di Fabio Antonelli
Ivan Francesco Ballerini è l’esempio di come non ci sia un limite di età per cominciare ad inseguire un proprio sogno. Del 1967 come il sottoscritto, nel 2019, forse stanco di cantare canzoni di altri, decide di scriversi in proprio le canzoni e pubblica un signor album, “Cavallo Pazzo” (RadiciMusic Records, 2019) dedicato al leggendario nativo americano della tribù degli Oglala Lakota ma, in realtà, un espediente letterario per realizzare canzoni senza tempo, che parlano dell’essenza della vita. Sono passati solo sei anni ed ecco che, sorretto da una vena creativa inarrestabile, ha appena pubblicato il suo quarto album “La guerra è finita” (RadiciMusic Records, 2025).
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Presentando "Linea d'ombra" |
Volevo scrivere una canzone che
parlasse di un soldato qualunque che partito per il fronte scrive lettere e
canzoni alla donna del cuore. Poi mentre scrivevo mi sono reso conto che quel
soldato ero io. Mi sono rivenuti alla mente i giorni del mio servizio militare,
effettuato nella città di Savona, in un lontano 1989. Furono giorni di grande
tristezza, per la lontananza da casa, dalla mia fidanzata… e a peggiorare la
situazione c’era il fatto che la mia caserma era vicinissima al mare, quasi lo
potevi toccare con un dito… ma non ci potevi andare. Tuttavia, pur parlando di
un soldato partito per il fronte, ho voluto dare un’impronta poetica, che
parlasse d’amore, tinteggiando il tutto di malinconia, che gli anni che passano
portano sempre con sé. Il video l’ho affidato alle mani esperte di Nedo
Baglioni, che in questo caso, ha superato sé stesso con una regia degna dei
grandi registi del cinema d’autore. Gli arrangiamenti, invece, li ho affidati
alle mani di Alberto Checcacci, che credo non sia stata da meno… Nedo, Alberto,
e la meravigliosa Lisa Buralli, sono grandissimi professionisti, e amici cari.
Impossibile fare a meno di loro.
La guerra è finita è, come detto prima, anche il titolo del tuo nuovo album uscito a febbraio. Vorrei soffermarmi, se tu fossi d'accordo, sia sul titolo scelto sia sulla copertina del disco, una magnifica foto che ti ritrae seduto su una staccionata, pensieroso, credo in cima ad una collina toscana con, tra le gambe, la tua amata chitarra e dietro un cielo molto nuvoloso, quasi minaccioso, come è un po' il futuro di questo mondo attuale, come forse lo è sempre stato, ma in un momento storico in cui si fa molta fatica a guardare avanti non dico con fiducia ma, almeno, con speranza. Com'è stata pensata e realizzata?
Il titolo dell’album è
strettamente legato al brano La guerra è finita e poi, ovviamente, agli
argomenti trattati. La tua sensibilità ti ha permesso di capire nel suo intimo
il valore e la scelta di quella foto. Ho voluto parlare di guerra senza mai,
tuttavia, cadere nella lacrima facile, ma sfiorando l’argomento guerra e
parlando, invece, di amore e di speranza. La foto della copertina è stata
scattata il giorno in cui abbiamo girato il video di La guerra è finita.
Ci troviamo all’Anciolina, bellissima località montana dell’immenso Pratomagno.
Abbiamo girato a luglio del 2023, ma arrivati in loco faceva un gran freddo,
tanto che a un certo punto ho chiesto a Nedo di chiudere tutto e tornare a
casa. In quel frangente Nedo, come suo solito fare, oltre che a girare il video
ha scattato alcune foto. Quella che tu dici, mi sembrava perfetta per presentare
l’album, in tutta la sua immensità.
Vorrei sottolineare anche la cura e l'artigianalità del confezionamento del disco, la scelta di carta artistica italiana, l'assemblaggio realizzato a mano. Credo che in un mondo musicale sempre più orientato allo streaming, all'usa e getta, questa scelta radicale contro corrente sia un lodevole valore aggiunto. Come ti poni dinanzi a queste nuove tendenze?
