lunedì, novembre 20, 2017

Il senno del pop? Il senno è quello di Mirco Menna …

di Fabio Antonelli

Mirco Menna è un altro di quei cantautori, forse cantautore è nel suo caso termine riduttivo, viste anche le sue esperienze in altri campi dell’arte, che non si può non intervistare e con grande curiosità all’uscita di un nuovo lavoro discografico composto da otto canzoni inedite e due bonus track. Il titolo del disco è “Il senno del pop” e, conoscendolo da un po’ di anni, credo voglia essere una sorta di depistamento, però sentiamo direttamente da lui che ha da raccontarci …

Copertina disco "Il senno del pop"


Il 3 novembre 2017, è uscito il tuo nuovo disco, sono rimasto colpito, ancor prima dell'ascolto, sia dalla copertina, il tuo volto per metà dipinto in stile Andy Warhol per metà foto in bianco e nero, sia dal titolo "Il senno del pop". Una doppia provocazione, una doppia anima?

No, provocazione non credo… tutt’al più pubblicità ingannevole. Sai quando nelle confezioni c’è scritto “l’immagine ha solo scopo di presentare il prodotto”, ecco, qui nemmeno questo. Uno vede la copertina un po’ Roy Lichtenstein, un po’ fumetto Marvel e si aspetta magari qualcosa di più… psichedelico. Però appunto, l’altra metà della faccia è proprio la mia, al naturale, senza trucco, per nulla pop-art. Il punto sta lì, in che cosa si intenda per “pop”. Personalmente ne ho un concetto piuttosto allargato, in passato ci sono state cose che si possono senz’altro definire “pop” molto diverse tra loro.

A proposito di concetto allargato, si può dire che anche a livello di contenuto il disco sia un crogiolo di elementi molto diversi fra loro, siamo lontani anni luce dai concept album, anzi forse è più simile ad un album di fotografie, di istantanee che rappresentano momenti diversi della tua vita e delle tue esperienze, è così?

E’ così, e ogni fotografia ha i suoi speciali colori, la sua luce, il diverso momento dello scatto, il suo soggetto, indipendente da quello a fianco.

Visto che, come hai anche sottolineato tu, i brani non hanno legami tra loro, se sei d'accordo, partirei da "Così passiamo", il brano scelto come singolo e video di lancio. In questa canzone che parla della precarietà dell'esistenza stessa, dell'essere di passaggio in questo mondo, non sei solo a cantare, con te la jazz singer Silvia Donati e sullo sfondo un mondo che va letteralmente in frantumi. Com'è nata l'dea del duetto e quanto credi sia importante fermarsi a riflettere in un mondo che invece corre corre e in cui tutti sembriamo onnipotenti?

Riflettere e speculare sono due parole delle mie brame... scusa, mi è scappato un giochetto di parole... sugli specchi, sul considerare l’essere fatalmente specchio della vita attorno a sé. Ma a parte le battute incomprensibili, sì, credo sia importante sempre, sia obbligatorio ragionare attorno all’esistenza. Infatti, nel mio piccolo, ci ho fatto su qualche canzone, tipo questa. Quanto a Silvia Donati, sono un suo fan da anni e anni, oltre a pregiarmi di esserle amico. Ha avuto un ruolo notevole durante la registrazione di questo lavoro, c’era sempre, diceva sempre la sua. Non so se ricordi un bellissimo gruppo femminile, tra i ‘90 e i duemila, le Silhouette. Ecco, c’era lei al canto e Camilla Missio, che ritroviamo anche qui, al basso. Stiamo parlando di due gigantesse eh, così belle e minute come sono...

Mirco Menna


Già che ci siamo allora parliamo di una altro meraviglioso duetto che è possibile ascoltare in questo tuo nuovo lavoro, forse avrai già intuito, sto facendo riferimento a "Prima che sia troppo tardi". La voce che duetta con te è una di quelle che scalda e "ruba spazio", permettimi la battuta, si tratta di Zibba, com'è nata questa ardita collaborazione? Hai scritto questa canzone che guarda al futuro, se non con l'ottimismo di Tonino Guerra almeno con qualche aspettativa, pensando già a lui o l'idea della condivisione è nata in seguito?

È nata in seguito, per via della reciproca simpatia e stima… e questo è chiaro almeno per il fatto che è un confronto tra maschi assolutamente perdente, per me... cantare dopo Zibba, con quella voce che ha, è da autolesionisti. Ma mi piace auto lesionarmi per simpatia e stima.

Parliamo ancora di collaborazioni importanti, come quella di Gianni Coscia che con la sua fisarmonica "pennella" magicamente la canzone "Sole nascente". Non ho usato a caso il verbo pennellare visto che il brano trae spunto da un famoso dipinto ma lascio a te l'onere di parlarne ...

Ho conosciuto il maestro Gianni Coscia (che se lo chiami "maestro" si secca) ad Alessandria, nel benemerito e amato circolo L’Isola Ritrovata, poi ci siamo visti più volte. Una notte gli ho parlato di questo brano, glielo ho fatto sentire in diretta, con la chitarra, a un tavolo. È stato per me un onore, diciamo pure la parola, che abbia accettato di suonarlo con me. E che lo abbia poi suonato così come lo ha suonato, da commuoversi. “Il sole nascente” è il titolo di un’opera del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo, quello de “Il quarto stato”. E io sapevo che, oltre a essergli vicino per motivi di territorio, il maestro Gianni Coscia è vicino al Pellizza anche a causa delle idee che lo ispirarono.

In questo album di “fotografie”, una di quelle che amo di più, per la mia natura malinconica e triste è “Ora che vai via”, canzone che ci parla del mesto momento dell’addio definitivo quando si vorrebbe “guardare avanti quando avanti non c’è trovarsi ad invidiare il cielo a chi ce l’ha”. Per la delicatezza con cui è stata scritta e musicata potrebbe essere una canzone degli Avion Travel, davvero emozionante, in che momento è nata e come?

È figlia precisamente di un lungo momento, impossibile da evitare, di profondo sconforto. Credo che molte canzoni cosiddette “tristi” siano adatte a consolare la tristezza, per una specie di misterioso effetto omeopatico. Per quel che riguarda gli Avion Travel, beh, ti ringrazio molto del complimento.

