lunedì, novembre 25, 2019

Giangilberto Monti: maledetti francesi io vi amo!


di Fabio Antonelli

Ispirato all’omonimo successo editoriale del 2018, è appena uscito, su etichetta Freecom, il nuovo album di Giangilberto Monti, intitolato MALEDETTI FRANCESI, in cui lo chansonnier milanese è accompagnato dalla voce e dal pianoforte di Ottavia Marini. Si tratta di ben diciassette canzoni che riassumono il suo grande amore per la canzone impegnata d’oltralpe.


Vorrei cominciare dalla copertina che raffigura gli occhi degli artisti francesi che hai voluto racchiudere in quest’omaggio alla canzone impegnata d’oltralpe, hai scelto gli occhi perché specchio dell’anima?

In realtà la copertina è la stessa del mio libro omonino, pubblicato da Miraggi nel 2018, ma certo gli occhi sono un po’ il biglietto da visita di ognuno e in questa raccolta c’è davvero un secolo di storia della canzone francese, dal 1880 al 1980, anche se io in realtà mi sono concentrato soprattutto sul periodo che va dal dopoguerra in poi.

Il titolo Maledetti Francesi può essere letto facendo riferimento a quei poeti  francesi da sempre considerati maledetti, ma anche un “maledetti francesi che amo così da non riuscire a farne a meno”, giacché da sempre la tua musica ha girato intorno a questi artisti.

Beh, maledetti francesi perché da sempre Rimbaud, Baudelaire e Verlaine sono considerati i poeti maledetti, quelli da cui trassero poi ispirazione i vari artisti che sono presenti nel disco, uomini ma anche donne, perché spesso si pensa alla canzone francese al maschile ma vi sono  state molte voci femminili da Juliette Gréco ad Édith Piaf tanto per citarne un paio. Le figure femminili sono state così importanti che in questo disco ho voluto vi fosse una presenza femminile poi, certo, ci sta anche la tua accezione, perché il titolo è volutamente provocatorio. E’ vero la loro è stata una presenza fondamentale nella mia vita di chansonnier, anche se ciò non ha impedito che io scrivessi negli anni canzoni mie.

 
Ottavia Marini e Giangilberto Monti

A proposito di donne, in questo disco hai voluto con te Ottavia Marini, hai scelto lei perché già la conoscevi?

In realtà mi è stata presentata dall’attore Walter Tiraboschi, con cui aveva lavorato, e s’è rivelata una scelta molto azzeccata, pur provenendo dalla classica, è una grande pianista, con la sua voce, per altro un po’ fuori del comune, ha però dato un importantissimo contributo nei duetti. Non faccio più da anni il produttore, in tal senso direi che ho già dato, ma se dovessi segnalare una valida artista, farei volentieri il suo nome, per la grande sensibilità dimostrata nell’affrontare un mondo musicale non suo.

Dal punto di vista musicale si può definire questo disco il più francese tra i tuoi? Per l’impianto musicale su cui si fonda?

Sì, in un certo senso sì, perché piano, chitarra e le nostre due voci, registrate in presa diretta, con solo qualche passaggio ripreso in studio, hanno voluto dare quell’atmosfera che si percepiva a chi entrava in un locale parigino in quegli anni, è in tal senso vero, autentico.

Una cosa che mi ha colpito è l’alternanza italiano-francese nel cantato, senza discontinuità, tanto che, non so se per la bellezza poetica dei testi originari o la bellezza delle traduzioni, quasi non si capisce più quale sia il punto di partenza, se le canzoni siano nate in francese o in italiano.

La scelta di alternare francese e italiano è derivata dagli spettacoli dal vivo, dove questo espediente ha funzionato molto bene, in effetti, quello che dici è vero, perché c’è dietro un grandissimo lavoro nelle traduzioni, negli adattamenti dal francese all’italiano, nel cercare di rendere il senso di citazioni di doppi sensi, calembour, altrimenti sarebbero delle semplici cover e non è certo il mio intento.




Ho visto che molte traduzioni sono opera tua o sbaglio?

Lo sono tutte in realtà, qualcuna magari in collaborazione come Parigi Canaille firmata anche da Alessio Lega, oppure nel caso di Les amants d’un jour vi era già una traduzione, intitolata Albergo a ore, opera straordinaria dello stesso Herbert Pagani o di Le méteque di Moustaki che già era stato tradotto e cantato come Lo Straniero da Bruno Lauzi o Le Gorille di Brassens già tradotto e interpretato da De Andrè.

Il disco è nato da un lavoro di coppia, questa collaborazione tra te e Ottavia Marini e quindi sarà portato in giro in coppia?

Sì, certamente, non avrebbe senso fare diversamente, per altro si è già fatto perché in realtà lo spettacolo è venuto prima del disco la cui registrazione è stata voluta da Jean-Luc Stote, che ne ha curato le immagini da cui è nata anche Paris Canaille, una mostra dal 13 novembre a Milano nei locali dell’Institut Français.

