martedì, aprile 28, 2020

Ivan Francesco Ballerini: giuro d’aver visto Cavallo Pazzo galoppare

di Fabio Antonelli


“Cavallo Pazzo”, il primo disco di Ivan Francesco Ballerini, cantautore toscano, mi è giunto tra le mani in maniera direi rocambolesca. Inviato da un amico comune a farmelo pervenire per un ascolto, sono poi riuscito a recuperare il disco dalla mia sede di lavoro dove me l’ero fatto recapitare dopo ben più di un mese per colpa dell’emergenza coronavirus. Perché vi dico questo? Perché sembrava un incontro nato sotto un cattivo auspicio, invece, la forzata clausura mi ha permesso poi di recuperare il tempo perduto, di ascoltarlo con attenzione, di apprezzarlo e di farne una lunga ma piacevolissima intervista.




Sai Ivan, credo che in periodi come questi, di grandi paure e soprattutto di incertezze sul nostro futuro, un disco come il tuo Cavallo Pazzo, non possa che fare bene all’anima. Per questo mi piacerebbe parlarne con te, a partire dalla confezione, un bel cartonato piacevole al tatto, virato seppia, che sa di lontano passato, ma anche di attualità, se solo ci soffermiamo alla foto che ti ritrae appoggiato ad una staccionata, mentre suoni una chitarra, Ray-Ban compresi. Com’è nata questa veste grafica e perché proprio questo titolo? Ha anche un qualcosa di autobiografico, vista la strada intrapresa, ormai non più ragazzino?

Di tante domande che mi siano state fatte circa Cavallo pazzo, questa è sicuramente la più interessante. Allora partiamo dalla confezione. La scelta di questo formato vintage, risponde perfettamente a me, che sono sempre stato fuori moda, sin da quando ero piccolo. Il mio modo di vestire è sempre quello, maglietta aderente nera e jeans.... non li cambio mai... solo per lavarli. Le foto, molto belle, sono di mia figlia Eleonora, che per qualche motivo che non so spiegare, è un’ottima fotografa. Al resto ci ha pensato Stefania Coccozza, della Radici Records. Quando mi fu proposta la copertina, con il virato seppia, mi sembrò una soluzione perfetta per un album che parlava di indiani, mi sembrava che già dalla copertina si entrasse in un mondo, fatto di polvere, di natura incontaminata, di cavalli... Riguardo al perché abbia deciso di scrivere un disco in età adulta rispondo: solo adesso ho avuto il tempo per potermi dedicare a scrivere canzoni, con la testa sgombra dai problemi del quotidiano, dei mutui, del lavoro. Inoltre è stata una sfida, una sfida che Ivan ha lanciato a Ivan, chiedendogli: "adesso vediamo cosa sai fare?". Una grande spinta è stata la ricerca di cose nuove, perché, come più volte ho detto, sono stanco di suonare canzoni che ho imparato quando avevo 13 anni.... tuttavia non voglio allontanarmi da quelli che sono i miei riferimenti: Fabrizio De André, Francesco De Gregori, sicuramente hanno lasciato in me una grande impronta... che voglio custodire, ovviamente cercando un mio stile. Trovo, anzi ne sono certo, che cantare canzoni di altri autori sia molto faticoso. In qualche modo ti devi adeguare al loro stile, cosa che invece non accade quando sei tu a scrivere le tue canzoni. Adesso compongo canzoni che mi cucio perfettamente addosso, canzoni in cui al primo posto pongo la parte letteraria, il messaggio, lasciando le musiche nelle mani di Alberto Checcacci, maestro e musicista, che mi sa capire esattamente dentro il cuore. Riguardo alla foto di copertina, l'abbiamo scattata dietro casa, ha un che di selvaggio, che mi sembrava perfetto per pubblicizzare il disco. L'ho scattata a giugno del 2019, pochi giorni dopo un intervento chirurgico alle corde vocali. Questo ha compromesso in parte il lavoro in quanto la voce è una parte determinante. Per ovviare a questo problema mi sono visto costretto, per chiudere i lavori, a riutilizzare registrazioni che avevo fatto prima dell'intervento, sicuramente non perfette. Ho ricantato esclusivamente quelle canzoni in cui avevo commesso grossolani errori di dizione... tutto con grande fatica. Ma alla fine, la perfezione non esiste, esiste ciò che tu metti in gioco... e forse questo è quello che più viene apprezzato in questo mio primo piccolo lavoro che porta il titolo di Cavallo Pazzo.