“Vento maggiolino che fa gli occhi a calamaro / dallo scrigno del mattino schiude l’innocenza al divenire / e mostra già la fine a chi sta per partire” sono alcuni splendidi versi della canzone “Portati da un fulmine”, apripista del disco, bella, ariosa, che vien voglia di accompagnare nel canto, c’è tanta tenerezza in questa canzone dell’uomo maturo che guarda i giovani che ancora hanno molto da crescere e sperimentare. Quanto c’è di autobiografico in questa canzone? 

C’è il punto di vista. Sono appunto un tizio di una certa età, l’essere ragazzo è qualcosa che riguarda la mia memoria. Oppure, al presente, mi riguardano quelli che sono ragazzi oggi, in quella difficile età, potente e confusa… mi riguardano per affetto, posso condividere la loro giovinezza, ma soltanto attraverso gli occhi della memoria.

Mirco Menna


C'è un'altra canzone che amo particolarmente, parlo di "Arriverai", a partire da quella lunga introduzione, quasi volessi indugiare ancora un po' prima di sviluppare il tema della canzone che mi sembra essere quello di un amore forse più sognato che mai vissuto? E' così?
Sì, è una canzone d'amore vagheggiato, si rivolge a qualcuno che non esiste se non nell'idea. Bisogna avere molto fallito, per vagheggiare un amore con cura, serve tempo. Indugiare prima di arrivare al punto, poi, è uno dei miei schemi preferiti.

Ci resta da affrontare due tracce, una è "Il descaffalatore" un pezzo scritto su un personaggio creato per lo spettacolo teatrale “Spreco” di Andrea Segrè e Massimo Cirri, disegnato da Altan, l’altra è la title-track "Il senno del pop", mi parli brevemente di entrambe le canzoni? Soprattutto della canzone che dà il titolo al disco, una canzone che sembra davvero voler confondere i confini tra canzone d'autore e pop, a partire dal titolo.

"Il descaffalatore" è un funzionario del regime consumista. Ne "Il senno del pop" chi parla è un soggetto potenzialmente funzionale al regime "coverista", diciamo così. Troppo breve?

No, assolutamente, meglio lasciare all’ascoltatore il gusto di scoprire di più, piuttosto vorrei mi dicessi qualcosa su una delle due bonus-track (l’altra è “Da qui a domani”, versione in quartetto e dal vivo di un brano precedentemente inciso e pubblicato nel disco con la Banda di Avola), mi riferisco a “Chiedo scusa se parlo di Maria”, un sentito omaggio a Giorgio Gaber, non certo una semplice cover, come mai hai scelto proprio questa sua recente canzone?

Intanto perché è meravigliosa, e poi perché l'avevo già scelta a suo tempo: è il rimissaggio di una versione già uscita con Il Mucchio Selvaggio tanti anni fa. Giorgio Gaber è una persona, un artista del quale si sente molto la mancanza. Non c'è nessuno, nel mondo del pop (perché a mio parere era assolutamente "pop") che faccia qualcosa di vagamente simile. Nella qualità certo, ma anche nei numeri, nel pubblico. Oggi non è più nemmeno concepibile.

Se sei d'accordo lascerei il nuovo disco e il tuo ruolo di cantautore, per affrontare un’altra delle tue molteplici vesti, quella di attore, che ti ha visto trai gli indiscussi protagonisti del recente spettacolo teatrale scritto da Max Manfredi, come hai vissuto l'esperienza di lavorare per Max e accanto a lui?

Oh, come sanno quelli che mi conoscono, io sono un ammiratore di Max Manfredi, ero suo fan ancor prima di cominciare a esserne collega. E quindi quando mi ha proposto di collaborare nel suo Faustus, è stata per me una bella soddisfazione, mi ci sono messo con grande gusto e impegno. Max è stato paziente con me, mi ha fatto sbagliare con calma ma alla fine siamo stati tutti contenti, direi.

Gaia Sommariva e Mirco Menna nello spettacolo teatrale Faustus di Max Manfredi


Forse non te l'ho mai raccontato, ma io ho scoperto il tuo mondo musicale attraverso un mio conterraneo, un certo Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, che un po' di anni fa dalle colonne di un suo blog consigliò ai suoi lettori di ascoltare un disco intitolato "Nebbia di idee" di un cantautore Mirco Menna che, a suo dire, di nebbia nella testa non ne aveva proprio, anzi ... Se tu, invece, volessi invitare i nostri lettori ad un nuovo ascolto, chi suggeriresti?

Sì, ricordo bene questo episodio di Davide, mi colse di sorpresa, una bella sorpresa. Gli sono grato.
Rispetto ai nuovi ascolti, la domanda è difficile… nel senso che ci sono molti bravi giovani musicisti, cantanti, autori, davvero molti: basterebbe guardare ai vari festival e premi dedicati a questo genere di artisti emergenti per rendersene conto. Ma non voglio sottrarmi alla domanda, sebbene dirò nomi che non sono più tanto "nuovi"... al volo: Emanuele Colandrea, Giovanni Truppi, Roberta Giallo, Diego Esposito… molto diversi tra loro, molto bravi secondo me.

Vorrei chiudere così, chiedendoti cosa diresti, se fossi un negoziante di dischi (ma ne esistono ancora?) ad un potenziale acquirente del tuo disco che, colpito dalla curiosa ed originale copertina del tuo “Il senno del pop” ti chiedesse "Ma che genere di disco è questo “Il senno del pop”? Chi è questo Mirco Menna?”.


"Il senno del pop" è un bel disco e Mirco Menna uno che se lo dice da solo, ma non ha torto.


Guarda qui il video del singolo in radio “Così passiamo” feat. Silvia Donati: 



Guarda qui il video di “Portati da un fulmine”:
























venerdì, luglio 07, 2017

“L’Ora di Mezzo” uno splendido disco in bilico tra la luce e l’ombra

di Fabio Antonelli

In questi giorni è uscito “L’Ora di mezzo” (Filibusta Records/Ed. Curci), il terzo disco (nel 2008 esordì con “Vermiglio” (CD-Album, Ed. Curci/ UNIVERSO, cui segui nel 2011 “Lo Specchio” CD-Album, Ed. Curci/ EDEL) della cantautrice leccese Francesca Romana Perrotta. Un disco che mi ha piacevolmente colpito sin dal primo ascolto per la sorprendente musicalità delle canzoni, sospese tra sonorità decisamente rock, atmosfere più cantautorali ma vi si trova anche un certo pop d’autore anni ’80. Poi, dagli ascolti successivi, è pian piano emersa la profondità dei testi e allora non ho resistito all’idea di saperne di più.