Nel sito di Miraggi Edizioni, l’editore scrivendo di Maledetti Francesi fa riferimento a un mondo che “ha portato un messaggio vitale, anarcoide, canagliesco, che forse non esiste più”, ma davvero questo mondo poetico musicale appartiene a un passato che non c’è più o, invece, può ancora dirci molto.

No, credo che quel mondo, che aveva connotati così diversi dai giorni nostri abbia però ancora molto da dirci, in termini d’ideali e di umanità se mi guardo intorno, se ascolto tanti colleghi cantautori non a caso, ritrovo tanti riferimenti a quel mondo.




C’è, tra tutte le canzoni che hai scelto di inserire in questo disco, una cui non riusciresti a rinunciare?

Beh, una domanda difficile, direi due allora, la prima Allo Chat Noir che è in realtà Le Chat Noir di Aristide Bruant, uno chansonnier che a differenza degli altri non si limitava a eseguire canti tradizionali, ma che scriveva testi e musiche e che nel 1881 fece nascere, in un colpo solo, cabaret e canzone d’autore, la seconda Parigi Canaille per quell’atmosfera così scanzonata e perché ci presenta un Leo Ferré inusitatamente ironico o, forse per meglio dire, sarcastico.

martedì, novembre 19, 2019

Pierangelo Bertoli – Visto da vicino (dal cassetto dei ricordi)


Se Pierangelo fosse stato ancora in vita avrei avuto tante domande da porgli. In passato ebbi anche più di un’occasione di conoscerlo personalmente, a latere di qualcuno dei suoi sempre gremiti concerti, ma non so perché non ebbi mai il coraggio di farmi avanti, di stringergli la mano, di abbracciarlo e magari semplicemente complimentarmi con lui.
A questo punto rimediare non è più ovviamente cosa possibile, ho pensato allora di contattare il figlio Alberto e la moglie Bruna e anziché far loro un’intervista tradizionale sul compianto Pierangelo, di utilizzare invece le parole stesse di Pierangelo, quelle delle sue canzoni, magari proprio pescando dalle meno note, come spunti da cui poter lasciar emergere a loro discrezione ciò che è pubblico e ciò che è privato, Pierangelo artista e Pierangelo uomo, ecc.
In realtà loro hanno poi preferito muoversi ancor più liberamente, ma ne è ugualmente emerso un duplice, bellissimo, genuino ed intimo ricordo di Pierangelo. Non posso quindi che ringraziare entrambi per la loro cordialissima disponibilità.
1 settembre 2008



Ma sono fatto così 
e non ci posso far niente 
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente,
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
(Così – Frammenti 1983)

Così decisa tu venivi
per parlarmi allora per la prima volta
non sembravi imbarazzata forse appena un po’
con poche frasi semplici
mi hai invitato a cena da te
sono stato fortunato quando hai scelto me.
(A Bruna – Frammenti 1983)

Se dovessi reiventarti ti farei dal vero
…fino a quando lo vorrai ti vorrò vicino a me
e l'inverno sarà caldo anche a te
(Dal vero – Oracoli 1990)

Spero soltanto di stare tra gli uomini
che l'ignoranza non la spunterà
che smetteremo di essere complici
che cambieremo chi deciderà
(Italia d’oro – Italia d’oro 1992)

Nel 2000 non si troverà opposizione
Nel 2000 avremo una unica opinione
Nel 2000 le risate saran solo programmate e generali
Con il giusto sovrapprezzo passeranno perversioni personali
(Nel 2000 – Dalla finestra 1984)


Mio padre si nutriva soltanto di giornali e di televisione,
così, per quanto ho detto, non sono mai riuscito a toccargli la ragione.
Mi ha dato del bugiardo, poi duro mi ha guardato, e quasi mi ha picchiato,
e poi, per non sentire nemmeno una parola, l'esercito ha chiamato.
(1967 – Il centro del fiume 1977)


Prega prega Crest perché an te faga piò pener
Giost sal t'impedes ed continuer a ragiuner.
(Prega Crest – Eppure soffia)


I poeti sono il sole che riscalda le speranze
della gente disperata che si nutre di bestemmie
i poeti sono il mare che circonda tutto quanto
ma hanno la pelle troppo chiara e non fanno più di un tanto.
(I poeti – Certi momenti 1980)


E più ci penso più mi sento male
Nemmeno ci si sogna di cambiare
Future abilità, speranze umane
Riuscire a galleggiare sul letame
(Mio figlio – Sedia elettrica 1989)


E non so se avrò gli amici a farmi il coro
o se avrò soltanto volti sconosciuti
canterò le mie canzoni a tutti loro
e alla fine della strada
potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
(A muso duro – A muso duro 1979)







