lunedì, luglio 07, 2025

Ivan Francesco Ballerini: La guerra è finita, una danza continua tra realtà e immaginazione, dove la speranza è l’unico rimedio al dolore

di Fabio Antonelli

Ivan Francesco Ballerini è l’esempio di come non ci sia un limite di età per cominciare ad inseguire un proprio sogno. Del 1967 come il sottoscritto, nel 2019, forse stanco di cantare canzoni di altri, decide di scriversi in proprio le canzoni e pubblica un signor album, “Cavallo Pazzo” (RadiciMusic Records, 2019) dedicato al leggendario nativo americano della tribù degli Oglala Lakota ma, in realtà, un espediente letterario per realizzare canzoni senza tempo, che parlano dell’essenza della vita. Sono passati solo sei anni ed ecco che, sorretto da una vena creativa inarrestabile, ha appena pubblicato il suo quarto album “La guerra è finita” (RadiciMusic Records, 2025).

Presentando "Linea d'ombra"
Il 26 giugno scorso è stato pubblicato su YouTube il video di La guerra è finita, canzone che è anche la title-track del tuo nuovo album pubblicato con RadiciMusic Records ad inizio anno. Lo splendido video opera del regista Nedo Baglioni sovrappone sapientemente immagini ti te che canti accompagnandoti con la tua chitarra e di Lisa Buralli, la cui voce delicata ma allo stesso tempo intensa ed evocativa ti accompagna immersi in una natura incontaminata, a immagini dolorose di guerra. Il testo della canzone è pieno di poesia ed è sia un viaggio nei ricordi, sia un’immaginaria lettera d'amore scritta da un uomo al fronte alla propria amata. Mi racconti la genesi di questa canzone che credo sia stata poi quella che ha fatto poi nascere l'intero lavoro discografico, o almeno così mi sono immaginato?

Volevo scrivere una canzone che parlasse di un soldato qualunque che partito per il fronte scrive lettere e canzoni alla donna del cuore. Poi mentre scrivevo mi sono reso conto che quel soldato ero io. Mi sono rivenuti alla mente i giorni del mio servizio militare, effettuato nella città di Savona, in un lontano 1989. Furono giorni di grande tristezza, per la lontananza da casa, dalla mia fidanzata… e a peggiorare la situazione c’era il fatto che la mia caserma era vicinissima al mare, quasi lo potevi toccare con un dito… ma non ci potevi andare. Tuttavia, pur parlando di un soldato partito per il fronte, ho voluto dare un’impronta poetica, che parlasse d’amore, tinteggiando il tutto di malinconia, che gli anni che passano portano sempre con sé. Il video l’ho affidato alle mani esperte di Nedo Baglioni, che in questo caso, ha superato sé stesso con una regia degna dei grandi registi del cinema d’autore. Gli arrangiamenti, invece, li ho affidati alle mani di Alberto Checcacci, che credo non sia stata da meno… Nedo, Alberto, e la meravigliosa Lisa Buralli, sono grandissimi professionisti, e amici cari. Impossibile fare a meno di loro.


La guerra è finita è, come detto prima, anche il titolo del tuo nuovo album uscito a febbraio. Vorrei soffermarmi, se tu fossi d'accordo, sia sul titolo scelto sia sulla copertina del disco, una magnifica foto che ti ritrae seduto su una staccionata, pensieroso, credo in cima ad una collina toscana con, tra le gambe, la tua amata chitarra e dietro un cielo molto nuvoloso, quasi minaccioso, come è un po' il futuro di questo mondo attuale, come forse lo è sempre stato, ma in un momento storico in cui si fa molta fatica a guardare avanti non dico con fiducia ma, almeno, con speranza. Com'è stata pensata e realizzata?

Il titolo dell’album è strettamente legato al brano La guerra è finita e poi, ovviamente, agli argomenti trattati. La tua sensibilità ti ha permesso di capire nel suo intimo il valore e la scelta di quella foto. Ho voluto parlare di guerra senza mai, tuttavia, cadere nella lacrima facile, ma sfiorando l’argomento guerra e parlando, invece, di amore e di speranza. La foto della copertina è stata scattata il giorno in cui abbiamo girato il video di La guerra è finita. Ci troviamo all’Anciolina, bellissima località montana dell’immenso Pratomagno. Abbiamo girato a luglio del 2023, ma arrivati in loco faceva un gran freddo, tanto che a un certo punto ho chiesto a Nedo di chiudere tutto e tornare a casa. In quel frangente Nedo, come suo solito fare, oltre che a girare il video ha scattato alcune foto. Quella che tu dici, mi sembrava perfetta per presentare l’album, in tutta la sua immensità.


