lunedì, ottobre 27, 2014

Intervista a gaLoni

di Fabio Antonelli

Il cantautore gaLoni, classe 1981, originario di Latina, è tornato sulla scena discografica dopo il buon esordio discografico del 2011 con “Greenwich”, per raccontarci ancora nuove situazioni di vita precaria. Il suo secondo lavoro discografico, intitolato “Troppo bassi per i podi”, uscito lo scorso marzo ha subito ottenuto un’ottima accoglienza dalla critica, mi sono messo in contatto con lui ed ecco cosa mi ha raccontato.


Prima di parlare subito del tuo nuovo disco, ho una curiosità da soddisfare perché credo che nulla sia mai dovuto al caso. Perché Emanuele Galoni è diventato semplicemente gaLoni e scritto così?

Non c'è un motivo particolare. Ho voluto usare solo il mio cognome. La L maiuscola è stata un’idea del mio grafico durante la progettazione grafica appunto del mio primo disco "Greenwich". Poi è rimasto così ...

Tuffiamoci allora subito in questo tuo secondo lavoro discografico che è stato accolto molto bene dalla critica, partirei dal titolo "Troppo bassi per i podi", perché questo titolo e com'è nata l'idea della copertina che ti vede inserito in un disegno camminare sopra il tetto di un palazzo?

Il disco segue il discorso cominciato con "Greenwich". Nella copertina del primo disco comparivo io, intento a spostare il meridiano 0, Greenwich, punto di riferimento geografico della civiltà occidentale. Il gioco stava in questo, spostare il punto di vista occidentale e provare a vedere il mondo da altre angolazioni. "Greenwich" lo definisco un disco prettamente geografico, fatto di longitudini e latitudini. In "troppo bassi per i podi" invece cammino sui tetti di una città di provincia, da dove vengo io alla fine. Ci sono dei percorsi sui tetti che andrebbero scoperti, valorizzati. Il concept sta nella ricerca delle altezze che contano. Siamo troppo bassi per i podi, quindi inadatti per le vittorie, per le sfide, ma abbastanza alti per i tetti. Nella copertina compaiono inoltre moltissimi elementi delle canzoni, occorre scoprirli, è un bel gioco.



Le canzoni, si sa, sono fatte di parole e musica, oltre che dalla voce di chi le canta. Non sempre però queste componenti si amalgamo alla perfezione. Trovo, invece, che il tuo disco sia esemplare da questo punto di vista. Da una parte ci sono musiche accattivanti, dall’altra testi che s’incastrano alla perfezione, con un’attenzione quasi maniacale per la parola. Nulla è lasciato al caso e per questo, se sei d’accordo, vorrei passare in rassegna le varie canzoni prendendo spunto da una frase delle stesse. La prima è “Spara sui treni” da cui ho estratto “Credi che gli animalisti non ammazzano zanzare / o gli scarafaggi in fuga sulle scale / credi che gli animalisti proteggono zanzare / o i tuoi occhi tristi dalla luce del sole”. Il tema le tante contraddizioni dei nostri giorni?

Sì, penso che alla fine non facciamo mai interamente parte di qualcosa, o quantomeno non riusciamo a fare delle scelte radicali per le quali ci sentiamo parte integrante e completa di qualcosa. Riusciamo a stare sempre con un piede dentro e uno fuori, pronti a uscirne quando ci fa comodo o per il mancato coraggio di arrivare fino in fondo alle cose.

“Per vederti partire” è, tra le canzoni del disco, forse la più pop, concedimi il termine, dal punto di vista musicale, però a livello di testi ci sono almeno due chicche “La matematica è opinione / da quando ti ho intravisto / oltrepassare queste nuvole cariche di piscio” e “ed io ho un plantare sotto il cuore / per appoggiarlo meglio sulla lunghezza delle ore”, è una riflessione sui meccanismi dell’amore o l’amore è solo la scusa per parlare di altro?

L'amore naturalmente fa da sfondo a queste storie. In questa canzone credo che il tema principale sia la rassegnazione alle partenze che non sono più un desiderio ma costrizione.

“Carta da parati” è stato il primo singolo estratto dal disco, finito per altro tra le canzoni candidate alla Targa Tenco 2014 Canzone singola, te lo aspettavi? Rimasto deluso dal non essere finito tra i finalisti? La frase scelta è “Ti staccherò la carta da parati dalla schiena / i costruttori edificano i vuoti di memoria”, com’è nata questa canzone? Si può definire surreale?

La candidatura al Tenco, devo dire, è arrivata all'improvviso, con mia sorpresa. Deluso assolutamente no. Sarei incoerente con il titolo del mio disco.  Con questa canzone volevo riscoprire certe bellezze nascoste laddove l'uomo ha edificato in modo sregolato. Il nostro contesto urbano incide sull'umore, sullo stato d'animo, sullo stress. Vivere in questi posti significa anche passare intere giornate in appartamenti e fondersi con gli stessi. Diventare mura, pareti, arredamento. L'immagine di staccarla vuole essere dire proprio questo. Tagliamo le radici e proseguiamo verso posti diversi, dove ancora si può celebrare bellezza.

L’amore invece è ancora una volta il protagonista di “Il migliore dei cecchini”. Prima di tutto complimenti per la scelta spiazzante dei titoli, solo apparentemente estranei all’argomento delle canzoni stesse, m’è particolarmente piaciuta la frase introduttiva “Ti ricordi mi aiutavi a fare i compiti / dell’amore conoscevo solo i miei testicoli”, ma non si parla di amori adolescenziali? Vero?