Spesso le persone usano le parole come fossero ornamenti, bijou per abbellire ed apparire.
Ci si dimentica che dietro ad ogni parola c’è una storia, un vissuto concreto nel percorso della vita e che il vocabolo, altro non è che la sintesi di un concetto profondo legato alla realtà quotidiana della vita di ognuno di noi.
Purtroppo, accade di frequente che individui con scarso senso della dignità e dell’etica, furbescamente, si attribuiscano proprietà poetiche che in realtà non hanno, sfruttando il lato più superficiale ed estetico della scrittura, per trarne privilegi e vivere parassiticamente.
Angelo amava parlare. Parlava a lungo, entrando nei minimi particolari, andando a ritroso nel tempo in modo da formare delle mappe: una sorte di genesi sull’argomento in questione che gli permetteva contemporaneamente di chiarirsi lui stesso sui concetti importanti che, successivamente, sarebbero entrati anche nei testi delle sue canzoni.
Il suo parlare era vero, autentico, semplice, concreto sempre legato ai fatti della vita nella sua interezza: cuore, intelletto, onestà, oggettività e forza!!! Tutto questo impegno appariva un tantino “serioso”, e spesso disturbava l’interlocutore amico che, volente o nolente, si trovava forzato a riflettere, a fare autocritica, a pensare, un esercizio quest’ultimo, oltre che faticoso assai noioso. Così, quando alla fine della giornata, ci si ritrovava da soli, con una nota di tristezza, mi prendeva una mano tra le sue, grandi e calde, e stringendola mi guardava con quello sguardo profondo che veniva da lontano nel tempo della vita e mi sussurrava: amore mio, sono stato fortunato, ti amo. Ed io gli rispondevo: “Io lo sono stata di più, +1, ho vinto! Non devi essere triste, scrivi queste sensazioni, questi pensieri, queste sono le vere poesie e tu le devi scrivere”.
Così nascono alcune canzoni come: Così, I poeti, A bruna, Dal Vero, A muso duro.

Bruna Pattacini (moglie di Pierangelo)




 

Rileggendo le parole di mio padre, non posso fare altro che pensare ad una frase che mi è stata detta da Luca Bonaffini, un suo coautore quest’estate dopo un concerto tenuto insieme in provincia di Roma “ho incontrato e conosciuto tanta gente, e tutti quanti hanno qualcosa che li fa assomigliare, chi più e chi meno, a qualcun altro, tuo padre no, tuo padre era un alieno!!!”. Fa sorridere che proprio in un’intervista di 15 anni prima, si può vedere una foto con noi famiglia vicino ad una lavagna dove mia madre aveva scritto una frase che secondo lei lo rappresentava “ben tornato Juppiter” (la foto è ancora oggi presente sul web).
Se leggiamo anche solo il teso di canzoni come Nel 2000 o Italia d’oro e Mio figlio non possiamo che rimanere a bocca aperta: è di qualche mese la notizia che hanno mossi i militari contro la mafia, ma come recita l’ultima canzone che ho citato “... al massimo si sentono belati, ma non ho ancora visto i carri armati ...”. Era veramente un uomo “... con lo sguardo dritto e aperto nel futuro ...”. ma la cosa più incredibile era che, se qualcuno chiedeva come facesse ad avere queste visoni del futuro azzeccate, la risposta era delle più candide “ma infondo lo sapevamo tutti”. In un qualche modo è vero che la gente sapeva già, ma ignorava, ma c’è anche da ammettere che lui in più aveva una lanterna per vedere tra il buio della notte del tempo e sicuramente questo era dovuto in parte al continuo rielaborare pensieri propri e pensieri altrui, come diceva prima mia madre, e in parte al fatto che era un uomo del popolo e la gente l’aveva conosciuta dall’interno, faccia a faccia, non superficialmente. Questo sapere volgare, del volgo del popolo era un bagaglio preparato con tolleranza, amore, comprensione e forza nei confronti dei diversi e delle diverse culture. Penso che solo chi conosce bene i popoli possa cercare di azzardare una previsione su un futuro che tutti i giorni prende forme differenti. Lui conosceva la gente addirittura dai loro canti popolari, cioè da dove affondano le radici le problematiche delle persone. Ho sentito mio padre cantare dal milanese al sardo, dal greco allo spagnolo, dal francese all’inglese, dal piemontese al siciliano, dal napoletano alla sua lingua, il Sassolese, quella da cui traduceva in italiano quando parlava e scriveva. Da questo punto partiva l’esposizione del suo punto di vista duro, di rottura, di diritti, di libertà in senso assoluto! Se hai come bagaglio le radici dei popoli non puoi offenderli, se esponi le tue idee, anche se queste sono indigeste, forse a qualcuno non piacerai, ma sicuramente sarai rispettato come tu rispetti gli altri.
E se infine volete sentire il Bertoli narratore della cultura sua contemporanea, e dichiaratore delle proprie idee ascoltate Prega crest, 1967, Certi momenti … anche se in ogni suo altro pezzo potreste trovare gli stessi tesori.

