venerdì, luglio 06, 2012

Intervista a Giuseppe Righini

Incontro con Giuseppe Righini
di Fabio Antonelli

Il secondo personaggio che andiamo a incontrare in questa rubrica che crea un punto d'incontro tra canzone d'autore e noir, è Giuseppe Righini, che così si presenta nel suo sito ufficiale:



Sono nato a Rimini il 2 aprile 1973. Lo stesso mese e lo stesso giorno di Serge Gainsbourg, Umberto Orsini, Giacomo Casanova, Carlo Magno, Marc Caro, Marvin Gaye, Michael Fassbender e Alec Guinness, aka Obi-Wan Kenobi. Alè. Da quando avevo dodici anni me la canto, me la suono e scrivo parolacce. Il mio colore preferito è il bianco, mi piace il riso ben cucinato e Alex de la Iglesia e non ho la minima idea di chi o cosa sarò nelle prossime vite. Ma neanche fra un mese. E qui mi fermerei perché mi sembra di aver già detto un po' tutto. Ma per chiunque fosse interessato anche a dettagli tecnici, nomi, cognomi, fatti, misfatti e date la bio continua. Rigorosamente in terza persona.


Il resto lo potrete trovare tra quelle pagine, ma ora ascoltiamo cosa ci ha raccontato dei rapporti esistenti tra le sue canzoni e il genere noir.

Pensando al rapporto tra canzone d'autore e genere noir, mi sei subito
venuto in mente per il tuo affascinante disco d'esordio come solista "Spettri Sospetti", un titolo che già di suo potrebbe essere il titolo di un avvincente romanzo giallo, perché hai voluto dare proprio questo titolo a un disco che è sicuramente tra le proposte più originali degli ultimi anni?

"Spettri Sospetti" è l'inizio di un verso de "La Nave Fantasma", brano incluso nell'album. Il titolo viene da lì. "Spettri Sospetti" è anche il nome del primissimo spettacolo in cui presentai dal vivo alcune delle canzoni finite nel disco, ben prima della sua uscita e della possibilità concreta di realizzarlo. E pur non essendo propriamente un concept, certamente uno dei tre temi dell'intero lavoro è quello degli spettri, veri e presunti. Poi ci sono anche ragioni estetiche. Ho sempre subito il fascino delle parole, la bellezza della fonetica, l'eleganza delle assonanze più che delle rime. E quelle due parole specifiche, messe una accanto all'altra, mi sono sempre piaciute. Aggiungiamo poi che la numerologia mi ha sempre incuriosito e quando ho scoperto che il mio nome aveva lo stesso numero di lettere del titolo il gioco era fatto.

La seconda traccia del disco "Tango Santo" ci narra di un killer "Mi presento sono Santo / e come un nero guanto uccido a pagamento / Sono magro ben vestito / mi nascondo facilmente dietro un dito / Chi mi paga poi lo nega / e la sua coscienza non farà una piega" ma la sua storia sembra nascondere qualcosa, fantasmi del passato direi, dai versi finali "Ho guidato ed ho spinto / l'automobile in fondo al labirinto / La palude si richiude / le mie mani non saranno mai più nude", illuminaci?

Quando scrivo una storia, mi piace cercare di suggerire quel che accade piuttosto che metterlo inequivocabilmente nero su bianco. Credo fondamentale lasciare spiragli d'interpretazione personale e spazio di movimento all'immaginazione, la lettura e la sensibilità di chi ascolta. Anche quando ho le idee chiarissime, cerco sempre di nascondere con una mano e con l'altra svelare, dunque non so se faccio bene o male a spiegare nello specifico le mie canzonacce! Ma, scherzi a parte, Santo è un sicario di vecchia data che tra il risparmiare o sacrificare l'ennesima vittima commissionata sceglie la seconda opzione, senza capire che forse, questa volta, la mossa più giusta per lui sarebbe stata la misericordia. E' un uomo completamente identificato con il proprio ruolo e la propria missione, convinto di avere un'unica possibilità di scelta, convinto di essere incapace - o immeritevole - di redenzione. Quest'ultimo delitto, fortemente simbolico, rappresenterà per lui l'ultima occasione - perduta - di cambiare il destino delle proprie carte, e lo condannerà irrevocabilmente. Santo, come Jack Torrance, rimane così per sempre prigioniero del proprio labirinto, e come Norman Bates si sbarazzerà del cadavere racchiuso nell'auto lasciandolo sprofondare nella palude del proprio fato. Le sue mani non saranno mai più nude perché impossibile oramai mondarle della colpa.