La RadiciMusic Records da questo
punto di vista è imbattibile. Ricordo ancora con una grande emozione il momento
in cui Aldo Coppola Neri, titolare della Radici, mi portò in visione i primi CD
di Cavallo Pazzo. Quel virato seppia, la qualità di quei materiali… ne
rimasi folgorato. Purtroppo, oggi queste scelte non contano più, vista la
velocità in cui tutto si muove. Tu fai un video che ha il valore di un film,
curato nei minimi dettagli, lo lanci, e dopo tre minuti è già stato fagocitato
e gettato nel dimenticatoio. Questo non invoglia certo a fare le cose per bene.
Ma io, in fin dei conti, ho fatto questi dischi per me e per gioco, per
divertimento. Purtroppo, è anche vero che questi lavori hanno colto l’interesse
di un gruppo veramente ristretto di persone. Questo è un peccato, perché ho
potuto sperimentare, che un concerto fatto con i brani che ho prodotto sino ad
oggi, è veramente bello, degno di essere affiancato ai nomi più noti della
musica d’autore. Ma mai disperare, perché una delle cose che ci differenzia dal
mondo animale e vegetale è una cosa che solo noi abbiamo: si chiama SPERANZA.
Torniamo alle tracce, partendo
precisamente dalla prima, Il mondo aspetta te (Ouverture) che,
con estrema delicatezza quasi ci si trovasse in uno stato di estasi musicale,
apre idealmente il disco fino a ritornare in forma di canzone completa nella
omonima traccia finale, all'interno di una struttura circolare cara anche
a tanti registi cinematografici. Personalmente credo siano molti i punti
di contatto tra questo disco e il cinema inteso come rappresentazione della
realtà attraverso gli occhi della poesia. È in fondo una canzone di speranza,
nonostante tutto ciò che ci circonda e pensare che, ci hai tenuto giustamente a
sottolinearlo nelle note al disco, queste canzoni sono state scritte prima
degli sconvolgenti conflitti che affliggono questo nostro povero mondo. La
speranza è davvero forse l'unica nostra vera "arma" di salvezza?
Domanda cruciale direi. Se uno si
mette a leggere la poesia Valentino del grande Giovanni Pascoli e ne
comprende il significato profondo, riesce a trovare la chiave di lettura anche
di questo disco. Valentino nasce povero, non possiede nulla, nessun bene
materiale, la pelle dei suoi piedini è nuda ma, nel suo cuore è accesa una cosa
che nessuno può spengere, si chiama speranza. Se si perde quella, allora sì che
si perde il senso della vita. Così, scrivendo questi nove brani, La guerra è
finita – Tra bombe e distruzione – Sulle pietre del mondo – Il
mondo aspetta te, non ho mai perso di vista questo concetto. Speranza in un
futuro migliore, dove non esista la più la povertà, non esistano i soprusi,
dove gli uomini collaborino tra loro, per cercare di avere un percorso sereno
della vita. È questo che il disco vorrebbe auspicare ma, se ci pensi bene,
anche in Cavallo Pazzo toccai gli stessi argomenti, gli stessi concetti:
cambiano le storie, cambiano i personaggi, ma il senso profondo resta quello.
Il tuo citare la poesia Valentino di
Giovanni Pascoli mi porta a fare uno skip virtuale nell'immaginario lettore CD
per saltare a Linea d'ombra, il riferimento letterario qui è
l'esemplare romanzo breve di Joseph Conrad, bellissimo pretesto per
parlare dell'ineluttabile trascorrere del tempo, dell'impietoso raffronto tra
vecchiaia e giovinezza, viaggiando nello spazio-tempo pur restando immobili
"inchiodati per terra mentre il resto del corpo vola". Una splendida
canzone giocata su più livelli... Mi sembra ormai di aver capito che Conrad sia
tra i tuoi autori letterari più amati o sbaglio?