Alberto Bertoli (figlio di Pierangelo)

Luca Bonaffini: sospeso tra sogno e realtà, ma comunque libero


di Fabio Antonelli

In questo periodo Luca Bonaffini sta portando in giro per teatri e non solo, il suo ultimo lavoro discografico IL CAVALIERE DEGLI ASINI VOLANTI (2018 Ed. IdP), in versione unplugged. Sembra ieri il giorno in cui ebbe l’occasione di conoscere Pierangelo Bertoli e da lì iniziare una splendida collaborazione con il compianto cantautore di Sassuolo ma, in realtà, sono già passati trent’anni. Tempo quindi di bilanci, ma sempre con “lo sguardo dritto e aperto nel futuro” ...

Espansione TV


Hai appena compiuto i 57 anni in questi giorni, nel rinnovarti gli auguri ti chiedo una sorta di bilancio della tua vita, in termini musicali quanto sei riuscito realmente a realizzare di ciò che avresti voluto fare e cosa, invece, senti che ti è mancato o non hai potuto sviluppare come credevi?

Il bilancio, per fortuna, io lo faccio una volta al giorno, al mese, all'anno e dopo che mi accade un evento (bello e brutto), 57 è un numero anonimo, a parte il fatto che 5+7 fa 12! La mia carriera è stata breve, intensa ed incompleta. Dal 1985 al 1994, sono stati otto anni di "discografia vera", con obblighi, costrizioni, entrate economiche e successi (vedi Pierangelo Bertoli, Patrizia Bulgari, ecc.). Poi ho continuato, dopo essermi staccato dal "grande mondo dei grandi", per la strada (un po’ mia, un po’ no). E lì ho capito che un conto è far parte del sistema ed essere costretti a produrre numeri e fare da schiavo (ghostwriter o produttore di idee, strategie, tattiche); un altro conto è vivere per sé stessi, senza gravare sul fegato la necessità di "essere all'altezza del mercato (o mercatino ...)". Bisogna avere lo stomaco forte per resistere, in entrambi i casi. Ma io non ho mai mollato, anche quando il frigorifero era vuoto.

Questo credo non possa che farti onore. Certo non deve essere stato facile ma se l'anno scorso sei arrivato a realizzare un disco "Il cavaliere degli asini volanti", così diverso da ciò che hai fatto in passato, così pieno dei tuoi ideali, così fuori dalle logiche di mercato, credo sia anche una conseguenza del tuo coraggio. Mi racconti come è nato?

Nel 2015 ho compiuto 30 anni di percorso e la mia città mi ha omaggiato di un bellissimo evento al Teatro Ariston. Solo con voce e tre chitarre (due acustiche e una elettrica) ho raccontato aneddoti e momenti artistici della strada fatta. Da lì l'idea di ricominciare a lavorare su un album di inediti. Un produttore, un'etichetta, uno staff: troppe cose, troppi costi per un ultra cinquantenne pressoché ignoto. Allora, dopo il naufragio di un progetto tra passato e futuro molto bello ma irrealizzabile, ho chiesto a Roberto Padovan, compositore di musica per colonne sonore, di scrivermi alcuni "mondi" che si ispirassero ai sette chakra. Volevo volare ancora, come mi è accaduto, ma ancora più in alto. Volevo studiare la terra dall'alto, misurarmi con lo spazio fuori e con quello dentro. Ecco che abbiamo, nell'autunno del 2016, iniziato a scrivere e, nel giro di cinque mesi, c'era già tutto l'album Il cavaliere degli asini volanti, testi, musiche, arrangiamenti e registrazioni. È rimasto fermo fino all'anno dopo, diventando CD fisico nel settembre 2018, e digitalizzandosi in 240 Paesi del Mondo grazie a Believe Digital nel luglio di quest'anno. Intanto ho prodotto e realizzato libri e spettacoli, fino ad arrivare al mini tour unplugged.

L'Officina della Musica - Como


Nell'ambito di questa tuo mini tour, come lo hai definito tu stesso, mi sembra, almeno quello tenutosi a Como mi è parso così, che abbia voluto dare un peso notevole al rapporto umano, con coloro che hanno il piacere di seguirti in questi tuoi sogni. Quanto davvero è importante questo aspetto, per il tuo mondo musicale?

Io mi reputo un dream writer. Scrivo ciò che sogno e quello che mi spaventa, come ad esempio la negazione dei sentimenti. L'umanità siamo noi, non è un concetto astratto. È la definizione del nostro esserci, essere qui, su questo pianeta in questo preciso momento. E il mio mondo fantastico è inscindibile dal mondo reale ...

Teatro Lo Spazio - Roma


Ma non credi sia un mondo reale in cui ormai si calpesta tutto e tutti, quasi senza neppure accorgersene? Un mondo dove anche la musica è diventata usa e getta, come resistere a tutto ciò?