Vorrei sottolineare anche la cura e l'artigianalità del confezionamento del disco, la scelta di carta artistica italiana, l'assemblaggio realizzato a mano. Credo che in un mondo musicale sempre più orientato allo streaming, all'usa e getta, questa scelta radicale contro corrente sia un lodevole valore aggiunto. Come ti poni dinanzi a queste nuove tendenze?

La RadiciMusic Records da questo punto di vista è imbattibile. Ricordo ancora con una grande emozione il momento in cui Aldo Coppola Neri, titolare della Radici, mi portò in visione i primi CD di Cavallo Pazzo. Quel virato seppia, la qualità di quei materiali… ne rimasi folgorato. Purtroppo, oggi queste scelte non contano più, vista la velocità in cui tutto si muove. Tu fai un video che ha il valore di un film, curato nei minimi dettagli, lo lanci, e dopo tre minuti è già stato fagocitato e gettato nel dimenticatoio. Questo non invoglia certo a fare le cose per bene. Ma io, in fin dei conti, ho fatto questi dischi per me e per gioco, per divertimento. Purtroppo, è anche vero che questi lavori hanno colto l’interesse di un gruppo veramente ristretto di persone. Questo è un peccato, perché ho potuto sperimentare, che un concerto fatto con i brani che ho prodotto sino ad oggi, è veramente bello, degno di essere affiancato ai nomi più noti della musica d’autore. Ma mai disperare, perché una delle cose che ci differenzia dal mondo animale e vegetale è una cosa che solo noi abbiamo: si chiama SPERANZA.

Torniamo alle tracce, partendo precisamente dalla prima, Il mondo aspetta te (Ouverture) che, con estrema delicatezza quasi ci si trovasse in uno stato di estasi musicale, apre idealmente il disco fino a ritornare in forma di canzone completa nella omonima traccia finale, all'interno di una struttura circolare cara anche a tanti registi cinematografici. Personalmente credo siano molti i punti di contatto tra questo disco e il cinema inteso come rappresentazione della realtà attraverso gli occhi della poesia. È in fondo una canzone di speranza, nonostante tutto ciò che ci circonda e pensare che, ci hai tenuto giustamente a sottolinearlo nelle note al disco, queste canzoni sono state scritte prima degli sconvolgenti conflitti che affliggono questo nostro povero mondo. La speranza è davvero forse l'unica nostra vera "arma" di salvezza?

Domanda cruciale direi. Se uno si mette a leggere la poesia Valentino del grande Giovanni Pascoli e ne comprende il significato profondo, riesce a trovare la chiave di lettura anche di questo disco. Valentino nasce povero, non possiede nulla, nessun bene materiale, la pelle dei suoi piedini è nuda ma, nel suo cuore è accesa una cosa che nessuno può spengere, si chiama speranza. Se si perde quella, allora sì che si perde il senso della vita. Così, scrivendo questi nove brani, La guerra è finitaTra bombe e distruzioneSulle pietre del mondoIl mondo aspetta te, non ho mai perso di vista questo concetto. Speranza in un futuro migliore, dove non esista la più la povertà, non esistano i soprusi, dove gli uomini collaborino tra loro, per cercare di avere un percorso sereno della vita. È questo che il disco vorrebbe auspicare ma, se ci pensi bene, anche in Cavallo Pazzo toccai gli stessi argomenti, gli stessi concetti: cambiano le storie, cambiano i personaggi, ma il senso profondo resta quello.

Il tuo citare la poesia Valentino di Giovanni Pascoli mi porta a fare uno skip virtuale nell'immaginario lettore CD per saltare a Linea d'ombra, il riferimento letterario qui è l'esemplare romanzo breve di Joseph Conrad, bellissimo pretesto per parlare dell'ineluttabile trascorrere del tempo, dell'impietoso raffronto tra vecchiaia e giovinezza, viaggiando nello spazio-tempo pur restando immobili "inchiodati per terra mentre il resto del corpo vola". Una splendida canzone giocata su più livelli... Mi sembra ormai di aver capito che Conrad sia tra i tuoi autori letterari più amati o sbaglio?