No assolutamente no. Si parla di ritorni. Quando ognuno di noi ha fatto il proprio percorso e ci si rincontra in proprio bagaglio di esperienze. Il migliore dei cecchini è un po' la resa dei conti col passato. Quelle cose che ci sono sfuggite perché non le abbiamo sapute mantenere perché troppo concentrati su noi stessi. È quando proteggiamo esclusivamente le nostre cose sotterrandoci dentro mine, per paura che qualcuno venga a togliercele. Poi le mine si disinnescano ma quel terreno rimane ormai incoltivabile.

“Ballata sulla gru” è canzone di strettissima attualità, legata la tema del lavoro o meglio dell’assenza del lavoro. Un tema doveroso ma affrontato con la consueta originalità “Quest'anno per Natale non farò auguri né regali / solo in bocca al lupo ai cani / agli orefici e ai dopati / sempre in culo agli operai troppo bassi per i podi / non ci saliranno mai eppure li hanno costruiti”. Perché in chiusura hai citato proprio Monicelli?

Monicelli credo sia stato l'ultimo baluardo dell'Italia che resiste. Ha ripercorso con i suoi film l'Italia vera, genuina, popolare. Vicino alla malattia e alla morte era uno dei pochi che parlava di rivoluzione. Mi ha colpito molto la sua morte. Un gesto lucido e insolito per una persona di quell’età. Un gesto espresso sempre in altezza, dal quinto piano, per cui non poteva non esserci in questo disco e sopratutto in questa canzone dove gli operai cercano il vuoto della gru per rivendicare i propri diritti. Salire sulla gru è un altro gesto che mi ha colpito. E' come se loro avessero bisogno di rappresentare un vuoto interiore con un vuoto fisico, visibile, afferrabile.



“I navigatori” è tra le mie preferite in assoluto, una canzone in cui si viaggia, magari anche solo con l’immaginazione, come mi sembra si deduca dai versi “E' tanto che non ci sentiamo dalla voce ti sento dimagrita / è tanto ormai che non ci vediamo / la distanza non è distanza ma è benzina”. Com’è nata questa canzone?

E' nata quando non avevo un navigatore satellitare. Oggi purtroppo sono uno di quelli che ne fa un uso eccessivo. Anche per andare in posti che conosco. E' come si mi facesse compagnia, mi piace osservare i chilometri che diminuiscono, il nome delle strade, cambiare via improvvisamente per trovare percorsi alternativi. E' quasi un gioco. In questa canzone ci sono le cose vicine che non riusciamo a raggiungere proprio perché le diamo per certe essendo esse non distanti da noi.

“Ho perso palla a centrocampo” è una canzone che mi ricorda un po’ lo stile ironico del miglior Rino Gaetano, che non parla per niente di calcio con belle considerazioni tipo “Quanti né ho visti di italiani / clandestini regolari” oppure “Roma non è più la capitale / Roma è solo capitale / se capita di incontrare un tale / che investe tutto a un videopoker”.  Quanto è il senso di spaesamento nel quotidiano vivere in questa nostra società?

E' un brano che parla di evasori fiscali. Sono loro i veri clandestini regolari. Pensai di scrivere il pezzo quando, rincasando con degli amici in tarda nottata, trovammo un tizio nel bar sotto casa che giocava ai videopoker in pigiama. Il giorno dopo verso le 11 scesi per la colazione e lo ritrovai allo stesso posto col pigiama. Tuttavia se ai miei occhi sembrava una cosa inverosimile per il barista e i frequentatori del posto era tutto normale. Il senso di spaesamento è proprio questo. Certe cose che ti sembrano surreali, per la maggior parte di noi sono la piena normalità.

“Tu dì loro che sto bene” ha le cadenze di un’accorata preghiera rivolta da un figlio alla propria madre nel momento in cui sa che perderà da lì a poco la libertà, preghiera fatta anche di parole come queste “Madre blocca l’ascensore / vogliono cose di valore / dagli i quaderni delle Medie / o la mia scheda elettorale”. Nasce per caso da qualche episodio reale in particolare?

Non precisamente. La storia narra di qualcuno che è ricercato, e qui possiamo metterci di tutto, Agenzie delle entrate, Equitalia ecc... ma l'idea era di partire da un verso rivisitato di “Knockin' on heaven's door” di Bob Dylan "Mama, put my guns in the ground" da cui "Madre dissotterra le pistole" che dobbiamo ancora difenderci, io sono via ma non ti preoccupare che sto bene, anzi dillo anche loro. E' sicuramente un atto d'amore tra una madre e un figlio. E' come dire, possono toglierci tutto ma non il fatto che possiamo ancora difenderci da qualsiasi cosa e in qualsiasi modo.

Con “Autostrada per i cani”, canzone dal titolo ancora una volta originale e spiazzante, torna prepotente il tema dell’amore, anche se qui sembra mescolarsi con temi ambientalisti “Lascia stare il mio anulare / che mi son tagliato con un foglio A4 di Fabriano / sarà il saldo che ci chiede l'Amazzonia / o per i nostri nomi incisi come graffi sugli alberi dei parchi” o sbaglio?

Hai perfettamente ragione. La passiamo così questa? (sorride)

Si si, te la passo (sorrido). Altra canzone stupenda, carica di sofferenza, con quel mesto coro, quasi un lamento in sottofondo è assolutamente “Primavere arabe”, con quei suoi versi estranianti tipo “così un uomo in giacca con gli occhiali a goccia / carica i suoi occhi con proiettili di gomma / con i resti di una donna ti fabbrica una bomba / la tiene avvolta nel suo elettrocardiogramma”. Penso che renda bene l’orrore portato dalla guerra o repressione della libertà, qualsiasi sia l'origine, no?

Spero di sì. “Primavere Arabe” è l'atto rivoluzionario portato sulla piazza. Un atto che si può avere solo per mano di quelle persone che hanno abbracciato la follia e non hanno più nulla da perdere. Il parto nella piazza è il gesto ultimo, quello più rivoluzionario e femminista allo stesso tempo, poiché la rivoluzione è Donna.