Resistere è la parola d'ordine dell'uomo. Sempre. L'uomo nasce per esistere e resistere senza alternativa. Chi si chiude, ha perso. Sono stato a Roma, recentemente. Beh... Viva Milano! 😀

Teatro della Memoria - Milano


Perché viva Milano?

Perché i milanesi a Milano, dove ho aperto l'etichetta ldp, credono ancora nel futuro. I romani, no. Ma forse sono capitato il giorno sbagliato!!!

Può essere, ma mai smettere di sognare un futuro e i tuoi sogni sono di quelli in cui gli asini volano. Non ho volutamente chiesto nulla del tuo rapporto con Pierangelo Bertoli ma so che l'esperienza vissuta con lui è stata un qualcosa di unico per te. Oggi, c'è un artista che, se ti dicesse “caro Luca ti va di scrivere un disco con me?” faresti la fine di quegli asini?

No, non c’è, ma gli asini sono la nostra memoria attiva, il sogno realizzabile. Quindi perché non provare a volare ancora?

Cover  IL CAVALIERE DEGLI ASINI VOLANTI

Se sei d’accordo, vorrei farti un’ultima domanda sull’ultima tua fatica discografica Il cavaliere degli asini volanti, visto che proprio in questo periodo, come detto sopra, la stai presentando in giro per l’Italia, in versione unplugged, non voglio però parlare delle canzoni perché non voglio togliere curiosità a chi ci leggerà, vorrei soffermarmi sulla splendida copertina illustrata, chi l’ha pensata e disegnata?

Daniele Massimi, un eccellente illustratore visionario che, tra proiezioni cosmiche e sentimenti umani, ha deciso di volare insieme a noi...


Luca Bonaffini su Facebook
Canale YouTube di Luca Bonaffini

lunedì, novembre 18, 2019

Roberto Michelangelo Giordi: vivere a Parigi con Napoli nel cuore


di Fabio Antonelli

Il 12 aprile scorso, è uscito IL SOGNO DI PARTENOPE (Disques Dom) del cantautore napoletano Roberto Michelangelo Giordi, un disco che l’ha visto impegnato nel ruolo d’interprete, trattandosi sostanzialmente di un omaggio alla canzone classica partenopea con l’aggiunta di qualche nuova storia scritta dallo stesso Giordi. Un disco che non è passato inosservato, non solo al sottoscritto, poiché è finito dritto tra i finalisti per l’assegnazione delle Targhe Tenco 2019 nella sezione Interpreti, quale migliore occasione allora per fare con lui il punto della situazione.



Nello scegliere un disco, spesso è proprio la copertina a colpire l'attenzione del possibile acquirente, partirei allora proprio da quella, in cui vi è dipinta Partenope che dorme con il capo reclinato sul Vesuvio. Ci sono almeno tre cose che vorrei chiederti, il titolo Il sogno di Partenope com'è nato? Il sottotitolo Chansons sur Naples non è né in italiano né in napoletano, ma in francese, come mai? Chi è l'autore del dipinto che dona un'atmosfera onirica al disco?

Il titolo del disco viene da uno dei brani inediti da me scritti, Il sogno di Partenope appunto. Si tratta di una canzone che racconta il sogno che la sirena Partenope, fondatrice di Napoli, fa su un evento particolarissimo della storia della città: l’esperienza intensa e breve della Repubblica giacobina del 1799. Il sottotitolo in lingua francese serve a dichiarare agli acquirenti che si tratta principalmente di un disco di canzoni tradizionali napoletane. La scelta di usare il francese è dovuta al fatto che la mia etichetta è parigina e il disco è ben distribuito su tutto il territorio nazionale francese. L’autrice del dipinto in copertina, invece, è un’artista e illustratrice napoletana che vive e lavora a Napoli, Clelia Le Boeuf; a lei vanno ancora i miei complimenti e la mia gratitudine per avermi fatto dono di questo suo splendido lavoro.



Ciò che mi ha colpito subito di questo lavoro di ripresa di brani appartenenti alla canzone tradizionale napoletana è la ricerca musicale che hai messo in campo per dare nuove chiavi di lettura, spesso attingendo a sonorità tipicamente jazz ma non solo, senza però stravolgere anche melodicamente le canzoni. La ricerca di equilibrio fra tradizione e modernità è stata davvero la tua stella polare in questo progetto o è solo una mia impressione?

Mi fa piacere che si sia intuita la mia volontà e quella del mio produttore artistico Piero de Asmundis di voler coniugare la tradizione con uno stile più moderno e più vicino ai nostri gusti e ai nostri studi musicali. Abbiamo lavorato con estrema libertà e gioia stravolgendo le armonie e divertendoci a viaggiare per territori ancora inesplorati dalla canzone partenopea. Abbiamo fatto ricorso a strumenti finora inutilizzati dalla tradizione, come il sax in “Fenesta vascia” e il duduk armeno in “Mmiez’ô ggrano”. Credo che questa nuova epoca globale abbia il dovere di ridare dignità alla forma canzone attraverso il recupero della tradizione dei popoli per rimodernarla in qualche modo e regalarle nuove consapevolezze. È l’unica maniera che abbiamo per evitare l’opprimente omologazione imposta delle grandi produzioni mondiali tutte uguali tra loro, nelle forme plastificate e nei contenuti sonori e letterari, frammentati e senza senso, a Occidente e a Oriente.