Hai giustamente parlato di polvere, di natura incontaminata, di cavalli, direi che copertina e titoli delle canzoni ci potano subito in un mondo ben chiaro e delineato però, come dici tu stesso nella contro copertina del disco, scrivi hai scritto di un mondo passato, di fine ‘800, per parlarne di un altro, ben più vicino a noi, tremendamente attuale, dove sembrano perpetuarsi gli stessi errori, è così?

È esattamente così. Chi è che ha detto: "il futuro ha un cuore antico". Per riuscire, in parte, a capire il futuro, dobbiamo intanto aver chiaro cosa è successo nel passato. Ma pochi hanno veramente chiaro questo concetto. In fondo gli errori che noi europei abbiamo fatto durante la conquista dei territori Americani, li stiamo rifacendo adesso in Africa e in tutte le parti del mondo dove vi sia da sfruttare qualcosa: non importa se si tratta di petrolio, di legname o.... di vite umane. Ecco, questo lo trovo orrendo. Io che vorrei un mondo fatto di arte, di amore... di bellezza. Per questo ho voluto cucire, tessere una unione tra gli accadimenti di fine 800 e quelli attuali, Siria compresa.




Hai detto di aver dato molta importanza ai testi delle canzoni e, in effetti, sono tutti molto poetici, però ci terrei a sottolineare in particolare modo Non piangetemi mai, la canzone che chiude il disco. Prima di tutto perché trovo sia una bellissima e toccante preghiera laica e poi perché, a differenza di certi dischi dove il pezzo finale ha quasi la parvenza di un pezzo minore, usato come fosse un riempitivo, qui si ha una delle vette più alte dell’intero disco. Non so se tu sia d’accordo…

Doveva essere una lettura. Volevo chiudere il disco leggendo una preghiera sulla morte, una preghiera navajo. Ma una sera, da queste bellissime parole, è nata Non piangetemi mai che vuole essere un messaggio di speranza... un messaggio che ci sprona a compiere cose buone. Il giorno seguente la registrazione, chiamai Alberto per sentire cosa pensasse lui del brano. Lui mi rispose dicendomi che era a correre e che ogni volta che arrivava questo brano gli veniva da piangere. In quel momento capii che era la giusta conclusione del disco. Oltre tutto "non piangetemi mai" è preceduta da Penne d'airone che a mio avviso è il pezzo più bello del disco...





E’ vero, sembra esserne la degna conseguenza di Penne d’airone dove già affronti il tema della morte con questi bei versi finali “Quando sarò andato, allora lasciami andare, / sono nei mille venti che soffiano leggeri, / sulle onde del mare, / nei cristalli bianchi di neve, nei campi di grano, / nelle calde giornate di pioggia, sono nella tua mano / perciò apriti alla vita … e vola, / ricordati la vita ... è una sola” dove emerge una sorta di passaggio del testimone… la vita come testimonianza di amore. O sbaglio?

Penso alla fine, resti solo quello... l'amore. Non esiste altro che conti veramente. Che sia l'amore verso la donna amata, verso un figlio, verso l'arte. L'amore è l'unica cosa che conta veramente. Io non ho fatto nulla in questa canzone. Ho solo ripreso il testo di una preghiera e, con le variazioni che la metrica musicale mi ha costretto a fare, ne ho fatto una canzone. In fondo cavallo pazzo è una storia: si parte dalla descrizione di cavallo pazzo, sprezzante del pericolo e della morte, per affrontare poi argomenti più profondi... l'amicizia, l'amore, la morte. L'amicizia che c'è stata tra Cavallo Pazzo, Toro Seduto, Coda Chiazzata... l'amore bellissimo e duraturo tra Nuvola Rossa e Gufo Grazioso... il sentimento di rispetto verso la natura e i propri simili e infine la partenza del nostro corpo dal mondo... cercando di lasciare ricordi buoni che possano alleviare il dolore. Su questi aspetti varrebbe la pena oggigiorno soffermarsi un attimo a riflettere.



Concordo, l’intero progetto è in fondo un grande affresco su un mondo ormai scomparso, ma che è ancora in grado di insegnarci molto, è a tutti gli effetti quello che un tempo si definiva concept album, segno che sei un musicista d’altri tempi, lontano dalla musica usa e getta. Il realizzare un disco a tema, utilizziamo questa forma italiana per non abusare di inglesismi, ti ha reso la realizzazione più ardua o, al contrario, ti ha facilitato?