Il disco si chiude con “Nobel”, un brano pieno d’ironia e di sarcasmo, credo nate nel guardare le contraddizioni celate dietro alcuni premi Nobel, a dir poco forieri di dubbi, questi i versi che ho scelto “Per le pallottole di gomma della tua reflex digitale / le tue missioni nel mio cuore, i tuoi occhi verdi militare / io ci vedo rotatorie e troppi mi dispiace / c’è che ti danno favorita per il Nobel per la pace". Credi ancora, invece, che la musica possa essere strumento per la pace? Strumento di resistenza contro ogni privazione della libertà, come il Premio Tenco ha voluto sottolineare, intitolando la Rassegna appena conclusasi alle Resistenze?

E' un veicolo che può accomunarci tutti. E' un linguaggio unico, che non ha bisogno d’interpreti, traduzioni. Non possono nascere dunque incomprensioni ed equivoci. Direi quindi di sì.




Sito ufficiale di gaLoni: http://www.galoni.it/

Il canale Youtube di gaLoni: http://www.youtube.com/user/emanuelegaloni

venerdì, ottobre 17, 2014

Recensione CD "Apnea" di Susanna Parigi

Apnea:" assenza, sospensione temporanea dell'attività respiratoria".
Apnea artistica:"Sospensione della cultura, dell'arte, dell'immaginazione".
Ma proprio dentro questa apnea nasce un nuovo modo di agire nell'arte, in maniera energica, invasiva e a volte anche violenta nei confronti delle persone e della società cosiddetta allineata.
È stato violentemente distrutto ogni tentativo di fare arte e cultura che non sia allineata, non solo dal nostro Paese ma dal sistema tutto. Dove il piccolo non può sopravvivere, è impensabile fare arte e cultura, perché arte e cultura non sono né saranno mai oggetti industriali; semmai artigianali.
Distruggendo il piccolo, si distrugge anche la possibilità di fare tesoro del dettaglio, della cura personale della progettazione, del materiale, del procedimento, delle persone che lavorano al progetto. In Italia, ormai, tanti artisti e persone che operavano in questo ambito, non hanno più lavoro e hanno dovuto smettere di credere e sperare.
Siamo in una sorta di Apnea.
In questo scenario, però, si aprono nuove possibilità. Chi aveva scelto questo mestiere solo per danaro se ne è andato, già da un bel po' di tempo.
Rimangono in trincea i veri credenti. Quelli che, come ha detto Garcia Lorca, ritengono sia «giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto giusto che tutti gli uomini abbiano accesso al sapere. Che tutti possano godere i frutti dello spirito umano, poiché il contrario significa trasformarli... in schiavi di una terribile organizzazione sociale».
In Italia, con le leggi attuali, questi credenti sono privati delle più elementari forme di dignità, costretti a ricorrere, chiamiamolo con il suo vero nome, all'accattonaggio, al mendicare favori presso mecenati e a convertire i propri talenti e lavoro in hobby.
Si reca violenza non solo al mondo dell'arte, da qualcuno forse considerato 'volatile', ma alle vite di innumerevoli persone. Questo richiede risposta energica, invasiva, se necessario anche artisticamente violenta.
Da questo nasce Apnea Artistica, un nuovo modo, o forse antichissimo, di pensare la musica e credo le arti in generale. Non più allo scopo di arricchirsi in breve tempo e soddisfare il desiderio narcisistico alimentando urla di folle alienate, ma allo scopo, di ripristinare alcune funzioni vitali di un organismo atrofizzato, di favorire l'immaginazione e non la ripetizione, magari in qualche caso di consolare il cuore degli uomini, semplicemente lavorando giorno per giorno con passione, credendo alla necessità di una ridefinizione dei rapporti e recandosi non solo nei luoghi predisposti, ma ovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.

Credo che se non si parta da questo scritto-manifesto di Apnea, che campeggia nel sito della cantautrice e musicista fiorentina, manifesto che pian piano sta diventando anche un movimento, aperto a tutti gli artisti che avranno voglia di riconoscersi e che vi potranno aderire, prendendo contatto con la stessa artista, non sia però possibile cogliere a pieno il valore di questo suo nuovo progetto.

Cominciamo con il dire che il disco comprende appena nove tracce, di cui la prima Quello che non so è brevissima solo 1’52” ed è introdotta dalle dolcissimi note del pianoforte di Susanna sulle quali parte poi, s’innesta la voce traballante del piccolo Fabio Di Benedetto, subentrano poi gli archi ed ecco, finalmente, entrare in gioco anche la splendida voce di Susanna fino alla domanda finale “Ma quello che non so / io lo vorrei capire / ma come? / Come?”. Forse proprio da qui deve ripartire la rinascita della cultura, dalla curiosità di conoscere, di comprendere, dalla ricerca personale della verità. Non a caso, nel libretto del disco, è riportata una riflessione di José Mujica, Presidente dell’Uruguay, che si chiude così “… se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere”. Tema di grandissima attualità.

Se la prima traccia è una brevissima introduzione l’ultima, LIBeRI, è un testo liberamente tratto da “Libri e libertà” di Federico Garcia Lorca, questa volta non cantato ma recitato da Susanna su un tappeto sonoro molto particolare e suggestivo, dominato a tratti da percussioni ancestrali. La chiave di lettura di questa conclusione è già insita nel titolo, scritto proprio così, evidenziando con il maiuscolo la parola LIBRI, perché solo attraverso una cultura diffusa a ogni strato sociale, si potrà un giorno pensare di giungere a una libertà per tutti. Nel libretto, in proposito, è riportato un piccolo estratto da Garcia Lorca che dice “Io se avessi fame e mi trovassi invalido in mezzo alla strada, non chiederei un pane, ma chiederei mezzo pane e un libro … e a coloro che non hanno mezzi economici, rivolgo l’invito di dedicarsi alla lettura, di coltivare la propria intelligenza come unico mezzo di liberazione economica e sociale”. Si potrebbe pensare che se Garcia Lorca fosse ancora vivo probabilmente non guarderebbe certo la nostra televisione spazzatura.