Copertina CD "L'Ora di Mezzo"


E' appena uscito il tuo terzo disco di inediti, s’intitola "L'Ora di Mezzo" e subito sono rimasto attratto visivamente dalla copertina, che ti ritrae seduta con in mano un libro, la cui copertina rappresenta la locandina pubblicitaria di "Tempus Fugit", un antico liquore china di origine svizzera. Il tempo, il suo trascorrere, è fortemente presente sia nel titolo del tuo nuovo lavoro sia nell'accuratissima foto di copertina, mi spieghi entrambe le scelte?

Acutissima osservazione, la tua. Ho scelto quella rivista di proposito, infatti. Il mio rapporto col tempo è presente ovunque, perché sono grata al trascorrere delle cose, al loro cambiare, alle trasformazioni. Questa cosa mi dà la certezza che ci saranno sempre cose nuove all'orizzonte. Inoltre, è uno stimolo a non lasciar passare le giornate sprecando i momenti preziosi in cui ho occasione di sorridere e di ricevere sorrisi.

Il disco è stato anticipato dal singolo "Le cose non accadono per caso", un brano di grande impatto, caratterizzato da una notevole cantabilità, mi ricorda un po' il miglior pop d'autore degli anni '80, com'è nato questo pezzo? Sei d'accordo però se dico che, in questo tuo nuovo lavoro, non è l'unico pezzo che vien voglia di cantare sin dal primo ascolto?

Concordo, cantabile, immediato e un po' vintage. Anche la seconda traccia, “Il grido” (con cui ho vinto il Premio Miglior Testo al Festival Musicultura nel 2016), ha queste caratteristiche. Poi ci sono brani più tipici, da cantautrice, altri con venature più rock ... Un album vario.

Si, ti do ragione anche sul vintage ... Il disco si apre con un altro gran bel pezzo "Occhi di cera", a me ha colpito subito quel verso "Ridono di me mentre lenta cado giù", me ne parli?

L'ho scritto tempo fa ... avevo smantellato tutto. Mandato via musicisti. Chiuso con un produttore fasullo, insomma, facevo forti potature e ad un certo punto ho pensato di aver chiuso con la musica ... "Occhi di cera" ha quindi un'atmosfera malinconica, ma credo che allo stesso tempo sia stata catartica per me. Ecco perché è la prima traccia!

Per fortuna che non hai chiuso con la musica, altrimenti non saremmo qui a parlare di questo tuo nuovo interessantissimo capitolo. La seconda traccia "Il grido" che, come hai già detto, ti ha fruttato un bel riconoscimento, tratta un tema di grande attualità anzi potrei dire di eterna attualità, purtroppo, vero?

Si. La canzone è, come dicevo, fresca, cantabile, un bel rock pop. Il testo in realtà tratta il tema della violenza psicologica, sottile, subdola, che spesso si subisce tra le pareti domestiche.



Che a volte è peggiore della violenza fisica, perché forse meno avvertita da chi la subisce e perciò più subdola, come hai sottolineato. Ascoltando tutto il disco, si avverte un attento e approfondito lavoro di scavo psicologico nell'universo femminile, ancora una volta hai voluto dar voce a donne del passato, Medea in “Medea”, Elena di Troia in "Il sorriso di Elena", Penelope in "Sul filo", Lucida Mansi (una contessa assassina) in "La torre delle ore", Maria Antonietta in “Maria Antonietta”. Da dove nasce questa tua forte passione per le donne che, in un modo o nell'altro, hanno lasciato una traccia viva nella storia?

Nasce da mia madre, ex accesa femminista degli anni '70. Poi si è ammorbidita nel tempo, ma a me ha insegnato la dignità femminile, il rispetto per se stesse, la lotta per i propri diritti. Certo, io non sono come le femministe di quei tempi, anzi ... Spesso mi arrabbio perché è evidente che noi siamo le prime carnefici di noi stesse.

Questa tua ultima affermazione la trovo molto condivisibile e, ahimè, lo dico con grande dispiacere. Il tuo far parlare figure femminili che hanno lasciato tracce importanti nella storia dell'umanità può essere, però, considerato un espediente per parlare anche di te, del tuo modo di sentirti donna, magari non in maniera esplicita e in forma diretta come avverrebbe in forma autobiografica?

Si. Credo di avere molto in comune con queste figure. Un misto tra decisa femminilità e una forza da amazzone ... In bilico tra la luce e l'ombra.

Francesca Romana Perrotta dal vivo - Arena Sferisterio di Macerata


A proposito di luce ed ombra, nel retro del bel libretto che accompagna il disco, c'è un tuo consiglio all'ascoltatore: "Da ascoltare preferibilmente dopo il tramonto". Sarà che il primo ascolto l'ho effettuato proprio di sera, poco prima del farsi avanti delle tenebre, ma ho trovato il disco meraviglioso, hai forse fatto qualche incantesimo?

Si ... Perché “L'Ora di Mezzo” è proprio quella: un attimo prima della sera ...

Tra le tracce del disco ve n'è una in cui per la prima volta credo, se non ricordo male, duetti con una voce maschile, la voce per altro molto bella e calda di Gianluca De Rubertis, per altro presente nel disco anche in veste di pianista in "Il sorriso di Elena". Parlami della canzone e di come è nata l'idea di cantarla con lui.

La canzone l'ho scritta e composta per me ed è molto autobiografica ... A disco quasi ultimato, ero a Milano a cena con amici vari tra cui Gianluca (con cui sono amica da anni, siamo entrambi leccesi) e, parlando di “Io sono l'egoista” ho pensato che lui poteva essere perfetto per un duetto in quella canzone. Lui è molto simile a me: uno sceso dalla luna, che però conosce la strada per gli inferi.

Che fosse tra le più autobiografiche ed intimiste l'ho pensato da subito ma c'è un'altra canzone, secondo me, molto profonda ed anche inquietante per certi versi, mi riferisco a "La stanza di dentro", soprattutto a quei versi conclusivi "Ora, senza le tue armi, muori e sei soltanto come cibo per i vermi, solo cibo per i vermi, solo cibo per i vermi ...”.

Si, è inquietante anche per me. Non è una canzone facile né da cantare né da scrivere. Non è autobiografica. È una canzone rivolta a due persone distinte e diversissime. Una mia amica che non c' è più e un uomo che conosco a fondo. Ho cercato di guardarli dentro per capire cosa spinge alcune persone ad agire in certi modi che io non capisco. Ho immaginato che dentro abbiano questa parte, questa stanza gelida, terribilmente incolore.