Ho iniziato a leggere i racconti di Conrad spinto da mio fratello Antonio, che tra l’altro è uno scrittore e saggista. La lettura di Linea d’ombra non è adatta ai neofiti. Si tratta di un racconto piuttosto duro da digerire e poi i libri tradotti in altre lingue perdono sempre qualcosa nella traduzione. Alla fine, però il racconto è meraviglioso e non potevo perdere l’occasione per non fare, del racconto una canzone. Ho stravolto un po' le cose… e alla fine ho voluto che la protagonista fosse una donna, con tutte le difficoltà che la vita le pone davanti… e ancora oggi sono sempre tante. Basti pensare al fatto sconcertante che viene uccisa una donna ogni 24 ore… nemmeno nel medioevo succedeva questo. Quindi per salvare se e la sua anima, deve viaggiare, se non può farlo fisicamente, almeno con la fantasia… Anche lei sperando in un futuro migliore. Trovo che una canzone che trae ispirazione da un racconto della grande letteratura mondiale dovrebbe avere la carta per poter accedere e superare MUSICULTURA. Se non altro per il lavoro che ci sta dietro.  Un libro va prima letto e digerito, poi si deve trovare il motivo per trasformarlo in canzone. Questo dovrebbe muovere in chi ascolta la curiosità di andare a leggere il libro originale e dovrebbe essere premiante da un punto di vista culturale. Invece MUSICULTURA ha respinto al mittente tutte le mie proposte, scrivendo che sono belle e ricercate nel testo, ma non sono evidentemente all’altezza. E questo mi pone davanti tanti, troppi interrogativi. Cambierei il nome MUSICULTURA in rassegna musicale contemporanea… così da evitare pericolosi malintesi.


Evito di farmi tirar dentro in questo discorso proprio a ridosso della votazione finale delle Targhe Tenco in cui sono coinvolto personalmente e tiro dritto o, meglio, torno indietro alla traccia numero tre, ossia Tra le dita. Dolcissima canzone con splendide aperture melodiche, mi sembra parli di un amore genitoriale, di un distacco tanto inevitabile quanto ciclico, c'è ancora una volta lo scorrere inarrestabile del tempo e il desiderio di vivere appieno certi magici istanti. È così o ho preso una cantonata?

La canzone è stata arrangiata da Giancarlo Capo che a mio avviso ha saputo dargli la veste perfetta. Alla batteria Luca Trolli, turnista di Renato Zero… tanta roba. Credo che sia sbagliato dare una chiave di lettura univoca ad un racconto, sia che si tratti di prosa, di letteratura o di canzone. Ognuno deve essere libero di sentire ciò che vuole. Il tuo punto di vista è molto bello, per cui potrebbe essere proprio così.

Forse hai ragione, è proprio questo il bello delle canzoni e, a tal proposito, cito spesso questi versi "Le canzoni sono come le conchiglie, ognuno ci sente il mare che preferisce" tratte da Piano piano, una canzone di Beppe Donadio. Ascoltando la successiva Tra bombe e distruzione, dal titolo mi sarei aspettato una canzone che narrasse, quasi come una cronaca, di qualche guerra di cui la storia ne è piena e, invece, questa canzone mi ha evocato immagini in bianco e nero, quasi fossero tratte da un album di fotografie di famiglia o da fotogrammi di vecchi Super 8, con una sola macchia di colore, suggerita dai versi "la tua gonna preferita, che di rosso si è macchiata / e hai nascosto col cappotto per non essere osservata". C'è ancora il tempo che scorre, il crescere troppo in fretta e tutta l'incertezza della vita, come suggeriscono i versi finali "e non sapere se lo rivedrai, sorridente così". Trovo sia particolarmente bella perché spiazzante e, assolutamente, lontana da ogni retorica, non credi?