Ho iniziato a leggere i racconti
di Conrad spinto da mio fratello Antonio, che tra l’altro è uno scrittore e
saggista. La lettura di Linea d’ombra non è adatta ai neofiti. Si tratta
di un racconto piuttosto duro da digerire e poi i libri tradotti in altre
lingue perdono sempre qualcosa nella traduzione. Alla fine, però il racconto è
meraviglioso e non potevo perdere l’occasione per non fare, del racconto una
canzone. Ho stravolto un po' le cose… e alla fine ho voluto che la protagonista
fosse una donna, con tutte le difficoltà che la vita le pone davanti… e ancora
oggi sono sempre tante. Basti pensare al fatto sconcertante che viene uccisa
una donna ogni 24 ore… nemmeno nel medioevo succedeva questo. Quindi per
salvare se e la sua anima, deve viaggiare, se non può farlo fisicamente, almeno
con la fantasia… Anche lei sperando in un futuro migliore. Trovo che una
canzone che trae ispirazione da un racconto della grande letteratura mondiale
dovrebbe avere la carta per poter accedere e superare MUSICULTURA. Se non altro
per il lavoro che ci sta dietro. Un
libro va prima letto e digerito, poi si deve trovare il motivo per trasformarlo
in canzone. Questo dovrebbe muovere in chi ascolta la curiosità di andare a
leggere il libro originale e dovrebbe essere premiante da un punto di vista
culturale. Invece MUSICULTURA ha respinto al mittente tutte le mie proposte,
scrivendo che sono belle e ricercate nel testo, ma non sono evidentemente
all’altezza. E questo mi pone davanti tanti, troppi interrogativi. Cambierei il
nome MUSICULTURA in rassegna musicale contemporanea… così da evitare pericolosi
malintesi.
Evito di farmi tirar dentro in questo discorso proprio a ridosso della votazione finale delle Targhe Tenco in cui sono coinvolto personalmente e tiro dritto o, meglio, torno indietro alla traccia numero tre, ossia Tra le dita. Dolcissima canzone con splendide aperture melodiche, mi sembra parli di un amore genitoriale, di un distacco tanto inevitabile quanto ciclico, c'è ancora una volta lo scorrere inarrestabile del tempo e il desiderio di vivere appieno certi magici istanti. È così o ho preso una cantonata?
La canzone è stata arrangiata da
Giancarlo Capo che a mio avviso ha saputo dargli la veste perfetta. Alla
batteria Luca Trolli, turnista di Renato Zero… tanta roba. Credo che sia
sbagliato dare una chiave di lettura univoca ad un racconto, sia che si tratti
di prosa, di letteratura o di canzone. Ognuno deve essere libero di sentire ciò
che vuole. Il tuo punto di vista è molto bello, per cui potrebbe essere proprio
così.
Forse hai ragione, è proprio
questo il bello delle canzoni e, a tal proposito, cito spesso questi versi
"Le canzoni sono come le conchiglie, ognuno ci sente il mare che
preferisce" tratte da Piano piano, una canzone di Beppe
Donadio. Ascoltando la successiva Tra bombe e distruzione, dal titolo mi
sarei aspettato una canzone che narrasse, quasi come una cronaca, di qualche
guerra di cui la storia ne è piena e, invece, questa canzone mi ha evocato immagini
in bianco e nero, quasi fossero tratte da un album di fotografie di famiglia o da
fotogrammi di vecchi Super 8, con una sola macchia di colore, suggerita dai
versi "la tua gonna preferita, che di rosso si è macchiata / e hai
nascosto col cappotto per non essere osservata". C'è ancora il tempo che
scorre, il crescere troppo in fretta e tutta l'incertezza della vita, come
suggeriscono i versi finali "e non sapere se lo rivedrai, sorridente
così". Trovo sia particolarmente bella perché spiazzante e, assolutamente,
lontana da ogni retorica, non credi?
La prima cosa che mi viene da
dire è grazie per questo bellissimo complimento. Hai colto la vera essenza del
brano… la parte profonda. Il tempo che
passa, lo tratto spesso, ricordi Fabio, Il canto di mia figlia? Uno dei
brani a cui sono più legato di Cavallo Pazzo. Quando Primo Levi nei suoi
racconti parla della sua esperienza nei campi di concentramento, lo fa sempre
con una grandissima lucidità e, soprattutto, grandissima dignità. Lo reputo uno
degli scrittori più potenti del ‘900. Mai cade nel patetico… eppure di cose
orrende deve averne vedute davvero molte. Avessi scritto una cronistoria dei
fatti che succedono oggi, non avrei fatto che evidenziare ciò che invece non
voglio evidenziare. Ho parlato di una ragazza, anche qui la protagonista è una
donna che, nonostante i rischi che corre, sceglie di non abbandonare gli studi.