Credo che ascoltando si avverta davvero tutta questa inquietudine mentre, invece, "Il ballo dei fantasmi” la canzone che chiude l'album, a dispetto del titolo, non lo è per niente, anzi sembra essere quasi una sommessa preghiera, un’invocazione "Notte di luna danza sul mondo alza le vesti bianche d'argento scendi nelle stanze illumina il pianto di chi non sa sognar". Sbaglio?

Ah, si ... è un dolce abbandonarsi alla notte, per i suoi aspetti più incantati e sognanti. Una buonanotte e sogni d' oro per tutti ... anche per me.

Lo trovo un bellissimo modo di salutare chi ha avuto il piacere di seguirti lungo le tracce del disco e questa intervista ma, invece, a chi ancora non ti conoscesse cosa diresti come chiosa a questa nostra chiacchierata?


A chi non mi conosce? Alla fine dei miei concerti spesso mi sento dire che la mia musica dovrebbero conoscerla tutti ed io rispondo: tutti chi? E mi dicono: tutti gli italiani! Non lo so ... Io posso solo dire che “L'Ora di Mezzo” è un album scritto con molta verità ...



lunedì, maggio 29, 2017

Le onde emozionali del Mare Nero non si fermano mai …

di Fabio Antonelli

Il 6 giugno 2017 esce “Mare Nero”, il terzo disco d’autore di Alessio Lega, in realtà negli anni autore di ben otto dischi tra traduzioni, rifacimenti, live, dunque non certo artista di primo pelo. Questo nuovo disco lo si potrebbe definire a tutti gli effetti un disco di “avanzi” nel senso di canzoni non entrate, per vari motivi, nei precedenti due dischi. Detto così potrebbe quasi sembrare un disco minore ma non lo è affatto, perché si tratta di una raccolta di brani di grande spessore in cui la storia è sempre presente, anche quando fa a pugni con la propria coscienza. Avercene di artisti come Alessio! Il disco sarà presentato ufficialmente a La Scighera di Milano il 9 giugno.

Copertina "Mare Nero"


Di un disco, a colpirmi per primo, è solitamente l'aspetto esteriore, ossia la copertina, l'abito di cui è rivestito, allora ti chiedo subito com'è nata questa copertina apparentemente semplice ma, credo, fortemente simbolica, in cui il tuo nome e il titolo sembrano quasi non starci e in cui una molteplicità di lettere addensate verso il basso si diradano verso l'alto, quasi fossero pesci che faticano ad uscire dal mare in cui sono rinchiuse ... ho detto solo castronerie?

Direi che la tua lettura è non solo legittima, ma per certi versi centrata. Ti racconto non tanto la mia versione, quanto la storia di com'è nata. Di solito quando comincio a pensare a un mio disco la copertina è una delle prime cose che mi viene in mente, ma in questo caso essendo questo di gran lunga il disco più vario che ho fatto, faticavo ad averne un'immagine che potesse racchiudere tutto. Avevamo pensato a un "giudizio universale" medievale (vista l'abbondanza nelle canzoni di angeli e demoni), ma era triste ridurre un affresco nato per le grandi dimensioni a quelle del CD. Quando non ho idee mi lascio ispirare dai manifesti francesi del "Maggio 68", così ne ho trovato uno che si chiamava "Le Mur" che somigliava a ciò che volevamo ... dal muro delle parole siamo arrivati al nostro mare delle lettere. Un'onda, un cavallone che confonde le lettere in un mare di amore e libertà.

Manifesto "Le Mur"


Amore e libertà ... Eri partito da "Resistenza e Amore", diciamo che, fortunatamente, non hai perso l'abitudine di cantare la vita, la storia, l'amore, i sentimenti, i combattenti, i perdenti, spesso in modo ironico senza mai aver paura di attacchi e critiche, un po' come nell'ultima traccia del nuovo disco "Petizione per l'adozione dei figli alle coppie omosessuali", vogliamo per una volta partire dal fondo? Ho già detto troppo, ti lascio la parola.

"Petizione" è una canzone che viene da lontano: un tempo sentendo un dibattito a Radio Popolare (quindi una radio caratterizzata a sinistra) venni sorpreso dal fatto che molti ascoltatori, pur approvando le unioni civili, erano inorriditi dal pensiero di bambini che crescessero in un ambiente familiare non-eterosessuale. Questo mi sorprese molto, trovo tristissimo che la paura della diversità sia più forte della capacità di autocritica per un sistema - quello delle nostre famiglie - che non ha certo prodotto solo serenità e salute mentale. Però mi sembra che la canzone sia una canzone gioiosa, giocosa, vitale ... forse questa è la vera provocazione: parlare di un tema simile col sorriso.

Hai ragione, il tono della canzone è assolutamente gioioso, un po' come quello di "Angelica matta", il brano che apre il disco con quel titolo che appare già come un ossimoro ... Chi è Angelica matta "luce imprevista che sorge dal niente / di niente addensata, però intraprendente"? Il clima di questa canzone è divertito, in netto contrasto con la seconda traccia "Canzone del povero diavolo", che sembrerebbe essere il rovescio di una stessa medaglia. Sono state scritte nello stesso periodo? Come sono nate?

Sono state scritte proprio assieme e parlano assolutamente della stessa personalissima esperienza. "Angelica matta" è un ritratto, il "Povero diavolo" un autoritratto. Se leggessimo solo il testo della prima la troveremmo molto meno scanzonata, così come la seconda, senza il suo suono "infernale", sarebbe molto auto-ironica ("ti offro tutto per quasi niente / poi ti sputtano, ti canto alla gente"). Miracoli ed equilibri della musica ...

Alessio Lega - Foto di Rosalba Amorelli


E' vero, per questo una canzone non può essere scomposta. Spesso la musica è fondamentale e, anzi, anche i soli arrangiamenti possono cambiare totalmente o quasi una canzone, anche solo renderla più dolce e struggente, sto pensando alla nuova versione della dolcissima "Zolletta", da te dedicata a Enzo Baldoni, il giornalista free-lance ucciso dagli estremisti islamici in Iraq nel 2004, ancora più commovente se fosse possibile ...

