sabato, maggio 18, 2019

Milano, il blues e l’amore in questi tempi di resistenza


di Fabio Antonelli


Il 7 maggio, al Blue Note di Milano c’è stato un bel sold out, che ha visto protagonisti il cantautore milanese Folco Orselli ed il trombettista jazz argentino Pepe Ragonese. Al centro della serata le canzoni di Folco Orselli, partendo dal suo primo lavoro discografico “La stirpe di Caino” fino al suo nuovo album “Blues in MI vol.1”, una ghiotta occasione per intervistarlo. 


 

Il 7 maggio, accanto al trombettista jazz e amico di sempre Pepe Ragonese, hai letteralmente riempito il Blue Note di Milano. Che cosa hai provato a stare su quel palco, davanti ad un pubblico così entusiasta? 

E’ stato molto appagante, stare davanti a tutta quella gente, in un luogo con un’acustica perfetta, io e Pepe Ragonese, in duo, con tutta la nostra passata storia musicale da rivivere insieme, con tutte le sfumature “sensibili” a disposizione, la possibilità di sussurrare parole e note, di arrivare al cuore delle canzoni e delle persone attraversando e sfondando la distanza attraverso le mie canzoni, i miei aneddoti, le note calde di Pepe e avvalendomi di quel modo di fare intrattenimento, che mi è sempre piaciuto molto. Ora torno ai piccoli club, comunque, dove ogni sera è una sfida, dove a volte non ti conosce nessuno e devi portare a casa la pelle musicale … è divertente anche questo, anche se è molto più faticoso, ma di questi tempi è davvero necessario.

In quella serata hai ripercorso la tua carriera artistica proponendo alcuni dei pezzi che hanno segnato maggiormente il tuo percorso discografico, tra questi cito il funky di MilanoBabilonia, La ballata del Paolone, L’amore ci sorprende, la sempre amata Bellocchio, fino ad anticipare il divenire. Proprio in chiusura, hai proposto un bellissimo inedito dedicato alle Varesine, un pezzo di storia milanese che ignoravo e che mi ha letteralmente commosso, soprattutto con quei versi finali dedicati alla tua Milano “meno male che se guardo in fondo agli occhi tuoi vedo che sei ancora tu la mia città”. Quanto sei legato a Milano?

Milano è il convitato dì asfalto di tutte le mie canzoni. E’ la mia città, che cambia ogni dieci anni, come me, come noi. Continuo a guardarla e a farmi affascinare da quella segreta grazia tutta femminile. L’ho già detto mille volte, per me Milano è femmina, madre e amante. M’ispira ecco, come una musa. Le Varesine è un inedito che spero di riuscire a registrare per Blues in MI vol. 2. Sono cresciuto in zona Stazione Centrale e il Luna Park “permanente” delle Varesine è stato il mio spaccato sul surreale, sulla visione crepuscolare poetica, sulla solitudine delle giostre che tanto mi ha assomigliato nei miei dieci anni, ero un bambino vivace ma aperto alla malinconia e quel luogo mi ha insegnato tanto. Ci andavo durante la settimana, quando non c’era nessuno e mi riempivo di sensazioni, di odori, di avventura. Poi l’abbiamo visto stingersi negli anni, dalla pioggia e dal tempo. Poi alcuni anni d’immobilità assoluta, un’allegoria di luce e colore in una metropoli ferma, gli anni ’80-metà ’90 e poi le hanno smantellate. Mi piace questa canzone, mi fa tornare a quelle sensazioni. Magia e mistero della musica.



Credo sia però giunto il momento di parlare del tuo nuovo disco, che già nel titolo Blues in MI evoca il tuo legame con il blues e con Milano. Il disco è stato preceduto dal divertentissimo video di una delle canzoni più belle, Paolo Sarpi Blues, com’è nata questa canzone? Com’è stata sviluppata l’idea del video? Anche in questo caso, come racconti spesso, ti sei ispirato al tuo vissuto?

Venivo da un periodo creativamente difficile, non trovavo stimoli che mi mettessero in moto, che mi facessero dedicare alla scrittura con entusiasmo. Non sono un mestierante, non scrivo se non ne ho voglia, le canzoni scritte per forza fanno mediamente schifo, le canzoni devono raggiungerti, anche se sei distratto, devono essere equipaggiate di qualcosa di urgente che non sento nel 90% delle cose che ascolto. Ho passato una vita sulle sponde di un fiume fiorito d’idee e d’ispirazione e voglio continuare a muovermi su quella sponda. Pensavo di essere arrivato alla foce e poteva anche starci. Poi ho sconfitto questa paranoia affrontandola e guardandola dritta in faccia. Si è dileguata e la mia risata, nel vedere questa vile angoscia che mi pervadeva, sciogliersi davanti a me, mi ha fatto scrivere le ventuno canzoni che andranno a finire nei due Blues in MI. Paolo Sarpi Blues fa parte di questa risata. Avevo voglia di un sound rhythm and blues, con i fiati, l’Hammond e, con il mio pard artistico di ormai quattro dischi, Enzo Messina, abbiamo confezionato questo bel groove. Era tempo che avevo voglia di scrivere una canzone in milanese, che poi è legnanese giacché i miei nonni erano di li. Il video è stato una collaborazione con i ragazzi de Il Terzo Segreto Di Satira con i quali ho messo a fuoco delle idee che avevo sulla sceneggiatura della storia e che volevo, appunto, divertente. Penso che si sia riuscito nell’intento. Il pezzo dal punto di vista testuale rientra in quella mia ricerca su Milano e sulla sua composizione sociale e multiculturale, vera sfida dei prossimi anni. La comunità cinese mi ha sempre affascinato, è dal ‘500 che sono a Milano, città da sempre votata al commercio come i cinesi appunto. Se poi questa è un’esperienza personale, beh … non te lo dico.