In mezzo, restano appena sette tracce, che potrebbero sembrare poca cosa in termini numerici, ma che se ascoltate e “riascoltate” con la dovuta attenzione rivelano invece una densità di temi e concetti impressionanti.

Come accade spesso nelle canzoni di Susanna, sono le donne a essere le protagoniste delle sue canzoni, proprio come in Donne esoteriche, che comincia con i versi “Dare potere agli uomini è stato catastrofico... / Urge il ritorno all’universo vulvico ...”, in cui ancora una volta saranno le donne a essere le protagoniste dell’unica vera rivoluzione culturale possibile, donne viste da Susanna come dono di Dio ma che, con molta ironia, hanno bisogno per essere esoteriche di “Pepe rosso un bel po’, grasso d’ippopotamo. / Sotto sale essiccare sette semi di sesamo”.

Susanna è però ben conscia di come sia difficile non lasciarsi contaminare da ciò che ci circonda, in Tutte le cose si attaccano addosso, pervasa da suggestioni morriconiane, vi si trovano accenni a “la corruzione in famiglie per bene, / il malcostume di raccomandare”, a “certa attitudine per litigare, / certa abitudine di possedere”, fino al finale “la convinzione, il pensiero malato / che il successo tolga ogni peccato”. Quanto malcostume imperversa nella nostra società, dalla politica allo sport allo spettacolo ed è sempre più difficile restarne puliti.

Proprio alla politica, ma non solo, diciamo a tutti gli uomini di buona volontà, è rivolta la canzone L’uomo che cammina, un invito a operare non per il proprio successo o per i propri interessi ma per le generazioni che verranno dopo di noi, secondo una logica cristologica “E’ l’uomo che cammina, dice: / Amatevi, non dice: Amatemi”.

Se questo è l’esempio da seguire, però la realtà è purtroppo assai diversa, costellata da gente che non si rende conto della propria mediocrità e falsità, come in Che noia. Ancora una volta però è l’ironia a dominare il brano, in cui Susanna si definisce donna “che scopa sempre, / ma lo fa sostanzialmente / per analisi sociale, / per cultura generale / e per dare un contributo / etologico e morale / alla società”, una donna pronta anche a giustiziare con un bidè, dopo una notte insonne, gli acari nelle proprie mutande.

L’ironia dura giusto un istante, perché Venivamo tutte dal mare, testo scritto a quattro mani da Susanna e Kaballà, è invece una triste splendida canzone, dedicata a tutte le donne migranti venute “come merci da trasportare, per l’inganno occidentale, perfette” ma alla fine “forti abbastanza da ribaltare l’equilibrio occidentale ... perfette”. Il riferimento letterario, nel libretto, è “Pentimento” una poesia di Erri De Luca.

Sonorità totalmente diverse, elettroniche, quasi in stile Alberto camerini ma ancora intrecciate a trame d’archi e pianoforte, ci portano all’indignazione di Filtro elettronico verso il maniacale filmare tutto, persino “l’applauso maniacale alla bara mentre cade”, per poi condividerlo immediatamente sui vari social network, perdendone così irrimediabilmente il senso stesso dell’essere lì, in quel preciso momento, “quanto vorrei esserci stata a Woodstock / e non vederlo dentro un film adesso”.

Piacevole è, infine, Carica erotica, ironica canzone intorno al tema suggerito dal titolo stesso, una canzone per una volta non costruita sul pianoforte bensì sulla chitarra, con sonorità da bossanova.


Il disco, in termini di durata è molto breve, quasi quanto un EP, ma molto concettuale, tanto che se un appunto va fatto, è che è proprio questo suo intrinseco concettualismo finisce per essere pregio e difetto al tempo stesso, perché se le canzoni dal punto di vista letterario appaiono dense di significato, ricche di agganci letterari e cantate da Susanna con l’originale fascino che la contraddistingue, pagano però dazio nell’essere poco immediate e capaci di emozionare sin dal primo ascolto.



Artista: Susanna Parigi
Titolo album: Apnea
Etichetta: 103 Edizioni Musicali
Distributore: Self

Produzione artistica: Susanna Parigi
Anno di uscita: 2014
Durata totale: 28:47

Elenco tracce:                                   
01. Quello che non so
02. Donne esoteriche
03. Tutte le cose si attaccano addosso
04. L’uomo che cammina
05. Che noia
06. Venivano tutte dal mare
07. Filtro elettronico
08. Carica erotica
09. LIBeRI

Brani migliori:
Venivano tutte dal mare
Donne esoteriche
Tutte le cose si attaccano addosso

Musicisti e Ospiti:
Susanna Parigi: voce e pianoforte
Ferruccio Spinetti: contrabbasso
Matteo Giudici: chitarre
Michele Guaglio: basso
Nicola Stranieri: batteria e percussioni
Aurora Bisanti: violino solista
Alessio Nava: trombone
Roberto Fazari: chitarre elettriche
Coro Les Femmes ésotériques: Beatrice Burrello, Patrizia  Bolla, Paola Candeo, Sabrina Giambalvo, Chiara Pakagi, Chiara Bugatti

domenica, ottobre 12, 2014

Intervista a Giancarlo Guerrieri



di Fabio Antonelli

“I Pazzi osano dove gli angeli temono d'andare” scriveva Poe e, in “Pazzu” il nuovo progetto di Giancarlo Guerrieri, il musicista siciliano ha osato molto e non solo artisticamente. Libero da ogni cliché, in quest’ultimo disco i vari generi e stili musicali si fondono piacevolmente e sono al servizio e alla funzionalità delle canzoni. Ecco cosa mi ha raccontato di questa sua nuova “pazzia”.