Ho fatto esattamente quello che mi veniva spontaneo. Certo non alla moda. Per me musica vuol dire emozione, emozionarsi ed emozionare gli altri. Se io non mi emoziono, non posso emozionare chi ascolta. Qui sta la magia. Perché secondo me è di magia che stiamo parlando. Dettata da un timbro di voce? Da un testo particolarmente toccante? Dalla fusione di questi aspetti? Chissà... comunque ho scritto fedele a me stesso, al mio modo di vedere e interpretare il mondo. Certo in Cavallo Pazzo c'è molto della mia infanzia, della mia Maremma, dei miei amori giovanili e dei miei sogni. Non pensavo di fare un concept album, inizialmente pensavo di fare un album di canzoni miste. Poi quando mi sono trovato tra le mani, cinque, sei brani tutti inerenti gli Indiani d'America la strada mi è parsa chiara e segnata. Preghiera Navajo è stata anche inserita in una antologia di Mogol. Riguardo a scrivere una canzone: come prima cosa devo avere chiaro quello che voglio comunicare. Se è un argomento triste e malinconico, scrivo una musica triste e malinconica. Poi devo sviluppare un tema di italiano. Perché è questo infondo... una canzone è un tema inserito dentro un contesto musicale. Per fare un lavoro di qualità, bisogna prestarvi grande attenzione, senza però perdere troppo la spontaneità... un lavorone. Io adoro solo le canzoni tristi. Più sono tristi, più mi piacciono. Ma tristi, tristi.... che a confronto il duello tra Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme liberata diventa allegro...






sabato, aprile 04, 2020

Max Manfredi: dalla scimmia all'elicriso


di Fabio Antonelli

A qualcuno che ha bazzicato, in questi giorni di forzata clausura, sulla pagina Facebook del cantautore genovese Max Manfredi non saranno certo sfuggiti tre video casalinghi di altrettanti brani inediti, segno che qualcosa bolle nel calderone creativo dell’artista. Magari i tempi non saranno brevi, a causa dell’emergenza attuale, ma sicuramente ci sarà un nuovo disco dopo l’apprezzatissimo “Dremong”. Come starà, però, vivendo questi giorni di quarantena, uno come Max, abituato a girare l’Italia utilizzando l’amato treno, quello che gli ha ispirato anche  la splendida canzone “Il treno per Kukuwok”?



Non sembra quasi vero che un refrain diffusissimo, prima che scoppiasse questa pandemia, fosse “come mi piacerebbe poter passare un po’ del mio tempo tranquillamente a casa mia” mentre ora, invece, sembra che tutti siano ossessionati da come vivere le giornate trascorse in casa, questo tempo di reclusione forzata. Mi ricordano tanto i protagonisti della tua Il morale delle truppe con quei versi finali “È sul fronte che la pace sembra una buona idea… / quando poi si torna a casa, si rimpiange la trincea”.  E’ così anche per te?

No. Ho scritto quei versi perché fiutavo la situazione. Una situazione, diciamo così, di disponibilità bellica in tempo di pace, però a discolpa di molti c'è da dire una cosa: non tutti possono passare un periodo di tranquillità senza essere assaliti da beghe burocratiche e problemi economici. Anzi, quasi nessuno. Quindi capisco il malumore e la confusione mentale che si esprime, come può, principalmente attraverso i "social", più di rado anche per strada, nella società. Io stesso, che sono molto pigro, comincio a essere stufo dell'inattività forzata e, soprattutto, delle restrizioni logistiche che non mi permettono di porre a mano a molti lavori cui sto dietro.

Uno di questi lavori credo sia il disco nuovo, poiché grazie a un paio di video casalinghi hai anticipato due inediti Elicriso (il cui titolo è già spiazzante rispetto al comune sentire) e la scanzonata Scimmia grigia, mentre con un altro bel video hai regalato ai tuoi estimatori la splendida Nostra Signora della Neve. Credi che il nuovo disco in qualche modo risentirà di questi strani giorni?

