contro le insidie del mare, quel suo cercare un conforto dal cielo, quindi una metafora dell’umano vivere e soffrire.

“Suli e ancora suli / e ntornu l'ʹàrbuli / su tutti nciuri / terra di sangu e di suduri”, così si apre “Li me jorna”, canzone tra le più belle in assoluto del disco per quella musica lacerante e quei versi capaci di comunicare all’ascoltatore quel senso d’intimo dolore che nasce nel vedere la propria terra tanto sofferente quanto colpevolmente immutabile, da far sembrare “li me jorna tutti uguali”.

Una Sicilia colpevolmente statica, per l’indifferenza di tanti siciliani e anche di quell’opportunismo comune però direi un po’ a tutta l’Italia, spiegano la rabbia espressa da Francesco in “Quannu è guerra” attraverso quel “j’accuse” in siciliano “Ma com'ʹè côn ghiccati vuci”. Splendida, di forte impatto emozionale.

Di fronte a un passato e a un tessuto sociale in cui l’uomo era considerato comunque un valore, un presente in cui non si riconosce, un futuro che è “tutto carte da decifrare” volendo rubare un’espressione di un altro poeta della canzone, a Francesco non poteva che restare una scelta, ancor più radicale di quella svolta da Pasolini con la sua Trilogia della Vita, ossia guardare a un mondo primordiale, preistorico, in cui gli esseri umani vivevano spogliati non solo di ogni bene materiale ma fisicamente nudi, una nudità che però non destava in loro alcuna vergogna, ma anzi li spingeva a un amore puro, forte, capace di far superare ogni ostilità circostante “Tra àrbuli e pitruna / e scrusci di funtana / l'ʹomu la vitti sula / si com'ʹè mia pirsuna / Poi si cci avvicinava / cu vrazza stinnicchiati / carni dintra li carni / li primi nnammurati”. Così, introdotta da un tambureggiare primordiale, con sonorità prima scure poi più dinamiche e arabeggianti, “Tra àrbuli e pitruna” chiude con intensità questo bel lavoro.

Vale davvero la pena affrontare questo “remake” del lontano “Li varchi a mari” di Francesco Giunta, sia perché all’ascolto si dimostra così originale da sembrare un qualcosa di totalmente nuovo, sia perché rappresenta un grande ritorno in campo di questo indomito cantore della Sicilia, dei suoi pregi si, ma anche dei suoi tanti mali, primo fra tutti, forse, proprio quel sentimento di mesta rassegnazione all’immutabilità, proprio la stessa raccontata magistralmente da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo”.

Parafrasando i versi di una canzone molto popolare e divertente dello stesso Francesco, direi che questo disco è “Troppu very well”.

Video integrale del concerto tenutosi il 30 dicembre al Teatro Politeama di Palermo:



















Francesco Giunta
Era nicu però mi ricordu

Edizioni Musicali Made in Sicily - 2012

Acquistabile nei migliori negozi di dischi o su web: www.itunes.apple.com/it/album/era-nicu-pero-mi-ricordu/id542919923

Tracce                                                          
01. U panaru fori usu
02. Iu c’àiu a tia (quannu nascisti tu!)
03. Rosa
04. Suli chi spacchi
05. Ê tempi chê tazzi
06. Iu c’àiu a tia (lu suli s’affruntò…)
07. Li varchi a mari
08. Li me jorna
09. Terra senza poesia
10. Quannu è guerra
11. Fumu di castagni caliati
12. Tra àrbuli e pitruna

Crediti
Francesco Giunta: voce

Testi e musica Francesco Giunta.
Per i brani 5, 7 e 11, musica Francesco Giunta e Giuseppe Greco
Elaborazioni musicali Valter Sivilotti liberamente ispirate alle musiche originali di Giuseppe Greco e Francesco Giunta
Direzione Valter Sivilotti
Assistente musicale Caterina Croci
Elaborazione musicale e Direzione “Iu c'àiu a tia (lu suli s’affruntò…)” di Domenico Riina
Labmusic Recording Studio - Palermo
Mixaggio Antonio Zarcone
Supervisione artistica Domenico Riina
Edizioni Musicali Made in Sicily
Produzione Alfredo Lo Faro

Sito ufficiale di Francesco Giunta: www.francescogiunta.it

Francesco Giunta su Facebook: www.facebook.com/francesco.giunta.737