A proposito di vissuto, non posso non chiederti di Como e carne, sia perché sono di Como sia perché è una canzone che trasuda “libidine”…

La gran parte delle canzoni che scrivo ha qualcosa di vissuto. Le canzoni che portano con sé una storia vera, o in parte vera, sono molto più convincenti. Non so dirti perché, ma quando le canto in pubblico, passa qualcosa che l’opera di pura fantasia, per quanto cantata in modo convinto, non passa. Como e Carne contiene qualcosa di vero e qualcosa di aggiunto. Le cose vere si capiscono quali sono secondo me…



C’è una canzone, Pericolosamente retroattivo, che sembra essere quasi il seguito di quel “j’accuse” che è stato La stirpe di Caino, sono passati tanti anni ma la rabbia è rimasta viva?

Guarda, rabbia è una parola che non mi appartiene. Di questi tempi poi mi sembra sia diventata il cibo di chi non usa bene il cervello oppure la benzina dell’ignoranza, quindi preferisco evitarla. Il mestiere dell’artista è complicato, si ha a che fare con le proprie aspirazioni, molto spesso frustrate, e quindi si rischia di confondere la determinazione nel restare in piedi con qualcosa di simile alla rabbia. Non è così. Almeno per me. E poi quando inveivo dalle pagine de La stirpe di Caino non immaginavo che si potesse arrivare così in basso, parlo dal punto di vista produttivo musicale. La discografia si vergogna di se stessa, hanno abdicato al loro ruolo, sono dei falliti. Hanno fallito la loro missione: proporre l’arte e gli artisti alla gente, avere il privilegio di capirli, di produrli e di promuoverli. Ora vivono nella tirannia della domanda, non decidono più nulla, si limitano a produrre quello che la rete, con le visualizzazioni, impone loro. Pericolosamente Retroattivo è un dialogo con il tempo e con lo specchio che questa gente non è minimamente in grado nemmeno di capire.

Nel disco ci sono un paio di canzoni, Lo Scaldabagno e Quel che resta di te, in cui hai collaborato con due amici di vecchia data, rispettivamente Claudio Sanfilippo e Flavio Pirini, due cui l’ironia certo non difetta. Come sono nate queste due canzoni, stilisticamente così diverse fra loro, ma altrettanto affascinanti?

Claudio e Flavio sono, oltre a due grandi amici, anche due formidabili scrittori di canzoni. Hanno il blues nello scrivere, nel far suonare le parole. E’ una questione molto importante per me il come le parole suonino. Loro le sanno far suonare come piace a me, quel modo che non ha niente a che invidiare con il suono della lingua inglese, notoriamente ottima per scrivere canzoni e parole. Nel caso di Claudio, avevo questo pezzo in finto inglese che avevo intitolato provvisoriamente “Kiss from the Boyou”, il lungo fiume che bagna New Orleans si chiama Boyou. Non riuscivo a uscirne finché una notte che eravamo finiti insieme a un baracchino, tra una birra e l’altra, mi è venuto in mente di proporgli di scrivere lui il testo e così, a caso, ho buttato li: “Potrebbe intitolarsi lo scaldabagno!”. Lui ha raccolto e un paio di giorni dopo mi ha mandato il testo completo. Formidabile! Con Flavio invece abbiamo adottato un altro metodo, sempre su una canzone in finto inglese abbiamo scritto una strofa a testa a distanza. Lui me ne mandava una ed io proseguivo con un altra e gliela rimandavo e lui continuava. Fino a quando il testo non è stato completo. L’unica cosa che sapevamo era che avrebbe dovuto parlare di uno che sparisce e nessuno sa più, dove si sia cacciato.




Il disco si apre con La gente un pezzo funky molto trascinante, uno sguardo impietoso sul mondo circostante, un fiume di versi in piena, potrebbe essere la tua Quelli che? E non solo per quel “cosa significa quando ascolti Jannacci e sei Biagio Antonacci”.

La gente l’ha scritto il mio inconscio. Ho sognato un mio grande amico, Sergio Cocchi un musicista con cui ho suonato per una vita e con cui suono ancora, che mi faceva ascoltare questo pezzo in uno studio, su un registratore a cassetta. La prima frase del pezzo è proprio quello che ho sentito nel sogno “Cosa significa, fare parte di un giro, cosa significa, fare parte di un coro”. Mi sono svegliato e l’ho appuntata sul registratore del telefono. Solo che non riuscivo più a dormire, perché mi arrivavano continuamente altre frasi in testa. Continuavo ad accendere il telefono e a registrare queste frasi. La mattina dopo mi sono reso conto che erano tantissime e non ho fatto altro che copiarle e metterci sotto la musica che ho sentito nel sogno che era molto semplice ma efficace.