La prima cosa che mi viene da dire è grazie per questo bellissimo complimento. Hai colto la vera essenza del brano…  la parte profonda. Il tempo che passa, lo tratto spesso, ricordi Fabio, Il canto di mia figlia? Uno dei brani a cui sono più legato di Cavallo Pazzo. Quando Primo Levi nei suoi racconti parla della sua esperienza nei campi di concentramento, lo fa sempre con una grandissima lucidità e, soprattutto, grandissima dignità. Lo reputo uno degli scrittori più potenti del ‘900. Mai cade nel patetico… eppure di cose orrende deve averne vedute davvero molte. Avessi scritto una cronistoria dei fatti che succedono oggi, non avrei fatto che evidenziare ciò che invece non voglio evidenziare. Ho parlato di una ragazza, anche qui la protagonista è una donna che, nonostante i rischi che corre, sceglie di non abbandonare gli studi. Sa che restare ignoranti sarebbe la peggiore delle condanne, più delle bombe, più della distruzione o della morte; quindi, sceglie tutti i giorni di rischiare, nonostante la sua vita sia nel pieno, in quella che dovrebbe essere l’età della spensieratezza e dell’amore. Il finale, credo, sia molto emozionante con le parole che tu hai citato… saluta suo fratello che parte per la guerra, e non sa se sa se lo rivedrà mai sorridente così. Poi c’è questo coro, come un coro degli alpini, che ci porta lontano, tra le montagne, liberi da vincoli o da catene, un coro pieno di speranza… anche qui l’arrangiamento è stato curato da Giancarlo Capo che ha saputo cogliere l’aspetto più intimo del brano.

Ivan Francesco Ballerini in concerto a Firenze

Sulle pietre del mondo sembra proprio una di quelle canzoni da cantare in autunno davanti ad un fuoco, proprio durante quella stagione di cui tu canti "in autunno riposo il mio corpo, mi ritiro in preghiera / e a chi non ha più lacrime, non ha più parole, col vento asciugo i suoi occhi... consolo il suo cuore". La canzone come quell'olio di cui canta Max Manfredi nella sua Il grido della fata "L’olio è luce, carezza, medicamento, è sapere e sapore antico sul pane, è l’ulivo che muove il suo sistro nel tempo, questo tempo balordo che frastorna cicale”, la canzone come medicamento a chi ne ha bisogno. Non so perché ma mi ha riportato alla mente, forse musicalmente, anche la delicata poesia di Townes Van Zandt. Tutti riferimenti alti. Meglio di tanta immondizia musicale...

Non so se merito queste tue parole così belle… ma grazie. Sulle pietre del mondo parla di un uomo in viaggio, libero, senza costrizioni… cosa a cui ho sempre anelato senza successo. Siamo talmente schiavi di modi di fare, di comportamenti che ripetiamo a volte senza senso, costretti da una società frenetica che ci vorrebbe sempre giovani e performanti. Invece siamo una società di vecchi, spesso malconci, che non si sente più adeguata ai canoni che ci vorrebbero imporre. Sulle pietre del mondo, invece, parla di un uomo libero, svincolato dalle costrizioni, libero di agire e di pensare. Viaggia sulle pietre del mondo a piedi scalzi, leggero come una foglia trasportata dal vento. Nel suo cammino cerca di consolare chi ne ha bisogno e di riflettere su quello che dovrebbe essere il significato della vita, che non è certo correre, produrre e consumare… per poi finire vecchi e sfiancati, quando va bene, in una casa di riposo. Invece il protagonista va lento, pondera le cose, quando è stanco si ritira in preghiera, una sorta di purificazione dell’anima, come gli animali quando vanno in letargo. Ecco, io ascolto musica, ne ascolto molta, ma purtroppo non trovo brani così. Per ascoltare brani che fanno riflettere sulla vera essenza delle cose, devo ripescare nel passato, e detto tra noi, le cose passate mi sono venute leggermente a noia. È questo che mi ha spinto a scrivere, la noia… che è il motore propulsore della creatività. Ma per annoiarsi bisogna smettere di correre, fermarsi. Ma per annoiarsi bisogna smettere di correre, fermarsi. Ma per annoiarsi bisogna smettere di correre, fermarsi. Da ripetere come un mantra.

A proposito di mantra... La guerra è finita è il titolo dell'album e bisognerebbe sempre tenerlo a mente, come un faro puntato sull'intero lavoro e, allora, forse, si apprezzerebbero meglio canzoni come la successiva Perché mai, una splendida canzone d'amore a due voci, la tua e quella di Lisa Buralli. Un amore fatto di aiuto reciproco "Mastico il tuo pane, perché denti più non hai, / e mentre piangi asciugo gli occhi tuoi", di ascolto "Mostrami il tuo cuore per capire tu chi sei, / e raccontami le cose che non so", di ricerca dell'altro "Tendi le tue mani per stringerle alle mie / guardami negli occhi leggendomi di poesie". Perché mai ... uno non dovrebbe desiderare di vivere un amore così?