"Zolletta" è una canzone che mi è molto cara, non solo per la storia specifica cui sono legato da molti fili: ero un lettore di fumetti e conoscevo il lavoro di Enzo Baldoni come grafico, come reporter e scrittore. Però credo anche che Enzo Baldoni sia un "uomo del secolo" cioè uno che rappresenta appieno il nostro sbigottimento di fronte alla contrapposta violenza dei poteri: sbigottimento attivo, partecipe ... innamorato, mi verrebbe da dire. L'oblio in certi casi è il nemico più pericoloso, non dimenticare Enzo Baldoni vuol dire non dimenticare un uomo giusto e soprattutto aver rispetto di se stessi. Poi credo anche che la canzone sia ironica e sentimentale quel tanto da valere la diffusione.

Devo ammettere che più d'una volta il tuo studiare la storia con una passione e una dedizione certosina, mi ha permesso di conoscere personaggi, artisti, uomini del popolo a me ignoti. In tal senso sono per me due grandi scoperte le due canzoni di altri che hai voluto qui inserire, mi riferisco a "Hanno ammazzato il Mario in bicicletta", una vecchissima canzone (1958) frutto dell'accoppiata Dario Fo e Fiorenzo Carpi e una recentissima (2014) canzone di Paolo Pietrangeli intitolata "Fiore di Gaza". Cosa ti ha colpito di queste due canzoni? Come le hai fatte tue musicalmente parlando?

Una parte importante del mio lavoro è quello di scavo e riproposizione del repertorio storico della canzone italiana. Questo scavo ha dato origine a due fortunati spettacoli multipli: "Cento anni di canzone d'autore" e "Vinili", quasi 300 canzoni entrate nel mio repertorio in tre anni. È la mia risposta al fenomeno delle "cover", l'approfondimento della Storia musicale. "Hanno ammazzato il Mario in bicicletta" è diventato un mio pallino perché è una canzone geniale, irriverente, perfetta drammaturgicamente e sta all'origine della Canzone d'Autore (è del 1958). Purtroppo è anche diventata un omaggio postumo al genio di Fo, ma questo non era previsto quando l'abbiamo registrata. Pietrangeli è il mio primo maestro divenuto amico, e le sue canzoni più recenti (come questa "Fiore di Gaza") sono forse ancor più belle di quelle storiche.

Hai parlato di lavoro di scavo e riproposizione del patrimonio storico della canzone italiana ma  accanto a ciò, c'è anche sempre un tuo preziosissimo lavoro di recupero della storia in sé, della realtà storica, anche quella che s'è cercato di celare ai più, come ad esempio il massacro di centinaia di vecchi donne e bambini avvenuto ad opera degli italiani in una grotta del massiccio dell’Amba Aradam col terribile gas all’iprite e che tu hai messo in canzone per contrasto in forma gioiosa ed ironica in "Ambaradan" o come l'olocausto zingaro cui nella balcanica "Porrajmos" cerchi di restituire visibilità e dignità. In entrambi i casi noi italiani non ne usciamo proprio bene, vero?

Beh... credo che uno dei compiti degli artisti sia quello di mettere il dito nella piaga della rimozione, di provare a divertire facendo riflettere. Il giudizio sugli italiani in quanto popolo, nazione, politica lo lascio agli storici. Io posso solo dire che, per quanto ho potuto documentarmi, il motto "italiani brava gente" è solo una favola.

Mi trovi d'accordo su entrambi i temi, anzi direi che i tuoi compiti d'artista sono da promozione a pieni voti. Però anche in questo disco un po' di spazio per la sfera più personale ed intima lo si trova comunque in "Non sarai più sola", in cui canti dell'epilogo del tuo matrimonio … è già una delle mie preferite, sarà forse che sono sempre stato un sentimentale. L'ho poi ascoltata su Youtube nella versione in cui era nata (https://youtu.be/gXOpFqiYLtk), era ben più triste, forse il tempo ha addolcito tutto ed eccola allora nella veste attuale, è così?

Il matrimonio in quanto "contratto sociale" ha un epilogo, ma i rapporti sono in continua evoluzione, e così oggi il rapporto con Patrizia, la mia ex-moglie (anche gli anarchici hanno un cuore!) sono non solo sereni, ma di vera e propria amicizia... anzi ci diamo reciprocamente consigli sentimentali. Però le canzoni - se sono buone canzoni - vivono di vita propria e si evolvono per percorsi imprevedibili anche dall'autore. La trasformazione di "Non sarai più sola" da dolente melodia "alla Vecchioni" (tipo "Mi manchi") a marcetta alla Beatles, è una felice intuizione di Francesca Baccolini, bassista e co-produttrice artistica del disco, e secondo me riequilibra il pathos del racconto con la forza dell'accompagnamento.

Alessio Lega - Foto di Gianluca Riva


Credo che la direzione artistica di Francesca Baccolini, unita a quella dell'amico di sempre Rocco Marchi, siano elementi fondamentali nell'ascolto del disco. Ovvio che poi c’è tutta la grazia della tua scrittura poetica e allora anche una canzone come "Maddalena di Valsusa", nata evidentemente con il fine di parlare della questione No Tav, si trasforma in una struggente ballata d'amore, con versi come questi "Che di amarti ci si accusa / nostra madre e nostra sposa / quei vigliacchi dei signori / Maddalena di Valsusa". Una delle tue canzoni più toccanti, di quelle capaci di far palpitare anche i cuori più freddi, io l'ho percepita così, sbaglio?

Ho frequentato tanto la Val di Susa, vi ho tenuto decine di concerti in supporto al movimento No Tav, di cui sono un fiero sostenitore. Mi sono innamorato di quella zona, ma soprattutto del rapporto di identità fra i valsusini e la loro terra. E così è nata questa sorta di serenata, di canzone d'amore, per una terra a rischio, bella e resistente. Ma è esattamente quello che volevo dire: la storia della Valle di Susa è una storia d'amore.

L'amore per la terra, spesso, si interseca nelle tue canzoni con quello per le persone che l'hanno vissuta o la vivono. In questo disco ci sono due canzoni che parlano della tua città nativa Lecce ("Santa Croce di Lecce") e di quella adottiva Milano ("Stazione Centrale"). Nella prima lo fai partendo da un fatto storico per altro quasi sconosciuto a tutti (ammirabile il tuo costante lavoro di ricerca storica), la seconda partendo da un luogo quasi di alienazione come la Stazione Centrale così come tutte le stazioni di Milano, una città in cui ancora fatichi a riconoscerti "Ma noi che questo posto, si sa, non ci appartiene / nascosti come l'acqua si scorre nelle vene / Milano ci è nemica come la nostra vita / Carica di speranze nell'aria intirizzita". Ho voluto accostare queste due canzoni per chiederti se, in fondo, ti senta più cittadino del mondo o alieno ad ogni luogo....