Ascoltando il disco, in effetti, si apprezzano con grande piacere i diversi contributi strumentali ma mi chiedevo, tenuto conto anche dell'attuale condizione economica non certo rosea, come potrai conciliare questa ricchezza strumentale con le disponibilità economiche messe a disposizione dagli organizzatori di eventi durante l'attività dal vivo, è un problema reale?

C’è spesso una differenza notevole tra la musica suonata su disco e la stessa musica suonata a un concerto, appunto a causa dell’esigua disponibilità di fondi messi a disposizione dalle istituzioni in ambito culturale. Conosco artisti che preferiscono rimanere minimalisti nel disco proprio per poter riprodurre fedelmente la loro musica dal vivo da soli, in duo o al massimo in trio. Io personalmente preferisco non risparmiarmi mai nella fase creativa pur sapendo benissimo che suonare il mio disco dal vivo diventerà un’impresa titanica. Sono però inoltre convinto che una certa originalità in concerto si possa comunque trovare riducendo di molto l’ensemble e ricercando nuove e originali sonorità ben differenti da quelle incise su disco ma comunque solide e affascinanti. Nei concerti francesi, infatti, mi presento con una formazione ridotta.



Sono pienamente d'accordo con te sul non porre limiti alla propria creatività in fase produttiva. A proposito di creatività, quando si dà alle stampe un disco, questo diventa ovviamente un capitolo chiuso per l'artista, in tal senso Il sogno di Partenope, che ti vede nel ruolo d’interprete, è da intendersi un'eccezione, solo un sentito omaggio alle tue origini e stai magari già lavorando a qualcosa di tuo? Oppure non escludi che la veste d’interprete possa continuare a indossarla anche in futuro?

Io nasco come interprete ed ho sempre amato cantare le belle canzoni; la fase della scrittura in musica e parole è arrivata con la maturità. Dopo tre album di canzoni inedite però mi sono concesso una pausa da me proprio perché sentivo una necessità più o meno etica di raccontare la mia città a modo mio, secondo il mio gusto e la mia sensibilità. Io Napoli l’ho sempre vista così come l’ho cantata: onirica e trascendente, raffinata e colta, surreale e maestosa. Sarò per sempre un cantore di Napoli, perché quando ci nasci a Napoli le devi sempre e per sempre qualcosa in musica e in poesia. Orbene, è stato bello e divertente concedermi questa pausa ma per il futuro prossimo ho intenzione di ricominciare a riparlarvi del mio mondo e a cantare la mie nuove canzoni.



Questa è una bellissima notizia, perché così ti ho conosciuto e così ho cominciato ad apprezzare le tue opere, puoi in ultima battuta anticiparci qualcosa del tuo nuovo progetto o è ancora tutto a livello embrionale?

Sto affinando ancora la fase di scrittura di alcuni brani pur avendo le idee ancora confuse sulla direzione sonora da dare complessivamente al prossimo disco. Posso dirti per ora che si tratterà di un lavoro che porrà al centro varie figure umane perdute nel caos delle nuove incertezze generate dalla società capitalistica odierna e di quelle di una società di un futuro immaginato. Ho preferito lasciare ai margini il realismo per inoltrarmi in prospettive più bizzarre e sicuramente meno consuete per la forma canzone.


Roberto Michelangelo Giordi su Facebook
Canale YouTube di Roberto Michelangelo Giordi

venerdì, novembre 15, 2019

Claudia Pastorino: canta che ti passa!


di Fabio Antonelli

Il 13 novembre, World Kindness Day, ossia Giornata Mondiale della Gentilezza, sul canale YouTube di Clara Bergamino (alter-ego di Claudia Pastorino) ha fatto capolino AMICA CATTIVA, una canzone inedita della cantautrice genovese, come resistere allora alla tentazione di parlarne con la diretta interessata…


A chi segue la tua pagina Facebook non sarà certo sfuggito che il 13 novembre, Giornata Mondiale della Gentilezza, hai pubblicato una nuova canzone intitolata AMICA CATTIVA (va' e sii felice), una canzone dal cui testo si evince tutto il ferimento derivante da una grossa delusione nel rapporto di amicizia con un'amica, ma anche il superamento di questo dolore proprio attraverso la canzone stessa. Non ti chiedo ovviamente chi sia l'amica cui rivolgi questa tua canzone, ma com'è nato in te il desiderio di scriverne una canzone? Se per te lo scrivere canzoni ha anche una funzione lenitiva delle ferite che la vita inevitabilmente riserva ad una persona.