La prima cosa che mi ha incuriosito di questo tuo nuovo lavoro è la copertina, molto diversa dai lavori precedenti, ha quasi un qualcosa di messianico, quella folla di colore e tu quasi assunto in cielo com’è stata scelta e perché?

La fotografia così come tutto il progetto grafico è di Charley Fazio, la foto è nata da una sua idea e, in effetti, il mio tuffo su quelle mani tese, che mi salveranno, sono una rete di sicurezza per un folle tuffo nel vuoto. Sono del parere che dai paesi sottosviluppati India, Africa, ecc. in futuro arriverà la nostra salvezza o redenzione, questo perché la globalizzazione ci sta portando sempre di più a non capire il mondo. In questo caos ordinato, verrà fuori l'umanità del futuro che da questi paesi salverà il mondo ... come non lo so, ma le profezie sono sempre un po’ ermetiche.

La musica può qualche cosa in tal senso? Da quanto canti in "La musica è putenti", energico pezzo che apre questo lavoro sembrerebbe proprio di si o sbaglio?

La musica ha una forza insita che può tutto, io sono dell'idea che con la musica si possono ancora fare le rivoluzioni "culturali" ed io imbracciato la mia chitarra, in “La musica è putenti” do voce a quella moltitudine di uomini semplici che nella canzone si ritrovano di colpo abbracciati sotto lo stesso cielo uniti da un ideale di giustizia e fratellanza, una sola voce, perché “La musica è potente e non si arrende, mai”.

Ciò che più mi ha colpito favorevolmente di questo lavoro è da una parte la bellezza e l'impegno civile dei testi dall'altra l'immediatezza di molte canzoni, hai saputo coniugare alla perfezione fruibilità (nonostante le difficoltà del dialetto per chi non è siciliano) e impegno, pregio non da poco. Concordi?

I testi sono stai scritti con moltissima attenzione, ci sono stati ripensamenti e, più di una volta, ho voluto confrontarmi con altri colleghi cantautori, che mi hanno aiutato nell'avere fiducia in me, poi ci sono state le canzoni scritte con Kaballà che ha saputo entrare nei miei brani scritti insieme con molto entusiasmo, senza però invadere troppo "il campo". Il mio stile si è andato delineando sempre di più in questi due ultimi dischi, con “Pazzu” ho fatto un ulteriore step, che mi ha permesso di scrivere in dialetto storie pensate in italiano, accostandomi alla lingua italiana con naturalezza e il risultato è stato appunto questo esperimento, che nella versione in siciliano di “L'uomo è pazzo” è più evidente.

Mi hai anticipato, volevo giusto che parlassi di "L'uomo è pazzo" o di "Pazzu" se guardiamo alla versione in siciliano. Nella versione in italiano duetti, per altro, con Roberta Zitelli una delle voci più belle che abbia sentito in quest’ultimo anno di ascolti. Com'è nato questo brano e com'è nata l'idea di affidare a lei il ruolo femminile?

Questa canzone è nata a Milano durante la registrazione del disco, avevamo bisogno di una canzone lenta che andasse a chiudere l'album, ed io mi sono fermato a leggere una frase che avevo scritto a matita su di un foglietto volante ... forse qualche giorno prima, "L'uomo è pazzoooo". A quelle parole però mancava una melodia, che Mario Saroglia ha saputo trovare immediatamente, poi avevamo  bisogno di una storia da raccontare o un messaggio da far passare e con Kaballà abbiamo pensato di scrivere un brano che parlasse di femminicidio, la voce di Roberta Zitelli mi è sembrata da subito la più adatta a interpretare il brano, conoscendola bene da molti anni, infatti, Roberta è la corista della BANDACAMINATI, formazione che mi accompagna oramai da cinque anni- Il risultato è stato quello auspicato, cioè un brano intenso che sa emozionare ma soprattutto riflettere.



Una delle canzoni che secondo me ha questo potere di far riflettere su come in pochi anni il mondo, i valori siano cambiati completamente, è "Carizzi e petri", una delle più evocative direi.

E’ vero, ho voluto raccontare la storia di una donna di altri tempi, che ha visto la guerra e vissuto i soprusi, la miseria e, dopo una vita che comunque gli ha regalato l'amore, dei figli e dei nipoti, giunta alla fine dei suoi giorni, si rende conto che ha il dovere di lasciare in eredità quei valori universali che non hanno prezzo, perché la vita senza l'amore non ha alcun valore.

Nel disco è inserita anche una splendida cover di una canzone di Nino Ferrer, mi riferisco a "Agata", com'è nata l'idea di farne una cover e di darle una veste dal punto di vista così attuale. Uno dei pezzi più trascinanti.

Durante un mio concerto di qualche anno fa il mio amico Peppe Qbeta, front man del gruppo omonimo, mi prese in disparte e mi disse, sai che tu mi ricordi Nino Ferrer sul palco, secondo me dovresti ascoltarlo attentamente, da lì la curiosità di studiare la sua discografia e il suo personaggio. Con “Agata” ho cercato di far rivivere una canzone che è stata scritta negli anni ‘30 da Cioffi e Pisano e che, nella mia versione arrangiata da Mario Saroglia, è rinata con l'idea di provare a farla diventare una Hit radiofonica! Chi può dire che prima o poi non avvenga?