La canzone sui tre leccesi uccisi il 25 settembre del '45 - vicenda completamente dimenticata dalla mia città - è una delle canzoni che mi è costato più tempo scrivere, benché la melodia sia "presa in prestito da un canto sindacale irlandese". Ci tenevo a mantenere l'equilibrio fra la bellezza dei monumenti del barocco leccese e il sudore e il sangue di cui sono impastate le nostre città. "Stazione Centrale" è nata invece in pochi minuti, scritta per uno spettacolo teatrale che in realtà era un inno d'amore per Milano ... un amore difficile se vuoi, ma senz'altro un amore, come testimonia "La scoperta di Milano" (canzone del mio disco precedente "Mala Testa"): io adoro Milano, perciò ci litigo spesso!

Direi che il disco l'abbiamo solcato in lungo e in largo quasi fosse un mare … a proposito di mare, ci resta da parlare di "Mare Nero", una tua canzone vecchissima, che hai scelto per dare il titolo al disco, secondo me la si può già considerare un nuovo classico della canone anarchica e non mi meraviglierei di vederla cantata da altri fra qualche anno, un po' come accade per le canzoni di Brel, Ferré, ecc. Non credi?

"Mare Nero" è un brano che mi trascino dietro da quasi vent'anni nei concerti, sempre molto gradito dal pubblico, ma ogni volta che ho provato a inciderlo mi sembrava di non trovare il "tono" giusto ... dal vivo prendeva un tono a metà fra il cabaret e l'inno di piazza, ma in studio s'impantanava. Finalmente, in questo disco così eclettico, ha trovato una sua possibile anima. Resta forse l'episodio più stravagante rispetto alla scrittura degli altri brani ... e così gli abbiamo dato il ruolo di far da titolo al disco.

Se sei d'accordo, vorrei chiudere l'intervista approfittando del fatto che oggi è il 25 aprile e che tra poco sarà il Primo Maggio, due date molto importanti che però ormai per molti si sono ridotte solo a due occasioni per scampagnate e gite fuori porta. Che ne pensi? Non credi che musica come la tua abbia un ruolo fondamentale per non dimenticare mai e per guardare sempre i fatti della storia con occhio critico?


Ci sono dei generi musicali - come l'hip hop - o forme di teatro (cosiddetto) di narrazione, o ancora inchieste letterarie che hanno preso in mano il compito di riflettere sul rapporto fra la Storia e le storie. Io però credo che la canzone d'autore sia una delle forme più adatte a questo compito, perché tiene assieme il personale e il collettivo, facendo un discorso politico su un piano emotivo.



domenica, febbraio 12, 2017

Federico Sirianni e il suo disco della maturità, “Il Santo”



di Fabio Antonelli

Federico Sirianni - Foto di Valentina Tamborra
 
A quattro anni di distanza dal suo “Nella prossima vita” (Incipit Records - 2012), il cantautore genovese ma oramai torinese d’adozione Federico Sirianni, pubblica un nuovo lavoro discografico dal titolo “Il Santo”, dal cui ascolto emerge subito come sia più che mai il disco della maturità. Un disco che nasce da lontano, da quella canzone “Ascoltami Signore” che gli ha anche appena fruttato la menzione speciale, all’interno del Premio “Musica contro le mafie” da parte del Club Tenco.  Con lui s’è parlato di “Il Santo” ma anche di molto altro …

La prima cosa a colpirmi di un disco, spesso, è l'immagine in copertina. In passato  tu hai sempre realizzato copertine con fotografie che ti ritraevano. Questa volta no, "Il Santo" si presenta agli occhi dei possibili fruitori attraverso un disegno, molto originale, in bianco e nero. Come mai questa scelta così particolare? Perché proprio questo disegno e soprattutto perché un titolo così, "Il Santo", che sembra essere quasi in antitesi con il mondo attuale, quasi volutamente fuori luogo e fuori dal tempo, per un disco, invece, che è intriso di quotidianità?

C'è talmente tanto di me in questo disco che mettere una mia foto in copertina mi sarebbe parso fin eccessivo. Il mio amico Riccardo Cecchetti, illustratore straordinario, collaboratore di Frigidaire, quando ha ascoltato la canzone "Il Santo" mi ha fatto vedere quel disegno, un Buster Keaton in equilibrio precario sull'albero di un'imbarcazione. Ho subito pensato che fosse l'immagine giusta per la copertina del disco. Il Santo è il protagonista del disco, una figura che mi è vicina da qualche tempo, che mi ha fatto poco gentilmente capire che comincio ad avere più passato che futuro, che mi ha aiutato a modificare la scala delle priorità, che mi ha portato a incontrare parti di me che non conoscevo o non volevo conoscere, che mi ha fatto scendere in abissi profondi lasciandomi un po' nel buio da solo, per poi riportarmi a galla a respirare aria nuova.

Il Santo - Copertina
 
"Il Santo" , però, non è solo il titolo di questo tuo nuovo disco, ma lo è anche di uno dei più bei brani, non tanto del disco ma in assoluto, che abbia mai avuto modo di ascoltare. Rileggendone il testo, anche scomponendolo in tante piccole frasi, ognuna avrebbe un valore intrinseco di grandissimo spessore, ne cito solo una "Benedetta la complicità che unisce le persone". Com'è nato questo brano, chi è davvero il Santo oggi?

Intanto grazie per le belle parole. Non vorrei apparire blasfemo ma "Il Santo" è veramente una di quelle canzoni che arrivano dall'alto, che non sai come sia accaduto, ma, a un certo punto, te la trovi scritta sulla pagina del computer che fino a pochi minuti prima era immacolata. È una canzone che ognuno dovrebbe viversi o interpretare come desidera, posso solo dire che il primo pensiero che ho avuto mettendoci mano è che bisognerebbe cercare di trovare quel poco di bellezza anche dove bellezza apparentemente non c'è. E per trovarla bisognerebbe sporcarci le mani, frugando nell’immondizia che trabocca da queste gigantesche discariche che ci circondano. E si trova, se la cerchi, si trova. E quando la trovi, custodiscila come qualcosa di veramente prezioso.