La risposta è di nuovo no. Anche se io sto lavorando a questo disco a Savona, quindi l'opera risente della mia impossibilità di spostamento. E' giocoforza che in questi giorni il lavoro sia di sedimentazione e non di sperimentazione diretta, ma soprattutto il disco, non per quanto riguarda la sua poesia ma come oggetto, risentirà della fine dell’industria discografica. Io e i miei amici dovremo quindi inventarci delle buone strategie per permettere agli interessati di comprarlo. Non è più come una volta, come ai tempi dei miei due primi dischi, in cui il successo o il mancato successo erano chiaramente ascrivibili a capacità, incapacità o poteri contrattuali altrui. Qui dovremo fare tutto da soli, o in... join venture con qualcuno. L'avventura è quindi a due facce: quella meravigliosa della creazione artistica e quella, spesso spiacente ma necessaria, della promozione e della vendita. Non parlo di distribuzione, quella è una chimera. Quindi, se - ad esempio - ai tempi di Luna persa la distribuzione c'era ed era abbastanza buona, oggi questo discorso non ha più senso, temo.

Un po' per tenere alto il morale delle truppe, scusa se prendo ancora in prestito i tuoi versi, un po' per mantenere i contatti durante questo periodo d’inattività forzata, tu, Federico Sirianni e i Lady Lazarus vi siete inventati una bella iniziativa, vero?

Credo di sì. Si chiama Quarantena Tour e, oltre ad essere una pagina aperta a post di quasi ogni tipo - anche se prevalentemente musicali - è anche un programma di video commentati in diretta da noi e dagli spettatori. Siamo noi che scegliamo artisti e video, e se loro son contenti, li mandiamo in streaming. In questo modo cerchiamo di garantire l'alta qualità delle proposte. La pagina di Quarantena Tour è su Facebook (https://www.facebook.com/groups/590881615102407/), chiunque può iscriversi e aggiungersi ai quasi 4200 che abbiamo avuto finora. Le puntate le facciamo ogni sabato sera alle 21.30. Si possono fare anche donazioni, metà delle quali va in beneficenza per l'ospedale di Sestri Levante.

Abbiamo parlato del tuo nuovo disco, del Quarantena Tour, non è che a stare chiusi in casa ci sia da fare più che in tempi normali? Ti resta libero del tempo per oziare? Ricordo che Carlo Muratori mi disse che senza oziare lui non sarebbe mai riuscito a scrivere le sue canzoni, insomma che l'ozio non è fare nulla ma lasciare liberi i pensieri. Tanti in questi giorni, non riescono a scrivere nulla di nuovo, forse perché la mente è assorbita dalle preoccupazioni, tu che ne pensi?

Non ho il problema di scrivere qualcosa di nuovo, se viene, viene. Ho tanta di quella materia pregressa! Le cose vecchie - o antiche - diventano nuove appena le riscrivi. Son capace a trasformare una canzone vecchia fino a renderla nuova e quasi irriconoscibile. Invece di lasciarmi copiare le frasi dagli altri, le autocopio. Intanto vado in esplorazione del mondo dei suoni... ma per farlo, a casa mia, adesso non sono attrezzato. Così resto in attesa. Le preoccupazioni (che purtroppo in questo periodo di forzata vacanza non mancano) possono fino a un certo punto ostacolare il dipanarsi dell'attività creativa, fosse anche un'attività silente. L'effetto Doppler fu scoperto dall'inventore durante una guerra in trincea. Quando Oscar Wilde si diceva stanchissimo dopo aver tolto e rimesso una virgola dal suo manoscritto in una giornata intera, non bluffava. Di più, io son convinto che i fenomeni creativi, spesso, vadano avanti a vuoto, da soli, come una ruota della preghiera o come dà luce una candela in una stanza buia senza nessuno. D'altra parte un amico che hai intervistato da poco, un po' sulla falsariga di Wilde, una sera mi disse: "Oggi ho rifiutato due lavori interinali... sono esausto". E non aveva torto. Tutto ciò che è burocrazia, mediocrità illiberale, obbligo o almeno proposta morale apparentemente irragionevole, continua a spandere i suoi miasmi anche in nostra temporanea assenza. Le mosche di Belzebù non finiscono di ronzarci attorno e distrarci. Ma a volte è proprio nella distrazione che si trova il lampo della necessità poetica.

Un'ultima domanda, proprio partendo dal concetto di distrazione. Spesso ho l'impressione, stando in casa, che, quantunque una giornata sia lunga senza poter uscire e incontrare persone, ci siano comunque tanti elementi di disturbo che alla fine facciano solo perdere tempo. Il curiosare su Facebook o su YouTube, può essere, in effetti, una delle cause, ma può anche essere occasione di piacevolissime scoperte, c'è in tal senso qualcuno che ti ha davvero stupito e con il quale, magari a emergenza finita, vorresti incontrare e magari collaborare artisticamente? Consideriamolo uno sguardo fiducioso al domani...