Sì, Fabio, proprio come tu dici, la scrittura di una canzone può costituire una forma di auto-cura rispetto alle ferite che ti dà la vita, in questo caso una profonda delusione di amicizia, un fatto vero che mi ha messa di fronte, al contempo, alla mia ingenuità, da un lato, e all'insensibilità di alcune persone, dall'altro. Questa forma di auto-cura, offerta dall'arte in genere, è presente da sempre nell'essere umano, e oggi viene studiata con criterio scientifico nell'ambito delle Artiterapie. In particolare io mi occupo, da ormai vent'anni, di Cantoterapia e di Canzone-d'autore-terapia, forme di cura e di auto-cura che purtroppo in Italia non sono ancora riconosciute ministerialmente, contrariamente all'estero dove sono conosciute e riconosciute come Singing Cure e Therapeutic Songwriting. Chissà quanti tra i nostri lettori avranno sperimentato, spontaneamente, l'esperienza di auto-curarsi attraverso arte e creatività, ad esempio la Scrittura-terapia, l'Arteterapia (intesa come arti pittoriche), la Musicoterapia, la Danza-movimento-terapia o, appunto, la Cantoterapia e la Canzone-d'autore-terapia. AMICA CATTIVA è proprio un momento di auto-cura per rivisitare in chiave quasi comica e superare una delle ferite che alcune persone sanno infliggere.  Già in passato mi è capitato di raccontare, attraverso le mie canzoni, queste che chiamo le Real Life Stories, per ridimensionare un dolore o una delusione, magari dandogli connotati ironici o buffi per provare a riderne.   

D'altronde, nello scrivere canzoni, tu hai sempre attinto molto dalla propria esistenza, dal proprio vissuto, tanto che l'ultimo tuo lavoro non a caso, credo, l'hai voluto intitolare Claudia, quasi fosse un mettersi a nudo, un guardarsi allo specchio. Ma dentro questo specchio è un po' come ci fossero due donne, una Claudia Pastorino ed una Clara Bergamino? Quanto si somigliano e quanto sono diverse fra loro?

L'idea dell'alter ego mi ha sempre divertita, d'altronde mi sono sentita da sempre molto popolata, quindi ad almeno una di queste "abitanti" volevo dare un nome e inventare una storia. Clara Bergamino è un nome che mi è venuto in mente da solo, si è auto-definito senza pensarci su, alcuni anni fa, mentre stavo scrivendo Canzone del tempo perso, ripercorrendo in chiave semi-comica i lunghi anni degli inizi, da giovane cantante di pianobar.  Anche il video vede la protagonista quadruplicarsi, un po' per omaggiare il Genio Melies, e un po' per sottolineare questa dimensione proteiforme. E' vero, nelle mie canzoni ho sempre attinto dal vissuto, sia fisico che interiore, da turbolenze non dette, o dette solo attraverso la scrittura e il canto, e il CD "Claudia" era proprio questo, un desiderio di condividere l'inespresso o l'inesprimibile, spesso col gusto ricorrente di riderne, come ad esempio Bisogna avere quarant'anni o Mandragola.



A proposito di inespresso e di inesprimibile, per come ti vedo ora e per come ti ho conosciuta, ti definirei una donna molto bella, sicura di sé, conscia delle proprie possibilità e con idee chiare in merito al proprio percorso artistico, ma è proprio così? Se lo è, lo è sempre stato o quando hai scelto di cantare non era affatto così?

In realtà non mi sono mai sentita né bella né sicura anzi, soprattutto da giovane e giovanissima, ero profondamente insicura e fino all'incirca ai 23/24 anni questa insicurezza si manifestò, purtroppo, attraverso una forma di timidezza paralizzante. Gli unici spazi in cui mi sentivo, già allora, sicura e certamente me stessa, erano l'impegno in favore degli Animali e la scrittura di canzoni, entrambi percorsi che ho intrapreso a partire dagli anni delle medie.  In questo senso le idee erano, sì, chiarissime. Il desiderio di scrivere canzoni e di cantare, e l'urgenza di dedicarmi all'impegno animalista, sono vocazioni sorte in me molto presto, che non mi hanno mai lasciata, anzi, sono cresciute nel tempo insieme a me. Furono proprio la scrittura di canzoni e il canto a traghettarmi piano piano fuori dalla chiusura di quella timidezza pietrificante, e lo racconto spesso anche ai miei studenti, essendo una testimonial diretta proprio della forza benefica della Cantoterapia e della Canzone-d'autore-terapia.   Non a caso la Scuola di Canto che ho aperto a Genova nel 2000 e dove attualmente insegno si chiama appunto "Scuola Italiana di Cantoterapia".

Mandolino Genovese a Oporto de Zena


Come si inserisce il fado dentro questo tuo percorso musicale? Com'è nata questa derivazione, cui stai dando un notevolissimo contributo soprattutto negli spettacoli dal vivo? Ci sono altri generi musicali che vorresti esplorare?