Citazioni. Nel disco citi, nel bene o nel male, lascio a te dirlo, non solo Jannacci ma anche Vinicio Capossela “con sotto quella musica italiana del Capossela con la banda indiana che balla il bagaloo” in Bicchierate e persino Freddy Mercury “ti son venuti anche i dentoni come il cantante dei Queen” in Oh Marleen. Ce n’è per tutti?

Sì, mi sono divertito a citare qualcuno. Ci sono anche citazioni sonore: Santana. Mark Knopfler, Dr John. Capossela ogni tanto lo canzono un po’ perché devo restituirgli tutte le menate che mi hanno fatto negli anni dicendo che lo imitavo. Anche se naturalmente lui non c’entra nulla. Ora spero l’abbiano piantata: io suono il blues!



C’è una canzone Buio (storia di una strega) che non può non lasciare turbati per il tema trattato, purtroppo sempre attuale. Racconta di una storia in particolare, magari legata a Milano?

Racconta di quanto il potere, lungo tutti i tempi, utilizzi l’ignoranza della gente per conservare se stesso. In passato la “santa” inquisizione utilizzava lo spauracchio del demonio per imporre il suo dominio sulla gente, in questo caso racconto di un rogo in piazza Vetra in cui parecchie giovani donne furono bruciate vive in nome della Chiesa, agitando la paura del demonio. Ora agitano altre paure, non bruciano più la gente ma utilizzano la stessa ignoranza facendo credere, a chi ci casca, che esistono delle minacce esterne che mettono in pericolo la nostra esistenza come popolo. Se il popolo è quello che crede in queste baggianate, queste armi di distrazione di massa come dice qualcuno; bene spero proprio che qualcuno venga a diluirci demograficamente, non ci potrebbe che fare del bene.

Sai che starei ore a fare domande sulle tue canzoni però voglio lasciare a chi legge il desiderio di scoprire le altre tracce del disco che, essendo un vol. 1 suppongo avrà un seguito … Già scritto, solo progettato? Com’è lo stato dei lavori?
Ho già registrato nella prima sessione otto pezzi che saranno integrati da altri cinque o sei che scriverò per il progetto sulle periferie “Blues in MI: periferia identità di Milano”, al quale sto alacremente lavorando, e che vedrà la luce nel 2020. Inserirò il brano Le Varesine e altre canzoni su altre zone di Milano, per lo più periferie. Sto completando piano piano un lavoro di toponomastica musicale sulla città. 

Ci sono altri due aspetti che vorrei toccare, il primo è come poter acquistare il disco. So che hai scelto, di fatto, di non distribuirlo se non attraverso i concerti? Perché questa scelta?

Perché è più comodo per tutti. Perché i negozi ormai sono virtuali, Se qualcuno vuole un mio disco lo può chiedere a me ed io glielo spedisco. Perché bisogna andare a vedere i concerti e mettere il naso oltre lo schermo del computer o del telefono, altrimenti alleveremo generazioni cui non interessa più esibirsi dal vivo, che non sanno più suonare degli strumenti musicali, stare su un palco, alleveremo gente che considera inutile il Live, quindi, andateci ai concerti. Partecipate, che la libertà non è star sopra un albero come cantava qualcuno…




Secondo aspetto, l’attività live. Dopo il grande successo del Blue Note, stai portando avanti un tour dal titolo “Blues to you”, di che si tratta?

Si tratta di un tour nelle case e nei giardini di chi mi vuole ospitare, la storia di Maometto e della montagna. E’ talmente necessario che la musica dal vivo torni nelle nostre abitudini che vengo io a casa vostra, vi faccio un concerto privato. Sta molto funzionando e sono contento. Per info agents@folcoorselli.com

Vorrei chiudere, in fine, con le parole di stima nei tuoi confronti spese non da me, ma da un amico comune, il cantautore Federico Sirianni che di te ha detto che sei uno dei migliori scrittori in assoluto di canzoni d’amore. Con questo disco hai voluto smentirlo? In fondo non c’è una vera e propria canzone d’amore, in senso classico, o forse lo è Bicchierate con quei versi finali “bicchierate commesse con le analisi sbagliate tua moglie ti farà delle menate ma forse quando torni dorme già” più di tante canzoni piene di sdolcinate parole, esprime l’amore vero, quello di tutti i giorni, quello che sopravvive dopo tanti anni?

Il mio amico Federico Sirianni mi conosce bene, e sa che sono un fottuto romantico. In questo disco non ho mai parlato tanto d’amore! L’amore per la vita! La vita del musicista, dell’artista, costretto a rimanere in piedi al vento, alla burrasca culturale che stiamo vivendo. Sono tempi di resistenza questi e cosa c’è di più amorevole di combattere per qualcosa in cui credi? Ad maiora.


Folco Orselli su Youtube 

Le foto sono di Luca Rossato.

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