Se "Agata" è canzone che, come dici tu, ha una fisionomia più radiofonica, questo disco è però ricco di canzoni che narrano di resistenze perfettamente in linea con il tema del Tenco di quest'anno, non credo sia una casualità, forse è il tema più sentito in questi momenti così difficili, che dici?

Hai detto bene, in questi ultimi anni in Italia, la situazione socio economica e politica e di conseguenza quella culturale si è andata ad arenare in una palude stagnante, dove regna il mal governo, una coscienza collettiva malata, del prendo tutto quello che c'è da prendere e poco importa se lo faccio onestamente o se questo comporta un danno di natura morale o economico che sia. Gli artisti, i creativi, devono avere il coraggio di denunciare queste cose in maniera aperta, senza timore di essere epurati dai circuiti mediatici, io con questo disco mi sono imposto di raccontare "anche per le future generazioni" quello che siamo stati e che siamo, l'ho fatto con “Super otto” e con “Kavallereska”, due canzoni diverse tra loro, ma legate da un filo conduttore che è il mal comune dell'italiano, credo di averlo fatto con onestà, coscienza e coraggio.

Può ancora l'amore essere una cura contro tutto questo mondo d’interessi e di affarismi? "Zorhat haria" sembra dire di si, ho visto che è stata scritta per te da Mario Incudine ...

Con Mario c'è una profonda e sincera amicizia, rara in un mondo come quello della discografia, tra noi c'è un accordo non scritto, a ogni mio nuovo disco lui deve dare il suo contributo artistico con una canzone, e con “Zorhat haria” l’ha fatto come sempre in maniera eccelsa, l'amore come ho detto tante volte è forse l'unica cosa che conta veramente nella vita di ogni uno di noi, lo canto apertamente nell'altra canzone d'amore "L'unica virità" dove, in un mondo senza più poesia, si è perso il senso della misura, dove la violenza e il caos regnano, l'unica cosa importante è l'amore, quello vero quello universale.

Passo dopo passo abbiamo ripercorso per intero il tuo nuovo lavoro, che hai voluto chiudere con un'altra preziosa cover "U jaddu" che nella versione originale sarebbe "Taglia la testa al gallo" di Ivan Graziani, perché proprio Ivan e perché proprio questa canzone?

Ivan Graziani è stato ed è uno dei cantautori Italiani che hanno caratterizzato e influenzato la leva cantautorale di questo trentennio, da tempo avevo in mente di inserire una sua canzone in un mio disco.
Poi durante la mia tournée in Portogallo, ho deciso di metterla in scaletta con il suo arrangiamento originale. Solo in seguito mi sono accorto che una veste più intima al pianoforte avrebbe perfettamente trasmesso tutto il pathos, la rabbia e quel bisogno di rivalsa, di riscatto sociale, che il testo, pur nel mio riadattamento in siciliano, racchiudeva in se.
Ivan aveva scritto questa canzone dedicandola alla Sardegna, quindi c'è un altro "analogismo insulare" che fa di questa canzone un inno alla resistenza culturale, atavica ed esistenziale, l'attaccamento verso la mia Sicilia è forte così come l'odio per certi aspetti che la caratterizzano negativamente e, con questa canzone, ho voluto cantare il mio amore per essa e il mio odio per le mafie, i soprusi dei politici e dei corrotti che offuscano la bellezza di questa terra che ha un potenziale immenso e che continua a essere un fanalino di coda per infrastrutture, abomini politici e burocratici.

Per concludere ricordo ai lettori che il tuo disco è candidato alle Targhe Tenco nella sezione "Album in dialetto", vuoi aggiungere qualcosa?

Si mi piacerebbe che, chi avrà modo di ascoltare il mio disco, lasciasse una sua considerazione sulla mia pagina di Facebook, un modo per sentirmi più vicino a coloro i quali sono la mia linfa vitale, gli ascoltatori, ai quali va un mi sentito ringraziamento, è grazie a loro, che c'è ancora chi crede di poter cambiare il mondo con un assolo di chitarra elettrica. E’ grazie a loro che io esisto e resisto artisticamente da uomo libero, libero di sognare e far sognare un mondo migliore. Grazie anche a te e a tutti i critici e giornalisti seri che grazie a dio si alzano al mattino e hanno ancora voglia di raccontare la verità delle cose.



Giancarlo Guerrieri su Facebook: https://www.facebook.com/giancarlo.guerrieri


sabato, ottobre 11, 2014

Intervista a Giorgia del Mese



di Fabio Antonelli

La cantautrice Giorgia del Mese ha appena riproposto con una nuova veste musicale “Lacreme” dei 24 Grana, il brano vede anche la presenza di Francesco Di Bella, fondatore e autore dei 24 Grana e attualmente impegnato nel progetto "Ballads Cafè". Due sensibilità artistiche affini che si uniscono in una felice collaborazione, in un brano intenso, dolce e potente al tempo stesso che è presentato con un nuovo vestito elettro-pop curato dalla produzione artistica di Andrea Franchi. 



Giorgia è di questi giorni l'uscita di un tuo singolo o meglio di un singolo che ti vede impegnata in veste d’interprete di "Lacreme" un brano dei 24 Grana, per altro con Francesco di Bella, com’è nata l'idea di questa "cover"?

Ho conosciuto, per mia colpa, la discografia dei 24 Grana solo negli ultimi tempi e mi sono innamorata della scrittura di Francesco Di Bella, che è capace di essere profondo e spietato, intimo e sociale al tempo stesso. Sono caratteristiche che ammiro molto ... così ho scelto "Lacreme" che è un brano bellissimo, lo abbiamo riarrangiato con Andrea Franchi in chiave elettro pop, vicina alle sonorità del mio secondo disco "Di cosa parliamo " e ho cantato per la prima volta in napoletano insieme con Francesco Di Bella.