Voglio essere un po' blasfemo anch'io e, volutamente, accosto quel capolavoro che è la canzone "Il Santo" che apre alla grande il disco, con il divertissement che, invece, chiude allegramente il disco, la canzone "Mia madre sta su Facebook", che canti in compagnia del grande trasformista Arturo Brachetti. Lo spessore di questo pezzo è indubbiamente diverso, ma non del tutto scontato, non è che questo vivere “social” sia poi una delle cause per cui non si è più capaci di percepire quella bellezza di cui parlavi?

Non saprei. Ad esempio io non tornerei a quando non c'erano i social. Per gente che fa il mio mestiere Zuckerberg & C. sono piovuti come una manna dal cielo. La possibilità di raggiungere ovunque e in tempo reale i tuoi appassionati o i tuoi potenziali ascoltatori è un privilegio straordinario. Negli ultimi dieci anni il mio pubblico si è decuplicato e, credo, dipenda anche da questo fattore. Poi i social sono un oceano solcato da tante imbarcazioni diverse e abitato da infinite varietà di pesci, alcuni più rassicuranti altri più pericolosi. Tra questi trovi anche chi non vorresti mai incontrare sul tuo cammino, ma alla fine basta evitarli. “Mia madre sta su Facebook” è un gioco che alleggerisce i contenuti di tutto il disco, prova a farti sorridere e suggerisce una visione un poco critica, ma soprattutto ironica della comunicazione contemporanea.

La mia voleva essere, ovviamente, una provocazione ... vorrei piuttosto spostare il discorso su un altro dei punti alti del disco, per non usare ancora una volta la parola capolavoro e che comunque non sarebbe fuori luogo, mi riferisco alla preghiera laico-religiosa "Ascoltami o Signore". Non voglio aggiungere nulla di mio, ma lasciare la parola a te, perché possa dirci com'è nata questa preghiera rivolta a tutti coloro che soffrono e perché abbia pensato proprio alla splendida voce di Giua per questo brano.

Credo sia stato il primo nato di questo disco. Ho cercato di affrontare una serie di situazioni e condizioni esistenziali particolarmente dure, difficili, contraddittorie, non utilizzando lo stilema della canzone di protesta ma quello della preghiera, o forse di un'invettiva in forma di preghiera. Mi ha ispirato il libro di Jodorowski “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” e, quando ho scritto la strofa sul femminicidio, ho subito pensato che la voce di Giua, una cara amica, un'artista straordinaria, avrebbe saputo darle quel passo in più di dolore e disincanto, in un episodio di cronaca così orribilmente banale, comune e tragico.

Federico Sirianni - Foto di Valentina Tamborra

Credo ci sia riuscita perfettamente, ma quella di Giua non è l'unica presenza femminile nel disco, troviamo, infatti, anche la voce e soprattutto l'arpa di Cecilia in "L'iguana sulla scala" e quella, quasi nera, di Giulietta Passera in "L'ultimo blues dell'umanità". Due contributi preziosi per due brani musicalmente e strutturalmente molto diversi fra loro, il primo più onirico-personale, il secondo più biblico-escatologico, in cui hai cantato anche versi di “Last blues to be read some day” di Cesare Pavese. Si vola sempre molto alti, non credi?

Le voci femminili hanno decisamente impreziosito le canzoni di cui parli. Sono tra l'altro tutte molto differenti, così come sono differenti le storie e le intenzioni di questi brani. Per “L'iguana sulle scale” ho subito pensato a Cecilia, arpista e interprete straordinaria; le ho chiesto di interpretarla con il suo strumento e la sua voce in maniera totalmente libera, tant'è vero che nella prima versione il ritornello era in minore, mentre lei lo ha aperto portandolo in maggiore e funziona benissimo. A Giulietta, che è un altro potentissimo talento vocale, ho chiesto un'intenzione quasi voodoo, alla Dr.John per intenderci. Quanto a Pavese, era da tanto tempo che volevo riprendere il suo blues e metterlo in musica. Spero di non aver fatto troppi danni.

Direi proprio di no, anzi, credo che Pavese avrebbe gradito questa tua interpretazione. Restando a queste atmosfere polverose d'oltre oceano, al blues, c'è un'altra canzone cinematograficamente poderosa, mi riferisco a "Il campo dei miracoli" che sarebbe potuta essere stata scritta da Tom Waits. Pensa un po' che il tuo modo di cantare qui mi ricorda Davide Van De Sfroos e la sua "I ann selvadegh del Francu" ("Franks Wild Years" di Tom Waits). E' stata ispirata da qualche storia letta o è pura visionarietà?

Né l'una né l'altra. È un racconto profondamente personale che faccio fatica a spiegare meglio di quanto possano dire le parole del testo. È la cronaca di una mattina di febbraio, il giorno dopo San Valentino, livida, triste e molto consapevole, in cui ho chiuso un lungo e importante capitolo della mia esistenza senza sapere cosa avrei trovato fuori. C'è sicuramente una narrazione un po' visionaria ma non mi sono inventato nulla.

A volte la realtà supera la fantasia ma credo sia la sensibilità di chi scrive a rendere poetica la vita reale e, soprattutto, a spingere a viverla fino in fondo, nonostante tutto ... quanto conta la maturità nel riuscire a scrivere una canzone così?

Maturità, vissuto, consapevolezza… Dieci anni fa scrivevo e raccontavo diversamente, com'è giusto che fosse. Più si invecchia più è necessario essere credibili in quello che si fa, soprattutto in un mestiere come il mio. Spero tra dieci anni, se ci sarò ancora e se ancora continuerò a scrivere, di farlo in modo ulteriormente diverso da come scrivo adesso. Se no sarebbe un problema.

Federico Sirianni - Foto di Fabio Antonelli

Beh, giusta riflessione, d'altronde come avresti potuto scrivere, magari anche solo dieci anni fa, una canzone come "L'amore in fondo", in cui ti metti decisamente a nudo con versi come "E io come metto a posto tutto questo / Ho cent’anni sulle spalle se solo lo capissi / Ma tu corri, vivi, cresci e trova amore / Che l’amore mio va a fondo come il Cristo degli abissi", credo di sapere a chi siano rivolti però vorrei fossi tu a chiarire tutto ...