Altra canzone che svela solo in parte e in tal senso considero sorprendente la tua capacità di lasciare intuire ciò che potrebbe essere, mantenendo però un alone di mistero, è "Strage di San Valentino", cito solo i brevi versi che fanno da ritornello "Scendono giù sul mondo / Scendono giù sul mondo / Il nostro girotondo non finirà" che poi in chiusura si trasformano in "Scendono giù sul fondo / Scendono giù sul fondo / Il nostro girotondo non finirà", ci spieghi cosa realmente è successo è il perché di questo cambio di versi?

Si tratta di una canzone d'amore, molto intima e, proprio per questo, credo molto ... nuda. In entrambi i casi, l'affondare di un sentimento profondo, i frammenti di una danza che diventa eco. Una fine che proprio perché insopportabile diventa indimenticabile e infinita.

"Ninna Landa" sembra essere più esplicita con i suoi versi finali "Bianco tormento / vento che spinge / contro questa porta di legno dipinto / soglia pesante che non cederà / Ma l'assassino è proprio qui / ed è davvero più pericoloso / star dentro che fuori stanotte", ma è davvero tutto così come appare?

"Ninna Landa" è una canzone d'amor dedicata a un lupo, che spesso è la presenza più amorevole, fidata del nostro sonno più intimo e disarmato. Almeno fino alla prossima luna piena.

Un'ultima domanda. Con il successivo disco "In apnea", oltre che dimostrare ottime doti cantautorali, hai fornito una valida prova nel ruolo di scrittore, infatti, nel bel cofanetto a forma di libro che racchiude il disco è contenuto un libricino con 17 racconti brevi o brevissimi, capaci però in poche righe di coinvolgere e sorprendere il lettore. Tra questi almeno due "Scarafaggi" e "L'ultimo Avvertimento" rientrano a buon titolo nel genere noir, sei d'accordo?

Si, concordo. "Spettri Sospetti", a suo tempo, fu un disco con un taglio fortemente narrativo proprio perché figlio soprattutto del desiderio di tornare a raccontare storie. E tornare a farlo in lingua madre. In quell'album personaggi, scenari e situazioni sono ricche di suggestioni certamente musicali ma anche cinematografiche, teatrali e letterarie, proprio perché ho naturalmente attinto a diversi modi di raccontare e rappresentare una storia, senza limitarmi a un solo codice, un solo modo. C'è una grandissima tradizione, cantautorale e non, che ha fatto dello storytelling un grande cinematografo, utilizzando la forma canzone come cavallo di Troia. Nel mio ultimo album "In Apnea" quest'approccio sopravvive solo in alcuni degli episodi che compongono il disco, mentre il resto della scrittura è decisamente più fotografica e pittorica. Ma ho dato corpo ai miei personaggi attraverso i diciassette racconti. E certamente "Scarafaggi" e "L'ultimo Avvertimento" sono due episodi in cui il mio gusto per il noir trova la possibilità di esprimersi. C'è poi da dire che una storia scritta su carta piuttosto che registrata per l'ascolto è una grande opportunità di esprimere con colori e toni differenti lo stesso episodio. Per un autore è questo un grande privilegio, un grande piacere e, in definitiva, anche una grande palestra. Il fascino del noir su di me ha facile presa tanto che uno dei miei progetti, già ampiamente strutturato ma ancora nel cassetto, affronterà in maniera ancora più specifica e filologica l'argomento. Aspetto solo la luna giusta.


Sito ufficiale di Giuseppe Righini

intervista tratta dalla rubrica "Noir & Song" di Orasenzombra

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