Beh, c'è chi come me ha conosciuto la loro musica solo dopo aver ascoltato la tua versione di "Lacreme", segno forse il riprendere in mano un brano di altri per presentarlo in altra veste è strumento efficace per diffonderne la conoscenza?

Sicuramente se un brano sopravvive al suo autore e ha la forza per essere rivisitato e anche, se vuoi, sconvolto da altri, significa che l’autore ha scritto una canzone che prescinde se stesso e questa è un’ambizione che hanno molti ... per fortuna ... poi Di Bella non è permaloso e, a parte questo giro di parole, glielo possiamo dire che sono io che ho fatto pubblicità a lui in questo caso.



Hai fatto riferimento, per lo stile in cui è riarrangiata e interpretata la canzone, al tuo ultimo album, in effetti, credo ci sia molta continuità e affinità con quel lavoro, in fondo è un brano che ti rappresenta molto, c'è la tua dolcezza, la tua energica vitalità e se vogliamo anche la tua rabbia, dico male?

E' un brano molto più intimista ed esistenziale rispetto alla scrittura di "Di cosa parliamo" che sicuramente contiene gli elementi che tu citavi, ma il mio è anche un disco più inquisitorio, più rivolto alla denuncia di una morale comune in profonda decadenza e questo ha lasciato poco spazio alla malinconia dolce ed estrema che invece c'è in "Lacreme".

Questo singolo lo consideri, quindi, più un episodio a se stante o potrebbe preludere a un cambio di registro anche nel tuo modo di scrivere e allo stesso tempo di combattere contro questa società?  Magari meno diretto e aggressivo?

Per ora mi sono confrontata effettivamente con il registro che non avevo ancora frequentato ed è stato liberatorio riuscire a concedersi un'espressione di fragilità, d’inquietudine che si attesta e non s’incazza, ma i motivi per usare la musica per raccontare la realtà per non solo resistere ma criticarla e cambiarla, sono sempre più numerosi ... quindi ... vedremo!!!

Vedo che il tuo animo ribelle è difficile da contenere ... è troppo presto dunque per parlare di nuovi progetti e soprattutto di nuove strategie comunicative? Definizione che mi boccerai subito, ma tant'è ...

No figurati. Per le strategie esistono gli uffici stampa e il mio è bravissimo! A parte le battute, sto lavorando al nuovo disco e probabilmente nel 2015 lo ascolteremo ... sto cercando di fare un lavoro serio e meditato che richiede tempo! Nel frattempo vi invito a guardare il videoclip di "Lacrime"  sul mio Canale YouTube (http://www.youtube.com/channel/UCDnQJ6P2JJb2pdRw_RvYHGQ).
E' un bellissimo cortometraggio realizzato da The Factory, ed è un lavoro di cui vado fiera ...

In attesa quindi di nuove notizie in merito al tuo prossimo lavoro discografico credo che valga davvero la pena guardare questo video perché un cortometraggio in bianco e nero così ben fatto è da tanto che non lo vedevo. Grazie per la disponibilità e alla prossima occasione.

Fabio grazie mille per la disponibilità, come sempre …



Sito ufficiale di Giorgia del Mese: http://www.giorgiadelmese.it/
Il video di “Lacreme”: http://youtu.be/8x-fsteS09E

venerdì, ottobre 03, 2014

Intervista a Giuseppe Palazzo


di Fabio Antonelli
 
“La produzione di questo lavoro è stato un percorso alla fine del quale ho compreso che fare un nuovo disco, in questo momento di crisi storica e personale, era l’unica via percorribile. Dietro i miei strumenti mi sono sentito come sempre a mio agio. Giorno per giorno, per due anni, ho coltivato i semi che sono diventati piante, mi sono preso cura di loro e finalmente a primavera sono sbocciati i fiori”. Così il cantautore, polistrumentista e produttore Giuseppe Palazzo scrive del suo secondo disco “Il linguaggio dei fiori” fresco di stampa (30 settembre 2014). Ecco cosa mi ha raccontato.



Sono passati quattro anni dal tuo disco d'esordio "Piccole storie di quotidianità", il titolo del tuo nuovo lavoro è "Il linguaggio dei fiori", titolo altrettanto minimalista se vogliamo, però tra i due album sembra essere trascorsa quasi un'intera esistenza ... è così?

Eh! Già! E' così. Quattro anni intensi dove sono successe un bel po' di cose sul piano personale e anche il mio lavoro ne ha risentito. Quello che on è cambiato è sempre lo sguardo sulle piccole cose come hai fatto notare tu dal titolo.

Allora partiamo proprio dal titolo, perché proprio "Il linguaggio dei fiori"? Ascoltando il disco sembra quasi che le parole oggi come oggi si siano svuotate di significato e che il dialogare attraverso le parole non basti più. Conta quasi più il non detto del detto a chiare lettere. Ti ritrovi in questa chiave di lettura?

E' proprio così, i fiori hanno un linguaggio simbolico, non verbale, i fiori comunicano senza parlare, mentre l’uomo ha perso la capacità di comprendere il non detto, le emozioni, i disagi e i sentimenti che vengono comunicati senza parole. E' un tentativo di riscoprire quella parte primitiva che è dentro di noi e che ci permette di intuire oltre le parole.

Sai a me piace sempre soffermarmi sulla copertina del disco, che è un po' il biglietto da visita di un disco. Nella copertina di "Il linguaggio dei fiori" è rappresentato un albero che affonda le sue radici nel terreno, ma guardandolo così la parte che normalmente non è in luce sembra un altro albero, quasi a dire che c'è sempre una parte sommersa di ognuno che magari è proprio quella più in sofferenza, il tutto in un monocromatico giallo caldo, né un rosso segno d'amore, né un verde carico di speranza, non penso sia una scelta dettata da motivi di stampa ...