Ora non è necessario fare nomi e cognomi, però anche le storie d'amore a venti o trent'anni le vivi e le racconti in un modo diverso da quando ti rendi conto, come ti dicevo prima, di avere più passato che futuro. E' una canzone d'amore dolorosa e consapevole, ho cercato di essere sincero e credibile raccontando un sentimento forte, un amore importante e il senso di mutilazione che una determinata assenza può infliggere.

Riletta in questa chiave, allora, "Con te" potrebbe esserne il seguito, il naturale sbocco del dolore cantato in "L'amore in fondo"? O almeno mi sembra di percepire così quei versi pieni di attese "E fare a pezzi la tristezza con te / Viaggiare senza destinazione con te / Essere un uomo migliore con te / Essere molto, molto meglio di me" ... o dico male? Sai che, ripensandoci, forse hai fatto proprio bene a scegliere un disegno come copertina, altrimenti avresti dovuto mostrarti nudo. Credo, infatti, che mai come in queste canzoni tu abbia messo a nudo tutto te stesso ...

Non sarebbe stata, in effetti, una buona idea di marketing, rendo di più vestito… Raccontare le canzoni mi riesce difficile, anche perché mi sembra di togliere qualcosa a chi le ascolta; mi piace che ognuno le interpreti a seconda della sua sensibilità, del suo momento emotivo, della sua storia quello che io, in un mio particolare momento emotivo, ho tirato fuori. Per cui, se per te la canzone "Con te" rappresenta il seguito de "L'amore in fondo" facciamo che sia così, anche se magari, chi lo sa, "Con te" potrebbe essere stato l'inizio e "L'amore in fondo" la fine.

Hai ragione, in fondo questo è anche il bello della musica. Allora, se sei d’accordo, anche per non dire proprio tutto tutto di questo lavoro, lasciamo da parte un attimo il disco. In parallelo alla tournée legata alla promozione di questo nuovo disco stai ancora realizzando date del NoGenovaTour, che ti ha visto per mesi condividere il palco con Max Manfredi? Com'è nata questa idea e come l'hai vissuta? E' fuori luogo pensare per il futuro magari un disco scritto a quattro mani, magari un disco di canzoni natalizie, visto che il Natale, come la neve sono ormai dei punti fermi nella tua produzione discografica ...

Il NoGenovaTour va avanti, in un anno e mezzo abbiamo raggiunto quasi i cento concerti. L'idea è nata davanti a un ottimo pollo ai peperoni magistralmente cucinato da Max che, oltre a essere straordinario cantautore è anche cuoco sopraffino. La formula molto semplice, mettere insieme su palco i due cantautori viventi e attualmente più rappresentativi di Genova che condividono palco, storie e canzoni. Ci divertiamo e il pubblico si diverte, anche perché quell'aura di impegno e serietà che potrebbe suggerire un progetto di questo tipo, si sgretola fin dalla terza canzone e il concerto diventa un happening d'improvvisazione in cui ti può capitare di ascoltare una cover di Cohen o un'esegesi dei Pooh. Per quel che riguarda il disco, ci hai azzeccato, non sappiamo quando accadrà, ma ci piacerebbe far uscire un album di canzoni natalizie.

Max Manfredi e Federico Sirianni - Foto di Manuel Garibaldi

Lo so che i cantautori sono sempre un po' gelosi delle proprie canzoni, un po' come il contadino del suo vino, ma se un cantante maschile o femminile venisse da te e ti dicesse: “adoro il tuo modo di scrivere canzoni vorrei me ne donassi una”, quale concederesti e chi vorresti fosse questo tuo ipotetico estimatore? Lo so che vorresti strozzarmi ... ma non volevo chiederti in maniera diretta chi ammiri in maniera smisurata ...

Mi piacerebbe scrivere canzoni per alcune voci femminili, magari non mainstream, ma che amo molto: Giua innanzitutto, ma ti faccio i nomi di due giovani artiste romane che, secondo me hanno potenzialità notevoli, Gabriella Martinelli, che ha vinto il Bindi due anni fa ed è una bomba vera sul filo del teatro canzone e Mesa (Federica Messa) che ha capacità narrative molto originali e suggestive. Ci metto anche Cecilia e Carlot-ta, altri due talenti giovani e cristallini, che hanno un progetto insieme molto interessante e cantano quasi tutto in inglese o francese, mi piacerebbe scrivere qualcosa per loro in italiano.

Vedo che gli uomini li hai scartati a priori ... Immagino sia una questione prettamente musicale ma allora ti frego in altra maniera. Ti chiamano in un premio dedicato alla canzone d'autore e ti chiedono di premiare un cantautore per quanto scritto in quest'ultimo anno solare, chi premieresti?

Il mio giovane amico Carlo Valente. Tra i cantautori contemporanei è uno dei pochi che, secondo me, scrive in maniera interessante. E comunque sto scrivendo un testo per il nuovo disco del mio amico/fratello Folco Orselli che stimo molto e cui voglio molto bene.

Sono giorni di Festival di Sanremo, non ti chiedo chi faresti vincere perché magari non hai visto nulla, ma se ti chiamassero in gara, ci andresti?

Non ho visto nulla, non per snobismo ma perché ho suonato tutte le sere. E, si, ci andrei certamente, ma non credo mi vogliano.

Ipotizzando che ti vogliano, come ti auto presenteresti al pubblico sanremese?

Beh pagano lautamente ottimi presentatori nazionalpopolari, lasciamoli fare il loro mestiere!

Va beh, ti sei avvalso della facoltà di non rispondere ... allora aggiro l'ostacolo con un'ultima domanda. Un giovane per strada ti vede camminare con la chitarra in spalla e con, in mano, una scatola trasparente con alcune copie del tuo ultimo disco, incuriosito, ti si avvicina e ti chiede se sei un musicista e che tipo di disco stai portando in giro, cosa gli risponderesti?

Gli direi: guarda, faccio un mestiere strano, un mestiere bellissimo che fa sì che ogni giorno sia diverso da quello precedente; un mestiere che ti porta sul roof e improvvisamente ti sprofonda in cantina, un mestiere che ti mette a confronto con la sensazione del successo, il dolore sordo della solitudine, la necessità di una continua curiosità e ricerca faustiana ma senza quel Mefistofele che almeno qualcosa ti aveva promesso in cambio di una qualunque anima. Ecco, gli direi, sono questa cosa qua, come diceva Tom Waits, una leggenda che vive solo nella mia mente. Il disco per questa volta te lo regalo. Dio ti benedica.