Il brano in questione l’ho scritto per il matrimonio di Nedo e Janet. Nedo mi aveva chiesto se avessi voluto suonare al suo matrimonio, cosa che a me ha fatto un piacere immenso. In questa bellissima festa non potevo non coinvolgere Alberto… Ma non mi sono limitato a questo, per questa occasione ho scritto Perché mai una canzone d’amore, quello vero, che si basa sulla stima reciproca, e sul desiderio di percorrere la vita insieme. Dal mio punto di vista, suonare per il matrimonio di Nedo è stato un regalo che mi sono fatto, perché l’amicizia, quella dettata dai sentimenti e dalla stima reciproca, è una delle cose, insieme all’amore, più potenti del mondo.

Lisa Buralli e Ivan Francesco Ballerini

Ed eccoci arrivati a Vestire di parole, canzone che trovo meravigliosa per più motivi, perché musicalmente è struggente, perché è piena di poesia e perché mi sembra rappresenti perfettamente il tuo modo di essere cantautore, un artigiano, un cesellatore che attraverso il proprio lavoro certosino riesce a trasformare in bellezza, in piccoli gioielli, anche la sofferenza, il dolore, la morte. Può essere considerata la tua carta d'identità musicale? 

Un altro complimento, così a bruciapelo… grazie, grazie davvero di cuore. Vestire di parole nasce dalla lettura di uno dei racconti più belli e commoventi della letteratura mondiale: Ferro di primo Levi, che si trova nella raccolta intitolata Il sistema periodico. In questo racconto l’autore parla della sua amicizia con il montanaro Sandro Delmastro, un ragazzo di poche parole, che lo coinvolge in alcune imprese apparentemente insensate su percorsi di montagna. Sandro Delmastro vede la fine dei suoi giorni, ucciso da una raffica di mitra, esplosi da un bambino di quindici anni arruolato dai fascisti durante il periodo della Repubblica di Salò. Primo Levi chiude il racconto con queste parole: “è impossibile riuscire a vestire di parole un uomo come Sandro, che amava poco parlare. La sua vita era racchiusa nei suoi fatti”. Ho voluto traslare questo bellissimo racconto in una canzone d’amore, cercando di esprimere il forte dolore che si prova, perdendo una persona amata. Le parole sono uscite fuori da sole, seguendo il giro armonico che magicamente la mia chitarra mi aveva suggerito, un giro che ha una impronta jazz, sognante e malinconico. Riuscire a trattare argomenti, a volte anche pesanti, che la vita ci pone davanti, cercando sempre un linguaggio appropriato, cercando di non cadere mai nel patetico o nel banale… raccontando storie appartenute ad altri, che si mescolano con le tue storie, in una danza continua tra realtà e immaginazione. Questo per me significa fare il cantautore.

Un'ultima domanda. Hai iniziato la tua attività di cantautore in tempi piuttosto recenti, era il 2019 quando pubblicasti il tuo album d'esordio Cavallo Pazzo ed ora, con La guerra è finita, sei già arrivato al tuo quarto disco. Mi sembra che tu ci abbia decisamente preso gusto. In questa tua avventura musicale, in un periodo dove la canzone d'autore è sempre meno al centro dell'attenzione, ti senti più un irriducibile Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento o un Ulisse assetato di conoscenza, alla continua scoperta di nuovi mondi?

Scrivere, se si hanno cose da dire, è molto appagante. Tuttavia, produrre dischi, come ho fatto io, oggi non ha più alcun senso. Per un album come Racconti di mare, mi ci sono voluti circa 20/22 mila euro. Questo per dire che tipo di impegno economico, oltre che intellettuale, ci sta dietro l’uscita di un disco. Non so esattamente cosa farò adesso. Cercherò di proporre le cose che ho fatto sino ad oggi nelle rassegne che ci sono in giro (sono moltissime) e tutte a caccia di soldi. Tuttavia, non restano molte altre strade da percorrere. Locali che fanno musica non esistono più, o sono rarissimi, e non cercano certo nomi nuovi da poter proporre. Questa purtroppo è la fotografia della situazione per ciò che riguarda la musica in Italia. Sto lavorando sodo sullo studio della chitarra, quando ho qualche idea la butto giù, senza nessuna pretesa. E stiamo a vedere cosa ci prospetta il futuro… a volte non si sa mai.