Sa che restare ignoranti sarebbe la peggiore delle condanne, più delle bombe,
più della distruzione o della morte; quindi, sceglie tutti i giorni di
rischiare, nonostante la sua vita sia nel pieno, in quella che dovrebbe essere
l’età della spensieratezza e dell’amore. Il finale, credo, sia molto
emozionante con le parole che tu hai citato… saluta suo fratello che parte per
la guerra, e non sa se sa se lo rivedrà mai sorridente così. Poi c’è questo
coro, come un coro degli alpini, che ci porta lontano, tra le montagne, liberi
da vincoli o da catene, un coro pieno di speranza… anche qui l’arrangiamento è
stato curato da Giancarlo Capo che ha saputo cogliere l’aspetto più intimo del
brano.
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Ivan Francesco Ballerini in concerto a Firenze |
Sulle pietre del mondo sembra proprio una di quelle canzoni da cantare in autunno davanti ad un fuoco, proprio durante quella stagione di cui tu canti "in autunno riposo il mio corpo, mi ritiro in preghiera / e a chi non ha più lacrime, non ha più parole, col vento asciugo i suoi occhi... consolo il suo cuore". La canzone come quell'olio di cui canta Max Manfredi nella sua Il grido della fata "L’olio è luce, carezza, medicamento, è sapere e sapore antico sul pane, è l’ulivo che muove il suo sistro nel tempo, questo tempo balordo che frastorna cicale”, la canzone come medicamento a chi ne ha bisogno. Non so perché ma mi ha riportato alla mente, forse musicalmente, anche la delicata poesia di Townes Van Zandt. Tutti riferimenti alti. Meglio di tanta immondizia musicale...
Non so se merito queste tue
parole così belle… ma grazie. Sulle pietre del mondo parla di un uomo in
viaggio, libero, senza costrizioni… cosa a cui ho sempre anelato senza
successo. Siamo talmente schiavi di modi di fare, di comportamenti che
ripetiamo a volte senza senso, costretti da una società frenetica che ci
vorrebbe sempre giovani e performanti. Invece siamo una società di vecchi,
spesso malconci, che non si sente più adeguata ai canoni che ci vorrebbero
imporre. Sulle pietre del mondo, invece, parla di un uomo libero,
svincolato dalle costrizioni, libero di agire e di pensare. Viaggia sulle
pietre del mondo a piedi scalzi, leggero come una foglia trasportata dal vento.
Nel suo cammino cerca di consolare chi ne ha bisogno e di riflettere su quello
che dovrebbe essere il significato della vita, che non è certo correre,
produrre e consumare… per poi finire vecchi e sfiancati, quando va bene, in una
casa di riposo. Invece il protagonista va lento, pondera le cose, quando è
stanco si ritira in preghiera, una sorta di purificazione dell’anima, come gli
animali quando vanno in letargo. Ecco, io ascolto musica, ne ascolto molta, ma
purtroppo non trovo brani così. Per ascoltare brani che fanno riflettere sulla
vera essenza delle cose, devo ripescare nel passato, e detto tra noi, le cose
passate mi sono venute leggermente a noia. È questo che mi ha spinto a
scrivere, la noia… che è il motore propulsore della creatività. Ma per
annoiarsi bisogna smettere di correre, fermarsi. Ma per annoiarsi bisogna
smettere di correre, fermarsi. Ma per annoiarsi bisogna smettere di correre,
fermarsi. Da ripetere come un mantra.
A proposito di mantra... La
guerra è finita è il titolo dell'album e bisognerebbe sempre tenerlo a
mente, come un faro puntato sull'intero lavoro e, allora, forse, si
apprezzerebbero meglio canzoni come la successiva Perché mai, una
splendida canzone d'amore a due voci, la tua e quella di Lisa Buralli. Un amore
fatto di aiuto reciproco "Mastico il tuo pane, perché denti più non hai, /
e mentre piangi asciugo gli occhi tuoi", di ascolto "Mostrami il
tuo cuore per capire tu chi sei, / e raccontami le cose che non so", di
ricerca dell'altro "Tendi le tue mani per stringerle alle mie /
guardami negli occhi leggendomi di poesie". Perché mai ... uno non
dovrebbe desiderare di vivere un amore così?