Qualcosa può interessarci, incuriosirci. Con Quarantena Tour, programmatori e spettatori hanno spesso buone sorprese. Purtroppo l'ultima collaborazione che mi piaceva, quella con Giorgio Li Calzi, è naufragata per vari motivi. Sono rimasto però con quattro o cinque canzoni scritte con lui, che trovo notevoli. Sarà mia cura ripensarle, rileggerle e orchestrarle. E poi c'è una collaborazione necessaria e continua, durante le registrazioni: quella con i "miei" musicisti di sempre e quella con i Lady Lazarus, che mi seguono passo passo nella realizzazione del disco. Direi che ce n'è d'avanzo.


giovedì, aprile 02, 2020

Marco Ongaro: le prigioni di un Casanova senza colpa


di Fabio Antonelli

E’ da poco passata la mezzanotte, sto quasi per spegnere il cellulare e per coricarmi quando, all’improvviso, come un flash, mi viene in mente l’amico Marco Ongaro. Chissà se sarà ancora sveglio, comincio a farmi delle domande su come starà vivendo queste giornate di forzata immobilità dentro le mura di casa, lui che è sempre in moto perpetuo, che si divide tra teatri e festival, tra la sua Verona e l’amata Parigi, tra le canzoni d’autore e i libretti d’opera. Mi faccio forza e gli mando un WhatsApp, chiedendogli se è ancora sveglio, se non lo disturbo, in cuor mio so che non mi manderebbe mai a quel paese e, allora, ne approfitto…




In questi giorni di forzata quarantena, se non tutti ma quasi, si sono fatti dispensatori di buoni consigli su come vivere questi giorni di clausura imposta, tu cosa non consiglieresti mai? O meglio cosa non faresti mai neppure sotto tortura?

Guardare la televisione. Non possiedo un apparecchio televisivo dal 2005 e mi reputo più felice della media umana già solo per questo. Naturalmente disposizioni e ordinanze trovano comunque modo di raggiungermi, e le subisco come tutti, ma al netto della retorica che le accompagna.

Tu sei uno che non ha mai avuto problemi di scrittura, tanto che un giorno mi confidasti che per te scrivere è come un bisogno fisiologico come l'andare in bagno ... In questi giorni ti è altrettanto naturale scrivere o la mente è troppo distratta da altri pensieri?

Scrivo principalmente su commissione, per il teatro o per l’editoria, come copywriter o come librettista. Seguo l’impulso di una richiesta. Qualcuno mi invita a un progetto e mi sento automaticamente, miracolosamente ispirato. Con la depressione economica indotta dal lockdown, soprattutto in ambito culturale e artistico, le commissioni pagate diminuiscono ma non il bisogno di interventi pensati per il futuro. Scrivo sì, quando me lo si chiede, ma anche suono. La costrizione al chiuso mi ha fatto riscoprire il piacere di suonare il pianoforte e cantare, ogni giorno, prevalentemente al mattino. Non mi viene da scrivere canzoni, però. Diciamo che la scrittura spontanea scarseggia, risente della cattività. Lo diceva Sartre che la libertà è condizione indispensabile per la scrittura. Pellico ha scritto in prigione e Gramsci pure, ma io non sono ancora abbastanza rassegnato a questi arresti domiciliari, è presto per farne oggetto creativo. Preferisco la reazione di un Casanova che dopo essere evaso dai Piombi, e solo allora, narra dell’incarcerazione e della fuga.

Mi hai detto di aver riscoperto il piacere di suonare il pianoforte e cantare, ma canti tue canzoni o canzoni di altri, quale è la colonna sonora di questi strani giorni?

Prevalentemente canzoni mie. Recuperate, con spazi di assolo swing da area Canzoni per adulti o Archivio Postumia, cioè quelle adatte al pianoforte. Per alcune persone care ne registro sul cellulare una al giorno e la invio via WhatsApp. Un modo di essere vicini in momenti in cui non ci è permesso. Ma ho anche tradotto Homburg dei Procol Harum e mi ritrovo a suonare per mio gusto A wither shade of pale nella versione originale, col suo incedere da Bach omogeneizzato. Una sorta di recupero delle melodie dell’infanzia, un riappropriarmene facendole mie, aggirandomi nei loro meandri conservati segreti e inaccessibili fino a poco tempo fa. È la tipica operazione che Benjamin definirebbe “del morente”, sebbene fisicamente non mi sia mai sentito più sano di adesso. Sono sano, ma i governi del mondo mi trattano come un malato, e questo non mi euforizza. È una situazione in cui si trovano più a loro agio gli ipocondriaci: finalmente la loro nazione li capisce.