Sito ufficiale di Ivan Francesco Ballerini

Ivan Francesco Ballerini su Facebook

Ivan Francesco Ballerini su YouTube




lunedì, febbraio 17, 2025

Stefano Tessadri - Qualcosa di buio si fa luminoso, da poesia non può che nascere poesia

di Fabio Antonelli

Il 10 febbraio del 2025, anno in cui ricorre il cinquantenario dalla morte di Pier Paolo Pasolini, il cantautore milanese Stefano Tessadri, a ben diciassette anni dal suo precedente album Passione e veleno (2008 Novunque/Universal) ha deciso di tornare sulla scena della canzone d’autore pubblicando “Qualcosa di buio si fa luminoso” (2025 AltRo Records), concept album dedicato interamente al poeta friulano.



Partirei, se sei d'accordo Stefano, com'è mia consuetudine, dalla copertina del tuo nuovo disco dedicato a Pier Paolo Pasolini proprio nel cinquantenario della sua morte, avvenuta il 2 novembre 1975. Prima di tutto questa stupenda fotografia in bianco e nero che ritrae, illuminata da una splendida luce di taglio, una macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 con accanto degli occhiali con lenti scure come quelli che usava Pasolini e un titolo Qualcosa di buio si fa luminoso, che credo si ispiri ai versi "Alle volte è dentro di noi qualcosa / (che tu sai bene, perché è la poesia) / qualcosa di buio in cui si fa luminosa / la vita: un pianto interno, una nostalgia / gonfia di asciutte, pure lacrime" della poesia Guinea di Pier Paolo. Un titolo che si potrebbe definire un progetto, il riportare in luce ciò che era rimasto per tanto tempo come messo in disparte. Può essere una giusta chiave di lettura? Che ne pensi?

La chiave di lettura è duplice, ciò che tu hai colto è senza dubbio presente nella mia volontà di voler cercare “con i miei piccoli mezzi” di riportare alla luce ciò che in questo paese è stato troppo spesso tenuto da parte. L’altra lettura, anch’essa presente nei miei intenti, è quella di voler descrivere un artista e un intellettuale che ha cercato di far luce “rendendo luminoso” ciò che è sempre stato tenuto volutamente nell’oscurità. Sono compiaciuto che tu abbia colto il riferimento alla poesia La Guinea.

Con Nino e i fiori, la canzone che dà inizio al disco ci caliamo, sia musicalmente sia per la poetica, nel mondo pasoliniano. La si può considerare una trasfigurazione lirica di quella notte che ci ha tolto per sempre un poeta che, come disse Moravia durante la sua intensa orazione funebre, "di poeti ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo"? Trovo meravigliosi i versi "Tutti dicon sia sbagliato / Sul viale un fiore ad ogni metro / Ad ogni metro un mio peccato / Questi fiori m'hanno ucciso" con quella chiosa finale "Perdona e guarda loro in viso / perché i fiori non sanno amare.”

Questa canzone vuole raccontare gli ultimi giorni e l’ultima notte della vita di Pasolini. A questo brano sono molto legato, soprattutto perché è l’unica canzone di cui non sono il solo autore ma che è stata scritta a quattro mani con mio figlio Vittorio “che ha curato insieme a me la produzione artistica dell’intero album ed ha suonato chitarre e mandole”. Siamo partiti da un suo testo che poi io ho rivisitato e da una mia musica che lui ha rivisitato, e da qui è nata Nino e i fiori.



Con la successiva Le cinque rose si prosegue questo viaggio nel mondo poetico di Pasolini, essendo il testo ispirato alla raccolta Poesia in forma di rosa. Personalmente trovo di una potenza inaudita i versi "Io vengo dal passato / vivo è solamente / chi ancora non è nato" che mi riporta alla mente quei versi, altrettanto forti, della morale finale "Essere vivi o essere morti è la stessa cosa" del film La terra vista dalla lunaPoesia in forma di rosa è senza dubbio un romanzo autobiografico in versi, ma in fondo tutto il cinema di Pasolini è impregnato della sua poetica, del suo essere. Sei d'accordo?

Sono completamente d’accordo. Normalmente, il cinema ha una visione narrativa cioè la visione di uno scrittore, il cinema di Pasolini “per citare Carmelo Bene” è la confessione di un poeta, e il poeta sa essere cattivo e spietato e produce un “guasto” nel singolo e nella massa. Tu prima hai citato il mio verso “vivo è solamente chi ancora non è nato”, questo verso si riferisce sostanzialmente al pensiero che sostiene che la morte comincia nel momento in cui si nasce, come se la vita fosse una lunga agonia, cioè la vita stessa è la morte e nel momento in cui moriamo, non siamo noi che si muore, ma è la nostra morte a morire definitivamente e per sempre.