E' un disco che sfiora temi dolorosi come l'assenza, l'instabilità, la crisi e perfino la morte e ho cercato, anche paradossalmente, in essi gli aspetti positivi. L'albero, simbolo della vita, mostra le sue radici tenebrose come a dire che nella morte c'è un po' di vita e viceversa. La scelta del giallo è stata voluta ma tecnicamente azzardata perché non abbiamo potuto fare, per questione di tempo, una prova di stampa con l'azienda che ha stampato il disco... alla fine è andata bene!

Direi proprio di si. A proposito di stampa, ho visto che il primo singolo estratto dall'album è proprio "Stampante", perché proprio questo originalissimo brano?

“Stampante” è un brano difficile, una canzone sui sentimenti profondi di un rapporto in crisi, con tanti accordi e una melodia melanconica e articolata, insomma una canzone per niente radiofonica. E' quasi irriverenza nei confronti del sistema radio! Poi era un po' che volevo fare un video con la tecnica stop motion e “Stampante” era il brano che più si prestava. Sono cambiate tante cose nell'industria discografica, oggi grazie a internet e ai social un buon video può fare la differenza. Non resta che incrociare le dita e sperare che questa scelta alla lunga porti dei buoni risultati.

Hai accennato alla difficoltà del pezzo e alla melodia articolata, però credo che il disco dal punto di vista soprattutto musicale possa considerarsi a pieno titolo un concept album, nessun abbondono all'accordo facile, al ritornello orecchiabile, un cantare molto intimista. E' così o è solo una mia impressione?

Il disco non è stato concepito come un vero concept album tipo “Tommy” degli Who per intenderci. Però c'è molta coesione tra i testi dei brani e soprattutto nella produzione di cui sono il responsabile! Scelta totalmente opposta a “Piccole Forme di Quotidianità” (il disco precedente) in cui ogni brano è un capitolo a se. In ogni brano de “Il linguaggio dei fiori” è presente un sinth noise il cui scopo è solamente di disturbo, una scelta stilistica che nessun produttore avrebbe mai assecondato. Allo stesso modo il disco suona scuro è pieno di frequenze basse e proprio questi elementi produttivi rendono il disco compatto come un concept.

Direi che mi hai rubato le parole di bocca. Allora vorrei cercare di scardinare questo monolito ... quale è la canzone che più ami tra tutte, anche se per un padre è sempre difficile scegliere la creatura preferita.

Guarda senza riserva alcuna ti dico che il pezzo che preferisco di tutto il disco è “Muschio e lichene”. Ho scritto il testo di getto, e questo per me è già un piccolo miracolo, un pomeriggio di ottobre. E' l'unico brano del disco che ho registrato in presa diretta: piano e voce, senza metronomo, come si faceva una volta. L'ho registrato a casa con il mio pianoforte calante degli anni '20. Sono udibili delle imperfezioni come lo scricchiolio dello sgabello del piano e tutti i respiri che conferiscono all'esecuzione un'atmosfera magica. Da buon padre devo però riconoscere che Il roseto è stato il primo brano arrangiato, quello che ha dato il taglio stilistico a tutto il lavoro.

Siamo davvero in sintonia. Per non rubarti altro tempo prezioso, voglio spostare l'attenzione su una frase della canzone "Se manca l'elettricità", canzone che chiude il disco, mi riferisco a "E io non riesco a guardare oltre il buio che non so affrontare", che mi sembra rispecchiare non solo una condizione molto personale, ma una sensazione comune a tanti in questo preciso periodo storico. Che ne pensi?

Penso che hai colto nel segno! La bellezza di alcune canzoni è proprio quella di rispecchiare le sensazioni comuni di un preciso momento storico e questo periodo ahimè si commenta da solo. Tuttavia il brano, e quindi il disco, si chiude con la frase "tu sei già qua e torna l'elettricità" che non lascia spazio a interpretazioni!

Giustamente prima hai detto che i tempi sono cambiati anche in campo musicale e il web offre nuove possibilità, allora vorrei congedarmi da te chiedendoti come inviteresti ad acquistare il tuo disco, utilizzando un breve twitt

Sinceramente non lo farei! E' anacronistico pensare di continuare a vendere i dischi tramite i canali tradizionali ... e per canali tradizionali intendo negozi fisici e stores digitali ... iTunes per intenderci. Il futuro della musica in rete è nelle piattaforme di streaming, Spotify, Deezer, YouTube. Sfrutterei la possibilità del twitt per convincere le persone a uscire a frequentare i posti dove si fa musica sul serio, ad ascoltare un mio concerto dal vivo e se poi vi avrò convinto ad acquistare il disco al banchetto del merchandising. Il guaio è che anche i posti dove una volta si faceva musica sul serio stanno scomparendo o stanno mutando. Una tendenza comune dei progetti indipendenti come il mio è quello di suonare direttamente a casa delle persone, gli house concert sono una buona via percorribile in questo momento storico.

Si doveva chiudere con un twitt e invece queste tue riflessioni spalancano la porta su un discorso che meriterebbe pagine di riflessioni, che però ci allontanerebbero dallo scopo di questa breve intervista, cioè focalizzare l'attenzione su questo tuo pregevole nuovo lavoro discografico e spero che l'obbiettivo sia stato centrato, grazie per la disponibilità.

Grazie a te Fabio per l'ospitalità.

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Date Tour:
11 ottobre / Contestaccio / Roma
17 ottobre / P.E.R. / Terni
18 ottobre / Rock Store / Pomezia (RM)
29 ottobre / Circolo Degli Artisti / Roma