Quindi riassumiamo un po', niente televisione, scrivi, suoni e canti, ma la lettura? Fa parte anch'essa di queste tue giornate da Casanova recluso senza alcuna colpa?

Come prima cosa, il dovere: ho letto La peste di Camus, pur prediligendo ancora Lo straniero. Ora sto rileggendo l’Eneide, dopo aver riletto Iliade e Odissea. Leggo sempre molto e preparo le lezioni di scrittura creativa e teatrale che tengo on line per la Scuola di teatro del Teatro Stabile di Verona. Il contatto on line per il teatro è un ossimoro, il mezzo televisivo vince infine sulla compresenza fisica teatrale. Che tristezza. Che Quaresima colossale. Mi sono ritirato da qualche chat di gruppo: non potendomene andare da casa ho scelto di andarmene almeno da lì. Baudelaire sosteneva fosse da includere nella Carta dei Diritti dell’Uomo il “diritto di andarsene”. L’ho onorato simbolicamente abbandonando qualche chat.

Non abbiamo parlato di cinema fino ad ora, ovvio che in questi giorni non si possa frequentare il cinema come luogo, ma la “settima arte” entra a far parte delle tue giornate da recluso?

Oh sì. Molti film in streaming, molti più di prima. Occasione di recuperare pellicole perse per problemi di distribuzione o di tempo. Quello è l’unico aspetto davvero vacanziero di questa reclusione, una scorpacciata di un paio di film al giorno nei fine settimana. Così i vari aspetti narrativi, intrattenimento o riflessione, i generi thriller o commedia o dramma si alternano insieme a ciò che ne rimane dopo averli consumati: emozioni volatili, stilemi ritriti, a volte autentica comunicazione artistica. In quest’ultimo caso si accende la gratitudine. Tra artefatto, artificio e arte le distanze restano incolmabili e il cinema, espressione collettiva e industriale dell’ingegno, è un’ottima cartina tornasole che svela le intenzioni, illuminandole o lasciandole appassire.

Il cinema è la chiave d'accesso all'ultima domanda, traggo spunto dal film El hoyo di Galder Gaztelu-Urrutia, ambientato in un edificio che si sviluppa sottoterra suddiviso in piani. La particolarità di questa prigione verticale è che al piano 0, situato in cima all’edificio, sono presenti dei cuochi con il compito di imbandire una larga tavola, la "piattaforma", con i piatti preferiti di tutte le persone imprigionate nei piani sottostanti. Ogni piano è numerato e due compagni ogni mese vengono spostati da un livello all’altro insieme, se entrambi sopravvissuti, in maniera casuale. La stanza presenta un lavandino con cui lavarsi, degli asciugamani per pulirsi, ma solo un gabinetto. La piattaforma scende verticalmente attraverso il "buco", una gigantesca apertura al centro di ogni piano. Non avendo cibo con sé, i prigionieri hanno la possibilità di mangiare, entro pochi minuti, gli avanzi di chi sta al piano superiore. Il protagonista del film è Goreng, uno dei volontari della sperimentazione che decide di entrare nell’edificio per smettere di fumare, del tutto incosciente della reale situazione, portando con sé il libro Don Chisciotte della Mancia, poiché ad ognuno dei presenti è concesso di portare con sé un solo oggetto. Ovviamente ad ogni coppia presente ad ogni livello sarà concesso di cibarsi degli avanzi di coloro che stanno ai livelli superiori ... ma lasciamo il film, che comunque offre molti spunti di riflessione, se tu avessi la possibilità di avere con te un solo oggetto, durante questo periodo di imposti arresti domiciliari, cosa sceglieresti, cosa riterresti irrinunciabile?

Per la molteplicità degli usi, senza dubbio un computer. Può fare da pianoforte, chitarra, giradischi, cinema e telefono, da scrittoio e carta e penna, da libro e specchio, da registratore e posta, da finestra, porta della percezione, forma inconsapevole di poesia, scrigno dei ricordi, magazzino delle idee. E si fottano J.J. Rousseau e il suo idiota “buon” selvaggio.