Amo il Fado da sempre, sia nel senso del paesino (sulle alture di Genova, a Ponente, poco distante da casa mia, dove amavo farmi portare dai miei da piccola perché c'era un magnifico Pavone) sia nel senso del genere musicale (che già da bambina ascoltavo dai dischi di Amalia Rodrigues e da Robertino Arnaldi nelle sue belle traduzioni in italiano e in genovese che trasmetteva alla radio). E' stata naturale per me, genovese come Robertino, la voglia di provare a riprendere la strada delle traduzioni dei brani di Fado portoghese in italiano e, soprattutto, in genovese, è una magia in cui le due lingue suonano in maniera incredibilmente simile, sembrano cugine, imparentate da musicalità, echi, cadenze, giochi linguistici e anche vocaboli che, nella traduzione dal portoghese al genovese, a volte rimangono identici. Ho tradotto diversi brani per il mio progetto "Il Fado al Fado", cioè il Fado a Genova, che porto in scena da diversi anni con riscontri sempre positivi, incuriositi da questi giochi di assonanze. Nel proporre questo repertorio, che comprende anche brani del disco Amalia in Italia, mi accompagno con il Mandolino genovese, lo strumento che canta le sonorità di Genova.

Copertina di "Il Jainismo. La più antica dottrina della nonviolenza, della compassione e dell'ecologia"


Se sei d’accordo, lasciamo per un attimo la musica che, comunque, in una forma o in un’altra, è sempre stata presente nella tua vita. Prima hai accennato alla tua vocazione animalista, cui aggiungerei quasi come logica conseguenza il tuo veganismo, c'è però un altro mondo che da sempre ti ha affascinato e che ti ha portato a scrivere più di un libro sul tema, il Jainismo. Da dove è nata questa tua passione che ormai non è più solo una passione ma uno stile di vita? Può, il Jainismo, in un certo senso ricollegarsi alla recente attenzione dell'opinione pubblica, spesso solo formale, per l'ambientalismo?

Insieme all'impegno animalista e all'amore per il canto, il Jainismo è l'altro compagno del mio viaggio.  Lo scoprii negli anni Novanta nell'ambito delle mie ricerche sulla Nonviolenza e sul Vegetarismo e mi ci riconobbi immediatamente, come in una famiglia;  da allora ho continuato a studiarlo e, come dicevi, ho tradotto in italiano alcuni libri che ho pubblicato sul mio sito www.jainismo.it Sono nata con un grande affetto istintivo verso gli Animali e dall'età di diciassette anni mi dedico al volontariato.  Il Jainismo è ritenuto da diversi storici delle religioni il massimo tentativo mai attuato per annullare o ridurre la violenza verso tutti gli esseri, umani, animali, vegetali, e anche verso gli elementi naturali, la terra, l'acqua, l'aria. Da millenni la filosofia jainista promuove la Compassione e la Nonviolenza attiva (“Vivi e aiuta a vivere. Ama tutti, servi tutti”). Le tematiche ambientaliste venute alla ribalta in tempi recenti, come la tutela dell'ambiente che ci ospita, sono promosse da sempre dalla filosofia jainista: anche causare inquinamento è considerato un atto di violenza.  Purtroppo al di fuori dell'India il Jainismo non è molto conosciuto. Un breve sutra jainista che, a mio parere, è un'ispirazione: "Non si dovrebbero mai uccidere né consapevolmente né inconsapevolmente gli altri esseri viventi mobili o immobili di questo mondo, né si dovrebbe permettere ad altri di ucciderli".

Foto di Fernanda Bareggi


Per la bellezza di questo sutra avremmo potuto chiudere qui questa breve intervista ma voglio, invece, farti un'ultima domanda, riconducendoti al punto di partenza, alla canzone Amica cattiva che hai appena pubblicato sul canale YouTube di Clara Bergamino, rappresenta un episodio sporadico della tua attività di cantautrice o hai in progetto un nuovo lavoro discografico? Sarebbe davvero un peccato se così non fosse, credo tu abbia ancora tanto da dire attraverso le tue canzoni.

In realtà non smetto quasi mai di scrivere, il Therapeutic Songwriting mi accompagna sempre, fa parte delle strategie di benessere quotidiane che pratico su me stessa e che insegno a praticare nei miei Corsi. Nell'ultimo anno, ad esempio, ho scritto tutte le canzoni del Musical "La Grande Avventura della Cantoterapia" che portano in scena i cantanti della mia Scuola (sono tutte pubblicate sul canale YouTube della Scuola di Cantoterapia). Progetti discografici direi di no.  Penso che quando scriverò qualcosa di nuovo lo condividerò direttamente sul mio sito (www.claudiapastorino.it), su YouTube e su Facebook, come ho fatto con Amica cattiva.  D'altronde, quando un fatto mi colpisce in modo particolare, conosco un modo solo per raccontarlo, scriverci una canzone.


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