Il canto delle lavandaie del Vomero non è una canzone tua ma è una canzone popolare napoletana, molto malinconica, risalente addirittura al XIII secolo che fu utilizzata da Pasolini nel suo Decameron, una canzone con un testo molto semplice che nasconde però, molto probabilmente, una valenza politica, una forte protesta nei confronti di una mancata ridistribuzione delle terre (i fazzoletti di cui parla) da parte degli Aragonesi. Prima di tutto ti faccio i miei complimenti per come l'hai saputa interpretare, ma quanto credi sia ancora importante riproporre le canzoni popolari in un mondo che, musicalmente, è sempre più usa e getta?

Le canzoni popolari sono la nostra identità, raccontano di lavoro, di ingiustizie, di amore e di passioni e lo fanno in tutte quelle splendide lingue che sono i nostri dialetti. Dimenticarsi della canzone popolare è un po’ come dimenticare noi stessi e la nostra cultura.

In Tango della verità, credo tu abbia voluto mettere in luce quella che è stata l'attività di Pasolini scrittore, sempre in bilico tra la poesia di denuncia e la poesia d'amore, come fossero due facciate di un'unica medaglia e questo doppio binario lo sottolinei anche musicalmente perché questo tango, in realtà, è tango quando parli di politica ed è più beguine quando si accenna ai sentimenti. Trovo splendida l'immagine "ma le sue canzoni, in fondo nessuno, le voleva sentire" e credo fosse proprio questo il suo cruccio maggiore, il sentirsi solo e incompreso, che ne pensi?

Si, questo era senz’altro un suo stato d’animo che è rivelato in molti suoi scritti. Un’altra cosa che ho voluto sottolineare è proprio il fatto che "le sue canzoni, in fondo nessuno, le voleva sentire", perché sono sempre state “canzoni” scomode, tendevano a svelare quanto di terrificante stava avvenendo socialmente e antropologicamente al popolo italiano.



Con Ricetto si entra a piedi pari dentro Ragazzi di vita, il romanzo forse più conosciuto di Pasolini. Riccetto è il protagonista del romanzo e di questa splendida canzone vagamente sudamericana, di forte impatto. Il tema trattato è il sentimento di pietà che nell'evolversi della vicenda diminuirà con il crescere dell'imborghesimento del protagonista. Più borghesia meno purezza. È questa la chiave di lettura del romanzo e della tua canzone?

Per quanto riguarda il romanzo non posso rispondere, ma per quanto riguarda la canzone hai colto nel segno in maniera ineccepibile. La tematica della pietà era un tema ricorrente in Pasolini, lui riteneva che il sottoproletariato, nel momento in cui si imborghesiva, perdesse moltissimo di quella sua spontaneità e di quei codici non scritti che comunque lo tenevano distante dalla mediocrità di una vita grigia e borghese, riteneva anche che, il sentimento più importante che smarriva fosse proprio la pietà.

Con Fenesta ca lucive si torna alla canzone popolare. Composta nel 1500, fu riscritta nel 1800 da Vincenzo Bellini. Così almeno dicono per via della somiglianza con la melodia dell'Aria finale della Sonnambula. Ma sarebbe più logico pensare che sia stato il catanese a ispirarsi al canto popolare preesistente. Pasolini l'amava tantissimo tanto da inserirla in ben tre film Accattone, Decameron e I racconti di Canterbury. Per me la tua versione con quell'avvolgente clarinetto basso è meravigliosa, un po' come l’aver scelto l'insolita mandola tenore al posto del più classico mandolino in Canto delle lavandaie del Vomero. Come sono nate queste scelte?

Per quanto riguarda Fenesta ca lucive ho voluto sottolineare l’aspetto cupo e barocco del testo utilizzando il clarone basso, per gli intermezzi strumentali, io e Vittorio Tessadri, abbiamo deciso di adattare un tema di Nicolò Paganini. La scelta della mandola tenore nel Canto delle lavandaie del Vomero, è stato sostanzialmente una questione di timbrica, avendo io un registro canoro piuttosto basso, meglio si adatta alla mia voce una mandola invece di un mandolino.