Il brano in questione l’ho
scritto per il matrimonio di Nedo e Janet. Nedo mi aveva chiesto se avessi
voluto suonare al suo matrimonio, cosa che a me ha fatto un piacere immenso. In
questa bellissima festa non potevo non coinvolgere Alberto… Ma non mi sono
limitato a questo, per questa occasione ho scritto Perché mai una
canzone d’amore, quello vero, che si basa sulla stima reciproca, e sul
desiderio di percorrere la vita insieme. Dal mio punto di vista, suonare per il
matrimonio di Nedo è stato un regalo che mi sono fatto, perché l’amicizia,
quella dettata dai sentimenti e dalla stima reciproca, è una delle cose,
insieme all’amore, più potenti del mondo.
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Lisa Buralli e Ivan Francesco Ballerini |
Ed eccoci arrivati a Vestire di parole, canzone che trovo meravigliosa per più motivi, perché musicalmente è struggente, perché è piena di poesia e perché mi sembra rappresenti perfettamente il tuo modo di essere cantautore, un artigiano, un cesellatore che attraverso il proprio lavoro certosino riesce a trasformare in bellezza, in piccoli gioielli, anche la sofferenza, il dolore, la morte. Può essere considerata la tua carta d'identità musicale?
Un altro complimento, così a
bruciapelo… grazie, grazie davvero di cuore. Vestire di parole nasce dalla
lettura di uno dei racconti più belli e commoventi della letteratura
mondiale: Ferro di primo Levi, che si trova nella raccolta
intitolata Il sistema periodico. In questo racconto l’autore parla della
sua amicizia con il montanaro Sandro Delmastro, un ragazzo di poche parole, che
lo coinvolge in alcune imprese apparentemente insensate su percorsi di
montagna. Sandro Delmastro vede la fine dei suoi giorni, ucciso da una raffica
di mitra, esplosi da un bambino di quindici anni arruolato dai fascisti durante
il periodo della Repubblica di Salò. Primo Levi chiude il racconto con queste
parole: “è impossibile riuscire a vestire di parole un uomo come Sandro, che
amava poco parlare. La sua vita era racchiusa nei suoi fatti”. Ho voluto
traslare questo bellissimo racconto in una canzone d’amore, cercando di
esprimere il forte dolore che si prova, perdendo una persona amata. Le parole
sono uscite fuori da sole, seguendo il giro armonico che magicamente la mia
chitarra mi aveva suggerito, un giro che ha una impronta jazz, sognante e
malinconico. Riuscire a trattare argomenti, a volte anche pesanti, che la vita
ci pone davanti, cercando sempre un linguaggio appropriato, cercando di non
cadere mai nel patetico o nel banale… raccontando storie appartenute ad altri,
che si mescolano con le tue storie, in una danza continua tra realtà e
immaginazione. Questo per me significa fare il cantautore.
Un'ultima domanda. Hai
iniziato la tua attività di cantautore in tempi piuttosto recenti, era il 2019
quando pubblicasti il tuo album d'esordio Cavallo Pazzo ed
ora, con La guerra è finita, sei già arrivato al tuo quarto
disco. Mi sembra che tu ci abbia decisamente preso gusto. In questa tua
avventura musicale, in un periodo dove la canzone d'autore è sempre meno al
centro dell'attenzione, ti senti più un irriducibile Don Chisciotte che
combatte contro i mulini a vento o un Ulisse assetato di conoscenza, alla
continua scoperta di nuovi mondi?
Scrivere, se si hanno cose da
dire, è molto appagante. Tuttavia, produrre dischi, come ho fatto io, oggi non
ha più alcun senso. Per un album come Racconti di mare, mi ci sono
voluti circa 20/22 mila euro. Questo per dire che tipo di impegno economico,
oltre che intellettuale, ci sta dietro l’uscita di un disco. Non so esattamente
cosa farò adesso. Cercherò di proporre le cose che ho fatto sino ad oggi nelle
rassegne che ci sono in giro (sono moltissime) e tutte a caccia di soldi. Tuttavia,
non restano molte altre strade da percorrere. Locali che fanno musica non
esistono più, o sono rarissimi, e non cercano certo nomi nuovi da poter
proporre. Questa purtroppo è la fotografia della situazione per ciò che
riguarda la musica in Italia. Sto lavorando sodo sullo studio della chitarra,
quando ho qualche idea la butto giù, senza nessuna pretesa. E stiamo a vedere
cosa ci prospetta il futuro… a volte non si sa mai.
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