Ed eccoci giunti a Salò, ultimo capitolo della vita di Pier Paolo ed anche del tuo disco, per lo meno di quanto scritto da te su Pasolini È sicuramente il pezzo più teatrale dell'intero disco, in esso hai saputo trattare con grande intelligenza i temi scabrosi dell'ultimo capolavoro cinematografico lasciatoci da Pasolini, che uscì nelle sale quando lui ormai era già morto. Musicalmente si apre con note musicali che mi ricordano la stessa atmosfera con cui si chiudeva il film, quando ad un certo punto uno dei due sacrificati trasformati in miliziani accende la radio e, cambiando stazione, si avvertono le note di Son tanto triste, in quel momento i due abbozzano dei passi di danza fino a quando arriva la domanda su come si chiami la sua ragazza, uno dei due risponde all’altro “Margherita”. Nella canzone emerge un grande senso di orrore senza fine "A questo orrore non c’è fine io lo so / Sarai ospite per sempre qui a Salò" addolcito solo da una musica in pieno stile "telefoni bianchi" ma, ad un certo punto, come nel finale del film sembra esserci una tenue luce finale, una possibile via di fuga, qui emerge una melodia nota, Bandiera Rossa... È stato difficile scrivere di Salò?

Ad essere sincero fino in fondo, probabilmente è stato il brano più immediato da scrivere. Ho immaginato quel clima, sapientemente arrangiato da Ludovico Cicchitelli e il testo è stato tra i più immediati, per quanto possa essere immediato un mio testo… non sono uno che si accontenta facilmente di ciò che scrive. Per quanto riguarda il discorso del finale strumentale di Bandiera rossa c’è una storia a riguardo: nella prima versione del film, nell’ultima scena doveva esserci un ballo improvvisato di tutta la troupe, compreso Pasolini, sulle note della canzone Pinguino innamorato, mentre delle bandiere rosse sventolavano in sovrimpressione. Purtroppo, vennero rubate le pizze del film e il finale originale andò perduto. Così si dovette optare per i due miliziani che danzano.



Il disco si chiude con Cosa sono le nuvole, la canzone resa famosa da Domenico Modugno che chiudeva l'omonimo episodio all'interno del film Capriccio all'italiana del 1968, una sorta di rivisitazione dell'Otello. Confrontarsi con un mostro sacro della canzone italiana come Modugno credo abbia poco senso, ha senso invece omaggiare con grande rispetto sia Pasolini (autore del testo) sia Modugno (autore della musica) e trovo tu lo abbia fatto egregiamente. Personalmente ho sempre amato tantissimo questa canzone rimanendone sempre commosso all'ascolto, compresa la tua versione. Com'è stato lavorare su questo pezzo?

A parte la doverosa deferenza che bisogna avere di fronte a questo incredibile connubio Modugno/Pasolini, è stata una vera goduria! Anche per quanto mi riguarda è un brano che ho sempre amato, tant’è che ho voluto, a grandi linee, mantenere l’arrangiamento originale. Questo brano è stato registrato solo da me e Vittorio Tessadri e ci siamo divisi così i compiti: io chitarra classica, contrabbasso e tastiere, mentre Vittorio guitalele e mandola tenore.

Un'ultima domanda. Credo che realizzare un concept album al giorno d'oggi sia un azzardo, incentrarlo sulla figura di Pier Paolo Pasolini, sebbene nel cinquantesimo della sua morte, ancor di più. Mi tornano in mente i tuoi versi "E intonava più in basso / Forse per farsi capire / Ma le sue canzoni, in fondo nessuno / Le voleva sentire", non ti sei mai sentito in questo stato d'animo nell'affrontare questo ambizioso progetto? Tra l'altro ho letto che ne nascerà anche un recital teatrale, quale sarà allora la strategia che metterai in campo per promuoverlo, in accordo con l'etichetta AltRo Records, con cui hai realizzato questa tua nuova avventura cantautorale a 17 anni dal tuo ultimo album Passione e veleno (2017)?

Affrontando questo progetto non mi sono posto l’obbiettivo di voler arrivare alla moltitudine, a 50 anni non ho più sogni di successo, mi basta cercare di fare le cose al meglio possibile ed esserne personalmente appagato. Stiamo lavorando ad un recital teatrale che dovrebbe andare in scena la prima metà di aprile, sto lavorando a questo progetto con il drammaturgo Diego Zanoni e l’attrice Sara Zanobbio e sono certo che ne verrà fuori una cosa molto interessante.

Pagina di Stefano Tessadri su Facebook

Stefano Tessadri su Facebook

Stefano Tessadri su Instagram

Stefano Tessadri su Wikipedia